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Autore: Pravorum    30/05/2012    1 recensioni
La vicenda si svolge nella Sicilia del 21° sec. e vede protagonista una ragazza di nome Luna che vive la sua vita cercando continuamente un’ascesa sociale che riesce ad ottenere con le sue capacità di pensiero in grado di stupire chi le sta attorno. I genitori sono abbastanza assenti nella sua vita, infatti nella storia sono citati pochissime volte ma nonostante ciò essa cerca in ogni modo di renderli fieri anche andando contro se stessa.
Scopre la passione per il calcio e proprio per questo abbandona la danza ritmica che le era stata imposta fin da bambina dai genitori.
Entrata a far parte di una squadra femminile scopre la sua omosessualità che si contrappone in ogni modo alla maschera sociale che per anni è stata dipinta sul suo volto, ciò le crea parecchi disagi interiori, soprattutto poiché scopre di essersi innamorata di Gloria, sua compagna di squadra.
Quando i genitori scoprono le nuove verità sulla figlia la rinchiudono in casa impedendole di vedere l’amata.
L’elaborato è costituito da infranti della sua tortuosa storia che trascrive su buste di tabacco, proprio per questo è divisa in brevi capitoli.
L’epilogo della storie vuole dimostrare come riuscire ad abbattere stereotipi e pregiudizi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Temi

-Maschere.
-Frantumazione dell’io.
-Critica al concetto d’identità personale.
-Affermarsi di tendenze spersonalizzanti.
-Indebolimento dell’io.
-Forma/Trappola. (famiglia, condizione economica, sociale).
-Rifiuto della vita sociale e dei ruoli che impone.
-Bisogno di autenticità.
-Solitudine.
 

“La morte, se non è un pensiero, non fa paura.”

Queste sono le mie ultime memorie, sono stralci di vita scritti su cartine e buste di tabacco, rappresentano la vita che ho sempre desiderato e il declino dei miei pensieri che diedero vita ad un dissidio troppo avverso da poter controllare.

 Il mio canovaccio.

