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Autore: candycotton    03/06/2012    0 recensioni
«Sei nuova di qui?».
«Sì, sono appena arrivata. In realtà mi sono trasferita circa due settimane fa, però ho iniziato la scuola solo oggi», spiegò lei.
Rosiel provò una strana sensazione. Parlare con quella ragazza, in quel luogo silenzioso, tra la natura, lo faceva sentire come in un altro mondo. Per un istante si dimenticò di Lucas e di quello successo poco prima nel corridoio. Gli pareva lontano anni luce.
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il Passato di Rosiel Black

Sabato undici maggio, 1991.

 

«Ehi Lou! Vieni qui, c’è bisogno di te!».

Lou Black bevve un altro sorso dal suo calice, lo appoggiò sul tavolo basso davanti al divano sul quale era seduto e baciò la ragazza che le stava accanto, tra i capelli. Teneva Lily Elliot stretta contro di sé, mentre guardavano insieme gli altri ragazzi, dalla loro comoda postazione sul divano. Iniziò a ridere quando sentì che lo chiamavano e levò il braccio da sopra le spalle di Lily.

«Torno subito», sussurrò al suo orecchio e si alzò, mentre lei trangugiava un altro po’ di alcool.

Lily seguì il suo ragazzo con lo sguardo mentre stava raggiungendo un gruppetto in cucina, indaffarato attorno a qualcosa che non riuscì a cogliere.

Si sentiva così felice in quel momento. La vita universitaria era un vero sballo.

Poco dopo una ragazza si buttò sul divano accanto a lei. «Lily! Ti stai divertendo?». Era evidente che la ragazza fosse un po’ brilla. Aveva la faccia paonazza e la risatina facile.

Lily, con la sua solita semplicità, le sorrise e annuì, scatenando in Claire un’altra risata argentina.

In quel momento riapparve Lou, che si sedette sul bracciolo del divano accanto a Lily e si sporse verso di lei, fino a incontrare le sue labbra in un lungo bacio. Claire si alzò e se ne andò, trotterellando verso la prossima persona sulla sua strada con cui scambiare qualche parola.

«Vuoi venire di là, amore mio?», mormorò Lou, rimanendo appiccicato al viso di Lily.

«Perché, che succede?».

«Fanno il brindisi a Michael», rispose ancora lui, strusciando il viso contro quello della sua innamorata, lievemente.

Lily chiuse gli occhi qualche istante, sentendolo contro la sua pelle. Poi decise di alzarsi, lo fece improvvisamente, lasciandolo imbambolato.

Lou le rivolse uno sguardo contrariato, ma lei gli sorrise ugualmente e gli prese il viso tra le mani. Quando parlò, lo fece ad un nulla dalle sue labbra.

«Andiamo a brindare a Michael, okay», si alzò e si diresse verso la cucina, mentre Lou grugnì qualcosa e la seguì, quasi correndole dietro.

In cucina, si erano pressoché riuniti tutti attorno al tavolo sul quale stavano, una torta alla panna, alcune bottiglie e calici di vetro. Quando Lily e Lou arrivarono furono accolti da alcuni che li avvisarono su cosa sarebbe successo.

«Tra poco arriverà Michael che ovviamente non sospetta di niente. Mi raccomando gridiamo forte e facciamo tintinnare questi bicchieri!».

Lou scoppiò a ridere e guardò Lily al suo fianco che faceva lo stesso. Le cinse le spalle con un braccio e la baciò ancora tra i capelli. Adorava tenere Lily stretta a sé. Era così minuta, era semplicemente perfetta ai suoi occhi. E quei capelli. Lou amava baciarla in mezzo ai capelli, così soffici e profumati.

