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Autore: _ALE2_    24/05/2012    0 recensioni
Dalla storia:- “Io e te ci siamo ammazzati, trucidati, inseguiti e distrutti per secoli” disse poi sorridendo ferino. “Non mi va che sia l’unico ad insignirsi del titolo di tuo nemico e di tuo conoscitore, non ne ha tutto il diritto” disse lo spagnolo, avvicinandosi. “Para siempre Arthur” disse poi, e per la prima volta l’inglese pensò che quelle due parole rendevano maledettamente bene in quella sua stupida lingua.
-"Perché lei ha qualcosa in mente, vero?” Arthur annuì assorto, mentre meditava gli ordini da dare. “Lo sa capitano, quella verve pirata della quale ci ha parlato potrebbe tornare utile in questo caso” suggerì il timoniere ed Arthur lo guardò canzonatorio. “Non sarebbe abbastanza da Gentlemen, Benjamin” disse quasi ridendo. “Beh, con tutto il rispetto…” disse il ragazzo, virando all’improvviso “…fanculo ai gentlemen”
-“La Francia è cambiata” l’inglese annuì, alzandosi in piedi mentre si puliva i pantaloni sospirando scettico. “Rimanete sempre gracidanti rane vinofile e pervertite francesi” commentò sarcastico, mentre Francis sorrideva. “Nemici?” chiese poi, come se fosse normale. “Nemici” confermò Arthur allontanandosi verso la città.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Wrath of the Seas'
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Halo

(Hoist the Jolly Roger)

 

 

 

La visita di Carriedo[1] lo aveva lasciato interdetto lì sul ponte della nave. Arthur non era mai stato il tipo che si lasciava sconvolgere con poco, figuriamoci, dopotutto vedeva delle cose che nessun altro poteva vedere,ma di certo trovarsi un papabile nemico giurato sulla propria nave di sua spontanea iniziativa gli sapeva di incredibilmente stupido, nonché di scioccante.

L’inglese attraversò il ponte come se lo spagnolo nascondesse la sua alabarda alta due metri dietro la schiena e fosse sul punto di attaccare da un momento all’altro. Ovviamente lo spagnolo se la rideva tranquillo, baciato dal sole.

“Sono le cinque Inglaterra” esordì lo spagnolo, ghignando in maniera poco rassicurante. “Perché non mi fai assaggiare uno di quei tè che ami tanto?” Arthur sorrise, guardando Antonio appoggiarsi al pontile. No, non era lì per attaccare briga, era lì per parlare in pace.

Le sedie arrivarono dal nulla, così come dal nulla parve apparire un tavolo di legno ruvido, sul quale uno dei mozzi portò una poco fine teiera con relative tazze, il tutto guardato con una sia di lieve disgusto da Arthur, fosse stato sulla sua Victory[2], avrebbe avuto tutt’altri servizi da offrire al suo ospite, non che Carriedo ci fosse abituato. Lo spagnolo lo aveva fissato canzonatorio da quando si era seduto, non dicendo una parola fin quando tutti gli ufficiali, ammiragli ed amici di giro se ne fossero andati, lasciandoli da soli su quei pochi metri di nave.

“A quanto pare anche le canaglie, se messe in una bella divisa ed istruiti da qualcuno possono diventare…come dite voi inglesi? Gentleman” arronzò Antonio, mentre annusava un po’ del tè che Arthur gli aveva versato nella tazza.

“Sono passati secoli, Carriedo, non vedo perché sarei dovuto rimanere in quelle opinabili condizioni” lo spagnolo sorrise bevendo, stringendo un po’ le labbra poi. Si mise dello zucchero nel tè, guardando poi l’inglese alzando le spalle[3]. “Quando vedi una persona più per mare che per terra ti rendi conto di con chi hai a che fare e lasciami dire Inglaterra, che sei tutto tranne che uno smidollato in divisa” disse guardando alle spalle gli ammiragli che attendevano sulle scale, seminascosti, ma ben a portata di voce. “Cos’è hanno paura che ti uccida?” disse ridendo lo spagnolo, bevendo ancora il tè, mentre Arthur allontanava la tazza dalle labbra per sorridere piano. “Non sarebbe la prima volta”[4] sentenziò allora l’inglese, mentre lo spagnolo scoppiava in una fragorosa risata.

