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Autore: Faust_Lee_Gahan    02/06/2012    0 recensioni
"John guardò la pillola bianca posizionata nell'esatto centro del suo palmo."
[Sherlock/John]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Lividi Amniotici'
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Titolo: Tourniquet

Summary: John guardò la pillola bianca posizionata nell'esatto centro del suo palmo.

Pairing: Sherlock/John

Rating: PG13

Words: 1056

Disclaimers: Non miei e “blablablabla! Lascia stare! Abbiamo detto queste cose centinaia di volte!”

Notes: Per la Sherlothon dello SFI sul prompt #3 (http://i602.photobucket.com/albums/tt102/Belcus/Sherlock%20Holmes/musg-01.jpg) Team Canon!





Tourniquet


E' così che rimani vivo.

Quando soffri tanto

da non riuscire a respirare,

è così che sopravvivi.”

(Grey's Anatomy)




Ho provato ad ammazzare il dolore. Ma ne ho solo portato dell'altro.


«Si chiamano painkillers, John.» disse Ella, porgendogli un tubetto arancione «Ti aiuteranno a dormire.»

John lo prese in mano e lo guardò in silenzio, rigirandolo.

«Io non voglio dormire.»

«Non può essere peggio di quando sei sveglio.»

John fece un mezzo sorriso. «Lo dici tu.»


Sto versando rimorso e tradimento color cremisi.


John guardò la pillola bianca posizionata nell'esatto centro del suo palmo. Aveva un sopracciglio alzato, diffidente. Si chiese se gli avrebbe potuto dare un sonno senza incubi, o anche una veglia senza incubi. O qualsiasi cosa che non contenesse fottuti incubi. Alzò le spalle, pensando che peggio di così non poteva ragionevolmente andare, e inghiottì la pillola.


Dici che sono troppo perso per essere salvato?


«Non hai niente che possa salvarmi dall'asma?»

«A parte darti l'inalatore, non posso aiutarti. Lo sai meglio di me come si cura l'asma.»

«Sul serio? Non hanno fatto qualche pillola anche per questo?»

«Il tuo asma è psicosomatico, John. Te l'ho già detto, e in ogni caso te lo sai già diagnosticato da solo.»

«Sì, perché sono tanto brillante, non è vero?»


Ti ricordi di me? Perso per così tanto tempo.


Ce l'aveva ancora davanti agli occhi, Sherlock.

Stava cercando qualcosa nel baule dove di solito metteva cose sui casi archiviati, con la frenesia che gli era nota ormai da tempo. Non se ne meravigliò.

«Che cerchi?» chiese continuando a leggere il giornale.

«Niente!» rispose lui.

Questo lo meravigliò. Alzò gli occhi dalla carta stampata e lo guardò.

«Come niente? Che stai combinando?»

«Intendevo dire niente a cui tu ti debba interessare! Mi stai facendo perdere tempo!»

«Se è così urgente posso aiutarti. Dimmi com'è fatto questo qualcosa.»

Sherlock si voltò finalmente a guardarlo, sbuffando. «E' una specie di scatolina di legno, e l'ultima volta l'avevo messa qui dentro!»

«Una scatolina? A che ti serve?»

«Esperimenti, John! Aiutami senza fare troppe domande!»

Fu il turno di John di sbuffare. Si alzò e si mise a cercare lì intorno, in silenzio. Andò in cucina a frugare tra le varie cianfrusaglie sperimentali sul tavolo, cercando di ignorare le più disgustose. Trovò un contenitore di plastica piuttosto maleodorante e decise, senza neanche aprirlo, di metterlo in frigo. Aprì la porta, posandolo sul ripiano, ma prima di richiuderlo si fermò. Davanti a lui c'era una scatolina di legno, probabilmente quella che cercava Sherlock. Sospirando rassegnato, la tirò fuori.

«Sherlock, credo di averla trovata!» disse ad alta voce.

«Ne sei assolutamente certo?»

«Credo di sì, che ne so?»

Mosso da pura curiosità la aprì. Rimase un secondo a fissarne il contenuto, mentre un John Watson fotografato ricambiava lo sguardo. Posò la scatolina sul tavolo e lo svuotò dalle foto. Erano davvero poche, giusto qualcuna, e avevano tutte come soggetto John, sembravano scattate in sequenza. Sembrava stesse annusando qualcosa e aveva delle facce buffe. Solo in una stava sorridendo, ma non era in posa. Sembrava fosse stata fatta per caso.

«Dov'erano?»

John alzò lo sguardo. Sherlock stava con la schiena appoggiata al tavolo e aveva un'aria imbarazzata.

«Nel frigo.» rispose «Ma cosa sono?»

«Sono fotografie, John. Dovresti saperlo.»

«Lo so che sono fotografie, ma cosa ci faccio io in queste fotografie e quando sono state scattate?»