In quel momento entrarono Michael, il ragazzo che quella mattina si era laureato, insieme a Janna, una delle ragazze più apprezzate del campus. Lui era indaffarato a parlare, così preso dalla sua accompagnatrice che non si rese conto di tutti i suoi amici radunati lì. Quando scattarono le grida e scoppiarono le stelle filanti, Michael rimase di stucco, totalmente sorpreso. Iniziò a ridere quando due ragazzi lo abbracciarono e quando la folla si accalcò su di lui. Uno di loro portò il tocco, il classico cappello da laureato e glielo fece indossare. Poi Michael imitò il gesto che aveva fatto quella stessa mattina davanti ad una gran folla di persone, e con grande gioia sul volto spostò il pennacchio sul lato opposto del tocco. Scattò l’applauso, mentre lui gridava cose del tipo: “Ce l’ho fatta!”, “stanotte brucerò tutti i libri!”, e, “grazie ragazzi, siete unici”.

Si accerchiarono tutti attorno al tavolo e riempirono i bicchieri con lo champagne. Lo sbattere dei calici l’uno contro l’altro divenne presto assordante e riempì la stanza senza lasciare spazio a nient’altro.

Una ragazza, che al campus faceva parte del giornale scolastico, si offrì di tagliare la torta e fu affiancata da qualche sua amica. Nel frattempo molta gente si era allontanata per i fatti propri, alcuni erano in salotto, altri attorno al tavolo degli alcolici, altri avevano raggiunto l’esterno e si erano messi a fumare sulla terrazza.

Lou appoggiò le mani attorno alla vita di Lily e la abbracciò con impulso. Lei rise e cercò di allontanarlo. Erano un tantino in mezzo, dato che si trovavano presso la porta attraverso cui la gente usciva ed entrava.

Lily cercò di spingerlo via, e il risultato fu che lui sbatté contro la parete della cucina e continuò tuttavia a starle avvinghiato.

«Lou!», ridacchiò lei.

Lui la liberò e la prese per mano, con un sorrisetto febbricitante sul viso.

La trasportò fino al corridoio dove la gente era meno accalcata e si andò a sedere sui primi gradini della scala che portava al piano di sopra. Lily gli sedette accanto e non fece in tempo a dire qualcosa che Lou le fu addosso, baciandola con intensità e bramosia.

Lily questa volta non lo allontanò, non ne aveva voglia. Quello che desiderava era solo stare ancora con lui, sempre più tempo con lui. Impazziva per lui, lo amava con tutta sé stessa.

Passò le mani tra i suoi capelli disordinati di quel biondo così chiaro che la mandava in delirio. E sentiva che lui faceva lo stesso, risalendo con la mano la sua schiena, e toccandole i capelli, fino al collo e al profilo del viso.

«Ehm ehm».

Si sciolsero all’istante. Alcune ragazze erano in piedi davanti a loro con facce più o meno imbarazzate. «Scusate, dovremmo andare in bagno», proferì una di loro, alzando le sopracciglia e fissando i due ragazzi con un sorrisetto inopportuno.

«Ah…», fece Lily, non riuscendo a trattenere una risata. Si alzò e fece spazio alle ragazze per passare. Lou rimase seduto, con una mano tra i capelli, evidentemente seccato.

Le tre passarono oltre, accelerando il passo sulle scale.

Lou sospirò, quando lo scalpiccio non fu più udibile. «Che seccatura, queste stupide», si lamentò.

«Dai, non prenderla male. Non è colpa loro se devono andare in bagno», fece Lily in tono pacato e leggermente divertito.

«Ma è colpa loro se siamo stati interrotti. E a me stanno sulle palle quelli che m’interrompono quando sono impegnato con te».

Lily scoppiò a ridere. «Dai, andiamo di là».

Si girò, ma Lou la prese per un braccio, costringendola a voltarsi. «Dai!», lo incitò lei.

Lou mugugnò, in tono scocciato. «Torna qui», la tirò ancora più verso di sé, e Lily non riuscì più a porgli resistenza; cadde sulle sue ginocchia.