“-Ed ecco l’eterno capitano della Juve, Alessandro Del Piero, che si prepara al miracolo.
-Certo Bruno, se il Pinturicchio segnasse sarebbe il goal della ribalta.
-Una punizione complicata quella che si appresta a calciare l’eroe della giornata, ma lo abbiamo già visto cimentarsi in imprese impossibili… ed ecco la rincorsa da metà del campo avversario…”
Il cuore batte prepotentemente, più del dovuto e l’ansia sale dilagando in sudore. Gli occhi spalancati e fissi sul televisore, si prepara all’atto ed inizio a trattenere il respiro.
La palla viene colpita con maestria, è una punizione perfetta, calciata a regola d’arte. Scavalca con assurda facilità la barriera avversaria e sfonda la porta all’incrocio dei pali.
“-Ed è goal!
-Incredibile!”
Le parole dei cronisti vengono soffocate dalle mie urla fiere che sembrano esplodere in un pianto di commozione, perché non c’è emozione più bella che veder segnare dal capitano il goal del vantaggio, e perché il calcio ha sempre suscitato in me delle reazioni devastanti che non si addicono per niente ad una ragazzina posata e per bene come tutti mi vedono.
Perché il calcio non è uno sport femminile, e perché io ho la passione per la danza ritmica.
Eppure quando salgo sulla trave e volteggio in essa ho solo paura di venire giù, quando la mia mano impugna debolmente il nastro ho il terrore di non essere in grado di controllarlo a dovere e fare un disastro.
Ma ciò è quello che i miei genitori desiderano e sono orgogliosi dei traguardi raggiunti, al contrario di me però, che non appena posso getto via scarpette e body ed indosso pantaloncini e calzettoni, rifugiandomi in un mondo di erbetta sintetica.
Poi il pallone che corre davanti a me, sembra poesia.
Mi rifugio fra i ragazzi poiché non ho mai avuto la possibilità di incontrare ragazze con questa passione.
Non dovrei chiamarla così, non deve essere una passione la mia, “è contro natura” mi ripete mio padre.
La partita termina con la vittoria della mia Juve e felice vado a dormire, domani ci sarà compito in classe di italiano, meglio essere riposati.
Tutto scorre inesorabilmente, con la solita monotonia di una giornata scolastica e con i soliti dissidi che ogni giorno sono costretta ad affrontare. Dissidi e problemi che nessuno conosce e che mi porto tacitamente dietro da una vita.
Finalmente l’ultima campana strilla all’intero liceo che siamo liberi di andar via e corro a prendere il motore per tornare subito a casa.
Pranzo velocemente in modo da non ritardare alle prove per lo spettacolo, la voce puntigliosa di mia madre inizia ad evocare miliardi di domande insulse e che non hanno nulla di profondo, rispondo con malavoglia e nervosismo per poi afferrare il borsone e rimettermi in sella al mio motorino.
È su di esso che passo il mio tempo a coordinare pensieri e cose da fare, come comportarmi e come cercare di non deludere nessuno ma purtroppo i minuti su di esso sembrano sempre troppo pochi e già l’entrata della palestra sembra invocare il mio nome.
Terminata quell’agonia di due ore faccio velocemente la doccia, oggi c’è il consiglio d’istituto e come ragazza modello non posso mancare ad un confronto con i professori ed il preside, ma per essere qualcuno in questa società devi necessariamente assumere una posizione che più è elevata più ti porterà rispetto e fama.
Qui la fama conta tutto o si rischia di venir sbranati e passare nell’anonimato e ciò non fa per me, che sono nata per fare grandi cose e morirò per le medesime. Forse a 17 anni questi sono pensieri contorti, ma ho imparato a mirare oltre ogni aspettativa ed ho intenzione di superare ogni limite che mi viene posto.
Nascere in una famiglia meno che benestante di certo non aiuta perché nella società odierna se non hai i soldi e vesti bene non sei nessuno, eppure ho sviluppato un modo di pensare proprio e complesso che lascia interdetto ogni adulto, con un linguaggio che pochi alla mia età padroneggiano ed è solo con queste capacità di pensiero ed espressione che oggi sono tutto ciò che molta gente invidia.
Il ruolo che recito ogni giorno è il perfetto canovaccio di una splendida commedia che persino Goldoni invidierebbe, eppure dentro me c’è tutt’altro di ciò che mostro al mondo esterno.
Ho un fidanzato copertina, bello e popolare, ma che realmente non amo, forse perché fino all’anno scorso ho pianto troppo per un amore stroncato dai miei genitori, che non ritenevano il mio ex fidanzato alla mia altezza e quindi, come sempre, come ho sempre fatto in quasi 18 anni di vita, ho accontentato coloro che mi hanno messa al mondo lasciandolo.
Non sono più stata in grado di provare sentimenti, non mi manca neanche il sesso, che mi appare stolto ed impuro, insensato nell’atto poiché privo d’amore.
Anche la riunione passa in fretta, fortunatamente nessun contrasto irrisolvibile viene esposto e noi rappresentanti veniamo “rilasciati”.
È ancora presto per tornare a casa e devo scegliere se andare a prendere un caffè con gli altri rappresentanti o andare a vedere una partita.
Studio da lontano i miei amici e sorrido amaramente, mi chiedo spesso in che mondo sono finita, in che fango mi sono cacciata. Vedo griffe e pettegolezzi attorno a loro, vedo la voglia di apparire e di mostrarsi, tutto questo è il mio habitat e infondo piace anche a me; mi piace sentirmi gli occhi addosso quando passo e adoro l’invidia degli altri nei miei confronti.
Mi sento più forte, mi fanno sentire più bella.
Scuoto la testa per scacciare via questi pensieri e decido di andare a vedere una partita.

La svolta.

