Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: Gwen Chan    26/05/2012    4 recensioni
Un caffè pomeridiano e una coppa di gelato a piazza Navona, nella Roma dei primi anni Cinquanta.
C'è Roderich, musicista, che è fuggito dall'Austria dopo l'Anshluss.
C'è Alice, scappata dal proprio paese con l'amore sbagliato.
E c'è la voglia di ricominciare.

Aveva ancora il proprio accento. Se ne accorse mentre attendeva la tazzina di caffè pomeridiano a Piazza Navona, accompagnato da una coppetta di gelato alla vaniglia già in liquefazione sotto il sole di giugno, con la custodia del violino stretta fra le gambe. Quell'eco lontano di tonalità delle valli dell'Österreich ancora si insinuava nel suo italiano, se non proprio tanto stentato da essere incomprensibile, di certo non immune da imperfezioni.
Roderich Edelstein, il giovane seduto al tavolino, musicista innato, austriaco, i cui abiti lisi, nonostante l'aura distinta che difendeva un loro passato di lusso ed eleganza, retaggio della vecchia atmosfera viennese e Mitteleuropea, tradivano la non proprio fiorente situazione del portafogli, pieno più di polvere che d'altro. .

[Legata a "Dice che era un bell'uomo e veniva dal mare]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Nord Italia/Feliciano Vargas, Nyotalia
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di una famiglia '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

