Thinking to how it was back then –
Due cuori e un abito da sposa.
1.
How it was back then.
Era
già qualche tempo, ormai, che il mio caro amico Sherlock
Holmes si comportava
in modo strano. Non strano come suo solito, ma in modo estremamente
diverso e
preoccupante. Quelle poche volte che mi ero recato a Baker Street negli
ultimi
mesi per visite di controllo in modo da potermi assicurare che non si
fosse
ucciso con qualche esperimento, lo avevo trovato profondamente
cambiato.
Apparentemente era sempre lo stesso, ma per una persona che lo
conosceva bene,
non era così. Aveva perso molti chili, i segni della siringa
sul suo braccio
erano sempre di più e lui non si curava neanche di
nasconderli, ma i segni
fisici erano quelli che mi preoccupavano di meno, poiché
conoscevo purtroppo
quali fossero le diete che seguiva e quali fossero le sue terribili
dipendenze.
Ciò che maggiormente mi portava a pensare che non stesse
bene, era la profonda
stanchezza che vedevo nei suoi occhi, sentire che l’ironia di
cui spesso
colmava le sue parole era andata dispersa nella freddezza e in uno
sgarbato
cinismo. La luce di cui ero solito veder brillare i suoi occhi era ora
spenta,
opacizzata dalle droghe e da chissà quali pensieri. Ormai
non cercava neanche
più di coinvolgermi nelle sue stravaganti avventure; non
potevo neanche pensare
che non avesse seguito nessun caso, alcune delle mie visite non erano
state
ricevute perché, in seguito alla visita di un cliente, lui
era uscito, questo
mi aveva detto Mrs. Hudson. Poi, anche se non fosse successo, avevo
letto più
di una volta il suo nome sui giornali, affiancante Scotland Yard, che
ovviamente si prendeva il merito per soluzioni che non avevano
raggiunto gli
ispettori. Solo la spiegazione di quanto complicato un caso fosse lo
rendeva
ovvio. Quindi Holmes aveva semplicemente rinunciato, e questo mi
feriva; non
potevo neanche dirglielo e passare per ipocrita in quel modo. Ma ogni
volta che
gli chiedevo se avesse lavorato a qualcosa d’interessante,
lui si limitava a
tenere lo sguardo lungi da me e scrollare le spalle senza darmi una
vera
risposta. Mi stava escludendo dalla sua vita.
Qualcosa
era successo al mio amico, e gli stava ancora succedendo con il passare
del
tempo, distruggendolo lentamente dall’interno, ma ogni volta
che prendevo
coraggio e osavo chiedergli cosa avesse, liquidava in fretta
l’argomento con un
lapidario “niente” che non ammetteva repliche e
passava a tutt’altro argomento,
destinato a morire dopo poche parole come stava ormai spesso succedendo.
Quando
era tornato a Londra dopo il caso di Moriarty, lui era lo stesso Holmes
che
avevo sempre conosciuto, ironico e pungente, ma pian piano aveva
cominciato a
morire lentamente tra le mie braccia senza permettermi di fare niente
per
salvarlo.
Mary
aveva detto che anch’io ero diventato taciturno e che
mangiavo meno, quando la
misi a parte delle mie preoccupazioni per il mio migliore amico. Lo
sapevo,
l’appetito mi era passato del tutto la sera in cui avevo
visto Holmes gettarsi
da quel balcone, e mangiavo per semplice abitudine e solo per non
lasciarmi
morire, ma non sentivo mai lo stimolo della fame, e la voglia di
parlare era
diminuita a dismisura, come anche mia moglie poté costatare
quando finalmente
partimmo per la nostra settimana a Brighton. Era come se il mio corpo
volesse
impedirmi di vivere in modo da poter raggiungere Holmes. Anche dopo il
suo
ritorno, però, la situazione non era cambiata, specie quando
notai che era più
lontano da me adesso di quando era “morto”. Negai
tutto quel che Mary mi disse,
seppur sapessi perfettamente che avesse ragione; ma Holmes mi mancava,
mi
perdevo talmente nei ricordi, nei nostri ricordi,
da dimenticarmi persino cosa stavo facendo fino a un attimo prima e
preferivo
scrivere a macchina le nostre avventure prima che parlare con Mary.
Solo che a
lei non potevo dirlo, Mary non poteva sapere che il motivo delle
condizioni
patetiche di suo marito era un altro uomo.
