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Autore: Holly Rosebane    27/05/2012    11 recensioni
«Avete ventiquattrore di tempo per arrivare a conoscervi di nuovo, come quattro anni fa.
Per tornare a capire chi siano veramente Harry Styles e Billie Donovan.
Se entro la mezzanotte non ci sarete riusciti, allora rimarrete così per sempre.»

~
Mi toccai i capelli. Morbidi, corti, ricci.
No.
Doveva essere un incubo. Stavo ancora sognando.
Non avevo mai creduto al fantasy soprannaturale, perché iniziare quella mattina?
Ma non c’era altra spiegazione, se non che... sì, per forza.
Ero finita nel corpo di Harry Styles.
Genere: Commedia, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I

 


Ci si dovrebbe sopportare un po' tutti: non c'è nessuno che non sia vulnerabile, che anzi non possa essere colto e fatto a pezzi nel suo lato debole.
(J. Keats)

 
 
 

Billie

 

 
«Ah, e così sarebbe colpa mia?!»
«Certo! È sempre colpa tua!»
Per l’ennesima volta, ma soprattutto ingiustamente, uscivo dall’aula di detenzione. A causa di un malinteso, la docente di chimica ci aveva spedito dal preside. Questi, mosso a pietà, aveva decretato semplicemente che avremmo passato il pomeriggio in punizione, raccomandandoci che non accadesse più.
Dopo tre lunghe ore trascorse a leggere un libro per passare il tempo, ne avevo piene le tasche di stare rinchiusa a scuola. Ma che non si pensi che la sottoscritta, ovvero Billie Donovan, sia una sovversiva che finisce in punizione perché si comporta male. Nossignore. Ero una brava ragazza, io.
La colpa, come ovvio che fosse, apparteneva tutta al signorino che mi camminava davanti a passo spedito. Il quale era stato beccato a mandare messaggini col cellulare nel bel mezzo della lezione, e io ero finita coinvolta nella ramanzina, perché avevo cercato di togliergli il telefonino.
«Potevi anche non immischiarti, comunque! Nessuno aveva chiesto la tua opinione!»
Guardai Harry Styles con crescente odio, fermandomi nel bel mezzo dell’atrio della scuola, perché lui si era voltato verso di me, puntandomi contro il suo indice accusatore. Mi passai nervosamente una mano fra i capelli, cercando di domarmi.
«Sì, invece! Usare i cellulari durante l’orario scolastico è proibito!»
Fece una risata beffarda, scuotendo la testa. Quando faceva l’arrogante, iniziavo a dare i numeri. Perché lui, a differenza di me, era molto più che sovversivo. Menefreghista. Cinico. Egocentrico. Nemico della cultura. In una parola, pessimo.
Harry Edward Styles, diciotto anni appena compiuti, era allo stesso tempo il peggiore ragazzo della scuola e il più popolare. Frequentava la mia classe, ma io lo consideravo alla stregua di un estraneo, ormai.
Faceva di tutto pur di mettersi al centro dell’attenzione, rispondeva male ai professori, non si preoccupava dei compiti, se per un giorno solo non finiva in punizione, si sentiva male.
Eppure, ed era una delle cose che più mi facevano imbestialire, lui un cervello ce l’aveva eccome. Pareva non ascoltare mai nessuno, in classe, e di sicuro a casa non apriva libro. Ma quando lo interrogavano, o doveva sostenere una verifica scritta, prendeva sempre quasi il massimo dei voti. Ed era per quello che ancora nessun docente era mai riuscito a bocciarlo. La sua condotta, tuttavia, era un altro paio di maniche.
Nell’aspetto fisico, ricordava molto quei mods degli anni ’60: scompigliati riccioli color cioccolato, che scuoteva ogni dieci minuti, profondi occhi verde acqua, sorrisetto furbo con tanto di fossette.
 Andava sempre in giro con i jeans aderenti, maglie larghe e sbrindellate e Vans o Converse. Lo si vedeva ondeggiare costantemente la testa a ritmo di musica, con le cuffiette negli orecchi e il suo amato skateboard sottobraccio.
Ci provava con qualunque ragazza gli capitasse a tiro, ammesso che fosse almeno carina. A quel che sapevo, ne cambiava una ogni mese, ma al momento era miracolosamente single.
Aveva i modi indolenti e incuranti tipici dei ragazzi come lui, rideva spesso e si sedeva in posizioni improbabili, allungando i piedi sul banco, quando i docenti non lo vedevano.
