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Autore: Noxi    01/06/2012    0 recensioni
Monica e Marco sono due studenti che partecipano alla stessa di lezione di violino in un'ordinaria scuola di musica. Pian piano, però, diventano qualcosa di più di semplici compagni di classe...
Storia semplice scritta un bel po' di tempo fa, che mi è venuta in mente dopo aver fatto un sogno simile.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Perfetto, signorina Bianchi. Può andare. -
Avevo appena finito di dare il mio esame orale di maturità. Quello poteva essere un giorno di fine giugno come tanti altri, tanto caldo e afoso durante il giorno quanto fresco e piacevole alle prime ore della mattina e della sera, ma era niente di meno che l’ultimo giorno del mio supplizio scolastico liceale, il giorno degli orali della maturità. Il mio colloquio era durato abbastanza per cominciare a farmi innervosire seriamente, nonostante l’autocontrollo che mi avevo allenato fino allo sfinimento, ma era andato discretamente, anzi, decisamente meglio di ogni mia più rosea aspettativa, e ne ero contentissima, sebbene non lo dessi ancora a vedere. Salutai ossequiosamente gli insegnanti della commissione d’esame e, data un’ultima occhiata nostalgica alla grande aula deserta che mi aveva ospitata durante l’ultimo anno di superiori, dopo aver recuperato il mio zaino e la mia fantastica custodia verde scuro uscii nel corridoio.
I miei compagni di classe che avrebbero dovuto dare il loro esame dopo di me erano già pronti per entrare, appena fossero stati chiamati.
Lanciai uno sguardo d’intesa alla giovane dai capelli rossi, come per dirle sommariamente come fosse andato il mio esame, e lei mi rispose con un sorrisino che era tutto un programma. Anche la ragazza dai capelli corti e scuri raccolti in una codina di cavallo e quella dai capelli castani lunghi e setosi che erano sedute di fianco a lei smisero per un attimo di chiacchierare e mi guardarono. Gli sorrisi felice, sentendo che il freno della mia felicità ormai stava rompendosi: non riuscivo più a trattenermi dal sorridere a chiunque incontrassi.
In un qualsiasi altro momento avrei tanto voluto rimanere lì, ad aspettare che anche loro passassero l’esame orale, ma non in quello: il fatto di aver superato quel gigantesco scoglio che per me era l’esposizione davanti alla commissione faceva immediatamente declinare ogni possibile pensiero a fermarmi lì, in quel corridoio, in quella scuola che ormai mi aveva regalato tutto ciò che poteva. E poi… C’era una destinazione a cui dovevo arrivare al più presto, e la mia amica dai capelli rossi lo sapeva perfettamente. Quando la ragazza aveva risposto al mio sguardo, avevo subito capito che voleva che la chiamassi a fine giornata, per raccontarle tutto.
“E così farò, stai tranquilla,” pensai poi, ormai sulle scale, dando un’ultima e fugace occhiata al mitico corridoio del primo piano colorato dalle chiome e dai vestiti degli studenti diciottenni in attesa del giudizio finale.
Attraversai velocemente il cortile della scuola, passando davanti allo spiazzo coperto delle macchinette, con il venticello leggero appena alzato che faceva ondeggiare leggermente la canottiera bianca sopra i jeans blu scuro che avevo messo quella mattina, e poi girai l’angolo una volta percorso tutto il lato dell’edificio. Davanti al cancello, c’era un nugolo di giovani dall’aria rilassata raggruppati attorno ad un uomo alto e dal volto sorridente.
“Ecco il don, sempre di buon umore…” pensai, vedendo quel singolare spettacolo.
Il don era l’unico ‘professore’ fuori da scuola, impegnato più a chiacchierare con gli studenti appena valutati che con gli alunni ancora sotto esame o con i professori della commissione. La sua presenza era rassicurante e metteva sempre di buon umore, ci sapeva proprio fare con i ragazzi, forse perché in fondo in fondo era un ragazzone anche lui.
