Halo
(Hoist
the
Jolly Roger)
La
visita di Carriedo[1]
lo aveva lasciato interdetto lì sul ponte della nave. Arthur
non era mai stato
il tipo che si lasciava sconvolgere con poco, figuriamoci, dopotutto
vedeva
delle cose che nessun altro poteva vedere,ma di certo trovarsi un
papabile
nemico giurato sulla propria nave di sua spontanea iniziativa gli
sapeva di
incredibilmente stupido, nonché di scioccante.
L’inglese
attraversò il ponte come se lo spagnolo nascondesse la sua
alabarda alta due
metri dietro la schiena e fosse sul punto di attaccare da un momento
all’altro.
Ovviamente lo spagnolo se la rideva tranquillo, baciato dal sole.
“Sono
le
cinque Inglaterra” esordì lo spagnolo, ghignando
in maniera poco rassicurante.
“Perché non mi fai assaggiare uno di quei
tè che ami tanto?” Arthur sorrise,
guardando Antonio appoggiarsi al pontile. No, non era lì per
attaccare briga,
era lì per parlare in pace.
Le sedie
arrivarono dal nulla, così come dal nulla parve apparire un
tavolo di legno
ruvido, sul quale uno dei mozzi portò una poco fine teiera
con relative tazze,
il tutto guardato con una sia di lieve disgusto da Arthur, fosse stato
sulla
sua Victory[2],
avrebbe avuto tutt’altri servizi da offrire al suo ospite,
non che Carriedo ci
fosse abituato. Lo spagnolo lo aveva fissato canzonatorio da quando si
era
seduto, non dicendo una parola fin quando tutti gli ufficiali,
ammiragli ed
amici di giro se ne fossero andati, lasciandoli da soli su quei pochi
metri di
nave.
“A
quanto pare anche le canaglie, se messe in una bella divisa ed istruiti
da
qualcuno possono diventare…come dite voi inglesi?
Gentleman” arronzò Antonio,
mentre annusava un po’ del tè che Arthur gli aveva
versato nella tazza.
“Sono
passati secoli, Carriedo, non vedo perché sarei dovuto
rimanere in quelle
opinabili condizioni” lo spagnolo sorrise bevendo, stringendo
un po’ le labbra
poi. Si mise dello zucchero nel tè, guardando poi
l’inglese alzando le spalle[3].
“Quando vedi una persona più per mare che per
terra ti rendi conto di con chi
hai a che fare e lasciami dire Inglaterra, che sei tutto tranne che uno
smidollato in divisa” disse guardando alle spalle gli
ammiragli che attendevano
sulle scale, seminascosti, ma ben a portata di voce.
“Cos’è hanno paura che ti
uccida?” disse ridendo lo spagnolo, bevendo ancora il
tè, mentre Arthur
allontanava la tazza dalle labbra per sorridere piano. “Non
sarebbe la prima
volta”[4]
sentenziò allora l’inglese, mentre lo spagnolo
scoppiava in una fragorosa risata.
Arthur
rimase in silenzio, aspettando che Antonio si ricomponesse, prima di
continuare
il loro discorso. “Allora, immagino con difficoltà
il motivo della tua visita”
cominciò, mentre lo spagnolo prendeva fiato, guardandolo
sempre più
canzonatorio. “Davvero? Pensavo fosse piuttosto
prevedibile” disse guardando
verso il mare, che si stagliava ad oltranza verso
l’orizzonte. “Ci risiete di
nuovo tu e Francis, suppongo sia questione di
tempo…” azzardò lo spagnolo,
distogliendo lo sguardo desideroso dal mare e riportandolo su Arthur,
che
sorrise amaro, bevendo l’ultimo sorso del suo tè,
fissando gli occhi in quelli
più vispi di Antonio.
“Immagino
che Francis sia corso immediatamente da te, io e lui siamo sul punto di
saltarci al collo da sempre, questa volta è solo
più evidente” ma Antonio
scosse il capo, scettico. “Questa volta siete a piede libero
in un mondo che
per metà pende dalle vostre labbra…”
disse Antonio, sbuffando contrariato.
