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Autore: Saritac1987    13/12/2006    4 recensioni
Forse sto riuscendo a superare questa lunga crisi.
Non so perché.
So solo che devo ringraziare il ragazzo che amo… che non è un Angelo solo per il nome che porta…
È l’Angelo che mi ha salvato la vita.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Angelo

 

Nevica.
È normale, siamo sotto le feste.
Guardandomi intorno, noto con mio grande dispiacere che sotto le feste il mondo sembra fatto di amore, gioia e felicità.
E a me mancano tutti e tre.
Ora posso sembrare la cretina che non ha il ragazzo e si lamenta, ma non è solo quello l’amore che mi manca…
Passeggiando da sola per le vie del centro me ne rendo conto. Tutti che vagano da negozio a negozio per comprare regali per parenti, amici e conoscenti.
Io?
L’unico regalo che faccio è quello per mio padre. L’unica persona che mi sia mai stata vicina da quella sera…
Ricordo tutto come se fosse successo ieri… e invece sono passati quasi due anni.
La corsa in ospedale, le ore in quella dannata sala d’aspetto a pregare, a chiedere a Dio di salvarla nonostante quel terribile incidente, l’uscita del medico che disse quelle due parole che hanno cambiato la mia vita.
È morta.
Da quel momento, non capii più nulla.
Ricordo l’urlo straziato di mio padre, l’abbraccio di mio zio che era accorso, saputo dell’incidente…
E pensare che stava andando a prendere mia nonna per festeggiare il Natale insieme.
Invece, ora come ora, il Natale per me è la festa più triste.
Avevo 14 anni.
Ora ne ho 16.
E non sono ancora riuscita a superarlo.
Il ritorno a scuola è stato tragico, e ancora adesso uscire di casa per andare in quell’edificio per me è una tortura.
Me ne sto al primo banco, quello davanti alla cattedra, dove nessuno si vuole sedere. Voglio stare lontana dalla gente… loro non sanno come ci si sente. Infatti non ho amici. Li ho allontanati tutti nei mesi che seguirono la morte di mia madre.
Ragazzo? Non riesco neanche ad avere la testa per pensare di avere un ragazzo.
Siamo solo io e mio padre, e nessuno dei due riesce a placare il dolore che sente l’altro. Ma entrambi sappiamo che l’altro è tutto. E questo ci basta. Più o meno…
Mi viene da piangere ogni volta che giro per le vie della mia città. Sembra che ovunque ci siano madri con i propri figli.
Madri che parlano dei propri figli.
Figli che insultano le madri per qualche torto subito.
Io sono come immune.
So che lei è lassù da qualche parte, ma mi manca lo stesso.
Fa troppo freddo ora, perciò decido di rifugiarmi in una chiesa.
Le chiese sono gli unici posti che mi facciano stare bene, in cui mi sento più vicina a mia madre.
E poi… qui non conta se sono triste o felice.
Non conta se sorrido o se il mio viso trasuda disperazione.
Non conta se hai i genitori, se ne hai solo uno o se li hai persi entrambi.
Qui sei sempre bene accetta.
Mi siedo in una delle prime panche. È la prima volta che entro in questa chiesa, e mi piace parecchio. È stranamente luminosa, e il soffitto sembra trapunto di stelle. Mi piace. Semplicemente, mi piace.
Anche le statue sembrano sorridermi.
Non so quanto tempo resto lì a pregare, so solo che a un certo punto sento una voce.
“Scusa se ti disturbo… guarda che stiamo per chiudere”
Alzo lo sguardo.
Un ragazzo dai capelli e gli occhi scuri mi sta sorridendo.
Sono due anni che qualcuno non mi sorride in modo così sincero. Di solito, ricevo solo sorrisi compassionevoli perché sono ‘la poveretta a cui è morta la mamma’. Gli sorrido a mia volta.
“Che ore sono scusa?” gli chiedo, preoccupata. Sono in ritardo, sicuramente. Mio padre sarà preoccupato… perché non mi ha chiamata? Semplicemente perché io sono una di quelle poche persone che quando entra in chiesa spegne il cellulare.
“E’ tardi… sono le dieci” mi risponde lui. Sono stata ore in questa chiesa, a piangere e a pregare. Anche l’anno scorso sotto le feste sono stata ore a pregare e a pensare a mia madre.
Mi manca da morire…
In silenzio mi alzo, faccio un cenno al ragazzo e esco. Si congela, e la neve continua a scendere.
‘Quest’anno avremo un bianco Natale…’ questo era quello che pensavo due anni fa… e mia madre mi aveva detto semplicemente che sarebbe stato bello avere un Natale con la neve.
Peccato che qualche stronzo ha sbandato con la macchina su quella dannata neve, e quella che ci ha rimesso era mia madre.
Per questo ogni volta che vedo la neve le lacrime riempiono i miei occhi… ed ecco perché odio sentire le parole ‘Bianco’ e ‘Natale’ nella stessa frase.
“Fa freddo stasera…” ancora quel ragazzo. Sembra che ci tenga a parlare con me…
Io gli rispondo con un semplice mugugno. Non mi va di parlare. Non ne ho ancora la forza…
“Sei sempre così silenziosa?”
Altro mugugno. Sì, cavolo, sono sempre silenziosa! Perché continui a voler entrare nella mia vita!
“Mia madre adorava la neve… mio padre, invece, la odiava… diceva che era solo un pericolo”
“Scusa?” gli chiedo, incuriosita. Era la prima volta che qualcuno parlava così dei propri genitori. Di solito, le frasi sui genitori che sento sono ‘Mia madre è una puttana’ o ‘Mio padre è uno stronzo’. Invece questo ragazzo… ne parlava come se ci tenesse veramente tanto ai suoi genitori.
“Ho detto… che mia madre adorava la neve… quando ero piccolo mi portava sempre a giocarci quando nevicava… mio padre la odiava invece… beh… per lui era tutto un grande pericolo”
“Anche mia madre amava la neve… ma è stata una nevicata a…” mi blocco. È la prima volta che ne parlo. Cos’ha questo ragazzo di tanto particolare per portarmi a parlare?
Non ha nulla di speciale… ha un viso comune… un paio di normalissimi occhiali dalle lenti rettangolari… non è più carino di tanti ragazzi che ho visto. Ma è… speciale.
“A…?” mi chiede, curioso.
“Due anni fa…” gli dico, con voce rotta. So che le lacrime stanno per scendere. Mi fa male parlare di mia madre “E’… E’ andata a prendere mia nonna per il cenone della vigilia… e uno ha sbandato perché la strada era ghiacciata… e…” scoppio a piangere. Perché ho detto tutto a questo misterioso ragazzo? Non lo so…
“Beh… i miei erano in treno…”
No scusa… cosa?
“Sono…”
“Sì. Quando avevo sei anni. Brutto, eh?”
“Come hai fatto… a superarlo?” gli chiedo, curiosa. Anche io voglio superare questa crisi, ma per me è pressoché impossibile.
“Con la fede… quando riesci a renderti conto che loro ti sono vicini anche se non ci sono più, riesci ad accettare la loro morte” mi dice semplicemente. Inizia a camminare di fianco a me, sembra che non voglia lasciarmi tornare a casa da sola.
Rimaniamo in silenzio per un po’, quando mi viene in mente che non gli ho ancora chiesto come si chiama.
“Angelo” mi risponde. Angelo…
Lo fisso. Un po’ ha l’aria da angelo.
“E tu, oltre a tante lacrime da versare ce l’hai un nome?”
“Gabriella” gli rispondo io. Odio il mio nome, lo odio con tutta la mia anima… mia madre, invece, lo adorava… diceva che il aveva un significato particolare.
“Gabriella… donna di Dio. Ci sta bene per una persona come te.”
Lo guardo incuriosita. Conosce il significato del mio nome… e dice che ci sta bene.
“Ti ho osservata oggi mentre pregavi… sai, era il mio turno di pulire la chiesa… con la scusa che sono tra i più grandi del collegio…”
Ancora silenzio. Non so cosa dirgli… davvero. Scoprire che non sono l’unica che sta male per queste cose, che si può tornare a sorridere… mi fa bene.
“Hai intenzione di accompagnarmi a casa?” gli chiedo a un certo punto, curiosa. Sembra che abbia paura a lasciarmi da sola per strada alle dieci di sera.
“Ti do tanto fastidio?” mi domanda lui di rimando. Io non rispondo. No, non mi da fastidio. Angelo è la prima persona che non sia un mio parente con cui riesco a parlare, anche se non lo conosco.
Sulla strada per andare a casa mia parliamo un po’ di tutto. Della nostra vita, di come gli altri vivono la nostra situazione… mi dice che, oltre alla fede, per superare la morte di una persona cara bisogna stare con la gente, e infatti a lui è servito stare in quel collegio, pieno di ragazzini che hanno vissuto quello che abbiamo vissuto noi e che, dopo tanti anni, per lui sono come fratelli.
Mi rimprovera per aver allontanato gli amici, per essere sempre da sola. Ma mi loda, perché molta gente dopo la morte di una persona cara perde la fede. Fede che io non ho bisogno di acquistare.
Arrivati davanti al portone del mio palazzo, Angelo mi chiede:
“Ti posso rivedere?”
Io gli sorrido.
E annuisco.
Sì, lo voglio rivedere.
Mi da un bacio leggero, sulle labbra. Sono due anni che non sento tanto calore vicino a me.
“Ci vediamo, Gabriella…” mi dice sorridendo e lasciandomi in mano un bigliettino.
Lo leggo.
È il suo numero di telefono, con una dedica.

