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Autore: itspulcina    30/05/2012    3 recensioni
Gaia e Ricky. Due amici un pò particolari. Lei, riservata e spaventata dal giudizio degli altri. Lui, solare, un pò sulle nuvole e totalmente menefreghista delle dicerie sul suo conto. A cosa porterà l'incontro o, piuttosto, la collisione tra i loro mondi? I risvolti speciali di un S.Valentino ordinario.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aurora sono io

Com’era arrivata a tutto ciò?

Pensò mentre rimescolava il contenuto di una tazzina di caffè, ormai freddo.  Certo, era sempre stata fragile ma non tanto da lasciarsi trascinare verso il fondo. O, forse, era quello che le faceva comodo credere. Eppure, c’era quella paura, quell’angosciante paura del futuro che rischiava di soffocarla e lei non sapeva da dove venisse e come scacciarla. Era lì, appostata come un falco in attesa che la sua preda venga allo scoperto, e le oscurava le giornate, il presente. La oscurava. Avere paura era normale, ma non in quel modo, non a quel prezzo. Gaia ne era consapevole. Insomma, il suo stesso nome era sinonimo di felicità, di un qualcosa di ridente e giocoso ma lei, da un po’ di tempo, non riusciva a esserlo.

Com’era arrivata a tutto ciò?

Non le mancava niente: aveva persone che la amavano, studiava ciò che più amava, era libera di essere ciò che voleva e di fare qualsiasi cosa. Certo, non conduceva una vita carica di colpi di scena, ma ciò non significava che fosse meno appagante. Eppure, si sentiva come se avesse perso qualcosa lungo il tragitto. Come quando, durante un lungo viaggio, ti fermi un attimo e ti accorgi di aver lasciato qualcosa indietro e che, quindi, non puoi proseguire senza tornare indietro a recuperarla. 

Dove era finita la spensieratezza?

Quella spensieratezza che non era mai stata il suo forte, troppo presa a preoccuparsi per qualcosa o per qualcuno, ma che comunque le aveva permesso di catapultarsi giù per una discesa particolarmente pericolosa in sella alla sua bici o che l’aveva aiuta a superare con un sorriso anche le parole più crude.

E i desideri, le fantasie, i sogni?

Quelli soffocati nel cuscino, di notte, perché le sembravano troppo grandi, troppo irrealizzabili, troppo effimeri, troppo pretenziosi. Semplicemente troppo anche solo per essere raccontati. Quei sogni, però, erano suoi, le appartenevano profondamente, le davano la possibilità di sganciarsi, anche solo per un attimo, dalla sua realtà che, per quanto positiva, non le bastava. Gaia ne aveva maledettamente bisogno e, per questo, doveva tornare indietro a recuperarli. Non ricordava nemmeno quando e dove li avesse smarriti, forse nel momento stesso in cui aveva smesso di scrivere, ma doveva ritrovarli a costo di lanciarsi nel burrone dove erano precipitati.  Magari, dopo, il futuro non le avrebbe fatto più tanta paura o, almeno, ci sarebbe stato qualcosa a lenire le sue angosce.  Le sue stupide, inutili, ridicole paranoie.

-Nhaaa, troppo scura!-esclamò qualcuno dall’altro lato del tavolino e, solo allora, Gaia si rese conto di essere ancora seduta in un piccolo locale della sua città in compagnia di un suo caro amico. Lo conosceva da pochi mesi, ma, sin dal primo momento in cui si erano visti, la loro complicità era stata innegabile ed inspiegabile. Era come se lo conoscesse da sempre, nonostante si rendesse conto che c’erano ancora tante cose che non sapeva di lui e viceversa.  Gaia appoggiò distrattamente il capo su una mano strategicamente posta sotto il mento, fermandosi a osservare in silenzio Ricky che, a sua volta, era troppo preso a maneggiare la sua macchina fotografica per accorgersi del suo sguardo. E la cosa capitava davvero troppo spesso, poiché per la maggior parte delle volte, il giovane era concentrato su una delle tante funzionalità del suo “tesoro”, come lo definiva lui, ma a Gaia non dispiaceva più di tanto. Le piaceva osservare le persone, in generale, ma con Ricky era sicuramente più divertente. A dire la verità, con lui tutto era più divertente.  Adorava il modo in cui aggrottava le sopracciglia quando era concentrato, il luccichio nei suoi occhi scuri quando parlava di qualcosa che lo entusiasmava –per lo più la fotografia o l’arte in generale-, il modo in cui arricciava il naso quando rideva di gusto, le fossette che si formavano quando le rivolgeva uno dei suoi sorrisi speciali. Adorava persino quello stupido cappello a forma di orsetto che scivolava sulla sua spettinata frangia nera fino a quasi coprirgli gli occhi e che avrebbe considerato ridicolo indosso a chiunque altro. Su di lui, però, sembrava perfetto. Forse perché, unito a quel viso pulito e a quelle guance morbide, gli conferiva un’aria ancora più fanciullesca che decisamente gli si addiceva. A quei pensieri Gaia sentì il cuore farsi più leggero e si beò di quella piacevole sensazione che le fece curvare le labbra verso l’alto.

