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4 -
Il
Passato di Rosiel Black
Sabato
undici maggio, 1991.
«Ehi
Lou! Vieni qui, c’è bisogno di te!».
Lou
Black bevve un altro sorso dal suo calice, lo
appoggiò sul tavolo basso davanti al divano sul quale era
seduto e baciò la
ragazza che le stava accanto, tra i capelli. Teneva Lily Elliot stretta
contro
di sé, mentre guardavano insieme gli altri ragazzi, dalla
loro comoda
postazione sul divano. Iniziò a ridere quando
sentì che lo chiamavano e levò il
braccio da sopra le spalle di Lily.
«Torno
subito», sussurrò al suo orecchio e si
alzò,
mentre lei trangugiava un altro po’ di alcool.
Lily
seguì il suo ragazzo con lo sguardo mentre stava
raggiungendo un gruppetto in cucina, indaffarato attorno a qualcosa che
non
riuscì a cogliere.
Si
sentiva così felice in quel momento. La vita
universitaria era un vero sballo.
Poco
dopo una ragazza si buttò sul divano accanto a
lei. «Lily! Ti stai divertendo?». Era evidente che
la ragazza fosse un po’
brilla. Aveva la faccia paonazza e la risatina facile.
Lily,
con la sua solita semplicità, le sorrise e annuì,
scatenando in Claire un’altra risata argentina.
In
quel momento riapparve Lou, che si sedette sul
bracciolo del divano accanto a Lily e si sporse verso di lei, fino a
incontrare
le sue labbra in un lungo bacio. Claire si alzò e se ne
andò, trotterellando
verso la prossima persona sulla sua strada con cui scambiare qualche
parola.
«Vuoi
venire di là, amore mio?», mormorò Lou,
rimanendo
appiccicato al viso di Lily.
«Perché,
che succede?».
«Fanno
il brindisi a Michael», rispose ancora lui,
strusciando il viso contro quello della sua innamorata, lievemente.
Lily
chiuse gli occhi qualche istante, sentendolo
contro la sua pelle. Poi decise di alzarsi, lo fece improvvisamente,
lasciandolo imbambolato.
Lou
le rivolse uno sguardo contrariato, ma lei gli
sorrise ugualmente e gli prese il viso tra le mani. Quando
parlò, lo fece ad un
nulla dalle sue labbra.
«Andiamo
a brindare a Michael, okay», si alzò e si
diresse verso la cucina, mentre Lou grugnì qualcosa e la
seguì, quasi
correndole dietro.
In
cucina, si erano pressoché riuniti tutti attorno al
tavolo sul quale stavano, una torta alla panna, alcune bottiglie e
calici di
vetro. Quando Lily e Lou arrivarono furono accolti da alcuni che li
avvisarono
su cosa sarebbe successo.
«Tra
poco arriverà Michael che ovviamente non sospetta
di niente. Mi raccomando gridiamo forte e facciamo tintinnare questi
bicchieri!».
Lou
scoppiò a ridere e guardò Lily al suo fianco che
faceva lo stesso. Le cinse le spalle con un braccio e la
baciò ancora tra i
capelli. Adorava tenere Lily stretta a sé. Era
così minuta, era semplicemente
perfetta ai suoi occhi. E quei capelli. Lou amava baciarla in mezzo ai
capelli,
così soffici e profumati.
In
quel momento entrarono Michael, il ragazzo che
quella mattina si era laureato, insieme a Janna, una delle ragazze
più
apprezzate del campus. Lui era indaffarato a parlare, così
preso dalla sua
accompagnatrice che non si rese conto di tutti i suoi amici radunati
lì. Quando
scattarono le grida e scoppiarono le stelle filanti, Michael rimase di
stucco,
totalmente sorpreso. Iniziò a ridere quando due ragazzi lo
abbracciarono e
quando la folla si accalcò su di lui. Uno di loro
portò il tocco, il classico
cappello da laureato e glielo fece indossare. Poi Michael
imitò il gesto che
aveva fatto quella stessa mattina davanti ad una gran folla di persone,
e con
grande gioia sul volto spostò il pennacchio sul lato opposto
del tocco. Scattò
l’applauso, mentre lui gridava cose del tipo: “Ce
l’ho fatta!”, “stanotte
brucerò tutti i libri!”, e, “grazie
ragazzi, siete unici”.
Si
accerchiarono tutti attorno al tavolo e riempirono i
bicchieri con lo champagne. Lo sbattere dei calici l’uno
contro l’altro divenne
presto assordante e riempì la stanza senza lasciare spazio a
nient’altro.
