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Autore: QuinnRose    27/05/2012    1 recensioni
-Il faro, il faro!-
Le urla dei marinai nel pieno della notte mi svegliarono. Non presi neanche lo scialle, con la sola tunica di lino uscii sul punte della nave.
Puntai lo sguardo sull’orizzonte: il faro brillava in tutta la sua maestosità, squarciando la notte. Ero di nuovo ad Alessandria, ero di nuovo a casa.
Genere: Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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Il faro



-Il faro, il faro!-
Le urla dei marinai nel pieno della notte mi svegliarono. Non presi neanche lo scialle, con la sola tunica di lino uscii sul punte della nave.
-Siamo a casa!-
Puntai lo sguardo sull’orizzonte: il faro brillava in tutta la sua maestosità, squarciando la notte. Mancava ancora un’ora di navigazione per arrivare alla costa, eppure i suoi contorni focosi già si stagliavano nel cielo. Una gioia incontenibile mi riempì il cuore. Mi unii alle loro danze e ai loro canti festosi. A tutti mancava la grande Alessandria, ma io ne sentivo in particolar modo la mancanza. Per dodici lunghi anni ero stata strappata da lei. Dopo la morte di mio padre, mia madre volle allontanarsi da quel “maledetto posto”, come lei lo chiamava, “dove ogni angolo mi ricorda il mio Alessandro e mi distrugge di dolore”. Così, oltre ad aver perso mio papà alla tenera età di otto anni, persi anche la mia casa, tutto ciò che avevo. Mi portò in India, la terra che l’aveva vista nascere. Conobbi i miei nonni, i sovrani. Diventai la loro cocca, mi adoravano. Continuai a condurre una vita da principessa, quale ero, ma tutto era diverso, mi mancava la mia terra e la mia gente. Così, diventata ormai donna, decisi di far ritorno a casa mia. Fu una scelta difficile, lasciare gli occhi pieni di lacrime di mia madre fu un dolore immenso, ma mai quanto quello di passare l’intera vita in una terra estranea.
Mentre i mozzi preparavano la nave ad attraccare, io rimasi a poppa, accanto al timone, a godere della dolce visione di casa mia che, piano piano, iniziava a diventare sempre più nitida davanti ai miei occhi, tra le ombre della notte. Mi sembrava quasi di essermi allontanata da lei solo per qualche giorno, tutto pareva rimasto immobile, identico a quel lontano giorno, quando salii su quella nave senza mai più far ritorno: i pescatori che gettavano le reti nel mare calmo, la brezza calda, la luna bianca e il faro dorato protagonista assoluto.
Quando arrivammo a terra, una piccola folla ci accolse: le madri che attendevano ansiose il ritorno dei figli, le mogli desiderose di riabbracciare i loro mariti, i figli che non aspettavano altro che rivedere i loro padri. Per me non c’era nessuno. Chi avrebbe potuto riconoscermi? Partita bambina, ritornavo donna.
Seppure ancora notte, decisi di far visita al mio vecchio, amato faro. Percorsi la diga che collegava la terraferma all’isola. Era interminabile, una sottile lingua di terra che si snodava all’infinito tra le onde del mare. Le alte mura che la abbracciavano erano possenti, costruite con pietre e grandi ciottoli che neanche la più feroce tempesta avrebbe potuto smuovere. Passarci all’interno regalava alle orecchie l’emozione di un concerto: l’infrangersi delle onde sulla pietra il tamburo, il vento il violino, i gabbiani i flauti. Passai un dito sulle rocce lisce ed umide, velate da un sottile tappeto di muschio. Profumavano di sale, di un odore che impregnava tutta la città, forse sgradevole al naso del forestiero, ma dolce e delicato al mio: profumavano di casa.