 -Non capisco cosa ci sia di così interessante da fotografare-disse la ragazza, interrompendo il filo dei suoi pensieri e contemporaneamente attirando l’attenzione di Ricky che, alzando finalmente la testa, si limitò a sorridere. -Gli attimi!- sussurrò come se stesse rivelando il suo più grande segreto a una Gaia che, scettica, inarcò le sopracciglia. L’altro sospirò e, ancora con il sorriso sulle labbra, allargò le braccia come se avesse voluto abbracciare tutta la stanza, -Sto fotografando questo momento…- iniziò, facendo vagare lo sguardo per il locale e invitando l’amica a fare lo stesso -…me e te, qui. Un momento che è solo nostro ma che non ritornerà. Così cerco di racchiudere più cose possibili nelle fotografie- concluse con quel suo sorriso genuino e Gaia si chiese se, nella sua spontaneità, Ricky si rendesse conto delle belle parole che aveva appena pronunciato. Probabilmente no. Lui era così: poteva starsene in un locale con un cappello buffo sulla testa, nonostante l’alta temperatura della stanza, a smanettare con la sua macchina fotografica senza minimamente curarsi di ciò che la gente potesse pensare. E Gaia lo invidiava per questo, avrebbe voluto essere come lui: avrebbe voluto fregarsene di ciò che pensava la gente, avrebbe voluto smettere di farsi troppi problemi o di cercare di apparire sempre forte e intoccabile quando in realtà non era così. Eppure non ci riusciva, anche in quel momento non poteva fare a meno di chiedersi cosa ci facessero lì, seduti ad un tavolino vicino alla vetrata che dava sulla strada, da cui provenivano la vivida luce dei lampioni e il sommesso brusio dei passanti, nel loro locale preferito, nel giorno di San Valentino. Insomma, erano circondati da coppiette impegnate a scambiarsi effusioni e loro, oltre a non essere una coppia, se ne stavano lì a fissarsi come degli sciocchi, di tanto in tanto, per poi ritornare a perdersi ognuno nel proprio mondo. Gaia non poteva fare a meno di preoccuparsi di cosa stessero pensando gli altri: da un occhio esterno dovevano sembrare ridicoli, seduti allo stesso tavolino ma lontani anni luce l’uno dall’altra. Lei sapeva benissimo che, nonostante le apparenze, il suo rapporto con Ricky era molto speciale proprio perché fatto anche di silenzi. Spesso riuscivano a comunicare meglio con uno sguardo, un sorriso o un ammiccamento piuttosto che con mille parole. Ma gli altri erano a conoscenza di ciò? Sapevano quanto quel ragazzo, in così poco tempo, le avesse sconvolto la vita, la stesse aiutando a superare i suoi limiti e la facesse sentire apprezzata? Accanto a lui si sentiva più ispirata, più brillante, più intelligente. Semplicemente migliore. No, gli altri non potevano comprendere, riuscivano solo a giudicare. Ridevano, puntavano il dito, parlavano alle loro spalle, soprattutto a quelle di Ricky. Per loro era solo uno sciocco ragazzino goffo, un po’ sulle nuvole, che, ogni tanto, parlava senza collegare la bocca col cervello. Gaia non sopportava quelle chiacchiere, non sopportava che parlassero senza conoscerlo ma, soprattutto, non sopportava l’idea che quelle chiacchiere potessero ferire il suo amico. Lui era buono, innocente, per certi versi, e lei non poteva permettere che degli sciocchi si azzardassero ad infangare tutta questa bellezza. Gli altri. Gli altri. Gli altri. Forse pensava troppo alla gente più che a se stessa e a quello che provava, forse era per questo che, ultimamente, non riusciva a vivere le cose con spontaneità.