Era il classico soggettone dell’ultimo banco, quello che durante la lezione giocava a Fruit Ninja sul cellulare e schizzava via prima di tutti gli altri al suono della campanella. Ma la cosa peggiore di tutte, era che lui abitava di fronte a me.
Harry Styles era il mio vicino di casa. Per diciassette lunghi anni avevo dovuto convivere con i suoi commenti, le sue battutacce e la sua aria da strafottente. Non mi aveva mai risparmiato neanche i suoi trick e grind sul marciapiede, specie quando vorresti studiare e invece senti il rumore dello skate che batte per terra.
La parte più divertente, però, era quella che ci aveva visto migliori amici fino alla prima liceo. Poi, lui si era rovinato, e io avevo preferito una vita normale alle rampe da skate, ai rave e all’umorismo tagliente. Indi per cui diventammo come cane e gatto.
«Scusami, Miss Perfezione. La prossima volta imparerò il regolamento scolastico a memoria, solo per te.» commentò, riprendendo a camminare e issandosi sulla spalla lo zaino rattoppato, semivuoto e pieno di tag scritte a pennarello. Lo fissai, allibita. «Non devi fare un piacere a me, Styles, ma a te stesso!»
«Ah, sì? Allora non metterei più piede in questa prigione.» disse, fermandosi al banco dei bidelli, in quel momento vuoto e abbandonato.
Aisha, la custode, doveva essere al piano di sopra a pulire. Adoravo quella donna. Era una quarantenne sudamericana, che parlava come una ghetto girl e si vestiva in maniera etnica e un po’ eccentrica, nonostante la sua stazza abbondante.
Portava i lunghi capelli biondo miele legati in tantissime treccine, che donavano un’aria da capotribù dell’Africa, grazie al color caffellatte della sua pelle. Si mostrava sempre gentile con tutti, chiacchierando anche di problemi di cuore con le ragazze.
Vidi Harry sbirciare il piattino di plastica abbandonato sul banco, coperto da un fazzoletto rosa. Mi avvicinai a lui.
«Che cosa stai facendo?» gli chiesi, mentre lui spostava il kleenex, rivelando una manciata di biscotti al burro dal buon profumo. Mettevano l’acquolina in bocca, senza contare che per colpa della punizione, non avevo pranzato.
Styles allungò la mano e ne prese uno, sbirciando a destra e sinistra, assicurandosi che nessuno lo scoprisse.
«Non ci vedi? Mangio. Ho una fame tremenda.» rispose, addentando il biscotto con noncuranza. Rimasi basita, e gli sfilai il dolce dalle mani. L’aveva morso a metà.
«Ma non sono tuoi! E se poi qualcuno dovesse arrabbiarsi?» lo redarguii, sventolandogli il maltolto sotto il naso. Mi lanciò un’occhiata rancorosa.
«Senti, non ho pranzato, oggi. Quei biscotti sono lì, abbandonati, ad uso di chiunque…» le sue parole vennero stroncate a metà dal forte rumore del mio stomaco che brontolava. Dio, che figuraccia. Harry cominciò a ridere, guardando prima me, poi il biscotto.
«Parli tanto, ma alla fine anche tu stai morendo di fame!», esclamò. Cercai di negare con tutta me stessa, mentre sentivo il sangue affluire alle guance. «Avanti, mangialo. È buono!»
Fissai il dolce, e poi Styles. Mi sorrideva, come un demone tentatore. Aprii la bocca per rifiutare, ma un altro potente gorgoglio mi zittì.
Caspita, che fame. Infondo, se anche l’avessi mangiato, nessuno se ne sarebbe accorto, no? Mi guardai attorno, intimidita. Niente bidelli in vista. Mangiai l’altra metà del biscotto, dissimulando quanto avessi appena fatto. Harry rise.
«Miss Perfezione ruba un biscotto alla bidella.» mi prese in giro, sistemando di nuovo il fazzoletto sul piatto e avviandosi verso l’uscita. Lo rincorsi, cercando di discolparmi quanto più potessi. «Non dire così! Sei tu che mi hai convinto!»
«Sì, ma potevi anche rifiutare. Non l’hai fatto, e quindi prenditi le tue responsabilità.» concluse, posando lo skate a terra, e salendoci sopra con un piede. Ero esterrefatta.
Lo vidi sventolarmi la mano davanti alla faccia, e poi partire in velocità, sfrecciando sulla tavola. Mi abbandonava così?!
«Ti rendi conto di quello che stai dicendo, Styles?! Sono una brava ragazza, io!»  gli urlai dietro, ma lui aveva già voltato l’angolo. Sospirai, e guardai l’orologio. Le quattro del pomeriggio.
Se mi fossi sbrigata, non avrei perso l’appuntamento.
 