Appena mi vide, mi chiamò sventolando il braccio in aria: - Hey, Monica! Vieni qua a chiacchierare con noi! Voglio sapere come è andato il tuo esame, e anche loro sono interessati. -
Con un veloce cenno della mano, feci capire al don che non avevo il tempo di fermarmi: - Verrò nei prossimi giorni don, adesso devo proprio scappare! -
L’uomo mi guardò fuggire verso il cancello della scuola con sguardo rassegnato, e mentre correvo lo sentii dire ad alta voce, quasi per farsi sentire apposta: - Eh, mi dispiace ragazzi… Dovevate conoscere Monica durante questo ultimo anno, adesso è più sfuggente della brezza mattutina! Probabilmente non avrete più occasioni! -
Scossi la testa a quella frase del don, seppur lusingata dalle sue parole, e sentii addosso gli sguardi curiosi e divertiti dei giovani diciottenni che erano lì con lui, anche loro usciti dalla lunga tortura finale, negli ultimi istanti di corsa sfrenata.
L’unica cosa che occupava la mia testa in quel momento era la lezione di violino a cui avrei dovuto partecipare poco dopo. Ecco il perché della mia custodia verde a scuola: conteneva quel prezioso strumento per cui avevo tanto lottato e che mi aveva dato moltissime soddisfazioni.
Era una delle mie più grandi fonti di benessere, poiché la musica era una parte importantissima della mia vita, e il suono unico di quel violino mi aveva stregata e aveva rapito il mio cuore, che ben presto aveva cominciato a battere al ritmo delle melodie create da corde ed archetto. La ragazza dai capelli rossi era l’unica a sapere di quella mia passione, ma il suo sorrisino non era dovuto solamente a quello. C’era anche un altro motivo dietro a quel viso furbo e curioso: il mio compagno di studi, Marco.
Proprio mentre pensavo al suo nome, superato il cancello della scuola, lo vidi davanti alla fermata del pullman che dovevo prendere per arrivare alla scuola di musica, intento ad osservare lo schermo del suo iPod, che probabilmente era acceso e stava riversando musica a tutto volume nelle sue orecchie, come solito.
“Oh mio… Ma che ci fa qui?” pensai subito, intuendo che c’era sicuramente un motivo per cui era venuto lì.
Quel ragazzo era un vero mistero per me, non riuscivo a capirlo: era alto, dalla carnagione chiara, il corpo agile e allenato. Il suo viso era delimitato da tratti decisi ma non secchi, gli occhi erano chiari, ma profondi e penetranti, le labbra sottili e il sorriso disarmante.
Era veramente un bel giovane e, quando lo avevo conosciuto per la prima volta, quando la nostra insegnante di violino ci aveva presentati a inizio anno, scoprii che era felicemente fidanzato con una ragazza bella quanto lui.
Sembrava così fantastico, perfetto e irraggiungibile che, quando iniziò ad interessarsi a me, rimasi disorientata e stordita da ciò che stavo vivendo. Nonostante fosse fidanzato, infatti, dopo qualche mese di lezioni passate sempre in due, cominciò a chiedermi di uscire, di accompagnarmi a casa e robe simili. Naturalmente avevo sempre rifiutato, e non solo perché era fidanzato ma anche perché, quando avevo cominciato a conoscerlo meglio, avevo conosciuto il suo lato più possessivo e determinato: aveva una forte personalità, e lottava contro tutto e tutti pur di riuscire ad ottenere ciò che voleva, ciò che aveva deciso.
Voleva che tutto andasse come desiderava lui, e a me non piaceva per niente quel suo modo di fare. Pur mettendogli sempre i bastoni fra le ruote, quindi, quel ragazzo non si era ancora rassegnato e, pur con frequenza minore rispetto ai primi tempi, continuava a chiedermi di uscire. Era proprio questo aspetto ad aver fatto sorridere la mia amica: le avevo raccontato del ragazzo, e aveva un opinione completamente opposta alla mia sulla faccenda, ma conoscendomi sapeva bene che non avrei ceduto. Così si accontentava di sentirmi raccontare i tentativi del giovane, commentando però a oltranza. E quel giorno, naturalmente, si aspettava la sua ricarica di pettegolezzi serali.
Alcuni secondi dopo ero arrivata davanti al ragazzo: - Marco, ma che diavolo ci fai qui? - esclamai, quando gli fui praticamente di fianco.
Il giovane alzò lo sguardo e, meccanicamente, si tolse le cuffie dalle orecchie: - Hey, ciao Monica, ti stavo aspettando. -
- Ah davvero? E perché? -
- Beh, abbiamo lezione oggi, no? -
- Certo. E allora? -
- Sono venuto a prenderti, no? Che domande… -
- Scusa, ma non mi sembra di averti chiesto di venirmi a prendere. -
- Uff, per una volta che ti faccio un favore… -
Conoscevo perfettamente il tono con cui mi stava parlando: era il classico tono di voce da ‘ormai sono qui, devi per forza accontentarmi’.