SERENELLA

 
Aveva ancora il proprio accento. Se ne accorse mentre attendeva la tazzina di caffè pomeridiano a Piazza Navona, accompagnato da una coppetta di gelato alla vaniglia già  in liquefazione sotto il sole di giugno, con la custodia del violino stretta fra le gambe. Quell'eco lontano di tonalità delle valli dell'Österreich  ancora si insinuava nel suo italiano, se non proprio tanto stentato da essere incomprensibile, di certo non immune da imperfezioni.
Roderich Edelstein, il giovane seduto al tavolino, musicista innato, austriaco, i cui abiti lisi, nonostante l'aura distinta che difendeva un loro passato di lusso ed eleganza, retaggio della vecchia atmosfera viennese e Mitteleuropea, tradivano la non proprio fiorente situazione del portafogli, pieno piùdi polvere che d'altro. Si disperava alla vista delle poche banconote sgualcite, frugava ogni tasca, ogni angolo, alla ricerca di spiccioli caduti e dimenticati, risparmiava su tutto.
Il caffè pomeridiano era l'unico lusso che si concedeva, un piacere quasi sacro, da godere con la dovuta calma, con il gelato, in cui un'altra mano, spudorata e femminile, avrebbe infilato il cucchiaino. La figura si sarebbe quindi messa ginocchioni sulla sedia, sbilenca in una postura che faceva gridare pietà la colonna vertrebale, e avrebbe preteso un sorso di bevanda, perché così facevano le vere coppie: condividevano tutto.
Come fosse capitato in una relazione con una ragazza del posto ancora rimaneva qualcosa di vago, come indefinito, insondabile, era il percorso che da Vienna l'aveva portato a Roma.
Rampollo di famiglia di piccola borghesia, libero pensatore e talento musicale, aveva abbandonato in tutta fretta il proprio Paese quando le strade si erano pian piano riempite di bandiere a croce uncinata del regime.
Non solo per un'impossibilità quasi fisica di rimanere in un luogo privato di colpo della propria libertà, fattore che di per sè riteneva inviolabile, ma anche per una forma di assicurazione per la vita, data la pericolosità di quel cognome che, se qualcuno avesse voluto fare ricerche approfondite, avrebbe condotto a segreti la cui rivelazione non era consigliabile dopo l'Anschluss. Già, chiamarsi Edelstein, famiglia di musicisti, di letterati e di filosofi, poteva rivelarsi molto pericoloso.
In Austria non era riuscito a tornare, o piuttosto giorno per giorno si accorgeva di non provare più la straziante nostalgia dei primi anni, durante i quali si era pentito amaramente della propria decisione. Ovviamente ciò quando non si rimproverava per la scelta avventata della meta della propria fuga. A ripensarci  l'Italia non avrebbe dovuto figurare nei primi posti nella lista  sue preferenze, ma forse all'epoca il fascismo gli doveva esser parso in qualche maniera piùblando e meno pericoloso, un totalitarismo incompleto, come sarebbe stato definito.
Eppure ora aveva iniziato ad accettare la propria condizione di esiliato volontario, una sorta di porto sicuro alla fine delle molte vicissetudini: era stato prigioniero dei partigiani, membro a sua volta della Resistenza, a rischio fucilazione, corriere e tuttofare. Aveva venduto l'anello del nonno paterno al mercato nero per un pugno di farina, l'orologio da taschino in oro per un po' di verdura. Aveva ceduto la tabacchiera di corno, i gemelli della cresima, la croce d'argento. Aveva ceduto il proprio passato. Solo il violino si era rifiutato di barattare.
Ed era stato nell'ombra del mercato nero che aveva conosciuto Alice.
Alice Vargas aveva anche lei una storia interessante. Gli aveva raccontato, a prezzo di una spilla di smalto, perché anche le parole in tempo di guerra avevano uno costo, di essere l'ultima di quattro fratelli, di essere scappata con un soldato tedesco, partito per un'incursione e mai tornato, di avervi fatto l'amore, di essere rimasta incinta, di aver assistito ai retaggi il giorno delle Ardeatine, di essersi ammalata per la gran paura e di aver perso il bambino.
Aveva ricamato la tela dei Vargas, famiglia ammantata di leggenda, tra rami cadetti sparsi in tutta Italia e ragazze perse in mare. Gliel'aveva detto che portava il nome di una prozia naufragata durante il viaggio in America?
Stranamente, a dispetto di tutte le avventure non sempree rosee, possedeva ancora un'infinita voglia di vivere.
Aveva grandi occhi di zucchero caramellato e capelli al cioccolato al latte, raccolti in due trecce da brava ragazza, quella che non era più, oppure a coda di cavallo, svolazzante nella brezza, che si divertiva a giocare con la sua gonna e camicetta, quando percorreva a grandi falcate le vie acciottolate dell'Urbe; ma Roderich preferiva quando quella massa di onde ramate veniva lasciata sciolta sulle spalle nude, massa che si arruffava nelle notti d'amore.
La ragazza aveva un modo semplice e disinibito di fare sesso, molto fisico e senza complicazioni, senza pudore o sensi di colpa. Una volta gli aveva domandato d'improvviso delle sue precedenti fidanzate, così, di botto, per ingenua curiosità. Roderich si era schermito, ormai le sue donne appartenevano al passato, anche la forte Elizaveta Hedervary, di nobile famiglia ungherese, che in un'altra vita avrebbe portato all'altare. Erano stati promessi dalle rispettive famiglie già nei primi anni Trenta, ma l'annessione austriaca e l'improvvisa fuga avevano impedito il matrimonio e di lei aveva perso le tracce. A essere sinceri non si sentiva in colpa per il suo tradimento, se tradimento era lecito chiamarlo, né provava più alcuna passione per chi, dopotutto, qualcun altro aveva scelto per lui. Tutto questo Alice desiderava sapere, tra un orgasmo, una scorrazzata in bicicletta, seduta sulla canna, o una pausa al bar, come al momento.
Alice divorava il dolce alla vaniglia con infantile  voracità,  sporcandosi il mento di gelato appiccicoso, e nel mentre parlava con la sua voce da cantante lirica, dolce e potente, quando si esibiva per gioco nel teatro del conservatorio. Di volta in volta incarnava Tosca, Carmen, Turandot o Mimì. Era una straziata geisha giapponese o una prostituita francese d'alto bordo. Cantava sullo sgabello al pianoforte vicino a lui, dondolando le gambe snelle e abbronzate. Storpiava le melodie d'oltremare che trametteva la radio, cinguettava le sciocche filastrocche composte per lei