 
 
 
 
Fortunatamente, ero riuscita ad arrivare in tempo a casa di Emily e Becky, due bambine della terza media a cui davo ripetizioni d’inglese.
Sì, perché io, a differenza di Harry Styles, m’impegnavo a scuola come altrove, facendo volontariato, impartendo ripetizioni due volte alla settimana e facendo danza moderna. Avevo una vita piuttosto piena, e nel frattempo dovevo mantenere alta la mia media, ottenendo sempre il massimo dei voti. Ecco perché quella testa vuota mi chiamava “Miss Perfezione”. Non avevo mai un attimo di pace, giusto nei weekend.
Allora uscivo con Brooke e Mona, le mie migliori amiche. Mona era stata con Harry in terza liceo, poi lui l’aveva scaricata per una biondona del quarto, e da allora l’aveva sempre odiato. Non a torto.
Guardai il cielo terso sopra di me, che andava tingendosi di cremisi e dorato, al crepuscolo. Ormai eravamo a Maggio e le giornate considerevolmente allungate. Intorno alle otto e mezza cominciava ad imbrunire, e il sole tramontava alle nove.
Ovviamente, avevo fatto tardi anche quel giorno, a causa degli autobus che non passavano mai. Sfortunatamente, abitavo in una zona di Londra maledetta dai servizi pubblici. Camminavo spedita verso casa, con i testi d’inglese avanzato stretti al petto e le cuffiette nelle orecchie, quando sentii un colpo secco alla schiena, e caddi in avanti.
La vista mi si oscurò per un breve, terribile momento, e poi arrivò il dolore. Quando riaprii gli occhi, inorridii. Tutti i miei poveri libri erano rovinati al suolo, mentre io giacevo bocconi sul marciapiede, e avevo anche strusciato le ginocchia sull’asfalto. Che male…
«Scusami, tesoro, non ti ho proprio vista…» esclamò una voce maschile profonda e sensuale, che chissà perché mi suonava estremamente familiare.
Mi voltai, e vidi quell’idiota del mio vicino di casa rialzarsi da terra, pulendosi la polvere dai jeans un po’ stinti, poco lontano dal suo skate rivolto al contrario.
Alzò lo sguardo, e i suoi limpidi occhi verde acqua incrociarono i miei. Era sempre colpa sua, se io mi facevo male. Fin da quando avevamo cinque anni.
«Tesoro un accidenti! Guarda che hai combinato!» Esclamai, indicando i libri aperti in malo modo, o accavallati l’uno sull’altro. Lo vidi passarsi una mano fra i riccioli, spettinandoli. Poi indicò le mie ginocchia con la testa. «Fossi in te, non mi preoccuperei di “Inglese Avanzato 2”…» commentò. Seguii il suo sguardo, e vidi il tessuto azzurrino del jeans assumere tonalità vermiglie, intorno al piccolo strappo sporco di polvere che avevo appena guadagnato. Che disastro, e quelli erano i miei pantaloni nuovi!
 Scossi la testa, imponendomi di non perdere la calma. Raccattai alla bell’e meglio un paio di tomi, poi vidi una mano aperta tesa verso di me.