«Torniamo in cucina, ora avranno tagliato la torta, e ci aspetta il nostro pezzo».

«Chi se ne frega della torta».

Lou la baciò di nuovo e Lily rispose spingendolo leggermente indietro, contro il profilo dello scalino. Lui mugugnò quando la sua schiena incontrò lo spigolo, ma non lasciò le labbra di Lily, fino a quando non lo fece lei.

«Alzati da qui», gli alitò contro.

«Sei troppo bella perché io possa resisterti», rispose Lou, sporgendosi sempre di più verso Lily che gli si stava allontanando a poco a poco.

Alla fine riuscirono a tornare in cucina, ma un attimo prima videro scendere le tre ragazze di prima dalle scale. Lou le guardò subito male, dall’uscio della porta. In tre in bagno in così poco tempo? Gli pareva strano e stava pensando se non lo avessero fatto apposta solo per il gusto di infastidirli. Comunque non ci diede più importanza e seguì Lily al tavolo.

La torta era squisita, alla panna, frutti di bosco e limone, decorata con zuccherini colorati.

Si erano appartati in un angolo a consumare la loro fetta di torta, quando Michael li raggiunse.

«Ehi, ragazzi!», diede una pacca a Lou e guardò Lily, «come ve la passate? Vi piace la festa?», Lily notò subito che anche lui aveva preso il volo per il pianeta alcool.

«Tutto bene, la festa è stupenda. E complimenti per la laurea, Michael!», fece Lily, entusiasta.

Michael grugnì una risata. «Grazie Lily! E anche a te Lou!», diede un’altra pacca a quest’ultimo e si allontanò incespicando.

«Torno subito», disse Lou, lasciando il suo piatto in mano a Lily.

Lei lo osservò mentre si faceva spazio tra alcuni ragazzi, poi lo perse di vista.

Lily continuava a guardare in quella direzione, ma Lou non tornava. Divenne irrequieta in quell’attesa. Non le piaceva che Lou la lasciasse sola. Lo vide tornare un po’ dopo con qualcosa in mano. La raggiunse, si riprese il suo piatto e le porse una bottiglia di birra. Un’altra, quella sarà stata la quarta della serata.

Lou le sorrise. Per un attimo Lily restò frastornata mentre la guardava. E si rendeva sempre più contro di quanto le piacesse quando lui sorrideva. Quando lo faceva per lei.

Lou aveva appoggiato il piatto su un tavolino, accanto ad una foto incorniciata e disposta sopra ad un centrino. Bevve un sorso dalla bottiglia, che aveva già stappato personalmente.

Lily bevve a sua volta. Si accorse che Lou aveva in mano anche un pacchetto di sigarette. Lo stava aprendo e ne stava estraendo una. Poi un’altra, quella per lei.

Gliela porse e la prese per mano. Lily non riuscì a capire cosa stesse succedendo: all’improvviso si sentiva più intontita e non sapeva bene il perché. Semplicemente si lasciò trasportare da Lou. Quando fu in grado di percepire meglio ciò che aveva attorno, capì che lui girava per la casa alla ricerca di qualcuno che avesse da accendere. Alla fine aprì l’anta della porta finestra e accedette al terrazzo, con Lily dietro. Due tizi erano concentrati in lunghe tirate dirette alla luna e alle stelle.

Quel terrazzo non era eccessivamente grande, o almeno era tanto grande quanto un normale terrazzo lo può essere. Lou porse la sigaretta e uno dei due ragazzi prese l’accendino dalla tasca dei pantaloni, e con flemma gliela accese.

Lily mostrò a sua volta la sua e il tizio eseguì lo stesso gesto anche con lei. Lou cinse Lily per le spalle e la trascinò verso un angolo della terrazza. Gli altri due si strinsero sul lato opposto.

Lou diede una lunga tirata, fino a che la punta della sigaretta si illuminò così tanto da diventare una lucciola nella notte e poi se la tolse di bocca e lasciò uscire il fumo.

