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Autore: Amarantha    14/12/2006    7 recensioni
[Memorie di una geisha] E così Hatsumomo è stata scacciata definitivamente dall'okiya Nitta e da Gion... E così è arrivata la resa dei conti... (watch out: Hatsumomo/Mameha)
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota Noiosa ma Necessaria: Questa storia è uno dei miei soliti esperimenti, ed un tentativo di gettare una luce diversa sulle cattiverie allucinanti che la povera Hatsumomo riesce ad escogitare lungo tutto il corso del libro. Sebbene i fatti di riferimento vengano dal romanzo, e nonostante trovi assolutamente folle la scelta di dare le parti principali ad attrici dai tratti palesemente cinesi, devo ammettere l'ispirazione me l'ha data l'interpretazione della sempre splendida Gong Li nella versione cinematografica - e, a dire il vero, anche un intrigantissimo video che ho trovato su youtube ^_^
Perciò è a quella Hatsumomo e a quella Mameha che ho pensato mentre scrivevo. E poi, diciamocelo: avere solo la versione di Sayuri della storia sarebbe troppo facile. :P
Il titolo gioca con la lieve assonanza che esiste tra Himizu (una parola giapponese composta dai caratteri di fuoco e acqua) e Himitsu, che significa "segreto".
Ultima cosa: ho evitato l'inserimento di note per i termini giapponesi, ma la maggior parte sono talmente diffusi che probabilmente ad aggiungerli mi sarei beccata una meritata sequela di insulti... :P
P.S. Un ringraziamento speciale a Calliope e alla sua vista acutissima che mi hanno permesso di ovviare alle sviste maligne provocate dalla guerra che ho dichiarato al portatile nuovo! ;)

HIMIZU

Himizu: fire and water; disaccord

Yoshimi. Adesso.

"Resta ancora sveglia, signora? E' molto tardi…" La voce di Tatsumi, seguita al suono familiare dei fusuma scostati alle sue spalle e soffiata fuori alla meno peggio da uno sbadiglio soffocato a forza, raggiunse Mameha mentre questa se ne stava inginocchiata presso il basso tavolo della sua stanza. Le mani, squisitamente bianche e sottili, giacevano inerti sul ripiano. Perfettamente immobili. Perché una geisha sa anche nei momenti più privati come trattenere dentro di sé i pensieri...anche quando non porta il trucco. Solo una minuscola ruga, a malapena visibile all'angolo bocca, avrebbe forse potuto rivelare ciò che sul viso di un'altra donna sarebbe apparsa come un'espressione accigliata. Ma non su quello di Mameha. Mai.
"Non preoccuparti, Tatsumi. Puoi coricarti, se lo desideri. Leggerò ancora qualche riga della rivista che ho comprato oggi, e poi mi metterò a dormire anche io. Non temere per le candele, le spegnerò io stessa."
In effetti una graziosa rivista di kabuki illustrata era stata poggiata a pochi centimetri dalle sue mani morbidamente sovrapposte l'una all'altra. Che fosse aperta alla medesima pagina da quasi mezzora, era un segreto che riguardava solo lei.
Per un attimo regnò un silenzio incredulo. Potersi concedere il privilegio di dormire prima della propria geisha era un evento troppo raro perché la domestica potesse sperare di ottenerlo così facilmente. "Ma signora…" balbettò, incerta. Mameha rivolse agli shoji appena discosti davanti a sé una piccola smorfia di impazienza… ma Tatsumi, naturalmente, non potè vederla e neppure ne sospettò, quando ricevette la sua risposta nel solito tono cortese e rassicurante tipico della sua padrona insieme ad un grazioso cenno della mano che le augurava la buona notte. Reprimendo un sospiro di gioia, la cameriera si inchinò sulle stuoie e richiuse con delicatezza i fusuma. Per qualche minuto ancora nell'appartamento risuonarono i rumori ovattati di chi si prepara per dormire. Poi fu chiaro che Tatsumi si era infilata nel suo futon. Il silenzio scivolò pesante come un mantello di paglia sulla scena, lasciando Mameha nella posizione in cui già si trovava, immersa nella luce gialla delle candele, a guardare con aria assorta oltre gli shoji che davano sulla balaustra del minuscolo balcone, e oltre, sulla strada. La fragile sagoma della geisha sembrava aver spanto la sua immobilità ultraterrena anche sulla notte circostante. Persino la piccola cascata dello Shirakawa restituiva un fruscio ovattatato, quella sera, quasi che fosse in ascolto. D'altro canto era pur vero che non si trattasse di una zona di Gion particolarmente vivace in quel periodo dell'anno. Solo il cigolio delle ruote del carretto che il venditore ambulante di ramen spingeva ora lungo la via riusciva a tratti a raggiungere la stanza.
Ma era tutto.
Se si fosse naturalmente eccettuato il disordinato ticchettio comparso proprio in quel momento dal nulla, che un paio di geta producevano sul selciato. Rapidi, eppure in qualche modo inusuali. Ai bordi dello Shirakawa. Un soffio di vento fresco, di quelli che anticipano l'inverno, scosse debolmente il ramo di acero che faceva capolino dietro agli shoji, tutto ciò che Mameha potesse vedere stagliarsi nell'oscurità della notte. I suoi occhi ebbero un impercettibile guizzo e seguirono il movimento, poi lo sguardo si fece di nuovo opaco, assorto. Solo il petto, stretto nella morbida guaina della veste da casa color cremisi, avrebbe rivelato ad un occhio attento il lieve mutamento del respiro: un'onda appena più pronunciata nell'alzarsi ed abbassarsi del seno.
Proiettando le loro ombre sulla carta di riso, le splendide foglie rosso intenso dell'acero…

