Disclaimers:
Sherlock appartiene a Sir Arthur Conan Doyle, alla BBC e a
Moffat/Gatiss.
ABBRACCIAMI
John camminava
veloce lungo la
strada semideserta, lo sguardo fisso a terra. Il sole, basso
sull'orizzonte
davanti a lui, proiettava le ombre dei passanti sul marciapiede. Era la
fine di
un'altra giornata.
L'ennesima senza Sherlock.
Pensarci faceva male come il primo
giorno.
Si fermò, frugandosi nelle tasche
della giacca alla ricerca delle chiavi.
Fu in quel momento che la vide.
L'ombra spropositatamente lunga di una persona, il contorno di una
testa
disordinata e riccia vicino alla punta delle sue scarpe, il profilo
ampio di un
cappotto. Inconfondibile.
Le chiavi caddero a terra.
Non poteva essere.
Non poteva essere vero.
John era stato in guerra, aveva vissuto
la paura delle bombe e degli attacchi kamikaze sulla sua pelle, ma mai,
mai in
vita sua aveva avuto tanta paura come in quel momento.
Paura di alzare lo sguardo,
paura di vedere a chi
appartenesse quell'ombra.
Paura di
illudersi.
Paura di sperare.
Paura di tornare a vivere.
Perché sicuramente si stava
sbagliando: lui era morto, quell'ombra apparteneva a qualcun altro e
nel
momento in cui avesse alzato lo sguardo, la realtà l'avrebbe
ucciso di nuovo.
"John."
Oh dio, quella voce.
"John." quella voce bella,
bassa e vibrante.
"John, guardami." Era la
sua voce, la stessa voce che tre anni prima era solita ordinargli "John, fammi una tazza di tè"
"John, prestami il tuo cellulare." "John... John..."
E John obbedì, come sempre.
Intravide una indistinta massa scura
in movimento e poi Sherlock fu su di lui, contro di lui, attorno a lui,
fu
tutto ciò che esisteva, in un abbraccio forte e concreto.
"Sherlock." sussurrò il
dottore, mentre le lacrime e il dolore trattenuto per tre lunghi anni
minacciavano di traboccare dagli occhi, dalla gola, dal fondo
dell'anima. Si
coprì la bocca con una mano a soffocare un grido, mentre il
suo corpo prese a
tremare violentemente. "Sherlock." ripeté ancora, incapace
di
formulare qualsiasi altro pensiero.
"Sono qui." la mano del
detective si posò delicatamente sulla testa bionda.
"Sei tu..."
"Sì."
"Sei proprio tu..."
"Sì."
Esitante, John gli toccò la
schiena con la mano,
sentendola solida e calda sotto il suo palmo. Vera, reale.
"Perdonami,
John." mormorò Sherlock contro la sua giacca.
"Taci, taci Sherlock."
Avrebbero avuto tempo per parlare.
John avrebbe avuto tempo per infuriarsi, maledirlo e prenderlo a pugni.
Certamente.
Ma non ora.
Ora tutto quello che importava era
che Sherlock era tornato al luogo cui apparteneva. Tra le sue braccia.
FINE