Più
di una volta ero arrivato a concordare tacitamente con Holmes, senza
ovviamente
permettermi di dirglielo ad alta voce, preferendo poi scacciare il
pensiero
dalla mia mente appena questo vi si presentava: il matrimonio era stato
un
grosso errore. Mary era una donna adorabile, ma a me mancava
l’avventura, il
rischio, quei casi complicati e apparentemente irrisolvibili, che
utilizzavo
poi nei miei resoconti per adulare le doti del mio migliore amico. Ma
mi
mancavano soprattutto le serate davanti al camino, ognuno seduto sulla
propria
poltrona e accompagnati dalla propria lettura e un bicchiere di brandy,
e solo
qualche parola ogni tanto. Ma anche quelle serate in cui noi eravamo
sempre lì,
su quelle stesse poltrone, a ridere insieme, a sbeffeggiare Scotland
Yard, e
quei brevi sorrisi e gli sguardi complici… mi mancava anche
sentire il suono
del violino alle tre di notte, vedergli i miei vestiti indosso, il
pericolo di
imbattersi in qualche esperimento chimico probabilmente letale in giro
per casa
nostra…
E
Holmes si comportava nel mio stesso modo, mi chiedeva cosa avessi ed io
fingevo
di stare bene, quando probabilmente era ovvio il contrario.
Quel
pomeriggio, mentre mi avviavo a Baker Street, più per
malinconia dei vecchi
tempi che per la mia solita visita di controllo, incrociai il
fratellino
Mycroft mentre usciva dal 221b con sguardo sconfortato. Mi chiesi se
per caso
il governo avesse chiesto i servigi di Holmes per una faccenda molto
importante, poiché sapevo che al fratello maggiore non
piaceva muoversi molto
se non per questioni di vitale importanza, ma lo sguardo cupo di
Mycroft mi
fece ricredere immediatamente sul lavoro come motivazione della sua
presenza
lì.
“Buongiorno,
Dottore.” Mi salutò raggiungendomi. “Va
da Sherly, vero? È un sollievo sapere
che non rimarrà da solo.” Disse, sinceramente
sollevato.
“Perché,
non sta bene?” chiesi subito, incapace di celare la mia
preoccupazione. Temevo
che il crollo che avevo visto in lui in quegli ultimi mesi adesso
avesse avuto
terribili ripercussioni sulle sue condizioni di salute.
“Non
credo, no. Non so dirglielo con esattezza, io non sono un medico. Sono
passato
a trovarlo perché, senza dubbio ha notato anche lei,
c’è qualcosa che non va e
che non intende dire a nessuno. Ero preoccupato e sono passato a
salutarlo ma,
quando sono arrivato, dormiva sulla poltrona, rannicchiato come un
gatto. Quando
me ne sono andato, era ancora lì, non aveva mosso un
muscolo. Sono rimasto per
po’ per controllare che non smettesse di respirare. Non aveva
un bell’aspetto e
sembrava avere un sonno agitato, ma non sono riuscito a svegliarlo.
Adesso devo
andare, Dottor Watson, il lavoro mi attende. Abbia cura di mio
fratello. Buona
serata.”
Non
riuscii neanche a ricambiare il saluto, avevo la gola secca. Corsi
subito
dentro lo stabile e su per le scale, impaziente di controllare quali
fossero le
sue reali condizioni e, se possibile, aiutarlo. Bussai insistentemente
alla
porta, ma non ricevetti alcuna risposta, così decisi di
entrare. Se persino il
pigro fratellone si era preoccupato al punto di uscire da casa per
controllare
che stesse bene, Holmes non poteva più negarmi che qualcosa
non andava.
Lo
trovai esattamente dove Mycroft mi aveva detto di averlo lasciato: era
rannicchiato sulla poltrona, in una posizione tale da sembrare
più piccolo, e
una spessa coperta, probabilmente messa a scaldarlo proprio dal
fratello
(Holmes non aveva certi riguardi nei confronti della sua persona) a
coprirlo
fin sotto gli occhi. Nonostante stesse dormendo e desse
l’impressione di farlo
da molto, i profondi aloni scuri sotto i suoi occhi chiusi tradivano
ancora
quella pesante stanchezza di cui ero stato sventuratamente testimone
nel corso
degli ultimi mesi. Mai lo avevo visto in condizioni così
terribili. Se non
fossi stato appena rassicurato sul fatto che respirasse, dal suo
aspetto avrei
potuto benissimo dire che era morto.
