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Autore: QuinnRose    27/05/2012    0 recensioni
Non la riconoscevo più, non era lei. Tutti vedevano solo la sua fama, il suo viso su ogni rivista, ma nessuno aveva il coraggio di indagare più profondamente su chi realmente lei fosse. Io però vivevo fianco a fianco con lei da tutta la vita e mi bastava una rapida occhiata per vedere che stava morendo. Fu questione di un attimo, ma proprio in quell’attimo decisi che dovevo riprendermi la mia migliore amica e portarla in salvo.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E' di nuovo primavera

Non la riconoscevo più, non era lei. Dov’era finita l’allegra e spensierata bambina con cui trascorrevo i pomeriggi della mia infanzia? Perché ora sul suo volto scorgevo solo due profonde, perenni cupe occhiaie e un sorriso spento? Si stava consumando, la sua luminosa fiamma si stava lentamente spegnendo e la cera sciogliendo. Ma nessuno lo notava o non ci dava importanza. Io però non potevo tollerare di vedere la mia migliore amica, la mia anima gemella, morire in questo modo. Vederla circondata da tutta quella spazzatura distruggeva anche me. Tutti vedevano solo la sua fama, il suo viso su ogni rivista, ma nessuno aveva il coraggio di indagare più profondamente su chi realmente lei fosse, l’importante erano tutti i soldi che faceva guadagnare all’industria musicale. Io però vivevo fianco a fianco con lei da tutta la vita, il nostro legame era più forte di quello tra due sorelle gemelle, e mi bastava una rapida occhiata per vedere che stava morendo. Oltrepassava il limite ogni giorno, non rendendosi conto di giocare a nascondino con la morte, e che prima o poi la morte l’avrebbe trovata e se la sarebbe portata via. E tutto questo per colpa della sua fama, del suo sogno che era divenuto realtà. Fin da piccina aveva desiderato diventare qualcuno, essere la più grande rock star del pianeta, urlare a pieni polmoni le sue canzoni nel microfono. E non appena ciò si era concretizzato davanti ai suoi occhi, togliendole il respiro per la sorpresa e l’emozione, aveva iniziato a volare troppo in alto, credendosi in cima al mondo, ribellandosi alla vita stessa, imboccando il tunnel di sex, drugs and rock ‘n’ roll che ogni star che si rispetti prima o poi prende. Ogni sera varcava il portone di casa sbronza fino al midollo, con gli occhi straboccanti di cocaina, avvinghiata a bei moretti come piacevano a lei. Non passavamo più sane serate insieme, io e lei, lei ed io, sul sofà sfondato a guardare un film strappalacrime con una tazza fumante di cioccolata in mano, raccontandoci le nostre sventure amorose o gli ultimi gossip letti. Non reggevo più la situazione, non potevo vederla sbriciolarsi davanti ai miei occhi e non fare nulla. Ricordo perfettamente quella sera, come si trattasse di un istante fa. Appoggiata alla finestra, fumando una sigaretta, la guardavo, distesa sul nostro letto disfatto. Dormiva, un sonno superficiale che ormai raramente si concedeva. Era arrotolata su se stessa, come una larva umana. Una nuvola grigia oscurò il cielo per un momento. Fu come se la morte passasse sopra le nostre teste. Fu questione di un attimo, ma proprio in quell’attimo decisi che dovevo riprendermi la mia migliore amica e portarla in salvo. Con un gesto violento gettai il mozzicone fuori dalla finestra e con altrettanta veemenza inizia a raccattare da ogni angolo della stanza qualsiasi oggetto collegato a tutti i suoi tipi di dipendenza. Misi a soqquadro la stanza, rovesciando qualunque oggetto mi capitasse tra le mani. E intanto piangevo. Piangevo per la rabbia, per il dolore, per lo sconforto, per il senso di sconfitta e impotenza verso tutto lo schifo che mi trovavo davanti. Perché aveva dovuto rovinarsi in quel modo? Quando si guardava allo specchio non vedeva che si stava trasformando in un putrido mostro alimentato solo dalla cattiveria del mondo e della droga? Perché non apriva gli occhi, perché non riusciva a vedere? Perché sembravo essere l’unica ad accorgersi di tutto ciò? O forse anche lei forse si rendeva conto dell’odore di morte che emanava, ma non le importava, stava bene nella suo buco pieno di ratti e sporcizia. E questo mi faceva ancora più rabbia. Scagliai una abatjour contro il muro, frantumandola. Lei si svegliò di soprassalto, mettendosi a sedere sul letto. Si guardava intorno smarrita, poi spostava lo sguardo interrogativa su di me. Mi gettai a peso morto sul letto, affianco a lei. Appoggiai la testa sul suo ventre, ascoltando il suo respiro leggero. Piangevo sempre più forte, mi mancava l’aria, le lacrime spuntavano dai miei occhi come la pioggia scroscia dalle nubi autunnali. Presi le sue esili mani tra le mie. “Perché, perché, perché, perché!” strillai. Lei si spaventò, ma intuì a cosa mi riferivo. Fece un lungo sospiro. Mi accarezzò il