Il faro si faceva sempre più vicino, fino a che si stagliò in tutta la sua maestosità davanti ai miei occhi. Rimasi incantata ad ammirarlo con il naso rivolto verso il cielo e la bocca spalancata dalla meraviglia, come la prima volta che lo vidi da bambina. La sua disarmante altezza mi aveva sempre in qualche oscuro modo intimorita: mi sentivo così piccola e insignificante ai suoi piedi. Lui brillava di una luce accecante, avvistata dai marinai anche a chilometri di distanza, mentre io ero solo una minuscola ombra, invisibile al mondo. La sua imponente presenza al mio fianco, però, mi rendeva orgogliosa: era l’emblema della potenza e della grandezza della mia città e la sua luce era la medesima di cui anche mio padre brillava. In quel fuoco sempre acceso bruciava la sua essenza: orientava i marinai nella notte come la sua saggezza aveva guidato un popolo; le sue fiamme ardenti erano il caldo abbraccio di un padre l’amore di un marito; la sua ammaliante luce era il fascino di un uomo che aveva sedotto centinaia di donne, ma amate due soltanto: mia madre e me.
Stavo in piedi, sulla terrazza che circondava i piedi del faro. Gli davo le spalle, il viso rivolto verso il mare. I capelli ondeggiavano all’indietro mossi dalla brezza che mi carezzava il viso con la dolcezza di un amante. La grande palla argentea della Luna si specchiava come una vanitosa signora tra le onde scure che ne storpiavano i contorni rendendola ancora più affascinante. I pescatori stavano gettando le ultime reti nella speranza di attirare gli ultimi pesci. Non mancava molto all’alba e tra poco sarebbero potuti andare a riposare, soddisfatti o meno del lavoro. Stavo osservando le loro figure muoversi veloci nella sabbia, quando sentii un fruscio alle mie spalle. Mi voltai, spaventata. Nella luce del faro si disegnò il volto di un uomo sulla cinquantina, labbra carnose e formose nascoste sotto una lunga barba grigia perfettamente curata, capelli alle spalle dello stesso color cenere con qualche riflesso ebano, ricordo di una giovinezza lontana, grandi occhi corvini, profondi come un pozzo, che si confondevano nel nero del cielo, sormontati da folte sopracciglia. Avrei potuto riconoscere quel viso tra migliaia, in qualunque luogo, anche in capo al mondo, in qualsiasi momento, perfino dopo aver passato dodici lunghi anni senza ammirarlo. Mi gettai tra le sua braccia possenti. Mi strinse forte contro il suo petto ancora muscoloso nonostante l’età.
-Signor generale- risi. Lui sorrise.
Era il consigliere di mio padre, il primo a conoscere ogni suo desiderio di conquista, il primo che si offriva volontario per qualunque spedizione, anche la più ardua e folle; ma più di tutto il suo migliore amico, quasi un suo fratello, il suo braccio destro, lo conosceva meglio di quanto conoscesse se stesso. Un secondo padre per me.
-Sei cresciuta, bambina-
-Tu sei sempre lo stesso, invece-
-Che ci fai qui?-
-Mi mancavi,- sorrisi –mi mancava casa. Appartengo a questa città, non potevo stare troppo a lungo lontano da lei-
-Mi sembra di udire parlare Alessandro. Nei tuoi occhi arde lo stesso sfavillio che si accendeva nei suoi quando organizzavamo una guerra-
-Sai che non avresti potuto riferirmi parole più apprezzate- risposi, commossa.
Ero molto legata a mio padre e, per quanto la sua morte si perdesse ormai nella notte dei tempi, la ferita causata dalla sua perdita ancora mi lacerava il cuore. Probabilmente l’ideale che avevo di lui era inverosimile: i miei unici ricordi risalivano alla mia infanzia ed erano quelli di una bambina che venerava il suo papà come un semidio: qualunque azione lui compisse era giusta, qualsiasi decisione prendesse non ammetteva discussione, lui aveva sempre ragione e non commetteva mai errori. Immensamente potente, infinitamente bello, di una dolcezza indescrivibile e stracolmo d’amore, ai miei occhi incarnava la perfezione divina.
Rimanemmo a lungo a parlare di mio padre, fino a quando il Sole iniziò a stiracchiarsi oltre l’orizzonte, tingendo il mondo di un delicato rosa pesca e arancione albicocca, portando l’aria frizzantina del primo mattino, con il faro che ci proteggeva le spalle iniziando a riflettere la prima timida luce dorata sul mare calmo con le sue lamine di bronzo. Un nuovo giorno nasceva ad Alessandria, una nuova vita rincominciava per me.



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E' un compito assegnato dalla prof, ma lo trovo carino e volevo condivederlo, spero possa piacere anche a voi ^_^
  
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