“Come avrei potuto non esserci?” disse allora con
la voce piena anche di
rammarico. “Ho come la sensazione che presto
cambierà tutto, quindi voglio
esserci anche questa volta e poi sai…interessi nazionali[5]”
Arthur non poté fare a meno di sorridere, fissandolo sempre
in maniera
scettica. “Allora sei venuto a dirmi questo, che ti allei con
Francis? Perdona
la mia scostumatezza Spain, ma non c’era bisogno di farmelo
sapere di persona”
Carriedo però fece un cenno stizzito con la mano, mentre
abbandonava lì la
tazza mezza piena di tè, decretando in quel modo il suo
disgusto per quella
bevanda. Arthur lo
seguì fino al ponte,
dove prese a guardare il mare ed il cielo, mentre la nave cominciava a
dondolare impercettibilmente.
“Quanto
mi è mancato Arthur tutto questo, la libertà di
avere una nave e andare dove si
vuole, capisco il motivo per cui hai scelto di rifugiarti proprio in
questa
vita” disse fissando il vuoto mentre Arthur dava le spalle a
tutta quella
meraviglia. “Ho capito anche dopo America, perché
hai avuto il bisogno di
staccarti via da tutto” Arthur accolse con la chiusura degli
occhi e la
mascella rigida quelle frasi. “Ammetto di essere stato il
primo a trovarlo
ironico, ma ho capito l’entità del tuo
dolore” disse guardandolo di sottecchi.
“Sai, ho un marmocchio anche io a casa” Arthur
sorrise aprendo gli occhi,
ricordandosi del piccolo Lovino, della sua tempra decisamente
combattiva, di
come Antonio lo guardasse perso d’amore ogni volta che il
piccino faceva qualcosa.
Il suo
stomaco si contrasse in una presa dolorosa.
“Ricordo
che una volta ho come avuto la sensazione che tu ci avessi
risparmiato” Antonio
questa volta lo guardava negli occhi seriamente. “Quando ci
incrociammo per
mare alzasti la tua bandiera[6],
ma non ci attaccasti… in quella occasione ufficiale avevamo
un bel bottino”
Arthur mosse un passo verso il tavolino. “Era per Lovino, non
è così? Hai visto
un bambino, hai rivisto il tuo bambino e ci hai lasciato andare, sei
scappato
in America più veloce del vento” Arthur
digrignò i denti più fortemente, lo
stomaco ormai che minacciava di rigettare il suo tè.
“Perché mi dici queste
cose Carriedo? Sai già la tua verità”
disse voltandosi di scatto a guardarlo. “Perché
Francis non è l’unico Arthur”
cominciò lo spagnolo, guardandolo adesso con
rinnovata forza, ed una serietà profonda che non gli
apparteneva. “Io e te ci
siamo ammazzati, trucidati, inseguiti e distrutti per secoli”
disse poi
sorridendo ferino. “Non mi va che sia l’unico ad
insignirsi del titolo di tuo
nemico e di tuo conoscitore, non ne ha tutto il diritto”
disse lo spagnolo,
avvicinandosi. “Anche perché non è
l’unico con cui te la sei spassata
sottocoperta…” aggiunse malizioso, facendogli
l’occhiolino, mentre Arthur lo
fissava spazientito. “Arriva al punto”
sibilò in un secondo, più infastidito
dalle allusioni sessuali che dai racconti di morte. “Il punto
è che so chi sei
Arthur e so cosa puoi fare, siamo nemici, ma siamo fin troppo
simili” disse lo
spagnolo, adesso tornato a guardare il cielo. “Para siempre
Arthur” disse poi,
e per la prima volta l’inglese pensò che quelle
due parole rendevano
maledettamente bene in quella sua stupida lingua. “Potremmo
guardarci negli
occhi e ricordare il marcio che ci infesta le interiora, il nero che da
la
caccia alla nostra anima, la nostra follia negli occhi l’uno
dell’altro” si
fermò a prendere fiato. “Para siempre, per
ricordarci cosa siamo, cosa possiamo
fare e cosa non saremo mai più” ed Arthur si
ritrovò a fissare grave il
pavimento annuendo piano.
“Cosa
sei
venuto a fare Antonio?” disse Arthur fissandolo adesso lui
canzonatorio e
divertito. Lo spagnolo alzò una mano battendogliela sulla
spalla. “Ah, se non
l’hai capito ancora, allora, sai che ti dico?”
cominciò Antonio mentre di
andava a sedere. “Io dico che da marinaretto senza spina
dorsale non gli fai un
baffo a Francis” Arthur ghignò.
