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Autore: OperationFailed    01/06/2012    5 recensioni
[esperimento#2]
Infanzia, adolescenza, ascesa e caduta di un consulting detective e del suo pubblico.
Sherlock Holmes è l’immensità in un paio di occhi fatti d’aria, che forse a soffiarci sopra s’increspano, chissà, bisognerebbe informarsi se mai qualcuno ci ha provato, potrebbe fornircene testimonianza, descrivere con dovizia di particolari quante onde si sono formate nelle pupille liquide, ch'è risaputo che l’aria può diventare acqua in un alito di vento e tornare impalpabile in uno sbadiglio. Ha le ossa lunghe come quei legni levigati dal mare, bianchi di carezze spumose, ma Sherlock Holmes di carezze non ne ha ricevute, forse quello è il cuore della pelle che col coltellino svizzero scorticava, come il sambuco morbido e chiaro che sta dentro alla scorza indurita.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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WITHOUT YOU I’M NOTHING

[but I didn’t know it]

 

A volte succede, non si sa quale sia il motivo, non è certo se sia colpa di una congiunzione particolarmente avversa di stelle capricciose, del destino che ha gli ormoni in subbuglio e si sfoga in quel modo infame, degli alberi che a gennaio sono spogli come le strade di città e soffiano via il respiro in volute soffocanti di nebbia o semplicemente del caso, che secondo taluni domina il mondo e secondo tal altri è solo una stupida invenzione con cui l’uomo tenta di discolparsi dagli innumerevoli peccati di cui giornalmente si macchia. A volte succede e cercare un motivo è inutile, perché un bambino tutto capelli e niente carne non diventerà più socievole al nostro trovare il motivo che lo rende così.

Quando a quattro anni hai un cervello notevolmente sovrasviluppato non ti soddisfa stare con gli altri bambini. Sono tutti così ridicolmente interessati al sapore della sabbia, al colore dei pennarelli sulla pelle, alle code di lucertola che si agitano in mezzo ai prati di fine estate. Dalle lucertole andrebbe imparata l’arte dell’abbandono e della rinascita, ché a volte bisogna strapparsi di dosso la parte inutile e imbarazzante di sé, e attenzione a non strapparsi via tutto, che spesso l’imbarazzo e l’inutilità sono ugualmente estesi in tutto l’infausto essere umano, tanto poi la fastidiosa protuberanza ricresce e persino più grande. Ma torniamo alla sabbia e ai colori e alla morte dell’estate tra l’erba, dacché la precedente riflessione è nostra e non certo sua, sua di chi, di quel bambino tutto ricci e occhi di vetro, con una mente brillante e disinteressata ai voli pindarici quali quello appena compiuto.

Dicevamo che si sentiva insopportabilmente annoiato e fuori posto come un cucchiaino da tè al Polo Sud, lo sanno tutti che al Polo Sud il tè diventa ghiaccio nel percorso infinito tra la tazza e la bocca del quasi certamente inglese, così affezionato al suo rituale pomeridiano, ma sempre di divagazioni si tratta e noi vogliamo invece conoscere quel piccolo Sherlock Holmes, adesso morto insieme a tutti i finti morti del mondo, c’è chi lo fa per evadere il fisco, chi per eludere un’amante oppressiva, persino chi muore per vedere quanti e quali colleghi si presenteranno al funerale, celebrazione riuscitissima, impeccabile, che se il parroco avesse avuto un po’ di capelli in più sarebbe sembrato quell’attore del cinema famoso, roba di cui la gente parlerà per settimane. Sherlock Holmes non è nato morto per finta, un giorno sicuramente lo sarà davvero ma siamo ben lontani da quell’infausto triste momento, indicativamente una trentina d’anni in anticipo, che il ritardo lo lasceremo ai posteri come le ardue sentenze.

Se solo riuscissimo a liberarci di questi pensieri collaterali, ci accorgeremmo che quel bambino bianco riempie le guance di aria e di noia, le svuota, le riempie, ha già scoperto tutte le bugie dei suoi piccoli compagni. Lo dicono scontroso perché non parla quasi mai, e se apre bocca è per colpire la chiassosa e ben nutrita platea con osservazioni che qualche voce divina deve avergli suggerito, perché non è umanamente possibile una tale capacità di eloquio, fluida, arguta, propria di chi ha trascorso almeno tre anni in impegnativi studi classici. Per questo forse, perché sentirlo è sconcertante quanto vedere l’acqua sgorgare dagli alberi, hanno smesso di chiedergli la parola. Suggeriscono alla madre che forse ha una strana forma d’autismo, forse una disabilità leggera che si correggerà con il tempo. La verità è che è più comodo un invalido che un genio.