Ovviamente,
essendo un medico sarebbe stato più semplice avvicinarmi e
controllare con più
accuratezza le sue condizioni, ma la vista che avevo davanti mi teneva
inchiodato dov’ero. Cosa poteva aver ridotto in quelle
condizioni lo stoico
Sherlock Holmes?
Non
so quanto tempo persi a fissarlo, senza muovere un solo muscolo, con lo
sguardo
fisso sul suo viso addormentato, ma alla fine trovai la forza di
camminare su
quello spesso tappeto, intriso di polvere poiché Holmes non
permetteva a Mrs.
Hudson di entrare nelle nostre stanze – no, le sue
– per pulirvi. Mi muovevo con cautela, nonostante il tappeto
attutisse ogni suono. Mi sembrava quasi di essere un estraneo nel mio
stesso
mondo, adesso. Tutte quelle cianfrusaglie, i cimeli, i nostri
ricordi – almeno quelli erano ancora di entrambi, mi
sembravano adesso sconosciuti quanto il loro proprietario. Difatti,
ormai,
Holmes per me era solo un oscuro sconosciuto. Se non lo avessi
conosciuto ormai
da quasi quindici anni, non mi sarei mai proposto di avvicinarmi a un
tipo
simile se lo avessi trovato in un bar o in qualunque altro posto.
Holmes
sembrava aver perso quel carisma che lo contraddiceva, per rimpiazzarlo
con un
uomo ancora più freddo e distaccato di quanto non fosse mai
stato prima. L’uomo
che avevo davanti adesso non era Sherlock Holmes.
Quando
finalmente raggiunsi la sua poltrona, dopo quella che mi parve
un’eternità, abbassai
gli occhi sul pavimento. A Holmes non piaceva che le sue cose fossero
spostate,
quindi Mycroft non aveva rimosso la bottiglia vuota di brandy, il
bicchiere
rovesciato a terra e la siringa con l’astuccio in marocchino
rigorosamente
vuoti come la bottiglia. Con un gesto stizzito e seccato, spostai
tutto, ormai
incurante di fare rumore o no, e m’inginocchiai,
cosicché il mio viso fu
all’altezza di quello di Holmes, sul bracciolo della
poltrona. Nonostante il
fuoco acceso, nella stanza faceva un po’ freddo
così scostai con cautela la
coperta che lo copriva, in modo da non procurargli un trauma per lo
sbalzo
termico, e la abbassai fino a che lo copriva solo dai fianchi in
giù.
Nonostante la mia precauzione, Holmes rabbrividì e si
rannicchiò se possibile ancora
di più, stringendosi le braccia al petto per scaldarsi. Non
riuscivo ancora a
capire chi avessi davanti.
Sospirai
e mi tolsi i guanti, così quando gli afferrai cautamente un
polso per testare
il battito cardiaco, avrebbe sentito la mia mano scaldata e non la
fredda
superficie della pelle di quell’indumento. Difatti, non si
lamentò ed io potei
testare con tranquillità il battito; preoccupantemente
lento. Portai la mano
libera sulla sua fronte così sentii anche che aveva la
febbre alta. Sicuramente
si era reso conto delle proprie condizioni; perché, quindi,
non mi aveva
chiamato?
Mi
alzai dal mio posto e corsi in bagno per riempire una tinozza di acqua
calda,
ove immersi un panno che, raggiunto di nuovo il salotto, usai per
tamponargli
la fronte. Quelle improvvise attenzioni dovettero ridestarlo dal
torpore del
sonno perché lentamente aprì gli occhi,
sbattendoli poi velocemente un paio di
volte per mettere a fuoco. Cercai di ignorarlo e proseguii il mio
lavoro.
“’ats’n?” biascicò
con incertezza.
Interpretai
quel suono disarticolato come il mio nome, così mi limitai
ad annuire, senza
mai spostare lo sguardo dal mio lavoro anziché abbassarlo
sui suoi occhi; non
avrei sopportato di vederlo così.
“C’sa
shi fa ‘i?”
Riportate
queste parole per iscritto, sembrano molto più comprensibili
di quanto non
fossero quando dette, quindi, più per puro istinto che per
volontà, abbassai lo
sguardo con aria confusa. Trovai due occhi lucidi, appena appena aperti
e
offuscati che mi guardavano, le sopracciglia aggrottate nel tentativo
di
mettere a fuoco più chiaramente.