“Preferivi il corsaro?” disse allora
l’inglese,
sedendosi sciolto sulla sedia. “Dimmelo tu, marinaio o
corsaro?” chiese allora
lo spagnolo, mentre Arthur lo fissava ridendo. Oh sì,
Antonio aveva ragione, il
mondo stava per cambiare ancora una volta.
Per la
prima volta dopo secoli, Arthur aveva letto negli occhi di
quell’uomo la stessa
luce che aveva attanagliato i suoi per anni ed anni.
Il giovane Nelson non aveva mai guidato una
spedizione, ed adesso erano insieme a rincorrere i francesi e
Napoleone, che
già troppo stava dimostrando di essere
l’avversario tenace che Arthur
sospettava. All’inizio aveva sbuffato pensando fosse stato
messo a fare da
balia ad uno sprovveduto ma poi, povero lui, aveva compreso.
‘A natural born
predator[7]’
dicevano, un’inglese con la croce tatuata dentro,
l’uomo della nazione.
Ci
avevano messo davvero poco a capirsi, all’inizio a colpi di
sguardi lunghi e
religiosi silenzi, con delle parole di cortesia, poi cenando tutte le
sere
nella cabina dell’ammiraglio; alla fine del gioco avevano
capito che erano
quasi fatti della stessa pasta, se non fosse che Arthur aveva centinaia
di anni
alle spalle.
Il
problema era che loro erano troppo pochi, mentre i francesi in Egitto
decisamente troppi, abbastanza per far immaginare le loro terre
completamente
invase da rane gracidanti, mentre per il mare e per la terra facevano
quello
che volevano.
All’inizio
non c’era stato modo di prenderli, arrivati al porto erano
soli. Poi avevano
capito che la fretta li aveva svantaggiati, dopo due mesi di mare
soltanto a
luglio finito erano sul punto di darsi battaglia.
Francis
ed Arthur non si erano mai sentiti, troppo persi nella loro vita.
Francis nella
sua Parigi aveva affrontato il finimondo, mentre lui nella sua
Inghilterra non
ci aveva messo più piede, rimanendo a solcare i mari delle
colonie, dei
territori più remoti al mondo per il bene della sua nazione.
Il suo
dolore con il tempo si era placato, da ruggito era diventato un fischio
indistinto, una costante ferita che aveva imparato a sopportare.
Ricordava di
aver avuto la sensazione di essere rinato una notte d’estate,
mentre con
l’equipaggio erano attraccati in una delle sue conosciute
isole esotiche, al
riparo da tutto e tutti i marinai avevano ballato, cantato e bevuto,
poi si
erano fermati fissandolo curiosi, uno di loro si era fatto avanti e gli
aveva
chiesto di raccontare.
Arthur
li aveva guardati con la solita aria di chi aveva meglio da fare, ma
poi si era
seduto vicino al fuoco come gli altri. Le parole gli erano volate via
da bocca,
sul mare, sulla Spagna, sui giorni da pirata, sulla sconfitta
dell’Invincibile
Armata. Poi la notte era volata via, all’alba soltanto pochi
marinai erano
svegli ed Arthur si era addentrato da solo nell’isola.
Ricordava bene molte
cose ancora, la serenità per la prima volta in anni lo aveva
colto di sorpresa.
Amare, odiare, dimenticare, per loro era difficile e ci voleva
più tempo, come
se non avessero fretta nemmeno a farsi scivolare le emozioni di dosso.
Adesso,
senza parlare, erano nemici giurati ancora una volta.
Arthur
sospettava che qualsiasi cosa li avesse legati per i secoli scorsi si
fosse
rotto in maniera definitiva negli ultimi anni. Francis aveva provato a
far
scemare il suo dolore, ma Arthur no, non era stato pronto. Alla paura,
al
potere, alle nazioni si era aggiunta la gelosia e la rabbia, una rabbia
che
nessuno di loro due aveva lasciato andare.
La sera
del primo Agosto li identificarono nella baia d’Abukir.