Arthur rimase in silenzio, aspettando che Antonio si ricomponesse, prima di continuare il loro discorso. “Allora, immagino con difficoltà il motivo della tua visita” cominciò, mentre lo spagnolo prendeva fiato, guardandolo sempre più canzonatorio. “Davvero? Pensavo fosse piuttosto prevedibile” disse guardando verso il mare, che si stagliava ad oltranza verso l’orizzonte. “Ci risiete di nuovo tu e Francis, suppongo sia questione di tempo…” azzardò lo spagnolo, distogliendo lo sguardo desideroso dal mare e riportandolo su Arthur, che sorrise amaro, bevendo l’ultimo sorso del suo tè, fissando gli occhi in quelli più vispi di Antonio.

“Immagino che Francis sia corso immediatamente da te, io e lui siamo sul punto di saltarci al collo da sempre, questa volta è solo più evidente” ma Antonio scosse il capo, scettico. “Questa volta siete a piede libero in un mondo che per metà pende dalle vostre labbra…” disse Antonio, sbuffando contrariato. “Come avrei potuto non esserci?” disse allora con la voce piena anche di rammarico. “Ho come la sensazione che presto cambierà tutto, quindi voglio esserci anche questa volta e poi sai…interessi nazionali[5]” Arthur non poté fare a meno di sorridere, fissandolo sempre in maniera scettica. “Allora sei venuto a dirmi questo, che ti allei con Francis? Perdona la mia scostumatezza Spain, ma non c’era bisogno di farmelo sapere di persona” Carriedo però fece un cenno stizzito con la mano, mentre abbandonava lì la tazza mezza piena di tè, decretando in quel modo il suo disgusto per quella bevanda.  Arthur lo seguì fino al ponte, dove prese a guardare il mare ed il cielo, mentre la nave cominciava a dondolare impercettibilmente.

“Quanto mi è mancato Arthur tutto questo, la libertà di avere una nave e andare dove si vuole, capisco il motivo per cui hai scelto di rifugiarti proprio in questa vita” disse fissando il vuoto mentre Arthur dava le spalle a tutta quella meraviglia. “Ho capito anche dopo America, perché hai avuto il bisogno di staccarti via da tutto” Arthur accolse con la chiusura degli occhi e la mascella rigida quelle frasi. “Ammetto di essere stato il primo a trovarlo ironico, ma ho capito l’entità del tuo dolore” disse guardandolo di sottecchi. “Sai, ho un marmocchio anche io a casa” Arthur sorrise aprendo gli occhi, ricordandosi del piccolo Lovino, della sua tempra decisamente combattiva, di come Antonio lo guardasse perso d’amore ogni volta che il piccino faceva qualcosa.

Il suo stomaco si contrasse in una presa dolorosa.

“Ricordo che una volta ho come avuto la sensazione che tu ci avessi risparmiato” Antonio questa volta lo guardava negli occhi seriamente. “Quando ci incrociammo per mare alzasti la tua bandiera[6], ma non ci attaccasti… in quella occasione ufficiale avevamo un bel bottino” Arthur mosse un passo verso il tavolino. “Era per Lovino, non è così? Hai visto un bambino, hai rivisto il tuo bambino e ci hai lasciato andare, sei scappato in America più veloce del vento” Arthur digrignò i denti più fortemente, lo stomaco ormai che minacciava di rigettare il suo tè. “Perché mi dici queste cose Carriedo? Sai già la tua verità” disse voltandosi di scatto a guardarlo. “Perché Francis non è l’unico Arthur” cominciò lo spagnolo, guardandolo adesso con rinnovata forza, ed una serietà profonda che non gli apparteneva. “Io e te ci siamo ammazzati, trucidati, inseguiti e distrutti per secoli” disse poi sorridendo ferino. “Non mi va che sia l’unico ad insignirsi del titolo di tuo nemico e di tuo conoscitore, non ne ha tutto il diritto” disse lo spagnolo, avvicinandosi. “Anche perché non è l’unico con cui te la sei spassata sottocoperta…” aggiunse malizioso, facendogli l’occhiolino, mentre Arthur lo fissava spazientito. “Arriva al punto” sibilò in un secondo, più infastidito dalle allusioni sessuali che dai racconti di morte. “Il punto è che so chi sei Arthur e so cosa puoi fare, siamo nemici, ma siamo fin troppo simili” disse lo spagnolo, adesso tornato a guardare il cielo. “Para siempre Arthur” disse poi, e per la prima volta l’inglese pensò che quelle due parole rendevano maledettamente bene in quella sua stupida lingua. “Potremmo guardarci negli occhi e ricordare il marcio che ci infesta le interiora, il nero che da la caccia alla nostra anima, la nostra follia negli occhi l’uno dell’altro” si fermò a prendere fiato. “Para siempre, per ricordarci cosa siamo, cosa possiamo fare e cosa non saremo mai più” ed Arthur si ritrovò a fissare grave il pavimento annuendo piano.