“Aspetti qui, le vado a prendere un bicchiere
d’acqua. Magari dopo riesce a
parlare in modo comprensibile.” Dissi e mi alzai.
Cercai di mantenere un’aria composta mentre mi dirigevo verso
la porta per
scendere al piano di sotto, ma appena fui fuori, rincuorato che Holmes
fosse
troppo stordito per sentire i miei passi affrettati, scappai di sotto
quanto
più velocemente potevo, in cucina, e riempii un bicchiere
d’acqua per tornare
poi di sopra in tutta fretta.
Holmes era ancora nella posizione in cui l’avevo trovato,
solo che lo sguardo
vagava in modo incoerente e confuso per la stanza, come se non
riconoscesse il
posto in cui era, e si era di nuovo tirato la coperta sopra le spalle.
Sbuffai. Ero deluso dal suo comportamento ma sapevo che c’era
una ragione se si
stava uccidendo con tanta diligenza. E temevo di essere io quella
ragione. Ma
avevo convissuto con Mary per circa un anno e non si era mai ridotto
così. Soltanto
da quando era tornato da quelle turbinose cascate, dopo… il
matrimonio. Dopo
che il mio trasferimento era ufficiale e avevo giurato che non avrei
mai più
preso parte ai suoi casi. E non lo vedevo che ogni tanto. Poteva
davvero essere
stata la mia mancanza dall’appartamento e nella sua vita a
ridurlo in quelle
condizioni? Eppure aveva vissuto per anni senza neanche sapere che
esistevo.
Gli
portai il bicchiere, che lui fissò per qualche attimo con
occhi ancora confusi,
per poi tirarsi su in una posizione seduta e afferrarlo debolmente.
Doveva
avere la gola secca perché lo buttò
giù come se non bevesse da secoli.
“Che cosa mi aveva chiesto?” gli domandai, cercando
di suonare neutrale e
indifferente a quel suo comportamento mentre mi toglievo finalmente il
cappotto
e il cappello.
“Niente…”
borbottò, massaggiandosi gli occhi. “Mio fratello
è stato qui.”
“Allora
non dormiva.”
“Invece
sì. Ma chiunque potrebbe riconoscere la terra lavorata che
si trova nelle
aiuole fuori dal Diogenes Club. Mycroft ha un ottimo spirito
d’osservazione ma
una scarsa considerazione della natura quando ha troppi pensieri ad
affollargli
la mente e non bada a dove cammina.” Rispose, indicando un
poco di terriccio
sul tappeto, di fronte al camino. “Il fatto che la terra
nelle scarpe non sia
stata persa camminando significa che è venuto qua in
carrozza, il che è
coerente con il carattere pigro del fratellino. E non avevo quella
coperta
addosso quando mi sono addormentato.”
“Potrei
averla coperta io.”
“Improbabile.
Si sta spogliando solo adesso, quindi è qui da poco. Quando
mi sono svegliato
lei stava esercitando il suo mestiere di medico, cosa che suppongo le
venga
istintiva. Non credo che avrebbe dato la precedenza a una coperta che
avrebbe
trovato nell’armadio di sotto di Mrs. Hudson alla sua
naturale indole.”
Non
capivo perché continuassi così insistentemente a
metterlo alla prova quando
sapevo benissimo che non avrebbe mai deluso le mie aspettative. Forse,
poiché
ormai non lo seguivo più nel suo lavoro, volevo poter
sentire comunque le sue
brillanti deduzioni per sentirlo in qualche modo più vicino
o per riuscire ad
accettare che quello sconosciuto davanti a me fosse davvero Sherlock
Holmes.
“Avrebbe
dovuto chiamarmi quando si è sentito male.” Dissi,
anziché dargli la
soddisfazione di
elogiare le sue doti.
Senza dubbio, però, il mio silenzio gli avrebbe suggerito
che aveva ragione.
Si
stese di nuovo per qualche attimo, massaggiandosi le tempie, gli occhi
di nuovo
chiusi.
“Non
sono mai stato meglio. Non sono ammalato, questa è solo una
controindicazione
di un mio esperimento.”
Chiusi
gli occhi e cercai di mantenere la calma. Quando anche io vivevo a
Baker
Street, Holmes era molto più controllato con i suoi vizi,
perché sapeva che io
ero lì a bacchettarlo e a fargli sparire le droghe, gli
anestetici, gli
alcolici… ma adesso stava evidentemente sfogando quegli anni
di “oppressione
della sua personalità”, come disse lui una volta,
e se prima pensavo che si
stesse uccidendo, adesso non sapevo più cosa pensare.