Lily sentiva la testa girarle. Temeva di cadere di sotto. E non le pareva nemmeno sciocco pensarlo. Si appoggiò al petto di Lou e affondò il viso contro di lui, che le rivolse un’occhiata incerta, dubbiosa, ma le coprì le spalle con il braccio e le accarezzò dolcemente i capelli.

Lou aveva quasi finito la sigaretta quando i due ragazzi sul terrazzino rientrarono in casa, con fugaci e indecifrabili mormorii.

Scostò Lily da sé e la prese per le spalle. «Piccola, stai bene?».

Lily mosse un po’ il capo su e giù.

«Non ti va di fumare?».

«Non ora… scusa».

Lui la guardò corrucciato. «Ma che scusa. Non ti costringo mica, amore mio», le diede un leggero bacio sulle labbra, chinandosi verso di lei.

Lily si staccò e grugnì. «Hai puzzo di fumo», gemette.

Lou scoppiò a ridere e guardò il cielo cupo della notte sopra di loro.

 

Parecchie sigarette, un po’ di birre e qualche alcolico dopo, Lou si era completamente steso sul divano; teneva un braccio giù e uno in alto, appoggiato contro lo schienale. Aveva gli occhi chiusi e il volto arrossato, qualche volta apriva bocca per gemere qualcosa di incomprensibile.

Lily era in stato migliore del suo, aveva bevuto e fumato di meno, o comunque lei riusciva a sopportare di più. Se ne stava con la schiena contro lo stipite della porta, e teneva lo sguardo triste fisso su Lou.

«Lily», la chiamò qualcuno.

Lei si voltò e sorrise debolmente a Claire, in piedi lì accanto.

«Tutto bene?», domandò quest’ultima.

Lily annuì. «Tu ti sei ripresa da prima, vedo», accennò.

Claire scoppiò a ridere. «Ora mi sento un po’ meglio, ma davvero ero così stupida?».

Anche Lily rise. Si voltò ancora verso Lou, disteso e lamentevole e le ritornò per qualche istante quel maledetto sguardo assente.

A Claire non sfuggì. Le bastò seguire la traiettoria degli occhi di Lily per capire qual’era il problema.

«È ancora ubriaco, eh?».

Lily annuì.

«Ti spaventa?».

«Ho paura per lui, per la sua salute. Non dovrebbe esagerare in questa maniera, ma non c’e modo per farglielo capire».

Claire le sfiorò un braccio. «Da che lo conosco io, è sempre stato così e non ha mai ceduto. È forte, una vera roccia».

Lily sorrise stancamente. Poi Lou si alzò, e Lily ebbe un sussulto. Barcollò, ma alla fine riuscì a mettersi in piedi. Ciondolò fino a raggiungerla e le cadde addosso, buttandole un braccio attorno alle spalle.

Claire sorrise sebbene la sua espressione fosse preoccupata. «Ehm, ciao Lou».

«Claire», la salutò semplicemente lui, con un cenno del capo.

«Scusate, vado un attimo…», le ultime parole si persero o forse Claire non le disse nemmeno. Si allontanò verso il piano superiore buttandosi qualche occhiata fugace alle spalle.

«Di che parlavate?», chiese Lou, fissando Lily negli occhi da quella distanza ristretta.

Lei gli sorrise un poco. «Di questo e di quello», rispose vagamente.

«E chi sarebbero questi tizi?», fece lui sarcastico, mentre le ultime parole si spegnevano sulle labbra di lei. Lou la baciò delicatamente, stringendola con forza verso di sé.

«Ma quanto sei ubriaco?», fece Lily.

«Molto. A meno che tu non abbia due occhi in più», disse lui, ridendo.

Lily rimase immobile e gli rivolse un’occhiata sconcertata.