Miho. Allora.

…occhieggiano nel minuscolo giardino del bagno pubblico, a ridosso dell'alto muro di mattoni grigio ardesia che circonda il cortile. Li scorgi a malapena sullo sfondo della stanza dell'oyu , tanto denso è il vapore che si spande nella saletta adiacente dove sei appena entrata a precipizio, ignorando quasi completamente gli inchini ossequiosi della vecchia Ume-san. (Questo è naturalmente un tuo ricordo, ma la tua mente non avrebbe mai potuto formularlo in questo modo. Non è nella tua natura. Queste sono le tue memorie non scritte, e solo in parte ricordate in questi termini - se non qualche volta, per qualche istante soltanto, ai confini della tua mente cosciente, un attimo prima che il sonno calasse su di te. Registrare pazientemente su carta i momenti che si susseguono, descriverli, non era una cosa che ti si addicesse. Perchè tu, i momenti, li bruciavi. Ardevano dentro di te mentre li vivevi fino in fondo, costringendoli a lasciare fino all'ultima goccia di sè, finche alle parole non rimaneva che cenere spenta).

Dunque ci sono aceri nel giardino, dietro la cortina di vapore. Dicono che diventerai una geisha famosa perchè il colore delle tue labbra è paragonabile solo a quello degli aceri rossi di Gion. Tu chini il capo e sorridi in quel modo altezzoso che fa infuriare le altre geisha e ridere deliziati i clienti della Maestra Tomihatsu quando te ne giunge voce: sai benissimo che si tratta di una bugia, perchè in pochi vorrebbero esalare l'ultimo respiro su di un letto di fredde e dure foglie d'acero...ma sulle tue labbra, tutti i visitatori di Gion morirebbero volentieri. Tuttavia in questo momento non guardi gli aceri, nè il giardino, nè la stanza.

Lei è nella vasca, naturalmente. Viene a quest'ora perchè non c'è nessuno, l'hai sentito confidare dalla vecchia Ume ad una delle serve. Ottenere questa informazione ti è costato un mucchio di tempo e di fatica: per quanto tu sia la sorella minore di una geisha famosa e potente come Tomihatsu e ti sia per questo concessa una pazienza senza pari, dopotutto agli occhi di Gion sei ancora soltanto una ragazzina il cui successo è appeso ad un filo, una di mille che hanno tentato. Fuori dalle lussuose stanze delle sale da tè, dove la luce splende solo per valorizzare te, il tuo futuro e i tuoi guadagni, non hai ancora l'influenza che avrai un giorno e di cui ancora non sospetti nulla, e nessuno è disposto a riconoscertela. A te non importa affatto, il loro giudizio scivola sul tuo viso come acqua, non lascia traccia...se non fosse che ciò ti rende così maledettamente impotente, e ti umilia. E tu non sopporti nessuna delle due cose. Ma nonostante tutto, gli occhi ti si illuminano quando scorgi la sua sagoma delicata nell'acqua.