Scossi la testa, rassegnata: - Ah, e va bene, hai vinto. -
Marco sorrise trionfante, afferrandomi per un polso: - Molto bene! Forza, seguimi, - continuò, trascinandomi verso un parcheggio vicino alla scuola.
Dopo qualche attimo di corsa, arrivammo al parcheggio, e il ragazzo mi guidò fino ad una bella macchina nera, di un marchio molto prestigioso.
- Però! Complimenti, è tua? - gli chiesi, mentre sistemavo lo zaino nel baule dell’auto.
- Certo. E’ un regalo per aver superato l’esame della patente, ce l’ho da un bel pezzo. Possibile che tu non l’abbia mai vista? - rispose lui, con finta aria di superiorità.
- No, sinceramente non ti avevo mai visto venire e andare via dalla scuola con questa macchina, di solito sparivi appena finito, - continuai io, accomodandomi al sedile del passeggero, sistemando il violino fra le gambe per evitare di farlo sbattere.
- E non ti sei mai chiesta perché? - domandò poi lui, mettendosi al posto di guida e facendo partire la macchina.
- Perché cosa? -
- Perché sparissi così, all’improvviso. -
- No. Saranno stati affari tuoi. Al contrario di te non sono così interessata ai fatti altrui. -
Eravamo appena scesi in strada, e ci stavamo dirigendo a scuola a buona velocità. Per fortuna, pensai, Marco mi parlava guardando attentamente la strada: già ero tesa per essere finita in una situazione del genere, e vedere che il ragazzo guidava con prudenza mi aveva tolto una preoccupazione.
Più o meno a metà strada, dopo qualche minuto di silenzio abbastanza pesante, Marco mi chiese: - Allora, sei riuscita ad esercitarti? Arianna vuole che riusciamo a completare nelle prossime lezioni il duetto per il concerto, così da avere una cosa in meno da sistemare… -
- Si, anche se con gli esami da finire ho dovuto comunque ridurre il tempo di esercitazione, - risposi io; - Ma adesso che ho finito avrò sicuramente più tempo libero per prepararmi al meglio. E tu invece? -
- Io? Ho quasi finito di sistemare le ultime cose. Dopotutto, io non ho avuto gli esami, li ho fatti l’anno scorso. - 
- Ah, è vero… Beh, ma tu hai anche avuto tutto il tempo di provare questo e i pezzi di prima, visto che ti sei preso un anno sabbatico prima di iniziare l’università… - Quella frase mi uscì con una nota leggera di irritazione: era decisamente abituato a fare la bella vita… Niente a che vedere con il mio mondo, che prevedeva la mia entrata, quel settembre, all’Università di Scienze della Comunicazione o, nel caso di una mia promozione agli esami di violino, l’entrata in Conservatorio.
- Hey, guarda che non me ne devi fare una colpa. Scusa, visto che c’era questa possibilità… Beh, perché non sfruttarla? - replicò lui, tirandomi un buffetto sulla guancia.
Sospirai alla sua risposta, scuotendo leggermente la testa. Si, quel ragazzo faceva tutto ciò che voleva, e non c’era possibilità di farlo cambiare.
- Comunque… Hai pensato a che università frequentare, almeno? -
- Certo! Ma per chi mi prendi? Ho alcune possibilità di medicina, lingue… O un conservatorio, - rispose lui, sottolineando l’ultima parola.
- Ah, non pensavo che avresti preso anche il conservatorio come possibilità, - dissi io, voltandomi verso di lui. Mancavano pochi metri alla scuola, ormai.
- Beh, si… Dopotutto, sto andando bene a lezione, e Arianna ha detto che potrei avere molti contatti per orchestre e concerti se facessi anche dei corsi più specializzati, quindi… - Il suo tono si era trasformato: sembrava incredibilmente più serio.
Era la prima volta che lo sentivo parlare in quel modo.
Due minuti dopo parcheggiammo davanti a scuola e, recuperati zaino e violini di entrambi, scendemmo da basso a scuola.
Appena entrati, la segretaria ci salutò: - Hey, ragazzi, come siete in anticipo! Arianna non è ancora arrivata, anzi… -
- Perché? Che è successo, Laura? - chiesi io, allora, dopo aver constatato che eravamo arrivati venti minuti in anticipo.