«Scherzo», mormorò lui in tutta risposta, stando con il profilo attaccato al suo. Lily sorrise appena, ma senza guardarlo in faccia.

«Cosa vuoi fare?», riprese Lou.

Lily alzò le spalle.

«Ma che ore sono?», si voltò alla ricerca di un orologio, ma senza abbandonare la ragazza dalla sua stretta. Ne incrociò uno con lo sguardo: indicava le tre di notte passate.

Lou fischiò e si voltò di nuovo verso Lily. «Sono le tre e un quarto!», esclamò, euforico.

«Cosa? Accidenti, ma domani dobbiamo andare dai tuoi genitori!».

Lou si corrucciò. «Che dici? Sul serio? È domani?».

«È già oggi».

«No, dannazione!».

«Non pensavo che avremmo fatto così tardi alla festa. Che facciamo, andiamo?».

Lou sorrise. «Scherzi? Io voglio restare, voglio divertirmi ancora con te».

«Ma Lou! Se faremo tardi non avremo il tempo per riposarci e arriveremo a casa dei tuoi come due zombie!», esclamò Lily con enfasi.

Lou fece una smorfia. «Dobbiamo andarcene, allora. Cerchiamo Michael».

Lo trovarono poco dopo, intento a sbaciucchiarsi nel sottoscala con Janna. Lou si chinò quel poco che bastava per intravederli nella penombra. Si schiarì la voce rumorosamente e ottenne la loro attenzione. Entrambi gli rivolsero occhiate interrogative, cercando di capire per quale motivo lui e Lily li avevano interrotti.

Lou si grattò con un dito la testa. «Michael, noi dobbiamo andare. Non possiamo tardare più di così…».

Michael cercò di mettersi in piedi, e sebbene con qualche difficoltà, ci riuscì.

«Ah, ve ne andate, ragazzi?», chiese. Pareva piuttosto intontito. E di sicuro non c’entrava solo la ragazza.

«Purtroppo sì. Abbiamo un impegno più tardi, dobbiamo arrivare al campus e recuperare un po’ di sonno perduto, percui…».

«Capisco. Allora ci sentiamo. Io lascio il campus, ma ho intenzione di rimanere in contatto con certi amici», Michael sorrise.

«Perfetto», intervenne Lily, entusiasta.

«Comunque ancora complimenti e grazie per la bella nottata», fece Lou.

Michael fece un gesto con la mano. «Grazie a voi per essere venuti».

Li abbracciò entrambi e quando si furono allontanati, ritornò a sedersi accanto a Janna.

Lou e Lily fecero un breve giro a salutare quelli che riuscivano ad incontrare. Poi uscirono all’aperto e si diressero alla loro auto.

Lily corse verso il suo sportello, ma Lou la raggiunse e la bloccò contro quello. Lei lo fissò sorpresa, anche se le stava comparendo un sorriso esaltato.

«Cosa fai?», chiese.

«Lasciami concludere in bellezza questa notte», gli sussurrò lui all’orecchio.

Le baciò i capelli e scese lungo il profilo del collo. Lily sentì un brivido correrle lungo la schiena. Lou scese fino alla spalla, allargandole la maglietta per sfiorarle la pelle. Lily lo abbracciò, appoggiandogli le braccia sulle spalle e poi gli toccò i capelli e lo spinse contro di sé. Lo tenne stretto, e nascose il viso contro la sua spalla. Lou rimase stupito. Era quasi pigiato verso la carrozzeria dell’auto, così abbassò il capo sul collo di lei e la strinse per la vita. Rimasero avvinghiati per qualche momento, poi lei si staccò e lo allontanò quel poco per guardargli il viso.

«È tutto okay?», chiese lui, leggermente preoccupato.

«Torniamo al campus», mormorò Lily. Lo baciò un’ultima volta, poi lo spinse via e si infilò in auto, mentre anche lui raggiungeva il suo posto.