“Cosa sei venuto a fare Antonio?” disse Arthur fissandolo adesso lui canzonatorio e divertito. Lo spagnolo alzò una mano battendogliela sulla spalla. “Ah, se non l’hai capito ancora, allora, sai che ti dico?” cominciò Antonio mentre di andava a sedere. “Io dico che da marinaretto senza spina dorsale non gli fai un baffo a Francis” Arthur ghignò. “Preferivi il corsaro?” disse allora l’inglese, sedendosi sciolto sulla sedia. “Dimmelo tu, marinaio o corsaro?” chiese allora lo spagnolo, mentre Arthur lo fissava ridendo. Oh sì, Antonio aveva ragione, il mondo stava per cambiare ancora una volta.

 

Per la prima volta dopo secoli, Arthur aveva letto negli occhi di quell’uomo la stessa luce che aveva attanagliato i suoi per anni ed anni.  Il giovane Nelson non aveva mai guidato una spedizione, ed adesso erano insieme a rincorrere i francesi e Napoleone, che già troppo stava dimostrando di essere l’avversario tenace che Arthur sospettava. All’inizio aveva sbuffato pensando fosse stato messo a fare da balia ad uno sprovveduto ma poi, povero lui, aveva compreso. ‘A natural born predator[7]’ dicevano, un’inglese con la croce tatuata dentro, l’uomo della nazione.

Ci avevano messo davvero poco a capirsi, all’inizio a colpi di sguardi lunghi e religiosi silenzi, con delle parole di cortesia, poi cenando tutte le sere nella cabina dell’ammiraglio; alla fine del gioco avevano capito che erano quasi fatti della stessa pasta, se non fosse che Arthur aveva centinaia di anni alle spalle.

Il problema era che loro erano troppo pochi, mentre i francesi in Egitto decisamente troppi, abbastanza per far immaginare le loro terre completamente invase da rane gracidanti, mentre per il mare e per la terra facevano quello che volevano.

All’inizio non c’era stato modo di prenderli, arrivati al porto erano soli. Poi avevano capito che la fretta li aveva svantaggiati, dopo due mesi di mare soltanto a luglio finito erano sul punto di darsi battaglia.

Francis ed Arthur non si erano mai sentiti, troppo persi nella loro vita. Francis nella sua Parigi aveva affrontato il finimondo, mentre lui nella sua Inghilterra non ci aveva messo più piede, rimanendo a solcare i mari delle colonie, dei territori più remoti al mondo per il bene della sua nazione.

Il suo dolore con il tempo si era placato, da ruggito era diventato un fischio indistinto, una costante ferita che aveva imparato a sopportare. Ricordava di aver avuto la sensazione di essere rinato una notte d’estate, mentre con l’equipaggio erano attraccati in una delle sue conosciute isole esotiche, al riparo da tutto e tutti i marinai avevano ballato, cantato e bevuto, poi si erano fermati fissandolo curiosi, uno di loro si era fatto avanti e gli aveva chiesto di raccontare.

Arthur li aveva guardati con la solita aria di chi aveva meglio da fare, ma poi si era seduto vicino al fuoco come gli altri. Le parole gli erano volate via da bocca, sul mare, sulla Spagna, sui giorni da pirata, sulla sconfitta dell’Invincibile Armata. Poi la notte era volata via, all’alba soltanto pochi marinai erano svegli ed Arthur si era addentrato da solo nell’isola. Ricordava bene molte cose ancora, la serenità per la prima volta in anni lo aveva colto di sorpresa. Amare, odiare, dimenticare, per loro era difficile e ci voleva più tempo, come se non avessero fretta nemmeno a farsi scivolare le emozioni di dosso.