- Ha appena chiamato, ha detto che è rimasta imbottigliata nel traffico fuori Milano, ci metterà un bel po’ ad arrivare… - continuò Laura, sospirando; - Purtroppo ci saranno ritardi in tutte le lezioni, anche in quelle dopo di voi... Avremo dei guai oggi. -
- Oh, che sfortuna… - intervenne Marco: non mi sembrava molto convinto, però.
- Ah, beh… Comunque, ragazzi, se volete potete andare a sistemarvi, intanto, e poi potete andare a prendervi qualcosa, - continuò la donna, indicandoci la stanza di esercitazioni sul fondo del corridoio. - Va bene. Grazie, Laura, - le risposi io, facendole un rapido cenno, avviandomi verso l’aula assegnataci con Marco al seguito. Appena entrata, il solito odore di legno tipico di quella stanza mi travolse, facendomi sentire in un ambiente familiare e accogliente. Conoscevo ogni centimetro di quella stanza, visto il tanto tempo che avevo passato al suo interno, e ne ricordavo ogni particolare: era una stanza dalla forma a elle, con il breve corridoio d’ingresso e poi l’aula vera e propria. Era dipinta di un bel color albicocca, e il pavimento era di parquet, di una tonalità un po’ più scura di quella delle pareti, coperto dai vari strumenti che popolavano la sala. Alla parete di sinistra erano appoggiate come sempre le solite quattro sedie, a quella di destra invece erano appoggiati un tavolino, una tastiera, alcune chitarre riposte ordinatamente in uno scaffale apposito e un armadio che conteneva i violini da noleggio e spartiti di ogni genere. Ai muri erano appesi i quadri di spartiti, famosi compositori o foto di concerti e paesaggi autunnali, il tutto intonato ai colori del resto della stanza e, al centro, come un re, troneggiava il grande pianoforte a coda nero lucido, lo strumento più bello che avessi mai visto di quel genere.
Avanzai lentamente verso il pianoforte e, dopo aver appoggiato il mio zaino su una delle sedie, misi la custodia del mio violino sul pianoforte, per poi cominciare a sistemarlo. Nel frattempo, Marco sembrava essersi volatilizzato: la sua custodia era appoggiata sul tavolino, e la porta della stanza era aperta: doveva essere andato a prendere qualcosa. Tornò qualche minuto dopo, mentre aprivo la mia custodia, portando fra le mani due lattine di Sprite: mi accorsi che era tornato perché sentii la porta dell’aula chiudersi di scatto.
- Ecco, tieni: ti aiuterà a recuperare un po’ di zuccheri, visto che hai appena finito gli esami, - mi disse, porgendomi una lattina.
Io chiusi la custodia, per non impolverare il violino: - Grazie. -
Il ragazzo si mise a sedere su una sedia, di fianco al suo strumento, mentre io rimasi in piedi accanto al pianoforte a sorseggiare la Sprite che mi aveva portato. Mentre bevevamo, Marco rimase stranamente pensieroso e silenzioso: sembrava che ci fosse qualcosa che lo impensieriva, ma non avrei saputo dire cosa.
Qualche attimo dopo, però, recuperò il suo solito tono e disse: - Allora, cosa hai intenzione di fare stasera? Vai a festeggiare gli esami? -
- Mhm? A dir la verità no, stasera non ho niente da fare. Abbiamo deciso di andare a fare un giro in centro e a mangiare tutti insieme, domani sera, per poterci riposare oggi, - risposi io, bevendo un sorso di bibita.
- Davvero? Allora saresti libera oggi? -
“Non mi dire che adesso ricomincia... Beh, ma è anche colpa mia, dopotutto, me la sono praticamente tirata dietro,” pensai.
- Io non avrei effettivamente da fare stasera, ma preferirei rimanere a casa a poltrire… E’ da tanto che non mi metto a guardare il soffitto senza pensare a nulla, - dissi allora, ridacchiando all’ultimo pezzo di frase.
- Potresti venire al cinema con me, stasera. Non devi fare nessuno sforzo per guardare uno schermo, - replicò allora lui, posando la sua lattina sulla sedia di fianco alla sua.
“Eccolo: sapevo dove sarebbe andato a parare,” sospirai, scuotendo la testa: - No, Marco, mi dispiace. Non verrò con te. -
- Ma perché? Me lo vuoi spiegare? – chiese il giovane, abbastanza infastidito dall’ennesimo rifiuto.