“Smetterà
mai?” chiesi con esasperazione.
Ormai sapevo che chiedergli di farlo o cercare di imporglielo era
inutile,
avrebbe comunque fatto sempre di testa sua.
“No.” La risposta fu secca e fredda. Quasi sembrava
che gli avessi chiesto di sacrificare
la vita in cambio di un sasso. Non mi aveva preso in giro per la mia
preoccupazione, ma aveva solo liquidato l’argomento con la
solita freddezza
degli ultimi mesi. Quella non era che l’ombra dello Sherlock
Holmes che
conoscevo.
Che
cosa avrei potuto dire, adesso?
Ribattere non avrebbe portato a uno dei nostri soliti
battibecchi, lo
sapevo; con questo “nuovo” Holmes, sicuramente
saremmo arrivati a un litigio in
piena regola, da cui non sapevo come ne saremmo usciti. Mi limitai a
sbuffare
silenziosamente e mi sedetti sulla mia vecchia poltrona, alla disperata
ricerca
di un argomento pacifico di cui parlare, ma l’aria
s’era fatta talmente fredda,
intorno a noi, che anche il mio cervello sembrava essersi gelato con
essa. Mi
sembrava di essere sul filo del rasoio, in cui una parola mal espressa
o un
gesto fraintendibile avrebbero causato l’inevitabile caduta.
Qualunque cosa
potessi dire o fare, temevo che avrebbe ulteriormente compromesso il
mio
rapporto con Holmes.
Quando
si scoprì gli occhi, il suo sguardo si mosse sul muro di
fronte a sé, ma
sembrava che non lo vedesse davvero; i suoi occhi erano offuscati, lo
sguardo
si muoveva di tanto in tanto in modo impercettibile, perso com'era nei
suoi
pensieri.
“A
volte pagherei qualunque cifra per sapere a cosa
pensa…” mormorai
inconsciamente.
Immediatamente
mi pentii di quello che avevo detto. Per quanto la mia voce fosse stata
bassa,
i sensi di Holmes erano molto più sviluppati di quelli di
qualunque altro
essere umano e poteva benissimo considerare queste mie parole come
un’invasione
del suo spazio personale se mi avesse sentito. Di fatti, si
voltò a guardarmi.
Sentii le guance andare in fiamme, ma non distrassi lo sguardo, non
volevo fornirgli
un’ulteriore prova del mio imbarazzo.
Per
qualche attimo rimase immobile a fissarmi, poi spostò
velocemente gli occhi al
tappeto in quello che quasi sembrava… imbarazzo?
“Pensavo a com’erano le cose prima.”
La
sua voce era bassa almeno quanto la mia di poco fa. Non doveva essere
stata una
cosa semplice da dire per lui; mostrare una simile nostalgia, seppur in
modo
non troppo chiaro per me, non era decisamente cosa da Sherlock Holmes.
“Cosa intende?” provai a chiedere. Qualcosa me lo
aveva detto, potevo sperare
che mi dicesse di più.
Non
ebbi mai una risposta di nessun tipo. Fece come se non mi avesse
sentito e
prese la pipa e la ciabatta persiana con dentro il tabacco per fumare.
“A cosa devo il piacere della sua visita?” disse a
un tratto, lo sguardo ben
lungi da me.
“Sono
passato a vedere se stava bene.” Dissi automaticamente. Mai
gli avrei detto che
era per malinconia che mi trovavo a Baker Street, e gli avevo fornito
la stessa
spiegazione di ogni volta. Non mi resi mai conto che doveva essere poco
gratificante, per lui, sapere che il suo migliore amico andava a
trovarlo solo per
dovere di medico e mai per affetto, ma d’altra parte, lui non
aveva mai neanche
visto la mia casa di Cavendish Place, che cosa mai avrebbe potuto dirmi?
“Poteva
risparmiarselo. Non ho bisogno di lei.”
Rimasi a fissarlo per qualche secondo, impietrito. Non c’era
traccia di
reticenza o di rammarico, sul suo volto; quelle parole affilate erano
state
pronunciate senza menzogna né pentimento. Distrassi lo
sguardo, cercando di
ignorare la fitta al cuore che la sua voce gelida mi aveva procurato e
presi il
giornale dal tavolo dinanzi alle nostre poltrone.
