Film > Sherlock Holmes
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Autore: a Game of Shadows    28/05/2012    2 recensioni
Il primo capitolo partecipa come Shot indipendente al Contest "Spargilacrime" indetto da veronic90 e giudicato da superkiki92. L'intera fic partecipa al contest "Due Cuori e Un Abito da Sposa" indetto da Hariken e Silyia_Shio e partecipa al Trentaduesimo Turno del forum Never Ending Story Awards indetto da Lady Vesi, nelle categorie "Best Long-Fiction", "Best Angst", "Best Post-Series Finale Fic", "Best Male" e "Best Scena" nel capitolo uno. La fic (deprimente fino al midollo ._.) tratta il rapporto tra Holmes e Watson in seguita alla conclusione del caso Moriarty e del matrimonio del dottore e il rapporto tra Holmes e il fratello.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Contest Fics!'
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Thinking to how it was back then – Due cuori e un abito da sposa.

1.      How it was back then.

Era già qualche tempo, ormai, che il mio caro amico Sherlock Holmes si comportava in modo strano. Non strano come suo solito, ma in modo estremamente diverso e preoccupante. Quelle poche volte che mi ero recato a Baker Street negli ultimi mesi per visite di controllo in modo da potermi assicurare che non si fosse ucciso con qualche esperimento, lo avevo trovato profondamente cambiato. Apparentemente era sempre lo stesso, ma per una persona che lo conosceva bene, non era così. Aveva perso molti chili, i segni della siringa sul suo braccio erano sempre di più e lui non si curava neanche di nasconderli, ma i segni fisici erano quelli che mi preoccupavano di meno, poiché conoscevo purtroppo quali fossero le diete che seguiva e quali fossero le sue terribili dipendenze. Ciò che maggiormente mi portava a pensare che non stesse bene, era la profonda stanchezza che vedevo nei suoi occhi, sentire che l’ironia di cui spesso colmava le sue parole era andata dispersa nella freddezza e in uno sgarbato cinismo. La luce di cui ero solito veder brillare i suoi occhi era ora spenta, opacizzata dalle droghe e da chissà quali pensieri. Ormai non cercava neanche più di coinvolgermi nelle sue stravaganti avventure; non potevo neanche pensare che non avesse seguito nessun caso, alcune delle mie visite non erano state ricevute perché, in seguito alla visita di un cliente, lui era uscito, questo mi aveva detto Mrs. Hudson. Poi, anche se non fosse successo, avevo letto più di una volta il suo nome sui giornali, affiancante Scotland Yard, che ovviamente si prendeva il merito per soluzioni che non avevano raggiunto gli ispettori. Solo la spiegazione di quanto complicato un caso fosse lo rendeva ovvio. Quindi Holmes aveva semplicemente rinunciato, e questo mi feriva; non potevo neanche dirglielo e passare per ipocrita in quel modo. Ma ogni volta che gli chiedevo se avesse lavorato a qualcosa d’interessante, lui si limitava a tenere lo sguardo lungi da me e scrollare le spalle senza darmi una vera risposta. Mi stava escludendo dalla sua vita.

Qualcosa era successo al mio amico, e gli stava ancora succedendo con il passare del tempo, distruggendolo lentamente dall’interno, ma ogni volta che prendevo coraggio e osavo chiedergli cosa avesse, liquidava in fretta l’argomento con un lapidario “niente” che non ammetteva repliche e passava a tutt’altro argomento, destinato a morire dopo poche parole come stava ormai spesso succedendo.

Quando era tornato a Londra dopo il caso di Moriarty, lui era lo stesso Holmes che avevo sempre conosciuto, ironico e pungente, ma pian piano aveva cominciato a morire lentamente tra le mie braccia senza permettermi di fare niente per salvarlo.