volto e i capelli. “Basta, smettila con questo schifo, cambia vita. Torna chi eri prima.” “Lo farò, te lo prometto.” “No! Devi farlo ora, adesso, in questo esatto momento. Devi dire addio a tutto questo, e devi farlo ora.” Sospirò ancora. Alzai lo sguardo, incrociai il suo. Socchiuse le palpebre, si passò i polpastrelli sulle tempie come abitualmente faceva quando rifletteva, rimase in silenzio per alcuni minuti. “Va bene, la smetto. Buttiamo tutto. Voglio rincominciare tutto da capo. Sono stanca di stare male. Ma so che potrò farcela solo se tu sarai qui, accanto a me.” I miei occhi si illuminarono, mi aprì nel sorriso più sincero. Ci abbracciammo. Fu l’abbraccio più lungo della nostra intera amicizia. Un abbraccio serrato, nulla avrebbe potuto separarci in quel momento. La coccolai, accarezzai la sua testolina piena di ricci indomabili. Sentivo il suo cuore premere forte contro il mio petto, battendo all’unisono con il mio. Stava piangendo anche lei, percepivo le sue lacrime calde bagnarmi le spalle. Buttammo tutto, era tempo di voltare pagina, di rincominciare a vivere. Iniziò così un lungo periodo di disintossicazione. Non la rinchiusi in una clinica, sapevo sarebbe soffocata in quei posti tetri. Mi presi cura di lei io personalmente, come le avevo promesso. Ascoltavo ogni suo isterico pianto ed ogni sua preghiera. “Non sopporto più questo lacerante dolore, sento ogni muscolo urlare aiuto. Ti prego, dammi qualcosa per stare meglio, per favore…” Non le detti neanche un piccolo antidolorifico, doveva soffrire e imparare dai suoi errori per riuscire a stare bene in seguito. Non lo feci con cattiveria, ogni gesto che compivo era per il suo bene. Ad ogni calda lacrima le regalavo un sorriso altrettanto caldo e sincero. La sentivo piangere silenziosamente nel cuore della notte. La abbracciavo stringendo forte il suo petto singhiozzante tra le mie braccia. “No shhh, non piangere, non ce n’è bisogno, dobbiamo combattere, essere forti”. La accompagnavo fuori in lunghe passeggiate. Era primavera e la natura cominciava a rinascere, proprio come lei. I peschi e i ciliegi erano i nostri alberi preferiti. Sfiorava i petali dei loro neonati fiori e sussurrava, incantata “Senti che profumo, è dolcissimo… Ti somiglia”. Le piaceva anche stare in mezzo ai prati, sdraiarsi sull’erba soffice, chiudere gli occhi e lasciarsi coccolare dal vento leggero, oppure guardare l’azzurro intenso del cielo e studiare il continuo movimento delle nuvole che lo sporcavano. “Guarda quel prato laggiù, è verdissimo! Andiamo a rotolarci?”, mi prendeva per mano e mi trascinava di peso. Ci divertivamo come bambine all’asilo, ridevano fino alle lacrime. Si rinnamorò anche della pioggia. Passò un’intera giornata alla finestra, a tracciare sul vetro il percorso delle gocce, completamente rapita dallo scrosciare dell’acqua. Il suo sorriso, la sua ingenuità, la sua infantile riscoperta di ciò che la circondava mi rendevano felice e mi emozionavano tanto da dover nascondere le piccole lacrime che mi spuntavano negli angoli degli occhi mentre la osservavo. “Mi basta vedere un’ape ronzare e sono felice. Mi mancava tutto questo, questa gioia pura e spontanea che le piccole cose, i piccoli gesti mi danno. Non riesco a capire come ho potuto cercarla nella droga, non mi ha mai dato neanche un briciolo di quello che sto provando ora, vivendo davvero. La fama, il successo, i soldi mi hanno trasformato in una persona senza la giusta cognizione delle cose e avevo visto nella droga l’unica salvezza. Non voglio più ricadere il quel maledetto tunnel nero, è bello poter rivedere la luce.” mi confidò una sera, davanti a una tazza di tè bollente. Nell’udirle mi scoppiò il cuore di gioia. “Non ci tornerai, promesso” le sorrisi, accarezzandole il dorso della mano. “No, mai più, perché finalmente ho capito il valore del mondo, della vita, dell’amore, splendidi doni della natura che con la droga non possono essere assaggiati fino in fondo”. Sì, era finalmente di nuovo la ragazza che conoscevo, che mi aveva accompagnata fin dall’infanzia e che avevo sempre amato come una sorella. Quell’esperienza ci unì ancora di più, ci rese una persona unica, un cuore solo in due corpi diversi.
Un mese dopo quella fatidica sera tornò nello studio di registrazione e in sole due notti compose un album che portava il mio nome interamente dedicato a quella folle esperienza. La prima volta che lo ascoltai piansi: era un capolavoro. Ed era la prova che avevamo sconfitto il male, avevamo vinto.

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Con questo testo ho partecipato a un concorso di cui la traccia era:
"La sfida.
coraggio, limite, avventura, passione, ostacolo, sogno, ribellione: a volte la vera sfida è solo contro se stessi"
Spero possa interessa a qualcuno ^_^

  
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