Si, Gion è paziente con te, ma ti detesta. Ne sei sdegnosamente cosciente. E' per via della tua sfrontatezza. Perchè sei orgogliosa, e la tua bellezza selvaggia sconvolge, ma ti apre ogni porta negli ambienti che contano, e nessuno osa negarti nulla. Gli uomini ti adorano, di questo ormai sei certa in modo quasi doloroso: una tigre così splendida ai loro comandi, pericolosa e mordace ma pur sempre domata dal denaro, è questo che ti credono...e questo, li compiace dannatamente. Ma si illudono. Puoi sembrare in gabbia, ma domata, questo mai. I loro sguardi veneranti ti riempiono di un misto di compiacimento e disprezzo. La maestra Tomihatsu lo trova divertente: ti chiama la sua kitsune e ti asseconda nei tuoi capricci, perchè questo le porta enormi guadagni...ma tu non saresti mai diversa, nemmeno se la sventura ti avesse resa completamente schiava delle maledette streghe dell'okiya Nitta e non una delle più promettenti apprendiste di Kyoto. Per ironia della sorte la tua più grande rivale sembra avere un carattere all'opposto del tuo. Ed è esattamente da lei che ti dirigi ora a passo spedito, trattenendoti a stento dal gettarti nella vasca senza esserti prima lavata al di fuori di essa. Per tutto il tempo che sei stata qui non ha dato segno di essersi accorta della tua presenza: è rivolta al giardino di fronte a te, accovacciata sul fondo. Le spalle candide emergono dall'acqua, e puoi scorgere al di sotto l'ombra confusa e delicata della sua schiena. I capelli sono diligentemente raccolti sopra la testa, nascosti sotto un piccolo asciugamano, e lasciano scoperto il collo sottile. Il desiderio ti serra la gola.
Solo quando scivoli silenziosamente nell'acqua volge un poco il capo nella tua direzione, e ti guarda avvicinarti cambiando posizione per volgere le spalle al giardino.
"Trovarti è incredibilmente complicato..." dici, in un basso sussurro. Hai lasciato i capelli sciolti ed ora questi fluttuano come morbide alghe attorno a te. Lei sostiene il tuo sguardo, imperscrutabile come sempre: "Siamo state molto impegnate." risponde semplicemente. Una strana sensazione ti colpisce, ma decidi deliberatamente di ignorarla: non la vedi da più di un mese, e sei troppo felice per curartene. La tua sorella maggiore e quella di Yoshimi sono rivali e fanno l'impossibile per non frequentare le stesse feste e le stesse case da tè. Questo ha reso dannatamente difficile incontrarvi da quando siete entrambe apprendiste, e ti ha impedito di stare accanto a lei quando quel pallone gonfiato del barone ha offerto quella cifra vertiginosa per avere il suo mizuage. Quasi credevi saresti impazzita quando la Madre si è presentata trafelata davanti alla Nonna per riferirle quanti yen erano stati pagati. Sentire il nome da geisha di Yoshimi pronunciato da quella bocca orribile, vedere il ghigno lascivo di quelle labbra mentre raccontavano nei dettagli di come si fosse svolta l'asta del suo corpo di bambola ti ha fatto quasi uscire di senno per la rabbia e il disgusto.
E' buffo: nella tua mente il concetto di gelosia non è nemmeno balenato. Hai avuto il tuo mizuage circa un anno prima di lei - per una cifra alta, sebbene non tanto quanto la sua (e certamente non sufficiente per liberarti dei debiti). I tuoi ricordi in proposito sono talmente insignificanti e avvilenti da farti credere che mai nessuno possa partecipare con piacere ad una cosa tanto inutile.
Quella notte, mentre giacevi con gli occhi sbarrati nel buio dell'okiya ascoltando l'odioso russare della Nonna, hai piantato le unghie nel futon per la rabbia di non poter essere accanto a Yoshimi per rassicurarla, per dirle che non conta nulla, che non si tratta di niente che non possa essere lasciato dietro le spalle immergendosi in una sorgente termale e lavando via con lo sgradevole odore di quella pelle intrusa le sensazioni, il dolore, la paura. Com'era prevedibile nonostante i sotterfugi e le minacce non ti è stato permesso di uscire. Il mattino seguente Zietta al risveglio ha trovato tutte le lanterne di carta della Casa strappate, e ha incolpato lo stupido cucciolo della Madre. La Madre si è opposta violentemente all'idea, l'argomento è stato prudentemente lasciato cadere, e a tutt'oggi nessuno sa ancora come sia potuto succedere. Tu lo sai. Nondimeno ti è stato impossibile trovare un modo di incontrare Yoshimi fino a questo momento.
Oh, faresti meglio a farti qualche domanda, a questo punto.
Ma neppure questo è nella tua natura, e i tuoi occhi brillano troppo perchè i sospetti possano sfiorarti.
Completamente acciecata dal desiderio di toccare la sua pelle immacolata dopo tanto tempo, allunghi quasi bruscamente la mano per attirarla a te...ma la tua mano rimane ferma a mezz'aria, dolorosamente interdetta, quando la vedi scostarsi appena abbassando come ventagli in una danza le lunghe ciglia scure sui grandi occhi.