Crescendo le cose non sono cambiate molto, hanno continuato a trascinarsi con l’inerzia tipica del tempo nelle sue fasi più pigre, che poi talvolta si rende conto della propria inesorabile lentezza, e allora accelera e dipinge peli di qua, cattivi umori di là, in un battito di ciglia l’adolescenza è fatta ed è tutto un marasma di odori e umidità di mente e di corpo. Sherlock Holmes è l’immensità chiusa in un paio di occhi fatti d’aria, che forse a soffiarci sopra s’increspano, chissà, bisognerebbe informarsi se mai qualcuno ci ha provato, potrebbe fornircene testimonianza, descrivere con dovizia di particolari quante onde si sono formate nelle sue pupille liquide, ché è risaputo che l’aria può diventare acqua in un alito di vento, e tornare impalpabile in uno sbadiglio. Ha le ossa lunghe come quei legni levigati dal mare, bianchi di carezze spumose, ma Sherlock Holmes di carezze non ne ha ricevute, forse quello è il cuore della pelle che con un coltellino svizzero si è scorticato, come il sambuco morbido e chiaro che sta dentro alla scorza indurita. Con gli zigomi e quelle ossa sporgenti è andato di tanto in tanto a sbattere, ad aprire ferite nel sorriso di qualcun altro, sempre troppo stupido e troppo noioso per catturare veramente la sua attenzione. Non è che non sapesse avere rapporti con le persone, conosceva esattamente quali muscoli azionare per dispiegare un sorriso sul volto, sapeva persino quali dita plasmare in una stretta di mano, ma la questione non gli era di particolare gradimento. Con il sesso era pressoché uguale, il pizzicore fastidioso che gli picchiettava il corpo era ignorato per la maggior parte del tempo, di rado si concedeva con uno sbuffo le natiche chiare di qualche stolto imbecille, in genere di molto più grande di lui. Questi anni in più potevano essere direttamente proporzionali alle attenzione che il padre gli aveva negato, uno studioso Freudiano potrebbe certo dirlo, non che c’interessi, per carità, si fa per parlare, per scrivere, anzi.

Aveva uno strano rapporto con le persone. Lo annoiavano, certo, erano mortalmente stupide e banali, certo, ovvie fino all’esasperazione, giusto, ma ne aveva bisogno. Un attore è un buon attore se il pubblico si spella le mani applaudendolo. Un premio nobel è tale se una giuria di occhialuti vecchietti gli assegna l’omonimo premio, appunto. Entrambi devono avere talento e la dose di pazzia necessaria allo sviluppo della sovra citata dote, ma senza un riconoscimento esterno non sono nessuno. Come qualcuno che grida. Se nessuno lo sente, è come se non avesse gridato affatto. Per questo motivo Sherlock Holmes, l’ormai adolescente scorbutico Sherlock Holmes, sopportava, pur sbuffando e lagnandosi e rompendo i coglioni a destra e a manca, l’ottusità diffusa come una piaga tra il genere umano, purché il suddetto genere umano spalancasse la bocca e sgranasse gli occhi e gli concedesse preziosi minuti di attenzione, perché dopo un poco è noioso fare le deduzioni più argute e brillanti se il solo ad ascoltarti è il salice secco del giardino. Il tempo a cui abbiamo già accennato  qualche paragrafo fa, potrebbero essere due o forse addirittura re, ha continuato la solita lenta solfa, ha mordicchiato un po’ qua, ha deteriorato un po’ là, ha fatto un cenno fastidioso al Processo di Decomposizione perché continuasse nel suo meticoloso compito, da svolgere trecentosessantacinque giorni nessuno escluso, le ferie non sono concesse e tantomeno i permessi per malattia, deve essere un mestiere faticoso quello della Decomposizione, però frutta bene, ossa e cenere per tutti gli usi, di tutti i tipi, e per arrotondare esiste il mercato nero, che in qualche modo aiuta sempre. Prima di perderci su pericoloso speculazioni riguardanti mestieri che non ci è dato svolgere, poiché ad altri riservati, accennavamo a come quel tempo abbia continuato a camminare, generalmente lento, talvolta più veloce, ma sempre con un passo ammirevole, ché mai si ferma, e la stanchezza deve essere tanta, che mai si è sentito di un motel che ha ospitato il tempo. Per un genio che cercava un pubblico sono poi arrivati gli anni migliori, quelli dei trenta per intenderci, che non è un mistero l’arrivo del buon ispettore, forse con la voce un po’ troppo rauca e gli occhi un po’ troppo stupiti un po’ troppo spesso, ma alla fine un buon uomo, mica si può riassumere bene e male di una persona nella voce e negli occhi, bisognerebbe intraprendere ardui studi riguardo alle corrispondenze vita – forma, e non inteso come le pensava un certo girgentino dell’Italia ormai passata, ma inteso come correlazioni intime tra qualità interiori di un uomo e suo aspetto fisico. Era stata poi la volta di una candida signorina ben piantata in obitorio, che passava ore a canticchiare mentre i morti l’ascoltavano, che loro almeno non interrompono con smorfie antipatiche da gente viva, non sono maleducati e soprattutto isterici come la gente là sul pianeta terra, che a furia di correre e correre si dimentica anche del proprio nome, chissà che gambe lunghe ha il tempo, se l’uomo non riesce a stargli dietro per quanto quello sia lento tanto così, costante, ma lento. Lei era una di quelle che gli piacevano di più, parlava un po’ troppo ma lo faceva sorridere, non nel vero senso della parola, diciamo più sorridere internamente, quella sensazione che alle persone normali, mamma che brutto termine, normali, è una parola che vuol dire tutto e non vuol dire niente, chi è normale, cosa, chi lo decide chi e cosa sono normali, non vuol dire proprio niente, meno di zero.  Comunque dicevamo che quella giovane donna con le ciglia lunghe e le labbra sottili lo fa sorridere internamente, gli fa sbocciare dentro una sensazione che potremmo quasi chiamare tenerezza, in mancanza di termine migliore, perché bisogna ammettere che il dizionario non è sufficiente, non sa modellarsi alla lingua del parlante, non si scioglie, in certe situazioni, nella maniera adatta, e non sempre la colpa è di colui che scrive o declama, ma del grande libro delle parole, E chi ne è l’inventore, mi chiederete, e vi risponderò L’uomo, appunto, emblema dell’imperfezione e dunque imperfetto inventore egli stesso, chissà che sia stato il Signore a custodire geloso le parole migliori, adatte solo a lui, divinità sintattiche proibite come mele dell’Eden. Abbiamo dedicato righe e righe a questa ragazza, e non ne abbiamo detto praticamente nulla, anche se non è necessario sperticarsi in descrizioni, ognuno la immaginerà come meglio gli aggrada, l’essenziale è stato detto, e cioè che Sherlock Holmes sorride internamente quando con il broncio di sempre e l’alterigia di sempre la informa di come Tizio ha ucciso Caio che è morto per una muffa comunissima che viene usata per fare il Roquefort piuttosto che un farmaco andato a male come aveva ipotizzato quel cretino della scientifica. Come poteva la gente non accorgersi di una cosa talmente evidente, Io boh, non capisco.

