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Autore: Slytherin Nikla    31/05/2012    3 recensioni
La domanda è sempre la stessa: le persone tutte d'un pezzo sono davvero tali? La Madre Superiora è davvero la donna granitica che tanto tiene ad essere?
***EDIT***Ho scoperto che questa storia era stata sottratta alla sua legittima autrice, quindi il titolo è stato modificato: La storia appartiene a TartanLioness
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Madre Superiora
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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La reverenda Madre del convento di Santa Caterina sospirò profondamente e si prese la testa fra le mani. Era esausta. Il concerto era finito e Sua Santità il Papa se n'era andato.

Ci fu un leggero bussare alla porta, come se la persona dall'altra parte sapesse quale terribile mal di testa le stesse facendo pulsare le tempie. Ebbe voglia di non rispondere, perché desiderava soltanto rimanere da sola.

« Avanti », disse invece, nonostante le intenzioni. Persino lei percepì la stanchezza nella propria voce quando il vescovo O'Hara entrò nel suo ufficio. Gli sorrise debolmente, chinando la testa in saluto.

« Va tutto bene? » chiese O'Hara, preoccupato.

« Sono un po' stanca, » gli rispose onestamente. « Ma sono fiera di loro. Hanno cantato magnificamente, stasera. »

« Sì, davvero. » Le sorrise. « Dovrebbe riposare, madre. »

« Oh, no, ho ancora del lavoro da fare... »

O'Hara si spostò dietro la sua sedia e le posò le mani sulle spalle. Mentre le massaggiava riusciva a sentire la tensione che pian piano si allentava.

« Troppo lavoro, » commentò mentre lei si adagiava all'indietro nella sedia.

« Mmmm, » mugolò lei, incoerentemente, chiudendo gli occhi. « Questa è una concessione pericolosa... »

« Cosa? » chiese, divertito. « Rilassarsi? »

« Godersi questo, » mormorò. « Godersi questo è una concessione, un peccato. »

« Buon Dio, Margaret, hai bisogno di rilassarti e divertirti, ogni tanto! »

Lei si voltò ed alzò su di lui gli occhi spalancati.

« Nessuno mi chiamava più Margaret da anni, » disse con incertezza. Studiava il viso dell'uomo che conosceva da così tanti anni.

« Lo so. Ricordi quando ci siamo incontrati la prima volta? Padre Maurice, tu ed io. Ci siamo divertiti, non è vero? » Tanto bastò a farla ridere piano.

« Oh, sì, suppongo di sì. Di certo abbiamo fatto passare al vescovo O'Malley più di una notte insonne. Oh, Joseph, è diventato tutto così convulso e... Non ci riesco, Joseph! » Una lacrima solitaria le scivolò lungo la guancia. « Non sono più in grado. Sono un relitto, non sono adatta alla chiesa moderna. »

Joseph O'Hara la tirò verso di sé, facendola alzare dalla sedia per accoglierla fra le braccia. La tenne stretta contro di sé, accarezzandole la schiena rassicurante.

« Oh, mia cara, ma non sei un relitto. Sei una stupenda Madre Superiora e le tue sorelle ti amano. Te ne sei sempre presa tanta cura ed è ovvio a chiunque quanto tu tenga a loro. Sei troppo dura con te stessa. »

« Tutto è di colpo diventato troppo con Maria Claretta – Deloris – e... Sono così orgogliosa di loro, certo, ma... » singhiozzò contro la talare dell'uomo.

« Sursum corda, mia cara, » le sussurrò, e lei alzò gli occhi verso di lui. O'Hara odiava vederla in quello stato, con gli occhi rossi e la scia delle lacrime lungo le guance. Sapeva che ben poche persone l'avevano mai vista in quello stato e certamente fra quelle non c'era nessuna delle sue consorelle. Prendendole il viso fra le mani, le asciugò via le lacrime. « Ti prego, Margaret, non piangere. Non sopporto di vederti piangere. Ricorda, Dio è sempre un passo dietro di te...e anch'io. »

« Grazie, » rispose, tirando su col naso. Si asciugò gli occhi con le ampie maniche dell'abito. « Mi dispiace, monsignore. »

« Non devi. Non deve mai dispiacerti, essere te stessa con me. Siamo amici da troppi anni, per queste cose. Sono sempre qui per te. »

« Lo so. »

Con un ultimo sorriso e un bacio sulla guancia della reverenda madre, O'Hara lasciò l'ufficio. La Superiora si lasciò pesantemente cadere sulla sedia, sentendosi emotivamente e fisicamente prosciugata. Poteva sentire senza difficoltà il coro che continuava a celebrare il proprio successo, cantando lungo i corridoi. Non poteva dar loro torto. Era stata una notte davvero fuori dall'ordinario.

Just call my name
I'll be there in a hurry
You don't have to worry

'Cause baby,
There ain't no mountain high enough
Ain't no valley low enough
Ain't no river wide enough
To keep me from getting to you…

Le voci scemavano man mano che il coro oltrepassava la sua porta e lei sorrise a se stessa. Sapeva che quella canzone esprimeva ciò che provavano per Dio, ciò che lei provava per Lui. Ma qualcosa, dentro di lei, obiettava che forse, forse, l'Onnipotente non era il solo per cui lei avrebbe fatto qualsiasi cosa.