Nelson
fissava febbrilmente i suoi sottoposti ed i messaggi che gli arrivavano
dalle
altre navi della flotta: erano tanti, fermi, ma tanti e soprattutto
erano
protetti bene da una secca sconosciuta.[8]
“E’
una
follia” proruppe uno degli ammiragli, mentre Nelson spiegava
come aveva
intenzione d’agire. Arthur ghignò, dopo mesi di
caccia il predatore non si
sarebbe mai staccato dalla sua preda, a costo di affrontare tutto un
branco a
mani nude. “E’ l’unica maniera che
abbiamo per avere una chance” cominciò
l’uomo, che fissava con l’unico occhio buono
Arthur.
“L’Orient[9]
ci metterà poco a farci colare a picco, sono tanti e siamo
in acque
sconosciute, non manderemo i nostri marinai davanti al
massacro…” ma Nelson lo
zittì, fissando Arthur. “Lei cosa ne
pensa?” disse all’improvviso, lasciando
che il silenzio calasse su di loro. Nessun altro interpellava Arthur,
perché
tutti sapevano cosa avrebbe detto o pensato. Nessuno si fidava di un
uomo
praticamente immortale. “Avrebbe senso arrivati a questo
punto lasciare andare,
ammettere che in quest’occasione i francesi ci hanno
spaventato con le loro
navi?” la sua voce sarcastica probabilmente si
avvertì fin da fuori alla
cabina. “Oh già immagino, la grande flotta inglese
ha ceduto il dominio
dell’acqua” concluse fissando gli altri uomini.
“Lei non capisce, aspetteremo
le altre navi” Nelson scosse la testa. “Scapperanno
e si faranno più forti” la
situazione sembrava in stallo, ma poi gli ammiragli si decisero.
“Se perdiamo
sarà la peggiore sconfitta subita negli ultimi anni dal
Regno Unito…se ne rende
conto?” si rivolsero al comandante, mentre Arthur rideva.
“Se vinciamo invece
faremo passare la voglia a mezz’Europa di contrastarci per
mare, è l’ora che
abbassino la cresta e si facciano da parte” e così
dicendo tutti se ne andarono
sul loro vascello entusiasti, spaventati o no che erano.
“L’Inghilterra[10]
governa le onde” ripeté Arthur in silenzio,
lasciato solo con Nelson nella
cabina. “Non ci basterà” disse
l‘ammiraglio fissando accigliato il tavolo. “Lei
regga ammiraglio e sia convinto del suo piano” il ghigno che
si stampò sul viso
di Arthur era impagabile. “Al resto ci penso io”
decretò facendo per uscire
dalla sala, prima che l’uomo lo fermasse ancora.
“Qualcosa di cui dovrei essere
al corrente?” chiese a quel punto dubbioso. “No,
colgo l’avviso di un
amico…certe volte bisogna rispolverare le vecchie cattive
abitudini per avere
la meglio” e se andò, divertito da se stesso verso
la sua nave.
Oh, il
suo equipaggio l’aveva scelto bene, avrebbe tirato avanti
fino all’Orient,
avrebbe guardato il capitano negli occhi, gli avrebbe fatto intendere
che
avrebbe dovuto avere paura.
Peccato
non avesse il Jolly Roger da issare, sarebbe stato di certo molto
più
divertente.
La
battaglia era infuriata di notte, l’attacco aveva stupito i
francesi, ma il
loro vantaggio era cominciato e finito in quel momento di sorpresa.
Erano
molti più di loro ed avevano più cannoni dalla
loro parte, mentre loro due navi
le avevano perse praticamente immediatamente.
Arthur
aveva scrutato dalla punta dell’attacco la figura della
maestosa Orient, Arthur
sapeva perfettamente che se quella nave cadeva si sarebbe portata
dietro anche
tutti gli altri francesi.
Si
guardò attorno, spari di cannoni, fuoco, grida, la notte
illuminata dalla
polvere da sparo. Un sospiro veloce gli venne strappato dal petto alla
vista
della Bellerophon disalberata, ma poi il ghigno.
Gli ordini
urlati ai suoi uomini di pancia, mentre un’altra nave di
fianco si muoveva con
lui dritta verso l’Orient.