Una
ragazza, che al campus faceva parte del giornale
scolastico, si offrì di tagliare la torta e fu affiancata da
qualche sua amica.
Nel frattempo molta gente si era allontanata per i fatti propri, alcuni
erano
in salotto, altri attorno al tavolo degli alcolici, altri avevano
raggiunto
l’esterno e si erano messi a fumare sulla terrazza.
Lou
appoggiò le mani attorno alla vita di Lily e la
abbracciò con impulso. Lei rise e cercò di
allontanarlo. Erano un tantino in
mezzo, dato che si trovavano presso la porta attraverso cui la gente
usciva ed
entrava.
Lily
cercò di spingerlo via, e il risultato fu che lui
sbatté contro la parete della cucina e continuò
tuttavia a starle avvinghiato.
«Lou!»,
ridacchiò lei.
Lui
la liberò e la prese per mano, con un sorrisetto
febbricitante sul viso.
La
trasportò fino al corridoio dove la gente era meno
accalcata e si andò a sedere sui primi gradini della scala
che portava al piano
di sopra. Lily gli sedette accanto e non fece in tempo a dire qualcosa
che Lou
le fu addosso, baciandola con intensità e bramosia.
Lily
questa volta non lo allontanò, non ne aveva
voglia. Quello che desiderava era solo stare ancora con lui, sempre
più tempo
con lui. Impazziva per lui, lo amava con tutta sé stessa.
Passò
le mani tra i suoi capelli disordinati di quel
biondo così chiaro che la mandava in delirio. E sentiva che
lui faceva lo
stesso, risalendo con la mano la sua schiena, e toccandole i capelli,
fino al
collo e al profilo del viso.
«Ehm
ehm».
Si
sciolsero all’istante. Alcune ragazze erano in piedi
davanti a loro con facce più o meno imbarazzate.
«Scusate, dovremmo andare in
bagno», proferì una di loro, alzando le
sopracciglia e fissando i due ragazzi
con un sorrisetto inopportuno.
«Ah…»,
fece Lily, non riuscendo a trattenere una
risata. Si alzò e fece spazio alle ragazze per passare. Lou
rimase seduto, con
una mano tra i capelli, evidentemente seccato.
Le
tre passarono oltre, accelerando il passo sulle
scale.
Lou
sospirò, quando lo scalpiccio non fu più udibile.
«Che seccatura, queste stupide», si
lamentò.
«Dai,
non prenderla male. Non è colpa loro se devono
andare in bagno», fece Lily in tono pacato e leggermente
divertito.
«Ma
è colpa loro se siamo stati interrotti. E a me
stanno sulle palle quelli che m’interrompono quando sono
impegnato con te».
Lily
scoppiò a ridere. «Dai, andiamo di
là».
Si
girò, ma Lou la prese per un braccio, costringendola
a voltarsi. «Dai!», lo incitò lei.
Lou
mugugnò, in tono scocciato. «Torna qui»,
la tirò
ancora più verso di sé, e Lily non
riuscì più a porgli resistenza; cadde sulle
sue ginocchia.
«Torniamo
in cucina, ora avranno tagliato la torta, e
ci aspetta il nostro pezzo».
«Chi
se ne frega della torta».
Lou
la baciò di nuovo e Lily rispose spingendolo
leggermente indietro, contro il profilo dello scalino. Lui
mugugnò quando la
sua schiena incontrò lo spigolo, ma non lasciò le
labbra di Lily, fino a quando
non lo fece lei.
«Alzati
da qui», gli alitò contro.
«Sei
troppo bella perché io possa resisterti», rispose
Lou, sporgendosi sempre di più verso Lily che gli si stava
allontanando a poco
a poco.
Alla
fine riuscirono a tornare in cucina, ma un attimo
prima videro scendere le tre ragazze di prima dalle scale. Lou le
guardò subito
male, dall’uscio della porta. In tre in bagno in
così poco tempo? Gli pareva
strano e stava pensando se non lo avessero fatto apposta solo per il
gusto di
infastidirli. Comunque non ci diede più importanza e
seguì Lily al tavolo.
La
torta era squisita, alla panna, frutti di bosco e
limone, decorata con zuccherini colorati.
Si
erano appartati in un angolo a consumare la loro
fetta di torta, quando Michael li raggiunse.
«Ehi,
ragazzi!», diede una pacca a Lou e guardò Lily,
«come ve la passate? Vi piace la festa?», Lily
notò subito che anche lui aveva
preso il volo per il pianeta alcool.