«Dai, ti aiuto ad alzarti.» disse, scuotendo i riccioli. La afferrai, e mi lasciai tirare su. Avvertii una fitta lancinante al ginocchio, e qualcosa di umido e caldo bagnare la stoffa. Bene, fantastico.
La giornata, che era già iniziata male, non avrebbe potuto finire meglio. Harry raccolse il resto dei libri da terra, e me li diede. Li presi, arrabbiata.
«Billie, scusami. Sul serio non ti ho vista…» esordì, vedendo che iniziavo ad andarmene verso casa senza degnarlo d’un’occhiata. Aveva davvero esagerato.
«Il tuo problema, Harry, è che non vedi mai nient’altro all’infuori di te stesso!» sbottai. Il riccio si fermò dov’era, con lo skate consumato stretto nella mano destra, la maglietta bianca xxl sporca di polvere, e l’espressione ferita in volto. Ma era la verità.
«Questo non è vero! Come fai a dire una cosa del genere, quando te ne freghi di me da ben cinque anni?!»
«Io, fregarmene? Devo ricordarti  chi dei due si è allontanato, all’inizio delle superiori?» urlai, perdendo il controllo. Diventavo sensibile su quell’argomento, perché la ferita che portavo dentro a causa sua era sempre aperta. Harry ammutolì, guardando per terra con rabbia. Sapeva che la colpa non era stata completamente mia, e quindi non poteva rispondere.
Mi volsi, tornando a camminare verso casa, che ormai era a due passi. Avevo preferito chiuderla, una discussione simile. Specie in un momento come quello.
Arrivai alla porta d’ingresso, e rovistai nella borsa per cercare le chiavi. Sentivo il riccio armeggiare con il passante della cintura, facendo tintinnare il mazzetto che vi era appeso. Prima entravo, meglio mi sarei sentita.
«E comunque sai che c’è? Pensa quello che ti pare, Donovan, a me non importa più, ormai!» esclamò, dal suo ingresso. Aveva trovato la chiave e la stava infilando nella toppa. Inspirai a fondo e contai fino a cinque.
«Perché, te n’è mai fregato qualcosa delle mie opinioni?» gli chiesi, di rimando. Scovai il mazzetto nella borsa, e lo tirai fuori rabbiosamente, destreggiandomi con una mano sola.
«Forse, un tempo.» commentò, lanciandomi un’occhiata di rammarico. Oh, adesso faceva anche la vittima arrogante. Lo odiavo, quando si comportava così. Lo odiavo, quando mi scaricava addosso la colpa. Lo odiavo, e basta.
«Che peccato. Allora tornatene dai tuoi amici fighetti, sicuramente ti troverai meglio con loro…!» risposi, amara. Fece una risata sarcastica. Girai la chiave nella toppa, ansiosa di chiuderlo fuori dal mio campo visivo, per quella sera.
«Bene!» esclamò, aprendo la porta di casa sua.
«Bene!» gli feci eco, stringendo il pomello e spalancando l’infisso. Ci lanciammo un’ultima occhiata di puro odio.
«Esci dalla mia vita!» urlammo entrambi, per poi fiondarci dentro e sbattere la porta.
 