*Click* *Click* *Click*
Un paio di flash la abbagliarono, accecandola per una frazione di secondo, costringendola a strofinarsi gli occhi con le mani e a tornare alla realtà. -Oddio, Ric, quante volte devo dirti che odio essere fotografata?- esclamò Gaia, mettendo su un finto broncio, per poi allungarsi sul tavolino per impossessarsi della macchina fotografica -Ma sei venuta benissimo!- rispose Ricky, trattenendo una risata e cercando di salvare la macchinetta dalle grinfie dell’amica. -Certo, certo- disse la ragazza, stringendo con una mano la spalla dell’altro nel misero tentativo di bloccarlo-E’ il fotografo che deve giudicare! Ed io dico che sei venuta bene!- esclamò il giovane, balzando così velocemente dalla sedia da urtare il tavolino che, per poco, non si rovesciò completamente sotto gli occhi di tutti i presenti. Un silenzio imbarazzante calò nella sala e circa una ventina di teste si voltarono nella loro direzione, la risata già dipinta sul volto. Gaia avrebbe voluto sotterrarsi, farsi piccola piccola per nascondersi tra le pieghe dei tovaglioli o direttamente in una tazzina, ma si limitò ad arrossire violentemente e a guardarsi intorno con aria spaesata e colpevole mentre Ricky sorrideva, grattandosi la nuca. -Scusatemi, sono proprio un imbranato- disse ai presenti, continuando a sorridere, più divertito che imbarazzato, mentre Gaia sbarrava gli occhi e gli si avvicinava per sussurrargli all’orecchio -Ti rendi conto che ci stanno guardando tutti? Non peggiorare la situazione-. L’altro si limitò a voltarsi verso di lei e a guardarla negli occhi -E lascia che guardino- affermò, sicuro, con un tono di voce piuttosto alto, cosicché tutti potessero sentirlo -Ric, quando fai così sei… sei…- sbottò Gaia alla quale quasi fumavano le orecchie per la rabbia e l’imbarazzo. -Aspetta, questa tua espressione è impagabile, fatti fare una foto mentre mi dici cosa sono!- esclamò Ricky, afferrando la macchinetta e puntandola dritto in faccia all’amica, totalmente noncurante delle innumerevoli paia di occhi poggiati ancora su di loro. In tutta risposta, dopo essersi guardata di nuovo attorno con un misto d’imbarazzo e preoccupazione, Gaia sbuffò infastidita e, dopo aver recuperato la sua borsa, si precipitò fuori dal locale lasciando il suo accompagnatore solo al centro della scena. Il ragazzo si limitò a guardarla spalancare la porta del locale, in preda ad una furia omicida, per poi lasciare i soldi sul tavolino, aggiustarsi il cappellino sulla testa e seguire l’amica, dopo aver ovviamente lanciato un ultimo sguardo a tutti i presenti che si stavano gustando la scenetta con un ghigno sulle labbra.
 