“Lo
sa
capitano?” gli aveva detto il suo timoniere, mentre accanto a
lui, saldamente
al timone tremava mentre si avvicinava all’ammiraglia
francese. “Se non sapessi
che ha un’idea precisa in mente mi getterei in acqua e
scapperei a gambe levate”
disse con la voce tesa, quello che Arthur riconobbe come un misto di
eccitazione e paura atroce. “Perché lei ha
qualcosa in mente, vero?” Arthur
annuì assorto, mentre meditava gli ordini da dare.
“Lo sa capitano, quella
verve pirata della quale ci ha parlato potrebbe tornare utile in questo
caso”
suggerì il timoniere ed Arthurlo guardò
canzonatorio. “Non sarebbe abbastanza
da Gentlemen, Benjamin” disse quasi ridendo. “Beh,
con tutto il rispetto…”
disse il ragazzo, virando all’improvviso
“…fanculo ai gentlemen” Arthur sorrise
cominciando a sbraitare gli ordini a destra e a manca. Oh, davvero
sarebbe
venuto meno a qualche codice d’onore militare o qualcosa di
simile. Magari
quell’esatta pagina non sarebbe proprio entrata nella storia
come vittoria
britannica, dovevano pur sopravvivere in qualche modo, che poi fosse
dare sfogo
alla sua indole da bucaniere, la soddisfazione non aveva prezzo.
Quando
l’Orient
prese fuoco, Arthur strinse i denti, reggendosi al contraccolpo dei
cannoni che
minacciavano di tirarli giù. La sua nave a babordo
dell’Orient fece un
movimento quasi innaturale, per affiancarsi meglio
all’ammiraglia.
Gli
insulti in francese gli arrivavano alle orecchie come una melodia,
quando vide
la nave gemella alla sua disporsi sull’altro fianco
dell’Orient.
“FUOCO!”
gridò all’improvviso, ordine gemello gli
arrivò alle orecchie come se tutta la
ciurma lo avesse urlato insieme.
Il fuoco
delle mitraglie calò tremendo sul vascello francese e
nessuno dei centoventi
cannoni fu utile per fermarli.
Arthur
si tappò le orecchie al volo, capendo subito dalla virata
dell’altra nave
inglese che dovevano allontanarsi anche loro, ci riuscirono appena in
tempo,
quando l’Orient esplose erano le due navi più
vicine. Il boato fu così forte
che lo scalzò via, facendogli fischiare le orecchie per
minuti lunghissimi. Ai
suoi occhi la nave era saltata in aria facendo rimbalzare con se
l’equipaggio i
cannoni e la ciura. L’albero maestro gli cadde dritto sulla
sua di nave, mentre
poche anime nuotavano cercando di allontanarsi.
Arthur
si guardò attorno famelico. “Ce
l’abbiamo fatta, che la regina mi perdoni,
l’abbiamo
affondata!” sentì urlare dietro di lui, le
orecchie gli fischiavano ancora
quando si rialzò, guardando attorno a se il caos che lo
inghiottiva.
“Non
possiamo muoverci capitano, abbiamo l’albero
dell’Orient…” ma Arthur fece segno
al ragazzo di andare via, poteva vedere da solo come stavano le cose.
“Spero
per quel dannatissimo Nelson che non si sia fatto scappare nemmeno un
fottutissimo francese” latrò Arthur, mentre si
sbottonava la giacca da marinaio
tornando al timone. “Riposati Benjamin…hai fatto
un ottimo lavoro” e mentre il
ragazzo si metteva a sedere crollando quasi sulle gambe Arthur
ridacchiava
soddisfatto. “Lo sa capitano, lei è davvero un
demonio” l’Inghilterra lo guardò
con la coda dell’occhio sbuffando in una risatina ironica.
“Guarda che così ci
offendi tutti” e cominciò a sbraitare di nuovo sul
perché nessuno stesse
cercando di alzare quello sporco legno francese dalla sua bellissima
nave.
Meglio
che i marinai sfogassero la loro adrenalina in quel modo, che dopo a
fare danni.
Nelson
si avviò di lui a passo di carica una volta finito di
tracciare la fine di quel
casino, ci avevano messo giorni, ma avevano recuperato tutto il
recuperabile
dal mare.