 

Lou aveva la vista appannata. Forse non aveva poi tanto esagerato prima, quando aveva detto a Lily di vederla con quattro occhi, due sopra e due sotto. Si sfregò un’altra volta il viso con la mano, ma non cambiava poi molto. E poi la testa. Gli girava come una giostra per bambini e gli bruciava. Era insopportabile.

«Vai più piano», mugugnò Lily, buttando un’occhiata al contatore sul cruscotto, che indicava i centodieci.

Ma la strada era deserta e Lou non riusciva a mollare il pedale. Un’ampia curva lo fece frenare quasi di colpo; la prese piuttosto male e una volta superata ritornò alla velocità precedente.

«Hai una sigaretta?», domandò Lily.

«Ehm… dovrebbero essere lì, da qualche parte», indicò uno scompartimento sotto alla radio, spenta.

Lily ci frugò e trovò una sigaretta e l’accendino. L’accese, tirò e aprì il finestrino, sporgendo fuori la mano. Lily non aveva fumato quasi per niente quella sera, e ora gli era venuta voglia. O semplicemente aveva trovato qualcosa di diversivo da fare che fissare la strada buia.

«Me la passi un attimo?», chiese Lou, buttandole fugaci occhiate.

Lily lo guardò accigliata.

«Ti prego, amore. Solo una volta», supplicò lui.

Lily sospirò e gliela allungò. Lou fece illuminare la punta di rosso acceso e, dopo che lei gliela tolse, buttò fuori il fumo, che fece capriole per l’abitacolo fino a trovare la via d’uscita dal finestrino.

Lou sbuffò annoiato e spinse sull’acceleratore.

«Non andare così veloce», lo ammonì Lily.

Lou fu sul punto di rispondere, ma in quel momento tutto si svolse molto rapidamente.

Lou abbassò per un istante gli occhi al cruscotto, per tenere d’occhio la situazione, quando dalla selva ai lati della strada, improvviso e inaspettato uscì fuori un animale; con molta probabilità si trattava di un cervo. Era notte ed era scuro; in quella strada di campagna non c’erano luci artificiali ad illuminarla. Solo i fari della macchina.

Lily aveva lo sguardo impegnato fuori dal finestrino, e solo nel momento in cui lo spostò sulla via si accorse del pericolo. Cacciò un urlo che fece sobbalzare Lou. Lui frenò di colpo, il cervo si buttò contro l’auto che sbandò e si diresse dritta in mezzo alla selva, contro un albero.

L’urlo di Lily si affievolì in quell’attimo. L’urto fu terribile. Lou fu sbalzato contro il finestrino e si ferì la testa. Poi rimase inerte contro il sedile. Lily fu scaraventata verso Lou, sentì la testa mancargli, e perse conoscenza.

 

Quando il campanello suonò, Cordelia aprì gli occhi, in seguito ad un sussulto. Impiegò qualche secondo per focalizzare l’ambiente circostante. Era mattina: dalle imposte semichiuse filtrava qualche debole raggio di sole, ma non abbastanza da illuminare profondamente la stanza. Sbatté gli occhi e si alzò dal letto, guardandosi intorno.

François riposava dall’altra parte del letto, tranquillo.

Cordelia si strinse nella camicia da notte e lasciò la stanza ancora assonnata, chiedendosi chi potesse essere stato a suonare a quell’ora.

Scese le scale e notò l’ombra di una sagoma alta al di là della porta. Arrivò e l’aprì.

Dall’altra parte c’era un poliziotto, con la divisa blu scuro. Le rivolse una breve occhiata, e non fece tanto caso alla camicia da notte e all’aria stordita.

Semplicemente si tolse il cappello, tenendolo stretto tra le mani.

Cordelia non riusciva a capire, non riusciva a immaginare per quale motivo quel signore potesse essere lì, davanti alla porta di casa a quell’ora. E soprattutto perché non diceva niente, perché non si spiegava?