Qualcosa di insolito attira la mia attenzione, dieci ragazze si dilettano abilmente nella gabbia giocando a calcetto, la mia attenzione viene rapita dai loro movimenti e mi avvicino al campo per poi entrarvi ed andare verso la panchina.
Una palla troppo veloce si dirige verso di me colpendomi allo stomaco, la loro reazione si manifesta in una sonora risata e la n.15 si avvicina a me con un ghigno dipinto sul volto.
“Beh tranquilla, non è da tutti riuscire a bloccare un pallone”.
Con la mano ancora sulla pancia la osservo con aria di sfida.
“Mi hai colta alla sprovvista, potrei sorprendervi”.
Nota il borsone dal quale fuoriesce il nastro da ritmica e con tono divertito si rivolge ancora a me.
“Una ballerina? Non credo proprio!”.
Con un palleggio alzo il pallone per farmelo finire fra le mani.
“Fatemi provare allora”.
Sorrido sfrontata rilanciandoglielo addosso.
“Bene ballerina, metti una casacca e vai con le altre, sarò io a testarti.”
Riesco a percepire un briciolo di ostilità nelle sue parole, mi guarda per l’ultima volta dall’alto in basso e si volta per mettere la palla a centro campo.
“Bene n.15”.
In pochi minuti, dopo aver inquadrato le caratteristiche delle mie compagne di squadre e le carenze nelle avversarie, fra lo stupore generale, riesco a togliere la palla proprio a colei che con toni sfacciati poco prima mi aveva derisa, e con uno scatto carico di adrenalina riuscire ad andare in porta e fare goal.
Vi è qualche istante di silenzio in campo che mi da il tempo di sorridere alle mie compagne e lanciare uno sguardo di superiorità alla n.15.
“Bene, mi ha fatto piacere giocare con voi ma devo andare. Bye bye!”.
Detto ciò con un gesto quasi teatrale della mano faccio un cenno di saluto e mi accingo a recuperare il borsone per poi uscire subito dal campo e tornare al motorino, sto già per partire quando noto la 15 correre verso di me e bloccarmi.
“In che squadra giochi?”
Mi chiede un po’ affannata.
“Come hai notato tu stessa sono una ballerina, il calcio è un hobby.”
Sembra esserci elettricità nell’aria, mi mette stranamente in soggezione ma faccio di tutto per non darlo a vedere.
“Ti aspettiamo qui domani alla stessa ora “ballerina”, abbiamo bisogno di qualcuno come te”.
“Vedrò di esserci, ma non ti assicuro nulla”.
“Verrai, e sai perché? Perché ho visto i tuoi occhi brillare e il tuo corpo reagire irrazionalmente, non è un hobby come dici tu, vedo la passione”.
Resto qualche istante interdetta e abbasso il viso.
“A domani n.15”
“Chiamami Gloria, “ballerina””.
“Chiamami Luna, ciao!”
Detto ciò accendo il motore e torno a casa.
La notte mi avvolge pesantemente insinuando nella mia mente strani pensieri, guardo in lontananza i trofei che spiccano da una mensola e ripenso alle parole di Gloria prima di finire fra le braccia di Morfeo.
Il giorno dopo mi sveglio pensando a lei e percepisco che qualcosa sta mutando in me, forse dovrei lasciare la danza, quando gioco a calcio mi sento davvero felice, mi sento me stessa.
Il pomeriggio torno alla gabbia ritrovandole tutte li, iniziano gli allenamenti ed il legame fra me e Gloria si intensifica, giochiamo sempre contro e c’è una sana competizione.
Passano così le prime settimane e il mondo del calcio occupa ormai gran parte del mio tempo, tanto da non riuscire quasi più a conseguire con la danza, mi tocca scegliere.
La decisione è già limpida nella mia mente, devo solo riuscire a farla accettare ad i miei genitori.

La decisione.

“Mamma, papà… vi devo parlare.”
Mi guardano un po’ preoccupati prima di parlarmi.
“Non sarai mica incinta?”
Balbetta mio padre un po’ impaurito.
“Nono tranquilli ma… voglio lasciare la danza.”
I loro volti divengo improvvisamente pallidi e temo che tutto ciò scateni in un infarto, sono io infatti a riprendere la parola.
“Non riesco più ad andare avanti, è diventato un peso questo sport, mi opprime. Scusatemi ma io mollo tutto.”
“Sei certa di questa decisione? Hai raggiunto traguar…”
Lo blocco immediatamente contrapponendo la mia voce alla sua.
“Sono certa papà, con la danza ho davvero chiuso.”
Mia madre non dice nulla ed esce sconvolta dalla stanza, mio padre si alza in piedi e mi guarda per l’ultima volta.
“Spero solo che non te ne pentirai.”
Anche lui mi lascia sola, ma del resto non è una novità per me. Il loro orgoglio non l’ho mai davvero visto e per tutta la vita ho lottato contro me stessa per farli felici, è ora che sia felice anche io.
La vibrazione del mio telefono sovrasta i pensieri; è un messaggio di Gloria.
“Vieni alla gabbia, ti dobbiamo parlare.”