“Lei
è
davvero un qualcosa di…” cominciò
burbero, prima di zittirsi all’occhiata fissa
della nazione alla sua palpebra cascante. “Sì,
sono stato ferito” Arthur mosse
i muscoli del viso come se volesse dire un
‘ancora?’ poco convinto, ma rimase
in silenzio.[11]
“Proiettili incendiari” continuò allora
l’ammiraglio, sotto lo sguardo annoiato
di Arthur. “Come farò a spiegarlo ai
generali?” l’ex corsaro alzò le spalle[12].
“Non dica niente, dica che l’Orient stava facendo
rifornimenti o si stava
riverniciando, per quanto i francesi sono fissati col buongusto e la
moda non
gli sembrerà così assurdo” concluse
acido, ridacchiando. L’ammiraglio non era
proprio contento come lui, ma si appoggiò ad uno dei muri
della nave,
sospirando grave. “E così ce l’abbiamo
fatta, siamo i nemici numero uno di
Napoleone” commentò concentrato. “Il
salvatore dell’Europa, la chiamano così lo
sa?”[13]
Nelson scosse il capo, fissando la nazione come se fosse sul patibolo.
“Contro
Napoleone” disse guardandolo ancora, mentre Arthur lo
ricambiava sarcastico. “Contro
tutto il mondo, Ammiraglio” disse allora la nazione,
sorridendogli con
complicità. L’uomo
scosse di nuovo la
testa, poi annuì improvvisamente preso dai suoi pensieri.
“Ce la farà
ammiraglio, si fidi di me, lei ha il talento e l’orgoglio
giusto per farcela ed
avrà me al mio fianco, noi non abbandoneremo la nostra
nazione” disse allora
Arthur rifilandogli una leggera pacca sulla spalla, mentre il terzo
tramonto su
Abukir cadeva.
Nelson
arricciò il naso poi si alzò, giusto prima che
arrivasse uno dei mozzi a
portare messaggi. La postura ridivenne rigida, la debolezza
andò via.
“Contro
tutto il mondo, eh?” ripeté assorto, mentre faceva
qualche passo avanti, Arthur
annuì, sorridendo affascinato. “Giusto per
permettermi una piccola divagazione…”
la nazione lo fissò perplessa, aspettandosi
chissà che rimprovero.
“…soprattutto
in culo ai francesi”[14]
commentò soltanto l’ammiraglio andando via sotto
gli occhi increduli del mozzo
e le risate poco cortesi di Arthur.
Dover
reclamava pioggia, mentre Arthur dopo anni metteva piede in
Inghilterra. Le navi
erano arrivate direttamente al porto di Brighton, mentre lui prima di
andare a
Londra si era mosso verso la città più vicina
alla Francia.
Era
sicuro che sapendo del suo ritorno Francis sarebbe stato lì
ad aspettarlo.
Non
aveva sbagliato i suoi calcoli, nemmeno arrivato era stato scortato in
cima ad
una scogliera molto lontana, Arthur si mosse come se i soldati avessero
avuto l’ordine
di scaraventarlo di sotto da un momento all’altro.
Francis
si ergeva maestoso sul ciglio della scogliera, i capelli sparpagliati
dal vento
sembravano dei fili d’oro attaccati ad una sequoia, Francis
gli sembrava
distante e solido al tempo stesso.
Gli
dispiaceva per come erano andate le cose. Odiava aver dovuto
allontanare anche
lui, ma se pensava ancora a quella dannatissima guerra
d’indipendenza gli
veniva da star male. Le mani gli prudevano al sorriso soddisfatto che
aveva
fatto il francese, così come gli veniva da vomitare al solo
pensiero della
vulnerabilità che aveva provato.
“Mi
chiedo ancora come ho fatto a pensare che non ti saresti comportato dal
teppista di sempre” chiese Francis, mentre Arthur lo guardava
di spalle, preso
da un tremolio indistinto. “Lo sai con chi hai a che fare,
non devo spiegartelo
io” concluse per lui l’inglese, mentre
l’altro di girava, fissandolo vacuo. “Sei
diventato particolarmente presuntuoso se giri per
l’Inghilterra come se fosse
casa tua” cominciò Arthur di nuovo, fissandolo
acido come il veleno. “Sei
particolarmente stupido se ti presenti qui da solo, Arthur”
l’inglese incassò
in silenzio, mettendosi accanto a lui, sedendosi sull’erba
verdissima sbuffando
aria calda, in contrasto al venticello gelido che gli entrava nelle
ossa.