Da quando hai memoria di te stessa, nessuno al mondo ti ha mai negato qualcosa senza che tu glie lo facessi in qualche modo comprendere... e, possibilmente, scontare. Ma Yoshimi non fa parte del mondo. E' stata diversa (non esiste la parola speciale, nel tuo vocabolario) per te da quando l'hai vista per la prima volta, alla scuola per geisha, quando lei aveva sei anni e tu nove. Le parole non ti salgono alle labbra, solo il tuo sguardo confuso fisso su di lei esprime la domanda che l'improvviso smarrimento non ti permette di formulare. Se qualcun altro, qualsiasi altra persona esistente potesse vederti in questo momento, non ti riconoscerebbe mai.
Yoshimi si immerge un poco nell'acqua, stringendosi le braccia al seno con un gesto fin troppo naturale. E' il suo dono: saper incantare simulando la perfezione fino a proiettarla negli occhi di chi la circonda. Piace agli uomini per il motivo opposto per il quale idolatrano te: è l'intelligenza nascosta dietro al delizioso corpo di porcellana, all'ovale del viso, ai grandi occhi lucenti. Il suo aspetto mescolato ai suoi modi squisiti ne fa l'immagine perfetta della geisha, tanto eterea da poter diventare ciò che ogni uomo desidera, senza essere nulla di tutto questo. Yoshimi è per i visitatori di Gion l'illusione più grande. Allo stesso modo in cui la superficie di un laghetto riflette il cielo come uno specchio ma non rivela cosa si cela nei suoi abissi, nessuno sa mai cosa si muove davvero dietro alla sua espressione perennemente distaccata... nemmeno tu.
La guardi silenziosamente spostarsi nell'acqua.
"Se metti la stessa foga anche solo nel versare il tè ad un uomo, non troverai mai un buon danna." dice, con calma.
La tua, di calma, si infrange. Le afferri un polso tirandola con impazienza verso di te: "Che vuoi che mi importi di uno stupido danna? Le case da tè sono piene di cagnolini pronti a scodinzolare ad un mio cenno. Perchè dovrei legarmi a uno soltanto di loro? Sono tutti uguali, come le carpe in uno stagno. Non è quello che voglio..." sussurri, esasperata, insinuante. Il delicato polso di Yoshimi resta inerte tra le tue dita, ma il suo sguardo inespressivo rimane deliberatamente fisso sul pavimento della vasca mentre ti risponde: "Dovrebbe importarti invece. Se ti ostini a pensarla così, resterai una nullità a Gion." Ferita da questa indifferenza che non riconosci, snervata dalla sua bellezza di colpo così distante, le prendi anche l'altro polso, gli occhi ardenti come i fuochi estivi sulle montagne, la voce venata di sfida: "Non la pensavi così una volta... Perchè mai dovrebbe essere Gion? Andiamocene di qui. Potremmo nasconderci ad Osaka, o meglio ancora, a Tokyo. Yoshimi..."
Lei non si muove. Nemmeno ti guarda. "Il mio nome ora è Mameha, Hatsumomo. Vorrei che tu te lo ricordassi d'ora in avanti..."
Ed è in quel momento che il tuo cuore si spezza, senza che tu trovi mai nella tua vita futura le parole esatte per chiamare quella sensazione. Di colpo i suoi polsi bianchi tra le tue mani sembrano non appartenerle più, come se la persona che hai davanti non fosse più lei. E tu sai, senza ombra di dubbio, che davvero quella che hai davanti non è più lei, che Yoshimi si è tramutata per sempre in Mameha, e che l'acqua nelle sue vene si è fatta ghiaccio. Sei arrivata tardi.
Allora all'improvviso comprendi che nemmeno tu ti chiamerai mai più Miho, da ora in poi. Perchè era il nome che avevi conservato solo per lei, il nome con cui lei era rimasta l'unica a chiamarti. E come Miho era sopravvissuta solo per le sue labbra, ora che queste hanno pronunciato il tuo nuovo nome, come per un incantesimo esso rimarrà per sempre attaccato a te. Sei Hatsumomo adesso. Miho e Yoshimi non esistono più, e tu eri l'unica a non saperlo. Decidi allora che non la perdonerai mai.
E non tornerai più sui tuoi passi. La starai a guardare mentre lei procede sulla via che si è scelta, mentre diventa la più famosa geisha di Gion, mentre si trasforma nella regina di questo piccolo mondo crudele e spietato che ai tuoi occhi assomiglia tanto ad una prigione. Non riuscirai mai a comprendere fino in fondo perchè questo per lei significa sentirsi libera, anzi, smetterai di chiedertelo quel giorno stesso. Le parole non sono per te, tutto ciò che saprai è che quanto basta sapere: che ti ha sacrificata per diventare una di loro, e che non ha mai avuto ripensamenti.
La tua strada porta in tutt'altra direzione, e lascerai che il tuo orgoglio cresca e ti circondi come una fortezza. Ma non penserai più a scappare, e col tempo, smetterai di sperare. E giurerai di renderle la vita impossibile, perchè a dispetto di quanto credi, non dimenticherai mai.