Adesso, senza parlare, erano nemici giurati ancora una volta.

Arthur sospettava che qualsiasi cosa li avesse legati per i secoli scorsi si fosse rotto in maniera definitiva negli ultimi anni. Francis aveva provato a far scemare il suo dolore, ma Arthur no, non era stato pronto. Alla paura, al potere, alle nazioni si era aggiunta la gelosia e la rabbia, una rabbia che nessuno di loro due aveva lasciato andare.

 

La sera del primo Agosto li identificarono nella baia d’Abukir.

Nelson fissava febbrilmente i suoi sottoposti ed i messaggi che gli arrivavano dalle altre navi della flotta: erano tanti, fermi, ma tanti e soprattutto erano protetti bene da una secca sconosciuta.[8]

“E’ una follia” proruppe uno degli ammiragli, mentre Nelson spiegava come aveva intenzione d’agire. Arthur ghignò, dopo mesi di caccia il predatore non si sarebbe mai staccato dalla sua preda, a costo di affrontare tutto un branco a mani nude. “E’ l’unica maniera che abbiamo per avere una chance” cominciò l’uomo, che fissava con l’unico occhio buono Arthur.

“L’Orient[9] ci metterà poco a farci colare a picco, sono tanti e siamo in acque sconosciute, non manderemo i nostri marinai davanti al massacro…” ma Nelson lo zittì, fissando Arthur. “Lei cosa ne pensa?” disse all’improvviso, lasciando che il silenzio calasse su di loro. Nessun altro interpellava Arthur, perché tutti sapevano cosa avrebbe detto o pensato. Nessuno si fidava di un uomo praticamente immortale. “Avrebbe senso arrivati a questo punto lasciare andare, ammettere che in quest’occasione i francesi ci hanno spaventato con le loro navi?” la sua voce sarcastica probabilmente si avvertì fin da fuori alla cabina. “Oh già immagino, la grande flotta inglese ha ceduto il dominio dell’acqua” concluse fissando gli altri uomini. “Lei non capisce, aspetteremo le altre navi” Nelson scosse la testa. “Scapperanno e si faranno più forti” la situazione sembrava in stallo, ma poi gli ammiragli si decisero. “Se perdiamo sarà la peggiore sconfitta subita negli ultimi anni dal Regno Unito…se ne rende conto?” si rivolsero al comandante, mentre Arthur rideva. “Se vinciamo invece faremo passare la voglia a mezz’Europa di contrastarci per mare, è l’ora che abbassino la cresta e si facciano da parte” e così dicendo tutti se ne andarono sul loro vascello entusiasti, spaventati o no che erano.

“L’Inghilterra[10] governa le onde” ripeté Arthur in silenzio, lasciato solo con Nelson nella cabina. “Non ci basterà” disse l‘ammiraglio fissando accigliato il tavolo. “Lei regga ammiraglio e sia convinto del suo piano” il ghigno che si stampò sul viso di Arthur era impagabile. “Al resto ci penso io” decretò facendo per uscire dalla sala, prima che l’uomo lo fermasse ancora. “Qualcosa di cui dovrei essere al corrente?” chiese a quel punto dubbioso. “No, colgo l’avviso di un amico…certe volte bisogna rispolverare le vecchie cattive abitudini per avere la meglio” e se andò, divertito da se stesso verso la sua nave.

Oh, il suo equipaggio l’aveva scelto bene, avrebbe tirato avanti fino all’Orient, avrebbe guardato il capitano negli occhi, gli avrebbe fatto intendere che avrebbe dovuto avere paura.

Peccato non avesse il Jolly Roger da issare, sarebbe stato di certo molto più divertente.

 

La battaglia era infuriata di notte, l’attacco aveva stupito i francesi, ma il loro vantaggio era cominciato e finito in quel momento di sorpresa.

Erano molti più di loro ed avevano più cannoni dalla loro parte, mentre loro due navi le avevano perse praticamente immediatamente.

Arthur aveva scrutato dalla punta dell’attacco la figura della maestosa Orient, Arthur sapeva perfettamente che se quella nave cadeva si sarebbe portata dietro anche tutti gli altri francesi.