Mary aveva detto che anch’io ero diventato taciturno e che mangiavo meno, quando la misi a parte delle mie preoccupazioni per il mio migliore amico. Lo sapevo, l’appetito mi era passato del tutto la sera in cui avevo visto Holmes gettarsi da quel balcone, e mangiavo per semplice abitudine e solo per non lasciarmi morire, ma non sentivo mai lo stimolo della fame, e la voglia di parlare era diminuita a dismisura, come anche mia moglie poté costatare quando finalmente partimmo per la nostra settimana a Brighton. Era come se il mio corpo volesse impedirmi di vivere in modo da poter raggiungere Holmes. Anche dopo il suo ritorno, però, la situazione non era cambiata, specie quando notai che era più lontano da me adesso di quando era “morto”. Negai tutto quel che Mary mi disse, seppur sapessi perfettamente che avesse ragione; ma Holmes mi mancava, mi perdevo talmente nei ricordi, nei nostri ricordi, da dimenticarmi persino cosa stavo facendo fino a un attimo prima e preferivo scrivere a macchina le nostre avventure prima che parlare con Mary. Solo che a lei non potevo dirlo, Mary non poteva sapere che il motivo delle condizioni patetiche di suo marito era un altro uomo.

Più di una volta ero arrivato a concordare tacitamente con Holmes, senza ovviamente permettermi di dirglielo ad alta voce, preferendo poi scacciare il pensiero dalla mia mente appena questo vi si presentava: il matrimonio era stato un grosso errore. Mary era una donna adorabile, ma a me mancava l’avventura, il rischio, quei casi complicati e apparentemente irrisolvibili, che utilizzavo poi nei miei resoconti per adulare le doti del mio migliore amico. Ma mi mancavano soprattutto le serate davanti al camino, ognuno seduto sulla propria poltrona e accompagnati dalla propria lettura e un bicchiere di brandy, e solo qualche parola ogni tanto. Ma anche quelle serate in cui noi eravamo sempre lì, su quelle stesse poltrone, a ridere insieme, a sbeffeggiare Scotland Yard, e quei brevi sorrisi e gli sguardi complici… mi mancava anche sentire il suono del violino alle tre di notte, vedergli i miei vestiti indosso, il pericolo di imbattersi in qualche esperimento chimico probabilmente letale in giro per casa nostra

E Holmes si comportava nel mio stesso modo, mi chiedeva cosa avessi ed io fingevo di stare bene, quando probabilmente era ovvio il contrario.

Quel pomeriggio, mentre mi avviavo a Baker Street, più per malinconia dei vecchi tempi che per la mia solita visita di controllo, incrociai il fratellino Mycroft mentre usciva dal 221b con sguardo sconfortato. Mi chiesi se per caso il governo avesse chiesto i servigi di Holmes per una faccenda molto importante, poiché sapevo che al fratello maggiore non piaceva muoversi molto se non per questioni di vitale importanza, ma lo sguardo cupo di Mycroft mi fece ricredere immediatamente sul lavoro come motivazione della sua presenza lì.

“Buongiorno, Dottore.” Mi salutò raggiungendomi. “Va da Sherly, vero? È un sollievo sapere che non rimarrà da solo.” Disse, sinceramente sollevato.

“Perché, non sta bene?” chiesi subito, incapace di celare la mia preoccupazione. Temevo che il crollo che avevo visto in lui in quegli ultimi mesi adesso avesse avuto terribili ripercussioni sulle sue condizioni di salute.

“Non credo, no. Non so dirglielo con esattezza, io non sono un medico. Sono passato a trovarlo perché, senza dubbio ha notato anche lei, c’è qualcosa che non va e che non intende dire a nessuno. Ero preoccupato e sono passato a salutarlo ma, quando sono arrivato, dormiva sulla poltrona, rannicchiato come un gatto. Quando me ne sono andato, era ancora lì, non aveva mosso un muscolo. Sono rimasto per po’ per controllare che non smettesse di respirare. Non aveva un bell’aspetto e sembrava avere un sonno agitato, ma non sono riuscito a svegliarlo. Adesso devo andare, Dottor Watson, il lavoro mi attende. Abbia cura di mio fratello. Buona serata.”

Non riuscii neanche a ricambiare il saluto, avevo la gola secca. Corsi subito dentro lo stabile e su per le scale, impaziente di controllare quali fossero le sue reali condizioni e, se possibile, aiutarlo. Bussai insistentemente alla porta, ma non ricevetti alcuna risposta, così decisi di entrare. Se persino il pigro fratellone si era preoccupato al punto di uscire da casa per controllare che stesse bene, Holmes non poteva più negarmi che qualcosa non andava.