Metamorfosi.

Ma giunta alla gabbia trovo soltanto lei. La situazione è strana ed iniziamo a parlare di generalità ma il mio sguardo è tutt’altro che generico e sento il cuore accelerare i battiti. Lei capisce, capisce perfettamente e d’un tratto ritrovo le mie labbra fra le sue.
Mille pensieri mi annebbiano e la riluttanza iniziale diviene voglia e non riesco a staccarmi più da lei.
Sembra che la mia anima sia finalmente libera e la paura di ciò che sta accadendo mi corrode. Non posso essere lesbica…

Settimane dopo…

Il sentimento non andava via.
Ho combattuto da nobile guerriera  ma non potei  nulla contro le emozioni che mi venivano donate.
Perché lei è un astro nascente che splende nell’oscurità della mia anima, infiammandola di un qualcosa che ho sempre voluto reprimere.
Mi ha stravolto la vita.
Lo ha fatto piacevolmente, privandomi di ogni assurda convinzione che finora era stata radicata nella mia ragione.
Ha devastato l’impero che ero riuscita ad innalzare per sovrastare la marcia società da cui sono circondata, fatta di bugie, soldi e rancore; lo ha fatto con un bacio.
Forzato ed inaspettato, atteso.
E’ uno sbaglio, è lo sbaglio più grande ed insensato che potrò mai fare, eppure è un errore che rifarei altre mille volte.
Riesce a lambire con assurda semplicità i miei pensieri trascinandoli in luoghi a me sconosciuti, insinuandosi prepotentemente in essi e regnandovi incontrastata.
Mi ha strappata alla monotona vita sociale in cui vezzeggiavo abilmente e mi ha portata in un mondo parallelo, dove la normalità viene bruciata da un’atmosfera fatta di sogni e voglie.
Esistiamo solo noi in quel mondo parallelo dal quale non vorrei più venir fuori, perché li non sono più io a dominare, non sento più pressioni addosso.
Lo stato assolutistico non decade però del tutto, si muta in dispotismo illuminato.
Mi approccio così alla sua filosofia di vita lasciando la luce penetrarmi fin nelle membra, lasciandole dissolvere l’oscurità e l’ignoranza che è dilagata in me negli anni.
Sono ancora la regina, ma lei ha fatto scacco matto.

Solo una fiaba.

Eppure i sogni svanisco e la realtà implica ben altro.
Tutto viene a galla e tutto svanisce. I miei genitori in poco tempo scoprono che qualcosa in me è cambiato, vengono a sapere della mia passione per il calcio, e soprattutto scoprono di me e Gloria.
Le grida, l’isteria, la delusione ed i pianti. Poi la punizione e la mia vita che sembra sgretolarsi.

Priva di te.