 
 
Dopo quella colossale litigata, trascorsi il resto della serata più o meno tranquillamente. Medicai il ginocchio, che aveva ricevuto una brutta sbucciatura dolorosa, cenai e ripassai per il compito di chimica che avrei avuto in settimana. Poi, al limite dell’umana sopportazione, decisi di andare a dormire.
Un’altra giornata come quella, e sarei finita al manicomio. Guardai fuori dalla finestra per pura abitudine, e vidi Harry seduto alla scrivania, con le enormi cuffie da deejay che si portava anche a scuola, chino a scrivere chissà cosa. Restai per qualche istante a fissarlo, poi tirai la tapparella.
Il giorno seguente, mi svegliai di malavoglia, e da sola. Strano, in genere impostavo sempre la sveglia, per essere sicura di non fare tardi.
Aprii gli occhi, e mi guardai attorno. Quella stanza non era la mia.
Che fine avevano fatto l’armadio, lo specchio, il pc e la scrivania? Ma, soprattutto, perché durante la notte, tutti i miei poster di P!nk, Leona Lewis, Lady GaGa e Johnny Depp erano scomparsi? E chi li aveva rimpiazzati con le gigantografie dei Beatles e dei Queen?
Battei le palpebre, e mi strofinai gli occhi. Le mie mani avevano qualcosa che non andava. Non me le ricordavo così grandi, maschili e affusolate, soprattutto con le unghie corte e tutti quei braccialetti al polso sinistro.
Scostai le coperte, avvertendo il panico crescere. Perché non indossavo il mio pigiama rosa? Perché avevo i boxer da uomo? Dov’erano andate le mie gambe lunghe e femminili, il mio unico vanto?! Iniziai ad avere le vertigini.
Per quale motivo il mondo mi appariva da una prospettiva più alta, come se fossi cresciuta di parecchi centimetri durante la notte?
Corsi allo specchio attaccato alla parete di destra, e per poco non cacciai un urlo.
Il volto terrorizzato di Harry Styles mi restituiva l’occhiata, con aria vagamente assonnata e i riccioli più scompigliati che mai. Protesi una mano e mi sfiorai la guancia, mentre l’immagine riflessa fece lo stesso.
Mi toccai i capelli. Morbidi, corti, ricci.
No.
Doveva essere un incubo. Stavo ancora sognando.
Non avevo mai creduto al fantasy soprannaturale, perché iniziare quella mattina?
Ma non c’era altra spiegazione, se non che... sì, per forza.
Ero finita nel corpo di Harry Styles.




Holls' Corner!:

Sì, sono ancora io, sempre io, instancabilmente io. Credete che troverò mai pace, in questo fandom?? Mah, chi può dirlo!
Dunque! Comincio subito col dire che l'idea di base di questa long è folle, ovvero lo scambio di corpi. Non so come mi sia venuta, stavo disegnando in tutta tranquillità, quando ho pensato "Cosa si proverebbe ad essere nei panni di Harry Styles per un giorno?".
Bam. Ecco quindi com'è nato tutto, hahahah!
Premetto che non sarà una storia lunga, sicuramente meno di venti capitoli, questo è certo! Era troppo completa per minimizzarla in una OS, ma non ho nessuna intenzione di renderla un progetto a lungo termine, come
'Till The Last Song.
Prendetela come una storia breve e leggera, niente di troppo impegnativo. Devo anche confessarvi che per me è la prima ad essere pubblicata dove i 1D non sono famosi. Anzi, diciamo che sono diametralmente l'opposto. E che Harry sarà il protagonista assoluto, i ragazzi avranno ruoli minori all'interno della trama.
In questo capitolo c'è solo il punto di vista di Billie, ma in seguito si aggiungerà anche quello di Styles!
Bene, ciò detto, vi lascio!
Mi farebbe estremamente sapere cosa ne pensiate di questo esperimento, se vi sia piaciuto o meno, ci tengo! Grazie in anticipo! Un bacione! 
P.S.: il personaggio di Billie ha il volto di 
Lucy Hale. E' esattamente come ritengo che Billie sia. Vi lascio con una sua gif! Alla prossima!












 

   
 
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