Lo trovai esattamente dove Mycroft mi aveva detto di averlo lasciato: era rannicchiato sulla poltrona, in una posizione tale da sembrare più piccolo, e una spessa coperta, probabilmente messa a scaldarlo proprio dal fratello (Holmes non aveva certi riguardi nei confronti della sua persona) a coprirlo fin sotto gli occhi. Nonostante stesse dormendo e desse l’impressione di farlo da molto, i profondi aloni scuri sotto i suoi occhi chiusi tradivano ancora quella pesante stanchezza di cui ero stato sventuratamente testimone nel corso degli ultimi mesi. Mai lo avevo visto in condizioni così terribili. Se non fossi stato appena rassicurato sul fatto che respirasse, dal suo aspetto avrei potuto benissimo dire che era morto.

Ovviamente, essendo un medico sarebbe stato più semplice avvicinarmi e controllare con più accuratezza le sue condizioni, ma la vista che avevo davanti mi teneva inchiodato dov’ero. Cosa poteva aver ridotto in quelle condizioni lo stoico Sherlock Holmes?

Non so quanto tempo persi a fissarlo, senza muovere un solo muscolo, con lo sguardo fisso sul suo viso addormentato, ma alla fine trovai la forza di camminare su quello spesso tappeto, intriso di polvere poiché Holmes non permetteva a Mrs. Hudson di entrare nelle nostre stanze – no, le sue – per pulirvi. Mi muovevo con cautela, nonostante il tappeto attutisse ogni suono. Mi sembrava quasi di essere un estraneo nel mio stesso mondo, adesso. Tutte quelle cianfrusaglie, i cimeli, i nostri ricordi – almeno quelli erano ancora di entrambi, mi sembravano adesso sconosciuti quanto il loro proprietario. Difatti, ormai, Holmes per me era solo un oscuro sconosciuto. Se non lo avessi conosciuto ormai da quasi quindici anni, non mi sarei mai proposto di avvicinarmi a un tipo simile se lo avessi trovato in un bar o in qualunque altro posto. Holmes sembrava aver perso quel carisma che lo contraddiceva, per rimpiazzarlo con un uomo ancora più freddo e distaccato di quanto non fosse mai stato prima. L’uomo che avevo davanti adesso non era Sherlock Holmes.

Quando finalmente raggiunsi la sua poltrona, dopo quella che mi parve un’eternità, abbassai gli occhi sul pavimento. A Holmes non piaceva che le sue cose fossero spostate, quindi Mycroft non aveva rimosso la bottiglia vuota di brandy, il bicchiere rovesciato a terra e la siringa con l’astuccio in marocchino rigorosamente vuoti come la bottiglia. Con un gesto stizzito e seccato, spostai tutto, ormai incurante di fare rumore o no, e m’inginocchiai, cosicché il mio viso fu all’altezza di quello di Holmes, sul bracciolo della poltrona. Nonostante il fuoco acceso, nella stanza faceva un po’ freddo così scostai con cautela la coperta che lo copriva, in modo da non procurargli un trauma per lo sbalzo termico, e la abbassai fino a che lo copriva solo dai fianchi in giù. Nonostante la mia precauzione, Holmes rabbrividì e si rannicchiò se possibile ancora di più, stringendosi le braccia al petto per scaldarsi. Non riuscivo ancora a capire chi avessi davanti.

Sospirai e mi tolsi i guanti, così quando gli afferrai cautamente un polso per testare il battito cardiaco, avrebbe sentito la mia mano scaldata e non la fredda superficie della pelle di quell’indumento. Difatti, non si lamentò ed io potei testare con tranquillità il battito; preoccupantemente lento. Portai la mano libera sulla sua fronte così sentii anche che aveva la febbre alta. Sicuramente si era reso conto delle proprie condizioni; perché, quindi, non mi aveva chiamato?

Mi alzai dal mio posto e corsi in bagno per riempire una tinozza di acqua calda, ove immersi un panno che, raggiunto di nuovo il salotto, usai per tamponargli la fronte. Quelle improvvise attenzioni dovettero ridestarlo dal torpore del sonno perché lentamente aprì gli occhi, sbattendoli poi velocemente un paio di volte per mettere a fuoco. Cercai di ignorarlo e proseguii il mio lavoro.
“’ats’n?” biascicò con incertezza.

Interpretai quel suono disarticolato come il mio nome, così mi limitai ad annuire, senza mai spostare lo sguardo dal mio lavoro anziché abbassarlo sui suoi occhi; non avrei sopportato di vederlo così.