Ci terranno distanti e preferirò morire. Preferisco la morte piuttosto che non rivedere il tuo sorriso.
Quella curva delle tue labbra che faceva rinascere in me la voglia di riscoprire un mondo che avevo sempre visto cupo. Perché nell’oscurità delle maschere sociali ci sono cresciuta e come tale ho sempre disprezzato le diversità.
Ora mi trovo io ad essere diversa ed essere malamente giudicata. Adesso che tutto è venuto fuori e mi ritrovo imprigionata in casa, privata della luce che emani, che dal primo momento è riuscita a scaldare un cuore gelido.
Affetta da un male radicato nel sangue, è ora che mi sento malata.
Perché quest’atroce malattia d’amare lo stesso sesso mi dilania i pensieri ed ora invoco la morte.
Un mondo senza di te non lo vedo più.
Un mondo assieme a te viene visto sbagliato.
Sbagliati sono la società e i pregiudizi. Cosa c’è di sbagliato nell’amore casto?
C’è l’errore della diversità, che non verrà mai davvero accettata.
Ed ora che posso farci se ti amo? E se senza il tuo profumo mi sembra inutile anche respirare, perché nulla ha il tuo odore.
Perché mangiare? Preferisco lasciarmi morire, senza te ora non ha senso nulla.
Inutile l’aria che non ha il tuo odore, inutile l’acqua e il cibo che non hanno il tuo sapore. Inutili le emozioni che potrei provare, perché paragonate a ciò che mi davi tu sarebbero nulle.
Inutile anche io ora senza di te. Sono un corpo senz’anima, perché quella l’ho regalata a te.
Sai... il cuore te lo avrebbe potuto donare chiunque, ma l’anima? Beh, no.
Quella vibrava solo per te, era dipendente da te.
Quindi eccotela, io non me ne faccio più niente, amore mio, perché niente sono ormai senza te.
Dagli occhi sgorgherà presto sangue, perché le lacrime stanno terminando.
Segregata in casa, lontana dalla felicità.
Qualche metro distanti, coloro che mi hanno dato la vita versano lacrime di rimpianti e rimproveri, perché non credevano che loro figlia potesse essere malata, ma soprattutto non credevano che in loro figlia potesse esservi tanto malessere.
Perché la bambina ha finalmente parlato e detto loro ciò che ha sempre pensato e non ha mai espresso per non ferirli.
Le verità scomode stravolgono ogni convinzione.
Le parole di una figlia in lacrime che finalmente libera i dolori nascosti in una vita fanno mancare il respiro, perché nessuno aveva mai pensato che anche questa figlia avesse bisogno di un abbraccio, di una carezza... di parole dolci e di complimenti.
Che non si vive essendo paragonati ad altri e sempre declassati.
Perché nei loro occhi non ho visto mai la soddisfazione, ho sempre visto rimproveri taciti e delusione.
Ed ora se ne pentono piangendo, entrambi.
Adesso gli è tutto più chiaro, ora la bambina sembra quasi una donna, cresciuta troppo in fretta.
Con delusioni che loro non immaginano.
La donna piange disperata e si sente svenire, è stata privata della libertà, della felicità.
Senza lei la felicità non la vedo più.
Eppure penso d’essere ancora viva e chiunque direbbe che è questo che conta, ma io penso solo a lei che è la mia vita.
Sarei disposta a tutto per sentire la sua voce.
Per sentirmi dire che non sono sbagliata, che sono amata anche io, perché mai mi ci sono sentita in questo modo.
Ogni pensiero spiega le ali fuori dalla finestra in cerca di te, e muore straziato dai miei pianti.
Questo dolore appesta la vita che c’è in me e sembra spegnerla.
Si può morire di questo dolore?
Ora sono sola, di nuovo sola.
Come un’assassina mi ritrovo in una cella, eppure non c’è sangue nelle mie mani, non c’è niente di impuro in esse. Le carezze che ti ho donato assumono un colore sui miei palmi ed ora ricordo ogni volta che ti ho sfiorato e tutti i pensieri tornano a galla straziando il mio cuore.
Quella pelle diafana di cui amavo sentire il calore.
Quella pelle che ora posso solo sognare.
Passano i giorni e la stanza muta forma diventando un tutt’uno con me, il mondo fuori sembra non appartenermi più e mi chiedo se qualcuno si è accorto della mia assenza e se qualcuno si chiede il motivo.
Vorrei controllare il cellulare che giace spento chissà dove per sapere se vengo pensata e per poter parlare con chiunque.
Eppure questa situazione mi dà il tempo di riflettere in pace e riordinare i pensieri, ed ora, in questo angolo metafisico che mi sono creata fra le mura della mia cameretta, ritrovo me stessa in quella solitudine che non provavo da tempo. Da sola raziono meglio, da sola faccio tutto meglio, perché amo la solitudine anche se spesso è diventata una malattia nella mia mente. Un tremendo virus che non ha vaccino e che spegne ogni cellula del mio corpo lasciando che questo si abbandoni a strani e contorti pensieri, che alla mia età non dovrebbero esistere.
Renato Zero una volta disse: “La morte, se non è un pensiero, non fa paura”. Io quella morte non l’ho mai temuta, anzi spesso l’ho desiderata, come se fosse sempre stata uno scopo da perseguire. La morte sarebbe stata il mio traguardo finale, la coronazione della mia vita, e come tale non sarebbe avvenuta per mano di uno sconosciuto o del fato, sarebbe avvenuta per mano mia, e mia soltanto.
Aristotele si suicidò con la cicuta per il bene del popolo. Io mi ucciderò con l’atropo belladonna per lanciare un messaggio che spero riesca a cambiare qualcosa fra questa ottusa feccia.
I pensieri sono nitidi e pianifico lo spegnersi di ogni funzione corporea nei dettagli perché anche l’amore “malato” merita di esistere, perché chiunque deve realizzare i propri bisogni, di qualsiasi tonalità essi siano.
Privare una persona della propria felicità, anche se a fin di bene, è follia pura ed ora io affronterò la follia della morte per liberare un’accettazione che nel 21° secolo non è ancora stata liberata da una gabbia d’oro e potere.