“Cosa
devi dirmi Francis?” chiese allora risoluto, mentre alzava
gli occhi per
guardalo. Il Francese lo fissò con il solito sguardo
galante, mentre gli faceva
un sorrisetto rassegnato. Di tutti loro Francis era l’attore
più memorabile:
teneva fede ai suoi stereotipi come se fosse la missione della sua
vita, Arthur
non aveva mai capito se era un travestimento o una maschera che
indossava per
non sembrare il vecchio stanco che era. Non sapeva se anche lui girava
la
faccia dal resto del mondo per non mostrare il marcio che aveva dentro,
quell’oscura
ombra che anche lui si portava infondo agli occhi. Bastava pensare alla
fine
che aveva fatto metà della nobiltà francese.
“Siamo
in guerra Arthur, ancora, chissà per quanti anni questa
volta” commentò con un
accento che fece storcere il naso all’inglese, la sua
lontananza lo aveva
peggiorato. “Sei qui per dirmi questo?”
commentò allora Arthur, guardando il
mare all’orizzonte, mentre si accorgeva che lo sguardo
azzurro di Francis era
su di lui. “Non, sono qui per altro” Arthur
annuì, aspettandosi tutto e niente.
In quel
secondo di silenzio sentì nettamente qualsiasi cosa
scivolare via, il vento, la
pioggia, il mare, L’Inghilterra, la regina, Alfred, Francis,
lui stesso.
Rimase
soltanto il battere calmo del suo cuore a pulsargli nelle orecchie e
nel petto.
“E’
tutto finito Arhur, è finito il giorno stesso in cui hai
deciso di umiliarmi e
salire su quelle tremende navi inglesi a giocare al pirata”
Francis lo aveva
detto con tono calmo, Arthur lo aveva percepito appena isterico ed
inviperito.
“Dovevi
aspettarmi per sputarmelo in faccia, suppongo” il francese
annuì, mentre
sospirava libero di un gran peso. “La Francia è
cambiata” l’inglese annuì,
alzandosi in piedi mentre si puliva i pantaloni sospirando scettico.
“Rimanete
sempre gracidanti rane vinofile e pervertite francesi”
commentò sarcastico,
mentre Francis sorrideva. “Nemici?” chiese poi,
come se fosse normale. “Nemici”confermò
Arthur allontanandosi verso la città.
Francis
rimaneva ancorato al vento, i fili d’oro ancora sparpagliati
dalla brezza. Il
mare si alzava indomabile, mentre Arthur sentiva gli strilli dei
gabbiani nelle
orecchie perforargli il cervello.
“Lo
sai
Francis?” urlò poi, per farsi sentire, il francese
si voltò stupito, fissandolo
con una faccia intontita che fece ridere Arthur. “Niente che
mi riguardi
finisce prima che io abbia deciso che deve finire” disse
serio, mentre il
francese lo fissava ancora più sorpreso. “E cosa
hai deciso?” chiese allora
Francis, mentre l’ululato del vento quasi non copriva le loro
parole.
Arthur
sorrise. Il vento, le navi, l’Orient, Carriedo, la sua isola
sicura in mezzo al
mare.
Alfred.
Alfred
da solo senza di lui.
Lui
abbandonato dal suo bambino.
“Temo
che andrai via con il dubbio Francis” disse ridacchiando,
girandosi di spalle e
riuscendo solo ad immaginare la faccia sbigottita del francese.
Dopo pochi minuti commenti scherzosi sui ‘soliti
teppisti’ e ‘bruchi
insensibili’ gli arrivarono lontani come echi alle orecchie.
No, non
era ancora finita.
Antonio
sedeva da solo con la stanza inondata di splendidi fiori tropicali,
tutti
coloratissimi.
Lovino sbraitando faceva spazio, mentre Antonio sorrideva felice
baciato dal
sole.
“Senti
un po’, ma questo Arthur non è quello che devi
combattere con quel maniaco
pervertito?” commentò un Lovino esasperato, mentre
lo spagnolo sorrideva
gongolante.