Alla ragazza più… particolarmente speciale che abbia mai incontrato.
Angelo

Per la prima volta entro in casa sorridente.
Mi scuso umilmente con mio padre e mi chiudo in camera a guardare la neve dalla finestra.
La neve… la neve che ha ucciso mia madre.
Ma la neve… la neve che mi ha fatta entrare in quella chiesa e mi ha fatto conoscere Angelo.
“Ciao mamma…” dico, impercettibilmente “Sai… forse, ho trovato il modo per tornare felice”
So che lei mi sente… l’ho sempre saputo, ma è da ora che me ne rendo veramente conto.

Passano i giorni, e io ormai vedo Angelo tutti i pomeriggi.
Anche la sera della Vigilia, la sera in cui mia madre se n’è andata, lui era lì, vicino a me.
Non so esattamente se stiamo insieme o no, so solo che da quando l’ho conosciuto sono diversa.
Mi è tornata la voglia di sorridere, di stare con la gente, di parlare.
Forse sto riuscendo a superare questa lunga crisi.
Non so perché.
So solo che devo ringraziare il ragazzo che amo… che non è un Angelo solo per il nome che porta…
È l’Angelo che mi ha salvato la vita.
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Mia prima storia originale…
Allora, che ne dite? Mi lasciate un commentino? Positivo o negativo, accetto di tutto ^^ e ci tengo tantissimo...
Un bacio
_olly_

   
 
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