L’ultima visita.

Un tonfo e la porta si chiude alle sue spalle.
L’aria che respiravo prima di accedere in quella camera, muta divenendo pesante.
L’atmosfera è greve e profuma di follia, di voglie, di desideri repressi.
Tace dinanzi a me la donna che amo e mi fissa quasi timidamente, c’è elettricità attorno a noi, nessuna delle due riesce a fare il primo passo e i secondi scorrono inarrestabili in balia di sguardi ed emozioni che non riusciamo a manifestare.
La solitudine mi ha divorato corpo ed anima in sua assenza, ha devastato ogni cellula del mio corpo mutando sia il carattere che il fisico.
Ora lei è qui dinanzi a me e il senso di vuoto pare attenuarsi in attesa di un qualsiasi contatto.
Una lacrima solca schiva i lineamenti del mio viso senza mutarne però l’espressione imperturbabile, allungo il braccio ponendo la mano verso di lei, che spontaneamente l’afferra.  La traggo addosso a me avvolgendola in un abbraccio capace di liberare nel mio petto un battito più spinto degli altri.
Le emozioni si dissolvono nel silenzio di quella camera buia rilasciando attorno a noi mute parole mai dette che nella curva delle nostre labbra che si incrociano quasi timorosamente e  non hanno bisogno di essere pronunciate.
Sono i nostri corpi a proferire per noi.
“Ti amo.”
Sussurro nervosamente mentre percepisco una dolce brezza accarezzarmi le spalle oramai nude , proviene da una fessura creata dalla finestra alla mia sinistra e dalla quale penetra un pallido raggio di luna capace di lacerare l’oscurità, capace di delineare la curva del suo volto.
Il suo corpo niveo si contrae già nella spazio angusto fra il mio petto e la parete, a farci compagnia solo un silenzio osceno dilaniato da sospiri e gemiti.
L’atto che sto commettendo non lo sento mio, io non sono così.
Dovrei essere fra le braccia di un uomo ed amarlo invece ho fra le braccia una donna e mi sento amata.
Mi dovrei essere fatta una ragione di tutta questa situazione eppure ancora non mi accetto,  accolgo invece le sensazioni che provo e i sentimenti che non riesco più a reprimere.
In modo maledettamente perfetto l’ultimo mio gemito si mischia al fruscio delle foglie che una folata di vento più vigorosa ha fatto danzare.
“Da domani finirà tutto davvero.”
Le sussurro all’orecchio con tono affannato.
“Non capisco cosa vuoi dirmi.”
La sua espressione dice tutt’altro, non ho mai udito parole più false venir fuori da quelle labbra che ogni notte danno tormento ai miei sogni, che mutano in incubi nella consapevolezza di non poterle avere. Lei capisce, ha solo paura di aver recepito fin troppo bene.
Rido disperatamente tentando di trovare un appiglio nella mia isteria e il suono della mia risata sembra chiudermisi addosso, è una trappola letale che mi sto creando da sola e che mi stroncherà a breve.
Mi manca l’aria, sono i suoi sguardi a portarmela via. Mi togli il fiato donna.
Donna… Già donna; E proprio perché sei donna sei la mia rovina, proprio perché il mio o il tuo sesso sono sbagliati per essere vissuti.
Donna mi stai portando alla morte.
Strega, che con un bacio mi hai stravolto la vita.
Dannata, che con quel cuore che sembra battere solo per me mi hai reso in dono la felicità.
Ho paura, e i tuoi occhi ancora mi rubano l’ossigeno. Meglio che il fiato lo conservi per l’ultima sigaretta perlomeno si potrà dire che non sei stata tu ad uccidermi.
Morire per uno sguardo… è ridicolo.
La risata mi deforma il viso, lo vedo riflesso nella spalliera del letto alle sue spalle, mi fa apparire macabra e di una mostruosità che sa di pazzia.
Con passo lento raggiungo la finestra lasciando avvolgere quella scatola che chiamo corpo da una brezza leggera, aspiro una boccata di fumo e guardo il mondo fuori. Di notte sembra tutto migliore, forse perché tutto tace, forse perché è nella notte che si celano i segreti più compromettenti o magari semplicemente perché questa notte è l’ultima che passerò con te.
Odo i tuoi passi avvicinarsi a me, mi volto, e di colpo il mondo fuori perde attrattiva. La mia vista è invasa dal tuo corpo e ne scorgo per l’ultima volta ogni particolare.
La cenere cade dal mozzicone sul pavimento sgretolandosi al contatto col suolo, viene seguita da gocce d’acqua salata che sanno più di dolore che di lacrime.
Piango, di nuovo, un disperato tentativo di sentirmi viva, eppure voglio solo morire.
Mi accarezzi il viso e mi stringi a te, la sigaretta mi cade di mano.
Affondo la mano fra i tuoi capelli e nascondo il viso fra la tua spalla e il collo.
“Non può continuare tutto questo, sai che non possiamo stare insieme e sai quanto ti amo, ma è ora di dire basta. Questa è l’ultima notte.”
Non mi dici niente di nuovo n.15, qui l’unica a non sapere tutto sei tu.
Non mi spaventa la morte, so perfettamente che domani cesserò di esistere. Morirò a 17 anni ma mi sento già vecchia, corrosa da una vita di falsità e scopi.
“La morte, se non è un pensiero, non fa paura.”
L’unica paura è di non riuscire a lasciare nelle memorie il motivo per cui lo faccio.
La sua stretta si allenta fino a staccarsi completamente da me.
“Cosa vuoi dire?”
Ancora fingi di non capire oh mio dolore, ma non sarò io a dirti che domani la mia vita tirerà l’ultimo respiro prima di spegnersi col sorriso sulle labbra.
Raccolgo i vestiti sparsi fra pavimento e letto indossandoli, sorrido solamente dandole le spalle.
“Buona notte, cercami nel tuo cuore quando hai bisogno, spero che da li non mi cancellerai mai.”
Non le lascio il tempo di rispondere.
La porta che si richiude alle mie spalle, allontanandomi per sempre da lei, è una pugnalata decisa che come un brivido mi percorre la colonna vertebrale.