Si guardò attorno, spari di cannoni, fuoco, grida, la notte illuminata dalla polvere da sparo. Un sospiro veloce gli venne strappato dal petto alla vista della Bellerophon disalberata, ma poi il ghigno.

Gli ordini urlati ai suoi uomini di pancia, mentre un’altra nave di fianco si muoveva con lui dritta verso l’Orient.

“Lo sa capitano?” gli aveva detto il suo timoniere, mentre accanto a lui, saldamente al timone tremava mentre si avvicinava all’ammiraglia francese. “Se non sapessi che ha un’idea precisa in mente mi getterei in acqua e scapperei a gambe levate” disse con la voce tesa, quello che Arthur riconobbe come un misto di eccitazione e paura atroce. “Perché lei ha qualcosa in mente, vero?” Arthur annuì assorto, mentre meditava gli ordini da dare. “Lo sa capitano, quella verve pirata della quale ci ha parlato potrebbe tornare utile in questo caso” suggerì il timoniere ed Arthurlo guardò canzonatorio. “Non sarebbe abbastanza da Gentlemen, Benjamin” disse quasi ridendo. “Beh, con tutto il rispetto…” disse il ragazzo, virando all’improvviso “…fanculo ai gentlemen” Arthur sorrise cominciando a sbraitare gli ordini a destra e a manca. Oh, davvero sarebbe venuto meno a qualche codice d’onore militare o qualcosa di simile. Magari quell’esatta pagina non sarebbe proprio entrata nella storia come vittoria britannica, dovevano pur sopravvivere in qualche modo, che poi fosse dare sfogo alla sua indole da bucaniere, la soddisfazione non aveva prezzo.

 

Quando l’Orient prese fuoco, Arthur strinse i denti, reggendosi al contraccolpo dei cannoni che minacciavano di tirarli giù. La sua nave a babordo dell’Orient fece un movimento quasi innaturale, per affiancarsi meglio all’ammiraglia.

Gli insulti in francese gli arrivavano alle orecchie come una melodia, quando vide la nave gemella alla sua disporsi sull’altro fianco dell’Orient.

“FUOCO!” gridò all’improvviso, ordine gemello gli arrivò alle orecchie come se tutta la ciurma lo avesse urlato insieme.

Il fuoco delle mitraglie calò tremendo sul vascello francese e nessuno dei centoventi cannoni fu utile per fermarli.

Arthur si tappò le orecchie al volo, capendo subito dalla virata dell’altra nave inglese che dovevano allontanarsi anche loro, ci riuscirono appena in tempo, quando l’Orient esplose erano le due navi più vicine. Il boato fu così forte che lo scalzò via, facendogli fischiare le orecchie per minuti lunghissimi. Ai suoi occhi la nave era saltata in aria facendo rimbalzare con se l’equipaggio i cannoni e la ciura. L’albero maestro gli cadde dritto sulla sua di nave, mentre poche anime nuotavano cercando di allontanarsi.

Arthur si guardò attorno famelico. “Ce l’abbiamo fatta, che la regina mi perdoni, l’abbiamo affondata!” sentì urlare dietro di lui, le orecchie gli fischiavano ancora quando si rialzò, guardando attorno a se il caos che lo inghiottiva.

“Non possiamo muoverci capitano, abbiamo l’albero dell’Orient…” ma Arthur fece segno al ragazzo di andare via, poteva vedere da solo come stavano le cose.

“Spero per quel dannatissimo Nelson che non si sia fatto scappare nemmeno un fottutissimo francese” latrò Arthur, mentre si sbottonava la giacca da marinaio tornando al timone. “Riposati Benjamin…hai fatto un ottimo lavoro” e mentre il ragazzo si metteva a sedere crollando quasi sulle gambe Arthur ridacchiava soddisfatto. “Lo sa capitano, lei è davvero un demonio” l’Inghilterra lo guardò con la coda dell’occhio sbuffando in una risatina ironica. “Guarda che così ci offendi tutti” e cominciò a sbraitare di nuovo sul perché nessuno stesse cercando di alzare quello sporco legno francese dalla sua bellissima nave.

Meglio che i marinai sfogassero la loro adrenalina in quel modo, che dopo a fare danni.

