Titolo: Solo
dopo t'accorgi di ciò che hai perso
Personaggi: Battler,
Beatrice.
Pairing: BatoBea.
Rating: Verde.
Genere: missing
moment, angst, introspettivo.
Avvertimenti: One-shot.
Note: Quanto li amoooooooooooooooooooooooooooo ;_; Ho bisogno di quei bei vecchi tempi in cui la notte ci si ritrovava su msn a parlare solo ed esclusivamente di Umineko. Seriamente, quest'opera necessita di più amore, come questo pairing.
Disclaimer: Battler e Beato non sono miei, sennò li avrei resi felici... ma anche no, amo far soffrire i personaggi che amo (?).
Solo
dopo t'accorgi di ciò che hai perso
I.
La
prima volta che sentì la sua mancanza fu quando s'accorse
che ormai non era più
lei la sua avversaria. L'aveva ritenuta crudele, spinta ad allontanarsi
dal
loro gioco, solo per poi scoprire che Beato era tuttavia aggraziata
in
ciò che faceva, al contrario di Eva-Beatrice – che
aveva solo procurato dolore
con il suo insano divertimento. Aveva pregato che tornasse –
senza dirlo ad
alta voce; non avrebbe mai dato questa soddisfazione alla strega. E
poi, quando
aveva visto quel cuore dorato pieno di buchi e logoro battere ancora,
aveva
sentito una stretta dolorosa al proprio. L'aveva creduta senza cuore
fino ad
allora e, lì davanti a lui, in quel momento, c'era il cuore
della strega; era
così forte e così bello, così deciso
da continuare a battere per salvare
l'amore fra Jessica e Kanon destinato a morire in quel gioco.
L'aveva
ammirata, trattenendosi dal raccogliere da terra quel cuore dorato che
batteva
allo stesso ritmo del suo, quel cuore così fragile che era
stato in grado di
tener testa alla strega crudele che aveva preso il controllo del loro
gioco.
Quando
però il sorriso di Beato si trasformò in una
smorfia denigratoria, quando gli
diede dello sciocco per esser cascato nella sua recita così
accuratamente messa
in scena, si sentì uno stupido e giurò a
sé stesso che mai più avrebbe provato
qualsiasi sentimento per lei oltre all'odio e la repulsione.
(Solo
per poi accorgersi che quel dolore al petto non voleva cessare.)
II.
Quando
la vide sovrastarlo, là, trafitta da quegli innumerevoli
cunei di verità blu,
mentre lo pregava perché ponesse fine alla sua vita, Battler
s'accorse di ciò
che aveva fatto. L'aveva attaccata con lo scopo di vincere, con la
rabbia nel
cuore a causa della sorte di Ange, ma... ora, davanti alla pietosa
strega il
cui volto era rigato da sangue e lacrime, Battler si rese conto per la
prima
volta che quello era esattamente il risultato a cui lei lo aveva
spinto. Era
stata lei a spronarlo a ciò. Era stata lei a sfidarlo,
dicendogli di ucciderla.
Era stata lei a far ciò con le lacrime agli occhi e la voce
che minacciava di
rompersi e tradirla.
La
fissò con dolore nello sguardo e le rispose con voce ferma,
sentendo però il
proprio cuore vacillare quando sente il suo ennesimo singhiozzo di
dolore.
L'avrebbe
uccisa. E l'avrebbe fatto solo perché non poteva sopportare
ciò a cui l'aveva
ridotta. Doveva prendersi le sue responsabilità e terminare
ciò che aveva
iniziato, doveva tornare a casa propria ad ogni costo.
(Quando
lei lo abbracciò, sentì qualcosa crollare dentro
di sé.)
III.
Non
aveva mai creduto di poter provare compassione per lei ma, in quel
momento,
seduto davanti ad una Beatrice dallo sguardo spento e che a malapena
sembrava
respirare, Battler non poté far altro se non sentire una
fitta al cuore.