«Stavamo risolvendo gli indovinelli di Moriarty, questo era il caso della presentatrice televisiva uccisa dal cameriere. Ti ricordi?»

«Il maggiordomo è sempre il colpevole. Sì, mi ricordo. Ma come ci sono finite qui?»

Sherlock strinse le labbra, prendendosi un momento prima di rispondere. Alzò gli occhi al cielo e sospirò. «Ho trovato qualche tempo dopo la macchina fotografica e ho pensato di svilupparle, giusto per sapere se fossero venute o meno, e quelli sono i risultati.»

John sorrise, cominciando a capire. «E le hai conservate, nonostante non avessero alcuna utilità?»

Sherlock guardò altrove, stizzito. «Esatto.»

«Hai conservato le mie foto?»

«John, quante volte dovrò confermartelo?»

Lo fissò per qualche secondo, inspiegabilmente felice. Lanciò un'altra occhiata alle foto, prima di porgergliele.

«A che ti servono?» chiese, sapendo già di non ottenere risposta.

«Esperimenti che non ti riguardano!» disse Sherlock, strappandogliele di mano e uscendo imperioso dalla cucina.

Appunto.


Sarai dall'altra parte?


Nel suo personale baule dei ricordi, John vedeva Sherlock tenere in mano quelle poche foto e osservarle sorridendo o ridendo sommessamente, al buio, avendo come unica fonte di luce quella che veniva dalla finestra. Sorrideva anche lui, nascosto dietro lo stipite della porta.


O ti dimenticherai di me?


Affanno. Affanno. Affanno.

Era caduto dalla poltrona e arrancò ansante fino al tavolino. Tremando si aggrappò alla sedia e trovò l'inalatore quasi subito. Vuoto. Inspirare, espirare. La realtà l'aveva colpito in mezzo agli occhi. Inspirare, espirare. Avrebbe dovuto provare a sparire. Inspirare, espirare. Ma c'è un solo modo per scappare da qui. Inspirare. Espirare.

Una volta calmatosi, si alzò e si diresse a passo sicuro verso il bagno. Aprì il mobile delle medicine e prese il tubetto che stava adocchiando da giorni. Si guardò allo specchio.

Gliel'avevano detto. Ripetutamente.

Tutto quello di cui hai bisogno è l'amore, gli avevano detto.

Aprì il tubetto. Il tappo fece un rumore troppo buffo, inadatto alla situazione.

Tutto quello di cui hai bisogno è l'amore.

Che stronzata. (1)


Sto morendo. Pregando.


Ripensò agli incubi che le pillole gli davano. Non sapeva quali fossero i peggiori, se quelli che faceva normalmente, o le vere e proprie visioni date dalle medicine che dovevano aiutarlo a dormire – a detta di Ella - e che invece lo facevano svegliare di botto, urlando.

Painkillers. Ironia della sorte.

Non che fossero poi molto diversi, in fondo. Le basi erano le stesse.

«Vaffanculo.»

Svuotò il barattolo nel palmo della mano, prese fiato squadrandole, e cominciò a ingoiarne una a una.


Sto sanguinando. Urlando.


«John, non puoi stare su quel pavimento in eterno!» esclamò Harry, frustrata.

Lui non batté ciglio, né disse niente. Non diede segno neanche di aver notato la sua presenza.

«Ma ti rendi conto di quello che hai fatto, almeno?»

Non le aveva chiesto lui di venire a salvarlo. John non capiva perché si agitasse tanto.

«Di' qualcosa, almeno!»


Le mie ferite bramano la tomba.

La mia anima brama la liberazione.


«Sherlock, dove siamo?»

«Sulla Metropolitana dei Morti.» (2)


Il mio laccio emostatico.


John aprì gli occhi. Allungò la mano tremante verso il nulla.

Non vedeva niente. Solo il buio, e seppe di essere morto.

Sorrise. Un sorriso tremulo, ma sincero. Come non ne faceva da mesi.

Sentì una mano che gli toccava il viso, gli spalancava gli occhi, la bocca.

Sentì che un'altra mano gli stava infilando qualcosa in bocca mentre quella che prima lo stava tastando gli stava alzando il viso.

John ricominciò a respirare. Era l'inalatore.

Poi cominciò a vedere meglio, e mise a fuoco la sagoma preoccupata di sua sorella.

La guardò con disprezzo, realizzando di non essere morto.

Non l'aveva mai odiata tanto in vita sua. (2)





Notes, again:

Salve. La Sherlothon è ormai agli sgoccioli, se non proprio conclusa. E' stato bello. Stressante ma bello. Citazioni: (1) autocit. da Horror vacui;(2) autocit. again da Lovesong; quelle in corsivo sono dalla canzone degli Evenescence che dà il titolo alla storia; quella iniziale dalla 6xO1 di GA.

Milioni di grazie a Sonia. ♥

  
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