Roderich a sua volta teneva  sempre con sé un'elegante cartelletta gonfia di spartiti e appunti di testi, da aggiornarne ogni volta che Euterpe gli sussurrava all'orecchio. L'ispirazione poteva celarsi in ogni anfratto, dopotutto.
Sognava la fama, quella che porta il successo e abbastanza denaro da ricostruirsi una vita, da comperarsi una casa per la futura sposa, sognava il giorno in cui i suoi vinili sarebbero stati venduti in America.
Alice invece non pareva preoccuparsi minimamente del denaro, non si metteva le mani nei capelli se le finanze erano ridotte all'osso, e lo rimproverava di essere troppo stressato. Insomma aveva fatto propria e seguiva alla lettera la parabola dei gigli di campo. Così si viveva nella Roma dei primi anni Cinquanta, nell'Italia le cui ferite si stavano cicatrizzando,  quella del piano Marshall e del governo De Gasperi: giorno per giorno.
Non passava ore davanti allo specchio lamentandosi del troppo grasso o, più realisticamente, del corpo spigoloso, che portava i segni della fame e della malattia patite negli anni Quaranta.
Qualche volta l'uomo la sentiva singhiozzare nel buio della sua cameretta o dietro la tenda rossa del palco, quando il teatro si svuotava; che fosse per nostalgia della sorella e dei fratelli, per la perdita del primo amore o del figlio, non l'aveva mai domandato.
Del resto persino lui, pur nella sua ignoranza dell'universo femminile, che era stato causa di attriti e incomprensioni anche con Elizaveta, ne notava i sospiri a fior delle labbra rosse, le mani incrociate sul ventre, in un tipico gesto materno di protezione. Gli sarebbe piaciuto riempirlo di nuovo quel ventre, vederlo gonfiarsi come una musica neonata; rotondo di luna piena, già se lo immaginava, a formare una dolce collina quando la ragazza si sarebbe sdraiata sul lido, con i gomiti poggiati sulla sabbia umida e le trecce bagnate e incrostate di sale.
Pian piano, giorno dopo giorno, questa vita, inaspettata, ma non odiata, si sostituiva alla precedente, i cui frammenti cadevano a uno a uno come denti da latte nella bocca di un bambino. La foto del fidanzamento si era persa in una folata di vento e i libri in tedesco tra vari prestiti. I colleghi italiani al conservatorio li dovevano averli considerati come regali.
Alice ne aveva leggiucchiato alcune pagine, libri di musica e psicologia principalmente, sebbene la sua terza elementare le rendesse impossibile comprendere i concetti,  perché conosceva qualche parola di tedesco.  Le aveva imparate da Ludwig, nella variante germanica, e nei primi tempi si era lamentata che quella di Roderich era tutta un'altra cosa.
Dopotutto, nonostante il ceppo comune, tra austriaci e teutonici c'erano delle belle differenze.
Insomma almeno Roderich, pur nella sua tirchieria, non aveva perso del tutto il gusto di godersi le delizie dell'esistenza, fosse anche la sensazione del caldo legno del violino sotto i polpastrelli.
Una volta l'italiana gli aveva tolto per gioco gli occhiali, se li era provati per sfrontata curiosità ed era rimasta alquanto sorpresa, quasi delusa, nello scoprire che erano finti, meri pezzi di vetro. Li portava per avere un'aria piùdistinta, si era difeso l'uomo, ma con Alice non servivano giustificazoni. Amava la verità ed era schietta nel parlare, per questo le piaceva tanto la musica: la musica non mente, ripeteva, la musica non ha bisogno di interpreti. La musica non ti tradisce, soprattutto.
Ripeteva anche che un giorno sarebbe tornata al suo paese, avrebbe bussato alla porta della vecchia casa, sua sorella Chiara l'avrebbe accolta e avrebbero pranzato tutti insieme come una volta: lei, Chiara, i suoi fratelli e anche Roderich, certo, sarebbe stato il benvenuto. Finora non aveva raccolto sufficiente coraggio per prendere il treno; Roderich intuiva che mai vi sarebbe salita, dimenticando i suoi dolori in una coppetta di gelato, con risa e cristalli di lacrime. Come lui non avrebbe valicato al contrario la catena delle Alpi, perché c'erano fiumi dai ponti ormai ridotti in macerie sul fondale.
All'orizzonte una striscia di cielo si colorava di rosso-violaceo e la temperatura già si abbassava; un altro giorno era passato, che cos'era successo?  Alice rabbrividì in un riflesso incondizionato, con le membra che fremevano nell'aria della sera, e si strinse nel golfino di maglia, raccogliendo con le dita gli ultimi rimasugli di gelato nella coppetta di vetro giallo. Alla fine se lo era mangiato tutto, incurante  del fatto che non era stato comprato solo per lei.
Continuava a chiacchierare, sventolando il cucchiaino a destra e sinistra:  aveva saputo da fonti quasi del tutto affidabili, per il grado di affidabilità che poteva trovarsi nel passaparola, che Chiara aveva avuto un figlio da un americano. Avrebbe dovuto avere sei anni, se ricordava bene.
Gli americani, ecco, se ne erano andati dalle vie di Roma, con le loro camicie così sfrontatamente colorate, arlecchini a un funerale, che finivano però per essere presenza gradita: questa era la notizia del giorno. Gli americani non c'erano più.
Roderich vi bevve su il suo caffè.
 
 
 
 
Note.
 
Tralasciando il pairing quanto più possibile insolito, la storia è nata mentre ascoltavo la canzone "1950/Serenella" di Amedeo Minghi.
Doveva essere indipendente, ma alla fine ho deciso di legarla a "Dice che era un bell'uomo e veniva dal mare", in una sorta di spin off.
Inoltre l'accenno alla prozia morta in mare èun riferimento a un'altra ff. Insomma, ho deciso di riunire il tutto in un unico ciclo, con i personaggi che riprendono il nome dei loro antenati.
Parlando di nomi, ho scoperto che “Edelstein”è un cognome tipicamente ebraico, ecco perché Roderich ha pensato bene di togliere il disturbo quanto prima.
Detto ciò, èla prima volta che scrivo una one-shot priva di dialogo o azione, incentrata su una sorta di flusso di coscienza (si indovini che cosa ho appena finito si studiare a scuola), quindi è stata anche una specie di sfida interessante.
Spero come al solito di non aver OOCzzato troppo i personaggi.
Enjoy.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: Gwen Chan