 

Nelson si avviò di lui a passo di carica una volta finito di tracciare la fine di quel casino, ci avevano messo giorni, ma avevano recuperato tutto il recuperabile dal mare.

“Lei è davvero un qualcosa di…” cominciò burbero, prima di zittirsi all’occhiata fissa della nazione alla sua palpebra cascante. “Sì, sono stato ferito” Arthur mosse i muscoli del viso come se volesse dire un ‘ancora?’ poco convinto, ma rimase in silenzio.[11] “Proiettili incendiari” continuò allora l’ammiraglio, sotto lo sguardo annoiato di Arthur. “Come farò a spiegarlo ai generali?” l’ex corsaro alzò le spalle[12]. “Non dica niente, dica che l’Orient stava facendo rifornimenti o si stava riverniciando, per quanto i francesi sono fissati col buongusto e la moda non gli sembrerà così assurdo” concluse acido, ridacchiando. L’ammiraglio non era proprio contento come lui, ma si appoggiò ad uno dei muri della nave, sospirando grave. “E così ce l’abbiamo fatta, siamo i nemici numero uno di Napoleone” commentò concentrato. “Il salvatore dell’Europa, la chiamano così lo sa?”[13] Nelson scosse il capo, fissando la nazione come se fosse sul patibolo. “Contro Napoleone” disse guardandolo ancora, mentre Arthur lo ricambiava sarcastico. “Contro tutto il mondo, Ammiraglio” disse allora la nazione, sorridendogli con complicità. L’uomo  scosse di nuovo la testa, poi annuì improvvisamente preso dai suoi pensieri. “Ce la farà ammiraglio, si fidi di me, lei ha il talento e l’orgoglio giusto per farcela ed avrà me al mio fianco, noi non abbandoneremo la nostra nazione” disse allora Arthur rifilandogli una leggera pacca sulla spalla, mentre il terzo tramonto su Abukir cadeva.

Nelson arricciò il naso poi si alzò, giusto prima che arrivasse uno dei mozzi a portare messaggi. La postura ridivenne rigida, la debolezza andò via.

“Contro tutto il mondo, eh?” ripeté assorto, mentre faceva qualche passo avanti, Arthur annuì, sorridendo affascinato. “Giusto per permettermi una piccola divagazione…” la nazione lo fissò perplessa, aspettandosi chissà che rimprovero.

“…soprattutto in culo ai francesi”[14] commentò soltanto l’ammiraglio andando via sotto gli occhi increduli del mozzo e le risate poco cortesi di Arthur.

 

Dover reclamava pioggia, mentre Arthur dopo anni metteva piede in Inghilterra. Le navi erano arrivate direttamente al porto di Brighton, mentre lui prima di andare a Londra si era mosso verso la città più vicina alla Francia.

Era sicuro che sapendo del suo ritorno Francis sarebbe stato lì ad aspettarlo.

Non aveva sbagliato i suoi calcoli, nemmeno arrivato era stato scortato in cima ad una scogliera molto lontana, Arthur si mosse come se i soldati avessero avuto l’ordine di scaraventarlo di sotto da un momento all’altro.

Francis si ergeva maestoso sul ciglio della scogliera, i capelli sparpagliati dal vento sembravano dei fili d’oro attaccati ad una sequoia, Francis gli sembrava distante e solido al tempo stesso.

Gli dispiaceva per come erano andate le cose. Odiava aver dovuto allontanare anche lui, ma se pensava ancora a quella dannatissima guerra d’indipendenza gli veniva da star male. Le mani gli prudevano al sorriso soddisfatto che aveva fatto il francese, così come gli veniva da vomitare al solo pensiero della vulnerabilità che aveva provato.

“Mi chiedo ancora come ho fatto a pensare che non ti saresti comportato dal teppista di sempre” chiese Francis, mentre Arthur lo guardava di spalle, preso da un tremolio indistinto. “Lo sai con chi hai a che fare, non devo spiegartelo io” concluse per lui l’inglese, mentre l’altro di girava, fissandolo vacuo. “Sei diventato particolarmente presuntuoso se giri per l’Inghilterra come se fosse casa tua” cominciò Arthur di nuovo, fissandolo acido come il veleno. “Sei particolarmente stupido se ti presenti qui da solo, Arthur” l’inglese incassò in silenzio, mettendosi accanto a lui, sedendosi sull’erba verdissima sbuffando aria calda, in contrasto al venticello gelido che gli entrava nelle ossa.