Intanto Gaia si era appoggiata ad un muretto poco lontano dal locale e, arricciando nervosamente con un dito i capelli, rimuginava sull’accaduto. Sentiva ancora l’imbarazzo infiammarle le gote e la rabbia irrigidirle i nervi. Non poteva credere di essersi messa in quella posizione scomoda. Non poteva credere che Ricky fosse così indifferente all’avvenimento, che riuscisse a fregarsene degli sguardi e che, addirittura, si fosse messo a ridere, sminuendo il tutto. Lei proprio non riusciva a ridere né a vederci qualcosa di divertente. Che cosa avrebbero detto gli altri? Si sarebbe sicuramente sparsa la voce. L’indomani, a scuola, tutti li avrebbero derisi e le chiacchiere su Ricky sarebbero aumentate a dismisura. Avrebbero continuato a dire che era uno stupido senza cervello e lei non sapeva se sarebbe stata ancora in grado di proteggerlo da quelle malelingue. Proprio in quel momento, la persona cui stava pensando la raggiunse, le mani nelle tasche dei jeans chiari, le labbra strette a formare un’unica linea rosea e un’espressione seria a contrargli il viso. Gaia sentì montare di nuovo la rabbia dentro di sé. La rabbia per la consapevolezza di non poterlo allontanare dalle chiacchiere. -Sei uno stupido- sputò inacidita, intrecciando le braccia sul petto, mentre Ricky si fermava a fronteggiarla, le mani ancora nelle tasche e l’espressione severa a trasfigurargli il viso. Non sembrava neppure lui quel ragazzo che pochi minuti prima se la rideva allegramente. -Stupido, perché reagisco ridendo ad una figuraccia? Stupido, perché me ne frego di quello che la gente pensa?- chiese Ricky, puntando i suoi occhi scuri come l’ebano sulla figura davanti a sé, tentando quasi di scrutarne i pensieri e le paure più nascoste -Stupido perché non capisci quello che questo tuo modo di fare comporta!- sbottò Gaia, muovendo un passo verso l’altro per puntargli un dito sul petto. Il ragazzo si scrollò di dosso quel dito con una manata e si mosse a sua volta verso la sua interlocutrice, costringendola ad indietreggiare, sorpresa dalla sua reazione. -Ma davvero credi che io non sia a conoscenza di quello che gli altri dicono alle mie spalle? Pensi davvero che io non ascolti le voci che girano per i corridoi della scuola? Sei convinta che io non sappia dei tuoi tentativi di proteggermi? Non sono così stupido come, ahimè, credi!- quasi urlò Ricky muovendosi ancora verso Gaia che, ormai stretta tra lui e il muretto, aveva sgranato gli occhi permettendo al verde dei suoi occhi di scontrarsi con la profondità oscura di quelli dell’altro. Dunque, lui era consapevole di tutto e non se ne curava. E lei che, per tutto quel tempo, aveva creduto che lui non si fosse minimamente accorto delle dicerie che ruotavano attorno alla sua persona. Era davvero una sciocca e, questa consapevolezza, non le permise di spiccicare parola. -La verità è che non me ne importa assolutamente nulla di quello che gli altri dicono di me! E, onestamente, penso che tra i due, qui, sia tu la stupida!- riprese il ragazzo, sfogandosi completamente, per poi fare un passo indietro per allontanarsi da Gaia che, intanto, aveva spalancato la bocca, stupita e ferita da quelle parole. Le lacrime le riempirono gli occhi ma la ragazza cercò di trattenerle, abbassando il capo per evitare lo sguardo dell’altro. Ricky sospirò mentre quell’improvvisa furia che l’aveva travolto veniva sostituita dal senso di colpa: non avrebbe mai voluto ferire Gaia, lei era sempre così premurosa e comprensiva nei suoi confronti e non si meritava la sua rabbia. Il ragazzo tentò di sorridere e, avvicinandosi all’amica, allungò una mano per accarezzarle i capelli. -Scusami, davvero. Ho lasciato che la rabbia inacidisse le mie parole…- sussurrò, quasi avesse paura di essere respinto, mentre lasciava scivolare la mano sul volto della ragazza, che intanto aveva preso a singhiozzare sommessamente, per tastarne la morbidezza -Ciò che ti rende sciocca è che ti lasci condizionare da quello che pensano gli altri. Ti rendi conto che non stai più scrivendo solo per il timore di essere giudicata? Stai perdendo, in questo modo, il piacere di fare ciò che più ami!