“Ah-ha”
disse soltanto, mentre si girava una grossa rosa rossa tra le dita.
“E perché ti manda in omaggio tutta ‘sta
roba?” disse mettendosi le mani sui
fianchi sottili. “E’ una questione di gratitudine e
di viaggi…promesse Lovinito
mio” ma l’italiano alzò gli occhi al
soffitto, sbuffando dolcemente.
“Io
non
te li rimetto apposto quando appassiscono…”
Note
dell’autore:
Ridicolo
far finire una pippa così lunga in questa maniera, ma
sì, hetalia fa ridere
spero vi abbia preso un po’ una risata.
Lo so è
tutto molto lungo e noioso per i miei standard, ma ho voluto provare
qualcosa
di diverso. Abbiamo un titolo che centra un po’ tutta la
storia, Halo significa
aura,in questo caso quella di Antonio all’inizio, quella di
Arthur tutta la
storia, quella di Francis alla fine e perché no, anche
quella di Nelson.
Ognuno
di questi personaggi ha un pezzo del mio cuore perché me li
sono sudati, spero
che voi li troviate quantomeno IC, perché è stato
un tormento immedesimarsi in
tante persone tutte insieme.
Vista l’ora
di post, buonanotte a tutti!
E tu,
lettore, se lasci il tuo parere farai felice questa povera autrice che
combatte
da sempre per le recensioni.
Pure se
mi mandate a quel paese va bene lo stesso.
Suppongo che il tutto
sia pieno di errori, chiedo venia, lo rileggerò per bene
tra un po’, adesso l’eccitazione mi fa postare!
Kissu!
[1] Comincio con il cognome tanto per entrare nella testa di Arthur, chiedo venia
[2] La Victory era un importantissimo vascello inglese, che venne capitanato da Nelson anche nella battaglia di Trafalgar, la nave ammiraglia per intenderci!
[3] Immagino che all’epoca la Spagna non fosse proprio piena di tè, sinceramente mea culpa, non mi sono data la briga di controllare.
[4] Nella mia testa le nazioni non sono proprio invincibili, possono morire in gravi casi, magari riprendono vita e forma nella loro terra di nuovo. Ripeto, nella mia testa, se qualcuno sa qualcosa di più a riguardo ben venga!
[5] Non mi immagino Antonio ligissimo ai doveri nazionali, almeno non come Arthur.
[6] I pirati, come i corsari, avevano delle bandiere diverse che usavano alzare per presegnalare le loro intenzioni, in alcuni casi giravano senza bandiera, alzando all’ultimo momento il Jolly Roger per dichiararsi in fase di attacco. Parola di Wikipedia.
[7] Si racconta che anche gli ammiragli contrari ad affidare la spedizione a Nelson lo elogiassero per la sua grinta, uno di loro lo definì ‘un predatore nato’ perfetto quindi per la caccia ai francesi.
[8] Le navi francesi si disposero in modo tale che un lato fosse coperto da una secca non segnalata sulle mappe (o almeno loro lo credevano) Nelson fece disporre le navi inglesi su due file facendo in modo di accerchiarli dai due lati, decretando che lì dove le navi francesi potevano attraccare, loro potevano passare.
[9] L’Orient era la nave ammiraglia francese, praticamente era un vascello immenso che possedeva circa 120 cannoni, con una virata distrusse immediatamente una nave inglese, la Bellerophon.
[10] E’ quello che si diceva dell’Inghilterra più o meno dell’Ottocento, in realtà dopo di questa battaglia, licenza poetica, scusate.
[11] Nelson aveva subito diversi infortuni, prima della Battaglia citata qui, aveva perso un braccio ed un occhio. Durante questa battaglia una scheggia gli farà calare la palpebra all’occhio sano. Mettiamola così, non era proprio fortunatissimo.
[12] I proiettili incendiari non sono sicuri, si sospetta sia stato quello a far esplodere l’ammiraglia francese, ma non ci sono verità: l’utilizzo era sottotaciuto dagli inglesi, era considerato poco cavalleresco.
[13] Successe al rientro in patria, ma accorcio un po’ i tempi, chiedo venia
[14] Mi immagino Nelson un tipo molto inglese classico, quindi eccessivamente controllato, la vicinanza di Arthur gli fa male!