Era una delle tante prove in studio. Era fine maggio del 1971; una notte tiepida, silenziosa, classico delle notti inoltrate di quel periodo. John e Freddie erano andati via già da un pezzo, mezzi brilli ed un po’ (troppo) esaltati per le prove che miglioravano sempre. Brian e Roger erano rimasti soli con sé stessi, con il sapore di birra e sigaretta in bocca e le mani piene di crampi, e determinazione. Capitava spesso che i due rimanessero insieme per provare, ma anche per chiacchierare, per ridere. Anche per guardarsi un po’ più del dovuto, per sguazzare un po’ nella sicurezza dell’altro. «Credi che ce la faremo?» chiese Roger, mandandosi all’indietro i lunghi capelli biondi e stendendo le gambe, tremanti, su una sedia. Brian, dall’altro del suo metro ed ottantasei, lo squadrò. Poi, lentamente, si sedette di fronte a lui, e prese un lungo sorso dalla sua birra. «Perché dovrei dirti il contrario? Stiamo andando alla grande, siamo riusciti ad avere un luogo dove provare e mixare. Certo, l’orario è spossante, però arriveremo in alto. Ce la faremo.» Roger si tranquillizzò alla risposta sicura e sincera dell’amico, il quale, in segno d’affetto, gli diede due colpetti sulla spalla, con quella sua mano enorme dalle unghie laccate di bianco. E rimasero cos’, a guardarsi negli occhi; la luce che ogni tanto andava via, e in uno di quei momenti di buio si scoccarono un bacio a stampo, per essere sicuri di non perdersi, per esser sicuri di non sbagliarsi. Poi la luce non andò più via, e si accorsero di essere ancora così, vicini. Roger pensò che Brian avesse ragione; Brian pensò che un po’ di insicurezza non facesse male.