Mameha e Hatsumomo. Adesso.

Soltanto un attimo, mentre gli shoji all'ingresso si aprivano con un fruscio sordo. Poi i loro sguardi si incontrarono, senza che nessuna delle due ne fosse in alcun modo sorpresa: Hatsumomo, in piedi sulla soglia, e Mameha, immobile, di fronte a lei. La luce della lampada vacillò per la nuova corrente d'aria, lanciando sul volto pallido di Hatsumomo delle strane ombre: ma ora una quiete sovraumana sembrava sovrastare i suoi lineamenti disfatti. La quiete effimera, quasi dolce, che segue le tempeste.
"Hai vinto tu..." sussurrò con voce bassa, quasi impercettibilmente arrochita. Era evidente come l'alcool e la stanchezza avessero agito inesorabilmente sul suo fisico, irrimediabilmente più sottile, più fragile sotto la semplice veste di cotone, sotto la cascata dei capelli sciolti sulle spalle. E ancora, se avesse potuto essere mostrata agli occhi di Gion in quel preciso momento, nessuno avrebbe potuto negare la bellezza esausta che brillava in lei.
Per un altro lungo attimo il fruscio dello Shirakawa fu l'unico suono della stanza. Forte a sufficienza per nascondere il rumore dei loro respiri. Poi la voce di Hatsumomo risuonò ancora, piano: "Lo sapevi che Hatsutoki sparlava di te? E il tuo kimono... ah, ma che importa ormai. E la piccola Chiyo...ha avuto la sua possibilità di scappare, te lo ha raccontato? Ma l'ha perduta...si è lasciata imprigionare qui."
Avanzò di un passo, ma lentamente, come se le sue energie fossero diminuite tanto da necessitare un'attenta gestione. "Dimmi la verità, Yoshimi...ami Sayuri?" Non vi era collera nelle sue parole. Soltanto, una stanchezza infinita.
Mameha non si mosse, le mani strette sullo scollo della veste da camera, l'espressione del volto imperscutabile come lo era sempre stata: "Non dire idiozie, Miho."
"Tu non hai mai amato nessuno. Ora capisco. Tranne te stessa."
"In questo mondo non ci si può permettere di innamorarsi."

Un pallido sorriso consapevole balenò sulle labbra di Hatsumomo, prima che queste si posassero su quelle immote di Mameha. Labbra del colore degli aceri.

E poi era tutto finito. Hatsumomo già sulla porta, gli occhi brillanti di una brace lontana nella penombra dell'uscio. Solo allora Mameha sollevò le palpebre frementi. Se mai ci fosse stato un mutamento nella sua eterna compostezza se n'era già andato, e stavolta per sempre.

Per un ultimo momento i loro sguardi si incrociarono alla luce traballante della lampada dimenticata sul tavolo.

"Non credere che ti pagherò per questa tua prestazione.", disse Mameha. Le parole caddero atone e vuote, false come l'ultima, dovuta battuta di una commedia ormai finita, mentre il cerone è ormai cancellato, i nomi di scena abbandonati, il trucco svelato.
"Non disturbarti." rispose Hatsumomo.
Presto i suoi passi sparirono nell'oscurità delle scale, come scintille di un fuoco che saliva nel buio della notte, disperdendosi per sempre nella brezza autunnale.

Owari.

  
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