- continuò, alzandole il capo per permettere ai loro occhi d’incontrarsi per l’ennesima volta quella sera, mentre con un pollice raccoglieva una lacrima che era ruzzolata giù per la gota di Gaia. Teneva tanto a lei e vederla così lo faceva stare male, soprattutto perché sapeva che erano state le sue parole a ferirla, ma voleva anche aiutarla a comprendere che non c’era proprio nulla di male in lei e che non doveva preoccuparsi così del giudizio delle persone. -Quando capirai che vai benissimo così come sei? Anzi, entrambi andiamo bene per quello che siamo! Non devi continuamente preoccuparti di proteggermi, non ce n’è davvero bisogno- disse dolcemente, esibendosi poi in un sorriso tenero mentre continuava ad accarezzarla, come per rassicurarla, e Gaia scorse tanta di quell’onestà in quelle parole che si ritrovò in bilico tra un pianto a dirotto e le risate. Ma non fece nessuna delle due cose, si limitò a rimanere in silenzio nonostante avesse un fiume di parole che le graffiavano la lingua per venir fuori. Avrebbe voluto urlargli che non sapeva perché si comportava così, che non aveva la minima idea del perché si sentisse così sbagliata e spaventata e confusa. Lui, però, la guardava con quegli occhi profondi, talmente tanto che avrebbe potuto perdercisi, così sinceri che lei non trovava la forza per dire qualsiasi cosa. Infatti, fu di nuovo Ricky a rompere quel silenzio, -Se mi fai un sorriso, ti confiderò un segreto…- sussurrò con una vocina buffa, accostandosi all’orecchio dell’amica che si lasciò sfuggire una risata divertita ancora mista alle lacrime -… anche se non m’interessa quello che dicono gli altri, m’importa di quello che pensi tu-,  aggiunse, senza distogliere un attimo lo sguardo da lei. Non sembrava per nulla in imbarazzo a rivelarle quelle cose ma che farlo, anzi, gli desse maggiore serenità, come se si fosse tolto un peso.  A quelle parole, una singola, piccola lacrima scivolò dagli occhi di Gaia che, sospirando, si portò una mano sulla bocca come a voler celare dentro di sé tutti i sentimenti che si portava dietro da qualche tempo.  Si sentiva così fortunata ad aver incontrato Ricky, di averlo nella sua vita e di poter contare su di una persona tanto speciale ma contemporaneamente sentiva di non meritarlo fino in fondo. Lui era talmente positivo, solare, pieno di vita, entusiasta, era così… così lui. Probabilmente tutto ciò che lei non sarebbe mai stata. Probabilmente lei era la persona meno adatta a stargli accanto. -Scusami, scusami, scusami. Hai ragione, sono una tale sciocca!- esclamò Gaia tuffandosi tra le braccia dell’altro, affondando il volto nella sua t-shirt come a cercare riparo da tutte le insicurezze che la assalivano. Ricky, in risposta, si limitò a ridere di cuore e a stringerla di più mentre con una mano le accarezzava i capelli -Ti perdono solo se mi prometti una cosa, anzi due!- esclamò, riacquistando il suo solito tono gioviale. La ragazza alzò il capo dal suo torace per rivolgergli tutta la sua attenzione, un sopracciglio inarcato dalla curiosità -Numero uno: non devi più proteggermi e preoccuparti delle dicerie- disse il giovane, col sorriso sulle labbra, mentre alzava un pollice -E secondo…- sussurrò, alzando l’indice per indicare il secondo punto -…devo chiederti di ricominciare a scrivere. Non solo perché hai un talento unico che non puoi sprecare ma anche perché sono follemente innamorato di Aurora- Gaia, inizialmente, non capì cosa volesse dirle, anzi, poté sentire distintamente il suo cuore ruzzolarle giù dal petto per cadere al suolo e schiantarsi in un milione di particelle. Non si aspettava una dichiarazione così schietta e diretta da parte sua. Ricky, però, continuava a sorriderle sornione e, proprio quando stava per chiedergli chi fosse questa fortunata ad aver conquistato il suo cuore, il ragazzo la attirò a se, serrandola tra le proprie braccia, per trascinarla in un bacio desiderato. Un bacio che, lo sapevano entrambi, non avrebbero mai dimenticato. Ricky sfiorò più e più volte le labbra dell’altra, per poi perdersi completamente nel suo sapore: Gaia sapeva di lacrime ma anche di sorrisi, di parole soffocate, di speranze, di sogni, di arcobaleni dopo la tempesta. Sapeva di cose belle ma al contempo irraggiungibili, in fondo, un po’ come le era parsa la prima volta che l’aveva incontrata. Eppure quel momento era tangibile, loro erano reali. Gaia si strinse a Ricky, quasi si aggrappò a lui come fosse la sua ancora di salvezza in mezzo al mare in burrasca. E, effettivamente, per lei lo era. Le persone dalla vetrata del locale li osservavano scambiarsi promesse silenziose e fu allora che, sorridendo sulle labbra di Ricky, Gaia capì.

Aurora era la protagonista delle sue storie.
Aurora era il suo alter ego letterario.
Aurora era lei.
Ricky amava lei.
Non le importava nulla della gente.
Le importava di lui.
Sarebbe andato tutto bene.

   
 
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