Atropo Belladonna.

Averle detto addio ha solo incrementato il mio malessere, la prigione è divenuta follia ed il pensiero di lei è ormai ossessione. Non mangio, non rido, non piango. Sto seduta al centro del letto con la testa bassa e le mani fra i capelli, lo sguardo vacuo puntato verso il basso, nel quale si riflettono due bacche nerissime.
Il mio veleno giace sotto di me, ma sarà dolce assumerlo per eliminare così ogni altra sofferenza.
La porta si apre cigolando e la sagoma di mia madre avanza verso di me che riabbasso il capo per non mostrare il mio sguardo, mi tradirebbe.
Mi sento i suoi occhi addosso, nessuna delle due osa parlare. Solo quando i miei occhi, cupi e stanchi, si rivolgono a lei, il suo tono spezza il silenzio.
“Fai quasi tenerezza”.
Sorrido amaramente mentre quelle parole dette con falsa dolcezza e pungente insinuazione che lacerano i resti della mia ragione, la fisso in modo enigmatico e continuo a tacere.
“A che pensi?”
Le parole escono dalla mia bocca come uno spettrale sussurro. Lo sguardo mio muta in buio e non lascia trasparire emozioni.
“Io non penso”.
Mi fissa tristemente colei che mi ha cresciuta, e ancora la sua voce si inoltra nei miei pensieri disturbandoli.
“Io ho bisogno di te, lo capisci? Ci hai uccisi portando in casa questa situazione”.
Prendo una sigaretta che avevo precedentemente fatto prima e la accendo, ne assaporo intensamente il calore e colgo il male che fa ai miei polmoni.
Il fumo che si espande nell’aria disegna attimi della mia vita per poi dissolversi, esattamente come accadrà a breve alla mia esistenza.
“Tranquilla, morirò io prima di voi”.
Prendo le bacche fra le mani e le guardo con dolcezza, un ghigno si dipinge sul mio volto  nel vedere l’espressione di mia madre illuminarsi e mostrare terrore; si mamma, hai capito ora.
Amaro sapore di morte, il dolce ricordo di Gloria è il perfetto contrasto.
Buio.
  
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