«Sì?», domandò alla fine lei, impaziente.

«Salve, signora. È lei la madre di Lou Black?».

Cordelia si corrugò, ma annuì.

«Mi dispiace dirglielo, ma suo figlio e una ragazza, identificata come Lily Elliot, sono stati trovati sulla quarantasettesima, dentro un’auto finita contro un albero».

Cordelia si immobilizzò e la sua espressione si fece inquieta, angosciata.

«Mi dispiace, ma non ce l’hanno fatta».

Cordelia sentì come se il cuore le si fosse fermato nel petto. Che diavolo diceva quel tizio? Era forse uno scherzo? Dov’erano suo figlio e Lily realmente? Possibile che fosse tutto falso? Possibile che quell’agente fosse venuto fin lì per dirle una sciocchezza, una sciocchezza così pesante? Ma come poteva essere tutto vero? Aveva sentito suo figlio per telefono qualche giorno prima, e gli aveva parlato dell’università che andava tutto bene, e di Lily di cui era innamorato pazzamente. E Cordelia era stata felice per lui, lo aveva incoraggiato e aveva sorriso più volte alla cornetta, desiderando di vedere il suo viso mentre gli riferiva i suoi successi.

E ora?

Come era potuto succedere? Come potevano dirle una cosa del genere? Non lo avrebbe mai più rivisto, non avrebbe mai più sentito la sua voce. Non lo avrebbe mai più visto così felice come lui le diceva di essere.

Il poliziotto continuava a parlare, ma a Cordelia parevano tutte parole perse, lontane. Non le ascoltava, non ci riusciva. Come se qualcuno le avesse introdotto un batuffolo di ovatta nella testa, e non riuscisse più a comprendere niente.

Sentì qualcuno sfiorarle la schiena. Si voltò quel poco che bastava per incontrare François, che l’aveva raggiunta e guardava stranito l’agente di polizia.

L’uomo rivolse anche a lui uno sguardo afflitto e triste.

Cordelia sentì il viso bagnato, umido di lacrime. Il poliziotto fece un piccolo inchino con il capo, e si congedò da loro, con un’espressione che sapeva di mestizia.

François chiuse la porta e prese Cordelia tra le sue braccia, mentre lei piangeva senza controllo. La strinse contro il suo petto, mentre lei si era nascosta il volto tra le mani, disperata. Più la stringeva e la accarezzava, più sentiva la malinconia salirgli, un grave senso di tristezza. Un terribile vuoto di stomaco si impadronì di lui. Fece un smorfia, ma anche per lui, le lacrime avevano avuto il via libera. Era sul limitare delle scale, quando aveva udito le parole dell’agente.

Ma davvero non sarebbe più tornato? Ma davvero non lo avrebbe mai più rivisto? Eppure aveva solo ventitré anni, come poteva essere possibile abbandonare il mondo a soli ventitré anni? E Lily, quella ragazza che gli era piaciuta così tanto dal primo momento? Come era possibile che non li avrebbe mai più visti, nessuno dei due?

Il pianto di un bambino soggiunse dal piano superiore. Doveva essere stato svegliato dai loro lamenti e dal loro pianto.

Cordelia si staccò da suo marito, e provò ad asciugarsi le lacrime con la manica della vestaglia. François le toccò una spalla, come per infonderle forza.

Il pianto del bambino era sempre più forte, pareva tanto disperato quanto lo era stato il loro.

Salirono le scale, entrambi tenendosi stretti alla spalliera, per non cedere.

Arrivarono alla stanza di Rosiel; Cordelia lo prese in braccio e lo tenne stretto contro il suo petto, cullandolo avanti e indietro. E nel frattempo piangeva. François l’abbracciò di nuovo, stringendo anche Rosiel in mezzo a loro.

E quando fu circondato dai suoi nonni, il bambino si tranquillizzò e alla fine, sorrise.

  
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