La vera rivoluzione, e non ci riferiamo a quella francese, a quella industriale e tantomeno a quella solare, che lo Sherlock Holmes di cui sopra non sa neppure cosa sia, o forse lo sa, nei doppifondi di un cassetto dimenticato, ma non gli interessa affatto, la vera rivoluzione, dicevamo, è un John Watson che un giorno ha deciso di volere un appartamento a metà, cioè, di volerlo tutto ma condiviso, ed è finito in un obitorio con un ciccione, un arrogante e un morto. Difficile dire con chi si trovasse meglio all’inizio, forse col morto. Poi è successo uno strano procedimento, potremmo dire ancora che il dizionario non ha abbastanza parole, o che ne ha troppe ma nessuna è adatta, anche se forse è solo per negligenza dell’autore che la successiva descrizione mancherà in efficienza, ecco, già ha sbagliato, voleva dire efficacia e invece si è distratto, cercherò di farlo essere più concentrato, più sveglio. Quello che è successo è che il genio ha trovato il suo pubblico migliore, una platea sconfinata seduta ordinatamente in un paio di occhi profondi, profondi davvero per farci entrare una folla così di gente, a contarli si perderebbe il filo, sarebbe lo stesso a contare le stelle, vi basti sapere che John Watson negli occhi aveva una moltitudine di uomini e donne e sorrisi, sospesi a un bel paio di zigomi taglienti, al loro alzarsi e abbassarsi in concerto a due labbra, gonfie di parole agganciate l’un l’altra, lanciate come missili di svizzera fattura, precisi, distruttivi, dritti nel petto di quel medico con la mente zoppa. La gamba no, la gamba stava bene, ma vallo a dire ad un cervello che somatizza e pretende di appoggiarsi a un bastone perché forse non ha mai trovato qualcuno a cui poggiarsi veramente. La verità dell’affermazione appena terminata è facilmente rintracciabile nei mesi a seguire, noi parliamo al passato ma sappiamo quel che già è accaduto, abbiamo già visto quel Watson aggrapparsi a qualcosa, non più un bastone, ma carne e sangue, poco sangue forse, carenza di globuli rossi, anemia chissà, il medico è lui, dovrebbe dircelo il dottore, ma seppur carne e sangue sono pochi, il cervello è smisurato e ce n’è a sufficienza, anche lì ci si può appoggiare, e il dottore così ha fatto, si è adagiato sulla morbidezza di una mente che avrebbe spazio per l’umanità intera, e che di quel mucchio di gente vuole una sola, precisa persona, un soldato fresco fresco di congedo.

Il genio ha trovato un pubblico e lo storpio ha trovato un bastone, entrambi hanno trovato un appartamento e diviso un cuore a metà. Il genio ora è davvero tale e lo storpio ha riavuto la gamba. Il genio acquista visibilità e lo storpio contribuisce all’illuminazione. Il genio si annoia e il cattivo è arrivato. Il cattivo ha trovato il suo pubblico geniale e in quanto tale diventa egli stesso genio. Il genio si porta via il cattivo che smette di esser genio e porta via il genio con sé.

Il dottore torna storpio e il genio è nessuno. Nessuno tornerà, lo storpio rimarrà storpio. Il genio rimarrà nessuno.








Partecipa allo
Sherlothon (team fanon) con il prompt #5

   
 
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