“Cosa devi dirmi Francis?” chiese allora risoluto, mentre alzava gli occhi per guardalo. Il Francese lo fissò con il solito sguardo galante, mentre gli faceva un sorrisetto rassegnato. Di tutti loro Francis era l’attore più memorabile: teneva fede ai suoi stereotipi come se fosse la missione della sua vita, Arthur non aveva mai capito se era un travestimento o una maschera che indossava per non sembrare il vecchio stanco che era. Non sapeva se anche lui girava la faccia dal resto del mondo per non mostrare il marcio che aveva dentro, quell’oscura ombra che anche lui si portava infondo agli occhi. Bastava pensare alla fine che aveva fatto metà della nobiltà francese.

“Siamo in guerra Arthur, ancora, chissà per quanti anni questa volta” commentò con un accento che fece storcere il naso all’inglese, la sua lontananza lo aveva peggiorato. “Sei qui per dirmi questo?” commentò allora Arthur, guardando il mare all’orizzonte, mentre si accorgeva che lo sguardo azzurro di Francis era su di lui. “Non, sono qui per altro” Arthur annuì, aspettandosi tutto e niente.

In quel secondo di silenzio sentì nettamente qualsiasi cosa scivolare via, il vento, la pioggia, il mare, L’Inghilterra, la regina, Alfred, Francis, lui stesso.

Rimase soltanto il battere calmo del suo cuore a pulsargli nelle orecchie e nel petto.

“E’ tutto finito Arhur, è finito il giorno stesso in cui hai deciso di umiliarmi e salire su quelle tremende navi inglesi a giocare al pirata” Francis lo aveva detto con tono calmo, Arthur lo aveva percepito appena isterico ed inviperito.

“Dovevi aspettarmi per sputarmelo in faccia, suppongo” il francese annuì, mentre sospirava libero di un gran peso. “La Francia è cambiata” l’inglese annuì, alzandosi in piedi mentre si puliva i pantaloni sospirando scettico. “Rimanete sempre gracidanti rane vinofile e pervertite francesi” commentò sarcastico, mentre Francis sorrideva. “Nemici?” chiese poi, come se fosse normale. “Nemici”confermò Arthur allontanandosi verso la città.

Francis rimaneva ancorato al vento, i fili d’oro ancora sparpagliati dalla brezza. Il mare si alzava indomabile, mentre Arthur sentiva gli strilli dei gabbiani nelle orecchie perforargli il cervello.

“Lo sai Francis?” urlò poi, per farsi sentire, il francese si voltò stupito, fissandolo con una faccia intontita che fece ridere Arthur. “Niente che mi riguardi finisce prima che io abbia deciso che deve finire” disse serio, mentre il francese lo fissava ancora più sorpreso. “E cosa hai deciso?” chiese allora Francis, mentre l’ululato del vento quasi non copriva le loro parole.

Arthur sorrise. Il vento, le navi, l’Orient, Carriedo, la sua isola sicura in mezzo al mare.

Alfred.

Alfred da solo senza di lui.

Lui abbandonato dal suo bambino.

“Temo che andrai via con il dubbio Francis” disse ridacchiando, girandosi di spalle e riuscendo solo ad immaginare la faccia sbigottita del francese.
Dopo pochi minuti commenti scherzosi sui ‘soliti teppisti’ e ‘bruchi insensibili’ gli arrivarono lontani come echi alle orecchie.

No, non era ancora finita.

 

 

Antonio sedeva da solo con la stanza inondata di splendidi fiori tropicali, tutti coloratissimi.
Lovino sbraitando faceva spazio, mentre Antonio sorrideva felice baciato dal sole.

“Senti un po’, ma questo Arthur non è quello che devi combattere con quel maniaco pervertito?” commentò un Lovino esasperato, mentre lo spagnolo sorrideva gongolante.

“Ah-ha” disse soltanto, mentre si girava una grossa rosa rossa tra le dita.
“E perché ti manda in omaggio tutta ‘sta roba?” disse mettendosi le mani sui fianchi sottili. “E’ una questione di gratitudine e di viaggi…promesse Lovinito mio” ma l’italiano alzò gli occhi al soffitto, sbuffando dolcemente.