- E me lo chiedi anche? Porca miseria, tu sei fidanzato! Quante volte avremo parlato di questa cosa? - esclamai, esasperata, andando in fondo alla stanza a buttare la mia lattina nel cestino nascosto dietro all’armadio.
Ma perché sembrava che per quel giovane non esistessero legami fissi? Che tutto e tutti dovessero essere a sua disposizione?
Quando mi voltai, vidi che il ragazzo si era alzato e stava venendo velocemente verso di me: sorpassò il tavolino e le chitarre, affiancò il piano e mi si piazzò davanti, puntando le braccia sul muro sopra di me.
- Ma che…? – mormorai, quando ormai era fin troppo vicino.
- Se è solo quello il problema, non te ne devi preoccupare: io e la mia ragazza ci siamo lasciati già da più di due settimane. -
Rimasi zitta qualche secondo. – Ah, non… Non me l’avevi detto, - dissi poi, abbassando lo sguardo.
- Beh, te lo sto dicendo adesso, - replicò lui, avvicinandosi ancora di più a me.
“Questo non molla,” pensai, cercando di rimanere calma.
- Comunque non è solo quello il problema. -
- Ah no? -
- No. Dopotutto, non mi piace molto il tuo carattere, e il tuo modo di fare… Non è dei migliori, ecco, e… A volte sei troppo… - cercai allora di spiegare, mentre Marco continuava ad avvicinarsi: praticamente i nostri nasi si sfioravano.
- Senti, - dissi allora, imbarazzata, cercando di farlo indietreggiare spingendolo con entrambe le mani; - Vedi di fare il serio, almeno per un attimo. Non riesco a parlarti seriamente, così, sei troppo vicino. -
- E allora non dire nulla, - disse però lui, prendendomi la mano e bloccandola contro il muro, tornandomi appiccicato.
Stavo cominciando ad innervosirmi seriamente: mi era troppo vicino, sentivo chiaramente che le guance stavano diventando rosse per l’emozione e l’imbarazzo, e avere i suoi occhi chiari che mi scrutavano imperturbabili mi mettevano ancora più in agitazione.
- Marco, non fare lo stupido, spostati, - dissi allora, cercando di sbloccare la mano dal muro, inutilmente.
- No. -
- Ma perché cavolo fai così? Forza, lasciami. -
- Non ci penso proprio, Monica, - continuò, stringendo più forte la presa sulla mia mano e marcando la pronuncia del mio nome.
Alla fine, sentendo che il ragazzo continuava a stringermi sempre di più il polso, non ce la feci più, e esclamai violentemente: - Diavolo, finiscila! -
Fu in quel momento che cominciai a non capire più nulla: un attimo dopo aver sbottato, Marco mi si avvicinò fino a toccarmi, baciandomi. “Ma che cosa…?” pensai allora, presa alla sprovvista: non pensavo che si sarebbe spinto così in là. Pensavo che si sarebbe limitato a tenermi addosso alla parete fino a quando non si sarebbe stufato di giocare con me, pensavo che alla fine me l’avrebbe data vinta come tutte le altre volte, pensavo che avrebbe ragionato prima di agire almeno per una volta… E invece mi stava baciando, senza risparmiarsi nulla, senza neanche pensare che io avrei potuto non volerlo. La presa sulla mano non sembrava volersi allentare, e lui non sembrava voler desistere. Sentivo le sue labbra, il suo calore che non faceva altro che peggiorare la situazione, perché sentivo che più stavamo appiccicati, più le mie difese si abbassavano sempre di più. Non potevo negarlo a me stessa: mi piaceva, mi piaceva tantissimo, ma avevo represso le mie emozioni e i miei sentimenti quando avevo scoperto che aveva una ragazza. Non avevo ceduto neanche quando aveva cominciato a chiedermi di uscire, perché l’idea del tradimento non mi era mai piaciuta, e man mano che scoprivo nuove cose su di lui e sul suo carattere i sentimenti continuavano ad affievolirsi. Era bastato un unico, passionale bacio per risvegliare in me la fiamma che mi ardeva in petto la prima volta che lo avevo incontrato. Sentivo i battiti del cuore rimbombarmi nelle orecchie, e sentivo che il cuore di Marco pulsava al mio stesso ritmo, proprio come quando suonavamo insieme. Un ritmo che solo lui conosceva e poteva completare. Ci misi qualche secondo, ma alla fine chiusi gli occhi e risposi al bacio, lasciandomi andare completamente in quel turbine di emozioni. Quando il ragazzo si accorse che non opponevo più resistenza, lasciò andare lentamente la mia mano, che mi ricadde lungo il fianco, e mi prese il volto fra le mani, senza smettere di baciarmi. Ero completamente travolta dall’impetuosità di quel giovane, così nuova eppure così familiare, e sembrava che i sensi si fossero amplificati per farmi vivere al massimo quella sensazione: potevo percepire chiaramente il corpo di Marco così vicino al mio, sentivo il suo odore, il sapore forte delle sue labbra… In un attimo, mi chiesi come mai lo avessi sempre rifiutato, visto che non capitava tutti i giorni di avere un ragazzo così a portata di mano, ma sapevo che mi ero tenuta lontana da lui solo per buonsenso e, nonostante tutto, sapevo di aver fatto la scelta giusta. Se non lo avessi rifiutato, non saremmo mai arrivati lì.