Era
stato lui a farle quello. Era colpa sua se Beato si trovava in quello
stato,
senza parlare, incapace di riprendere il controllo sul loro gioco ed
incatenata
ad un fato a lei avverso – resa giocattolo di quelle due
streghe il cui unico
intento era infangare la storia che lei aveva faticato tanto a tessere.
La
fissò negli occhi privi d'ogni luce, cercando in quei due
specchi vuoti
qualcosa che indicasse che lei fosse ancora lì, che non se
ne fosse andata
irrimediabilmente.
Sapeva
di doverla uccidere – perché l'aveva promesso e
perché era la cosa giusta da
fare – ma pensare di doverle strappare quella fragile vita
dalle sottili dita
gli parve disumano ed inconcepibile. Avrebbe potuto farlo un tempo,
forse,
qualora lei l'avesse affrontato fiera e decisa a vincere... ma come
poteva
porre fine alla sua esistenza in quel momento, quando la strega non era
in
grado nemmeno di bere del tea da sola?
Battler
abbassò il capo, poggiando la fronte fra i palmi delle mani.
Fissò il terreno,
nulla da dire, troppo a cui poter pensare.
(E,
per quanto si sforzasse di pensare al gioco, l'unico pensiero era lei.)
IV.
Fu
solo quando si rese conto d'averla persa per sempre che il pensiero di
non
riveder mai più il suo sorriso e di non risentir mai
più la sua risata ineducata
lo colpirono, lasciandolo senza parole e con la mente privata d'ogni
pensiero
coerente e razionale.
Doveva
esserci un modo per riportarla in vita, si era detto. La magia poteva
sicuramente farlo. La magia avrebbe avverato il suo desiderio e
l'avrebbe
riportata da lui.
Là,
solo in quello studio vuoto e privo di luce, Battler rimase in piedi
accanto
alla finestra. Guardava quel vetro senza vederlo, le braccia lungo i
fianchi e
le mani strette a due pugni. Gli occhi in un vuoto che non si trovava
oltre
quella finestra luminosa.
Sentì
un familiare dolore alla bocca dello stomaco e le gote bagnarsi
lentamente
senza alcun preavviso.
Era
stato tutto inutile, alla fine. Sarebbe stato tutto inutile. Non poteva
riportarla indietro, era impossibile farla tornare in vita. E, in
fondo, un po'
se lo aspettava. Com'era possibile far tornare intera permanentemente
una cosa
rotta? La sua magia con poteva farlo, esattamente come non ne fosse mai
stata
in grado quello di Beato. Le strega dorata, per quante infinite
possibilità
avesse, aveva una natura finita, proprio come quella magia che solo ora
era
riuscito a comprendere.
Beatrice,
pallida e fragile come la porcellana, era caduta a pezzi. Non esisteva
magia al
mondo in grado di riunire i pezzi di quel piccolo, complicato puzzle
che per
lui rappresentava il mondo.
(In
quell'istante s'accorse d'odiare il silenzio più che mai.)
V.
L'unica
cosa che aveva potuto fare per lei era quel libro.
Aveva
solo potuto scrivere per lei quella storia, quel racconto felice che
l'avrebbe
accompagnata nel suo eterno sonno dal quale nessuno l'avrebbe mai
più
risvegliata. Il sonno che Battler avrebbe protetto.
Guardarla
riposare in quella bara, ricoperta da centinaia di rose dorate, lo fece
sentire
piccolo ed incapace.
Non
era stato in grado di salvarla, alla fine.
Tutto
ciò che aveva potuto fare per lei era assicurarle un sonno
tranquillo.
Non
era mai arrivato in tempo per lei.
Non
era riuscito a mantenere nessuno promessa che aveva stretto.
Tutto
ciò che era stato in grado di fare era tessere bugie su
bugie per proteggere il
cuore di quella storia troppo crudele perché fosse
raccontata.
(E,
in quella pallida luce, sentì d'aver perso qualcosa di
fondamentale.)