“Io non te li rimetto apposto quando appassiscono…”

 

 

 

 

 

Note dell’autore:

Ridicolo far finire una pippa così lunga in questa maniera, ma sì, hetalia fa ridere spero vi abbia preso un po’ una risata.

Lo so è tutto molto lungo e noioso per i miei standard, ma ho voluto provare qualcosa di diverso. Abbiamo un titolo che centra un po’ tutta la storia, Halo significa aura,in questo caso quella di Antonio all’inizio, quella di Arthur tutta la storia, quella di Francis alla fine e perché no, anche quella di Nelson.

Ognuno di questi personaggi ha un pezzo del mio cuore perché me li sono sudati, spero che voi li troviate quantomeno IC, perché è stato un tormento immedesimarsi in tante persone tutte insieme.

Descrivere le battaglie non è il mio forte lo ammetto, così come programmare una fan fiction. Ero partita dal voler parlare della battaglia del Nilo, ho cominciato con Antonio, ho proseguito nel far rivoltare nella tomba Nelson ed ho concluso con una dichiarazione d’amore a Francis. BAH. Spero che un pochino pochino vi sia piaciuta, leggiucchiate le note che sono importanti.

Vista l’ora di post, buonanotte a tutti!

E tu, lettore, se lasci il tuo parere farai felice questa povera autrice che combatte da sempre per le recensioni.

Pure se mi mandate a quel paese va bene lo stesso.
Suppongo che il tutto sia pieno di errori, chiedo venia, lo rileggerò per bene tra un po’, adesso l’eccitazione mi fa postare!

Kissu!



[1] Comincio con il cognome tanto per entrare nella testa di Arthur, chiedo venia

[2] La Victory era un importantissimo vascello inglese, che venne capitanato da Nelson anche nella battaglia di Trafalgar, la nave ammiraglia per intenderci!

[3] Immagino che all’epoca la Spagna non fosse proprio piena di tè, sinceramente mea culpa, non mi sono data la briga di controllare.

[4] Nella mia testa le nazioni non sono proprio invincibili, possono morire in gravi casi, magari riprendono vita e forma nella loro terra di nuovo. Ripeto, nella mia testa, se qualcuno sa qualcosa di più a riguardo ben venga!

[5] Non mi immagino Antonio ligissimo ai doveri nazionali, almeno non come Arthur.

[6] I pirati, come i corsari, avevano delle bandiere diverse che usavano alzare per presegnalare le loro intenzioni, in alcuni casi giravano senza bandiera, alzando all’ultimo momento il Jolly Roger per dichiararsi in fase di attacco. Parola di Wikipedia.

[7] Si racconta che anche gli ammiragli contrari ad affidare la spedizione a Nelson lo elogiassero per la sua grinta, uno di loro lo definì ‘un predatore nato’ perfetto quindi per la caccia ai francesi.

[8] Le navi francesi si disposero in modo tale che un lato fosse coperto da una secca non segnalata sulle mappe (o almeno loro lo credevano) Nelson fece disporre le navi inglesi su due file facendo in modo di accerchiarli dai due lati, decretando che lì dove le navi francesi potevano attraccare, loro potevano passare.

[9] L’Orient era la nave ammiraglia francese, praticamente era un vascello immenso che possedeva circa 120 cannoni, con una virata distrusse immediatamente una nave inglese, la Bellerophon.

[10] E’ quello che si diceva dell’Inghilterra più o meno dell’Ottocento, in realtà dopo di questa battaglia, licenza poetica, scusate.

[11] Nelson aveva subito diversi infortuni, prima della Battaglia citata qui, aveva perso un braccio ed un occhio. Durante questa battaglia una scheggia gli farà calare la palpebra all’occhio sano. Mettiamola così, non era proprio fortunatissimo.

[12] I proiettili incendiari non sono sicuri, si sospetta sia stato quello a far esplodere l’ammiraglia francese, ma non ci sono verità: l’utilizzo era sottotaciuto dagli inglesi, era considerato poco cavalleresco.

[13] Successe al rientro in patria, ma accorcio un po’ i tempi, chiedo venia

[14] Mi immagino Nelson un tipo molto inglese classico, quindi eccessivamente controllato, la vicinanza di Arthur gli fa male!

  
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