Dopo alcuni secondi che mi sembrarono un eternità, Marco si staccò lentamente da me. Quando fu distante qualche centimetro dalla mia faccia, si passò un dito sulle labbra e disse: - Dovevo proprio fare una cosa del genere per convincerti ad uscire con me? -
Io feci un sorrisino divertito: - E chi ti dice che tu mi abbia convinto? -
- Cosa scusa? -
- Non ti ho ancora detto se accetto o no la tua proposta. -
- Ma io non ho intenzione di sentirmi dire di no, dopo questo. -
- ...A quanto pare non mi lasci proprio scelta. -
Alzai lo sguardo ancora rossa per l’emozione, incontrando i suoi occhi color ghiaccio occupati a guardarmi intensamente. Mi accorsi improvvisamente di aver sempre amato quegli occhi. Mi mise una mano dietro la nuca e, dopo avermi attirato a sé, mi baciò ancora, fugacemente.
- Perfetto. Hai fatto la scelta giusta, - rispose poi, dopo aver lasciato nuovamente le mie labbra; - Allora, ti passo a prendere stasera alle otto e mezza? -
- Mhm… Va bene, penso che sia un buon orario. -
- Non ti aspettare di tornare a casa presto, però. - Il suo tono non mi fece pensare nulla di buono, al momento.
Lo guardai leggermente storto: - Non provare a fare cavolate. E’ solo la prima sera, se combini pasticci potrei anche ripensarci. -
Lui mi canzonò, con tono piuttosto ironico: - Non sia mai! Dopo tutta la fatica che ho fatto per convincerti! -
Proprio mentre stavo per rispondergli, però, sentimmo bussare alla porta.
Un silenzio glaciale calò nella stanza: c’era qualcuno alla porta, e Marco mi stava ancora tenendo attaccata al muro. Subito ci allontanammo, imbarazzati entrambi, e ci avvicinammo al pianoforte. Quando andai ad aprire, vidi che finalmente era arrivata l’insegnante: - Arianna! Meno male, pensavamo che non arrivassi più! -
Quella, dopo essere entrata e aver salutato anche Marco, sistemò il suo strumento accanto al mio, sul pianoforte, e ci esortò: - Forza, abbiamo perso abbastanza tempo. Tirate fuori i violini, accordateli e preparatevi, che voglio un esecuzione perfetta del vostro duetto. -
Ci sistemammo tutti e tre e, dopo qualche occhiata d’intesa, io e Marco cominciammo a suonare il nostro brano, che sembrava più espressivo del solito. Le note erano più in armonia, la melodia risultava più dolce ma allo stesso tempo più energica e precisa, il ritmo era perfetto.
Quando finimmo, Arianna quasi non ci credeva: - Cavolo, vi avevo chiesto un’esibizione perfetta, ma questa era anche meglio! Che vi è successo? Non eravate mai andati così bene. -
Io e Marco, a quelle parole, ci scambiammo una veloce occhiata complice: - No, niente di particolare. Sarà solo una buona giornata, tutto qua. -


 

Piccola nota: ho scritto un bel po' di tempo fa questa storia come mio primo tentativo di scrittura, quindi so perfettamente che non è perfetta :)
Spero però che qualcuno voglia recensirla per aiutarmi a migliorare :)
  
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