“Ha seguito qualche caso interessante?” chiesi,
ostentando non curanza, come
facevo sempre, sperando di ristabilire una qualche traccia di
normalità in
quell’appartamento. Senza successo.
“No.”
La sua voce era di nuovo fredda come prima, e il tono non indicava che
intendesse proseguire in qualche modo. Non ero disposto a sopportarlo,
subire
un trattamento simile da lui era troppo anche per un uomo temprato come
me.
Mi rialzai immediatamente dalla poltrona, lanciando il giornale da una
parte e
indossai nuovamente il cappotto e il cappello.
“Se
le mie visite la infastidiscono tanto, non ha che da dirlo,
Holmes!” sbottai,
chinandomi davanti alla sua poltrona per raccogliere i guanti che avevo
lasciato sul pavimento quando avevo iniziato a curarlo, e li rimisi.
“Non capisco perché continui a venire se ha avuto
tanta fretta di andarsene.”
Rispose invece lui, finalmente guardandomi negli occhi.
Strinsi
i denti e mi rialzai velocemente; stavo disperatamente concentrando
tutta la
mia energia sul mio auto-controllo per non mettermi a urlare. Dovevo
andarmene
immediatamente o lo avrei preso a pugni. Avevo provato più
di una volta a
dirgli che il mio matrimonio non avrebbe compromesso in alcun modo la
nostra
amicizia, ma lui sembrava pensarla diversamente.
Mi
voltai, dirigendomi verso la porta. Sarei tornato in serata per
scusarmi del
mio comportamento se la sua voce non mi avesse fermato
dov’ero.
“Comunque, sì: le sue visite mi infastidiscono.
Gradirei non venisse più.”
Sentii
il mondo mancarmi sotto i piedi. Non avrei più dovuto
voltarmi indietro,
adesso, non avrei più dovuto vedere il suo viso se non sui
giornali, secondo
lui. Quello era uno sgarbato addio. Mi vennero le vertigini, la nausea,
e
controllare le lacrime che minacciavano di sgorgarmi dagli occhi da un
momento
all’altro si faceva difficile.
“Molto bene…” mormorai, e scappai fuori,
poi in strada.
Il rumore di Londra, la vita fuori da quell’edificio, le
risate delle persone,
improvvisamente mi irritavano. Mi sembrava quasi che la
città intera mi
deridesse per quello che avevo perso. Improvvisamente privo di forze,
mi
appoggiai al muro alle mie spalle e lasciai che le lacrime scivolassero
libere
sul mio viso.
--
Holmes
guardava Watson piangere dalla finestra dell’appartamento con
falso
disinteresse. Perché stesse recitando anche adesso che era
solo, era un mistero
anche per lui. Fingeva di essere indifferente a se stesso, al mondo, a Lui. Ma non era così. Era per
quell’abbandono, quel tradimento
che
stava cercando di uccidersi in quel modo. Preferiva che fossero le sue
usuali
abitudini a ucciderlo. Un vero suicidio, veloce e indolore…
non ne aveva il
coraggio.
Rimase
a guardare Watson piangere per qualche minuto poi, sospirando, chiuse
la tenda
e andò in camera sua, dove aveva nascosto una dose di
riserva della sua
cocaina. Quell’addio era stato necessario. Continuare a
vedersi faceva male a
entrambi, dovevano finirla una volta per tutte.
Una
volta tornato in salotto e seduto sulla sua poltrona, riempì
la siringa di quel
veleno e la iniettò nel braccio martoriato già da
numerosi buchi, per poi
rannicchiarsi di nuovo e coprirsi, sperando che, almeno per qualche
ora,
avrebbe potuto dormire un sonno pacifico, senza sogni.
“I was
thinking to how it was back then.”
“What do you mean?”
“I mean things change, people change. You changed. We used to
talk for hours
and now I’m lucky if I talk to you for a few minutes a day.
You used to want to
be with me and now you make it seem like you’re always too
busy. I remember the
jokes, laughs, smiles we shared. And I doubt you remember any of
that.”
[NDA]
La frase in Inglese viene da un'immagine che trovai su facebook, dei
messaggi degli iPhone. Non la trovo più. Se qualcuno la
trovasse, può gentilmente linkarmela, così la
inserisco nei credits?
Ah, ovviamente i personaggi non mi appartengono. Si appartengono a vicenda u.u