« Oh, è ridicolo! » tagliò corto e lasciò la stanza.

Entrò con un sospiro nella sicurezza della propria cella e si appoggiò contro la porta per qualche istante prima di chiudersela alle spalle. Era fisicamente ed emotivamente distrutta ma non appena si fu sdraiata a letto, ed ebbe recitato una preghiera silenziosa e chiuso gli occhi per addormentarsi, scoprì che il sonno non voleva arrivare. Fissò il soffitto per quelle che le parvero ore, senza pensare a nulla ma incapace di prendere sonno.

Le notti successive furono identiche; era stanca, esausta, eppure il sonno non arrivava mai quando finalmente riusciva ad andare a letto. Erano passate due settimane dal concerto e ancora non era riuscita a dormire un sonno decente. Occhiaie scure si stavano formando sotto i suoi occhi e la donna, già sottile, lo diventava sempre di più man mano che perdeva peso.

Eppure fingeva di non notare le occhiate preoccupate delle consorelle. Ma non poteva – e non aveva importanza con quanto impegno provasse – ignorare i momenti in cui vedeva la preoccupazione negli occhi dell'amico. Sapeva che monsignor O'Hara era in pensiero per lei anche se lui non vi aveva fatto cenno – ma dal momento che non aveva spiegazioni da dare neppure a se stessa, non diede peso alla cosa.

Un pomeriggio, il vescovo O'Hara entrò nell'ufficio della Superiora solo per trovarla piegata nella propria sedia, con la testa abbandonata sulla scrivania, profondamente addormentata. Sorrise ma il sorriso fu presto rimpiazzato da un brivido nel notare quanto apparisse tirata. Realizzò che quella non era davvero la posizione più confortevole e si spostò accanto a lei. Provò a svegliarla scuotendo gentilmente la sua spalla.

« Margaret? Margaret? Sveglia, » disse sottovoce, ma lei non lo fece. Riprovò. Un'altra volta. E ancora lei non volle saperne di svegliarsi. O'Hara sospirò. « Va bene, l'hai voluto tu... »

La sollevò di peso dalla sedia, ringraziando silenziosamente Dio del fatto che fosse sempre stata una donna minuta. Si scoprì un po' preoccupato, tuttavia, che fosse così leggera. Doveva aver perso più peso di quanto lui avesse pensato.

Con la suora addormentata fra le braccia, non gli restava che preoccuparsi di raggiungere la sua cella senza che nessuna delle sorelle se ne accorgesse. Sapeva però che sarebbe stato impossibile, così si rassegnò a percorrere i corridoi tenendo stretta la sua amica d'infanzia. Lei gemette dolcemente nel sonno e una suora che passava arrossì.

Raggiunta finalmente la sua cella, la adagiò sul letto, sistemandole poi le coperte. E si sedette sul pavimento accanto al suo letto per guardarla dormire. Non sapeva quanto a lungo fosse rimasto lì seduto ma sapeva che non gli importava davvero. Dopo qualche ora lei gemette di nuovo e lui la guardò attentamente per vedere se si stesse svegliando. Gli occhi della donna si aprirono e lo guardò per qualche istante, distrattamente.

« Buongiorno, Madre Dormigliona, » le disse con dolcezza, un sorrisetto che gli stuzzicava le labbra.

« Non dirmi buongiorno, so che non sono sveglia, » fu la sua sola risposta. I suoi occhi sembrarono di nuovo riempirsi di lacrime e O'Hara fu di nuovo colto dalla preoccupazione.

« Ma lo sei senza dubbio, mia cara. »

« No. Tu sei nella mia cella e non potresti mai esserci se io fossi sveglia. Mi faresti un favore? »

« Certo, qualsiasi cosa, » rispose, non del tutto sicuro di cosa stesse accadendo.

« Baciami, » disse semplicemente.

« Scusa? » esclamò sbigottito.

« Baciami. Ti prego. Baciami. »

« Margaret, hai fatto voto di castità, » le disse, serio, desiderando di poterla baciare. Ma erano membri della Chiesa e avevano entrambi dei voti da rispettare.

« Lo so... Ho mentito, » sorrise. « Dopotutto difficilmente un semplice bacio potrebbe rompere quel voto, non pensi? »

« Margaret, non sei nemmeno del tutto sveglia, non sai cosa stai facendo. Torna a dormire, ora. Chiudi gli occhi, » le ordinò.

« Ti prego, Joseph, baciami, » mormorò prima che il sonno avesse di nuovo la meglio su di lei.

« Vorrei poterlo fare, » sussurrò O'Hara con tristezza, poi si alzò e raggiunse la porta. Quando era ormai sul punto di girare la maniglia, tornò sui propri passi e fece ritorno al suo letto. Qui si chinò per sfiorare con dolcezza l'angolo delle sue labbra.

« Ecco qui, » mormorò prima di lasciarla al suo sonno.

  
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