“C’sa shi fa ‘i?”

Riportate queste parole per iscritto, sembrano molto più comprensibili di quanto non fossero quando dette, quindi, più per puro istinto che per volontà, abbassai lo sguardo con aria confusa. Trovai due occhi lucidi, appena appena aperti e offuscati che mi guardavano, le sopracciglia aggrottate nel tentativo di mettere a fuoco più chiaramente.
“Aspetti qui, le vado a prendere un bicchiere d’acqua. Magari dopo riesce a parlare in modo comprensibile.” Dissi e mi alzai.
Cercai di mantenere un’aria composta mentre mi dirigevo verso la porta per scendere al piano di sotto, ma appena fui fuori, rincuorato che Holmes fosse troppo stordito per sentire i miei passi affrettati, scappai di sotto quanto più velocemente potevo, in cucina, e riempii un bicchiere d’acqua per tornare poi di sopra in tutta fretta.
Holmes era ancora nella posizione in cui l’avevo trovato, solo che lo sguardo vagava in modo incoerente e confuso per la stanza, come se non riconoscesse il posto in cui era, e si era di nuovo tirato la coperta sopra le spalle.
Sbuffai. Ero deluso dal suo comportamento ma sapevo che c’era una ragione se si stava uccidendo con tanta diligenza. E temevo di essere io quella ragione. Ma avevo convissuto con Mary per circa un anno e non si era mai ridotto così. Soltanto da quando era tornato da quelle turbinose cascate, dopo… il matrimonio. Dopo che il mio trasferimento era ufficiale e avevo giurato che non avrei mai più preso parte ai suoi casi. E non lo vedevo che ogni tanto. Poteva davvero essere stata la mia mancanza dall’appartamento e nella sua vita a ridurlo in quelle condizioni? Eppure aveva vissuto per anni senza neanche sapere che esistevo.

Gli portai il bicchiere, che lui fissò per qualche attimo con occhi ancora confusi, per poi tirarsi su in una posizione seduta e afferrarlo debolmente. Doveva avere la gola secca perché lo buttò giù come se non bevesse da secoli.
“Che cosa mi aveva chiesto?” gli domandai, cercando di suonare neutrale e indifferente a quel suo comportamento mentre mi toglievo finalmente il cappotto e il cappello.

“Niente…” borbottò, massaggiandosi gli occhi. “Mio fratello è stato qui.”

“Allora non dormiva.”

“Invece sì. Ma chiunque potrebbe riconoscere la terra lavorata che si trova nelle aiuole fuori dal Diogenes Club. Mycroft ha un ottimo spirito d’osservazione ma una scarsa considerazione della natura quando ha troppi pensieri ad affollargli la mente e non bada a dove cammina.” Rispose, indicando un poco di terriccio sul tappeto, di fronte al camino. “Il fatto che la terra nelle scarpe non sia stata persa camminando significa che è venuto qua in carrozza, il che è coerente con il carattere pigro del fratellino. E non avevo quella coperta addosso quando mi sono addormentato.”

“Potrei averla coperta io.”

“Improbabile. Si sta spogliando solo adesso, quindi è qui da poco. Quando mi sono svegliato lei stava esercitando il suo mestiere di medico, cosa che suppongo le venga istintiva. Non credo che avrebbe dato la precedenza a una coperta che avrebbe trovato nell’armadio di sotto di Mrs. Hudson alla sua naturale indole.”

Non capivo perché continuassi così insistentemente a metterlo alla prova quando sapevo benissimo che non avrebbe mai deluso le mie aspettative. Forse, poiché ormai non lo seguivo più nel suo lavoro, volevo poter sentire comunque le sue brillanti deduzioni per sentirlo in qualche modo più vicino o per riuscire ad accettare che quello sconosciuto davanti a me fosse davvero Sherlock Holmes.

“Avrebbe dovuto chiamarmi quando si è sentito male.” Dissi, anziché dargli la soddisfazione  di elogiare le sue doti. Senza dubbio, però, il mio silenzio gli avrebbe suggerito che aveva ragione.

Si stese di nuovo per qualche attimo, massaggiandosi le tempie, gli occhi di nuovo chiusi.

“Non sono mai stato meglio. Non sono ammalato, questa è solo una controindicazione di un mio esperimento.”

Chiusi gli occhi e cercai di mantenere la calma. Quando anche io vivevo a Baker Street, Holmes era molto più controllato con i suoi vizi, perché sapeva che io ero lì a bacchettarlo e a fargli sparire le droghe, gli anestetici, gli alcolici… ma adesso stava evidentemente sfogando quegli anni di “oppressione della sua personalità”, come disse lui una volta, e se prima pensavo che si stesse uccidendo, adesso non sapevo più cosa pensare.

“Smetterà mai?” chiesi con esasperazione.
Ormai sapevo che chiedergli di farlo o cercare di imporglielo era inutile, avrebbe comunque fatto sempre di testa sua.
“No.” La risposta fu secca e fredda. Quasi sembrava che gli avessi chiesto di sacrificare la vita in cambio di un sasso. Non mi aveva preso in giro per la mia preoccupazione, ma aveva solo liquidato l’argomento con la solita freddezza degli ultimi mesi. Quella non era che l’ombra dello Sherlock Holmes che conoscevo.

Che cosa avrei potuto dire, adesso?  Ribattere non avrebbe portato a uno dei nostri soliti battibecchi, lo sapevo; con questo “nuovo” Holmes, sicuramente saremmo arrivati a un litigio in piena regola, da cui non sapevo come ne saremmo usciti. Mi limitai a sbuffare silenziosamente e mi sedetti sulla mia vecchia poltrona, alla disperata ricerca di un argomento pacifico di cui parlare, ma l’aria s’era fatta talmente fredda, intorno a noi, che anche il mio cervello sembrava essersi gelato con essa. Mi sembrava di essere sul filo del rasoio, in cui una parola mal espressa o un gesto fraintendibile avrebbero causato l’inevitabile caduta. Qualunque cosa potessi dire o fare, temevo che avrebbe ulteriormente compromesso il mio rapporto con Holmes.

Quando si scoprì gli occhi, il suo sguardo si mosse sul muro di fronte a sé, ma sembrava che non lo vedesse davvero; i suoi occhi erano offuscati, lo sguardo si muoveva di tanto in tanto in modo impercettibile, perso com'era nei suoi pensieri.

“A volte pagherei qualunque cifra per sapere a cosa pensa…” mormorai inconsciamente.

Immediatamente mi pentii di quello che avevo detto. Per quanto la mia voce fosse stata bassa, i sensi di Holmes erano molto più sviluppati di quelli di qualunque altro essere umano e poteva benissimo considerare queste mie parole come un’invasione del suo spazio personale se mi avesse sentito. Di fatti, si voltò a guardarmi. Sentii le guance andare in fiamme, ma non distrassi lo sguardo, non volevo fornirgli un’ulteriore prova del mio imbarazzo.

Per qualche attimo rimase immobile a fissarmi, poi spostò velocemente gli occhi al tappeto in quello che quasi sembrava… imbarazzo?
“Pensavo a com’erano le cose prima.”

La sua voce era bassa almeno quanto la mia di poco fa. Non doveva essere stata una cosa semplice da dire per lui; mostrare una simile nostalgia, seppur in modo non troppo chiaro per me, non era decisamente cosa da Sherlock Holmes.
“Cosa intende?” provai a chiedere. Qualcosa me lo aveva detto, potevo sperare che mi dicesse di più.

Non ebbi mai una risposta di nessun tipo. Fece come se non mi avesse sentito e prese la pipa e la ciabatta persiana con dentro il tabacco per fumare.
“A cosa devo il piacere della sua visita?” disse a un tratto, lo sguardo ben lungi da me.

“Sono passato a vedere se stava bene.” Dissi automaticamente. Mai gli avrei detto che era per malinconia che mi trovavo a Baker Street, e gli avevo fornito la stessa spiegazione di ogni volta. Non mi resi mai conto che doveva essere poco gratificante, per lui, sapere che il suo migliore amico andava a trovarlo solo per dovere di medico e mai per affetto, ma d’altra parte, lui non aveva mai neanche visto la mia casa di Cavendish Place, che cosa mai avrebbe potuto dirmi?

“Poteva risparmiarselo. Non ho bisogno di lei.”
Rimasi a fissarlo per qualche secondo, impietrito. Non c’era traccia di reticenza o di rammarico, sul suo volto; quelle parole affilate erano state pronunciate senza menzogna né pentimento. Distrassi lo sguardo, cercando di ignorare la fitta al cuore che la sua voce gelida mi aveva procurato e presi il giornale dal tavolo dinanzi alle nostre poltrone.
“Ha seguito qualche caso interessante?” chiesi, ostentando non curanza, come facevo sempre, sperando di ristabilire una qualche traccia di normalità in quell’appartamento. Senza successo.

“No.” La sua voce era di nuovo fredda come prima, e il tono non indicava che intendesse proseguire in qualche modo. Non ero disposto a sopportarlo, subire un trattamento simile da lui era troppo anche per un uomo temprato come me.
Mi rialzai immediatamente dalla poltrona, lanciando il giornale da una parte e indossai nuovamente il cappotto e il cappello.

“Se le mie visite la infastidiscono tanto, non ha che da dirlo, Holmes!” sbottai, chinandomi davanti alla sua poltrona per raccogliere i guanti che avevo lasciato sul pavimento quando avevo iniziato a curarlo, e li rimisi.
“Non capisco perché continui a venire se ha avuto tanta fretta di andarsene.” Rispose invece lui, finalmente guardandomi negli occhi.

Strinsi i denti e mi rialzai velocemente; stavo disperatamente concentrando tutta la mia energia sul mio auto-controllo per non mettermi a urlare. Dovevo andarmene immediatamente o lo avrei preso a pugni. Avevo provato più di una volta a dirgli che il mio matrimonio non avrebbe compromesso in alcun modo la nostra amicizia, ma lui sembrava pensarla diversamente.

Mi voltai, dirigendomi verso la porta. Sarei tornato in serata per scusarmi del mio comportamento se la sua voce non mi avesse fermato dov’ero.
“Comunque, sì: le sue visite mi infastidiscono. Gradirei non venisse più.”

Sentii il mondo mancarmi sotto i piedi. Non avrei più dovuto voltarmi indietro, adesso, non avrei più dovuto vedere il suo viso se non sui giornali, secondo lui. Quello era uno sgarbato addio. Mi vennero le vertigini, la nausea, e controllare le lacrime che minacciavano di sgorgarmi dagli occhi da un momento all’altro si faceva difficile.
“Molto bene…” mormorai, e scappai fuori, poi in strada.
Il rumore di Londra, la vita fuori da quell’edificio, le risate delle persone, improvvisamente mi irritavano. Mi sembrava quasi che la città intera mi deridesse per quello che avevo perso. Improvvisamente privo di forze, mi appoggiai al muro alle mie spalle e lasciai che le lacrime scivolassero libere sul mio viso.

--

 

Holmes guardava Watson piangere dalla finestra dell’appartamento con falso disinteresse. Perché stesse recitando anche adesso che era solo, era un mistero anche per lui. Fingeva di essere indifferente a se stesso, al mondo, a Lui. Ma non era così. Era per quell’abbandono, quel tradimento che stava cercando di uccidersi in quel modo. Preferiva che fossero le sue usuali abitudini a ucciderlo. Un vero suicidio, veloce e indolore… non ne aveva il coraggio.

Rimase a guardare Watson piangere per qualche minuto poi, sospirando, chiuse la tenda e andò in camera sua, dove aveva nascosto una dose di riserva della sua cocaina. Quell’addio era stato necessario. Continuare a vedersi faceva male a entrambi, dovevano finirla una volta per tutte.

Una volta tornato in salotto e seduto sulla sua poltrona, riempì la siringa di quel veleno e la iniettò nel braccio martoriato già da numerosi buchi, per poi rannicchiarsi di nuovo e coprirsi, sperando che, almeno per qualche ora, avrebbe potuto dormire un sonno pacifico, senza sogni.


“I was thinking to how it was back then.”
“What do you mean?”
“I mean things change, people change. You changed. We used to talk for hours and now I’m lucky if I talk to you for a few minutes a day. You used to want to be with me and now you make it seem like you’re always too busy. I remember the jokes, laughs, smiles we shared. And I doubt you remember any of that.”

[NDA]
La frase in Inglese viene da un'immagine che trovai su facebook, dei messaggi degli iPhone. Non la trovo più. Se qualcuno la trovasse, può gentilmente linkarmela, così la inserisco nei credits?

Ah, ovviamente i personaggi non mi appartengono. Si appartengono a vicenda u.u

   
 
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