«Tutto
bene, la festa è stupenda. E complimenti per la
laurea, Michael!», fece Lily, entusiasta.
Michael
grugnì una risata. «Grazie Lily! E anche a te
Lou!», diede un’altra pacca a
quest’ultimo e si allontanò incespicando.
«Torno
subito», disse Lou, lasciando il suo piatto in
mano a Lily.
Lei
lo osservò mentre si faceva spazio tra alcuni
ragazzi, poi lo perse di vista.
Lily
continuava a guardare in quella direzione, ma Lou
non tornava. Divenne irrequieta in quell’attesa. Non le
piaceva che Lou la
lasciasse sola. Lo vide tornare un po’ dopo con qualcosa in
mano. La raggiunse,
si riprese il suo piatto e le porse una bottiglia di birra.
Un’altra, quella
sarà stata la quarta della serata.
Lou
le sorrise. Per un attimo Lily restò frastornata
mentre la guardava. E si rendeva sempre più contro di quanto
le piacesse quando
lui sorrideva. Quando lo faceva per lei.
Lou
aveva appoggiato il piatto su un tavolino, accanto
ad una foto incorniciata e disposta sopra ad un centrino. Bevve un
sorso dalla
bottiglia, che aveva già stappato personalmente.
Lily
bevve a sua volta. Si accorse che Lou aveva in
mano anche un pacchetto di sigarette. Lo stava aprendo e ne stava
estraendo
una. Poi un’altra, quella per lei.
Gliela
porse e la prese per mano. Lily non riuscì a
capire cosa stesse succedendo: all’improvviso si sentiva
più intontita e non
sapeva bene il perché. Semplicemente si lasciò
trasportare da Lou. Quando fu in
grado di percepire meglio ciò che aveva attorno,
capì che lui girava per la
casa alla ricerca di qualcuno che avesse da accendere. Alla fine
aprì l’anta
della porta finestra e accedette al terrazzo, con Lily dietro. Due tizi
erano
concentrati in lunghe tirate dirette alla luna e alle stelle.
Quel
terrazzo non era eccessivamente grande, o almeno
era tanto grande quanto un normale terrazzo lo può essere.
Lou porse la
sigaretta e uno dei due ragazzi prese l’accendino dalla tasca
dei pantaloni, e
con flemma gliela accese.
Lily
mostrò a sua volta la sua e il tizio eseguì lo
stesso gesto anche con lei. Lou cinse Lily per le spalle e la
trascinò verso un
angolo della terrazza. Gli altri due si strinsero sul lato opposto.
Lou
diede una lunga tirata, fino a che la punta della
sigaretta si illuminò così tanto da diventare una
lucciola nella notte e poi se
la tolse di bocca e lasciò uscire il fumo.
Lily
sentiva la testa girarle. Temeva di cadere di
sotto. E non le pareva nemmeno sciocco pensarlo. Si appoggiò
al petto di Lou e
affondò il viso contro di lui, che le rivolse
un’occhiata incerta, dubbiosa, ma
le coprì le spalle con il braccio e le accarezzò
dolcemente i capelli.
Lou
aveva quasi finito la sigaretta quando i due
ragazzi sul terrazzino rientrarono in casa, con fugaci e indecifrabili
mormorii.
Scostò
Lily da sé e la prese per le spalle. «Piccola,
stai bene?».
Lily
mosse un po’ il capo su e giù.
«Non
ti va di fumare?».
«Non
ora… scusa».
Lui
la guardò corrucciato. «Ma che scusa. Non ti
costringo mica, amore mio», le diede un leggero bacio sulle
labbra, chinandosi
verso di lei.
Lily
si staccò e grugnì. «Hai puzzo di
fumo», gemette.
Lou
scoppiò a ridere e guardò il cielo cupo della
notte
sopra di loro.
Parecchie
sigarette, un po’ di birre e qualche alcolico
dopo, Lou si era completamente steso sul divano; teneva un braccio
giù e uno in
alto, appoggiato contro lo schienale. Aveva gli occhi chiusi e il volto
arrossato, qualche volta apriva bocca per gemere qualcosa di
incomprensibile.
Lily
era in stato migliore del suo, aveva bevuto e
fumato di meno, o comunque lei riusciva a sopportare di più.
Se ne stava con la
schiena contro lo stipite della porta, e teneva lo sguardo triste fisso
su Lou.
«Lily»,
la chiamò qualcuno.
Lei
si voltò e sorrise debolmente a Claire, in piedi
lì
accanto.
«Tutto
bene?», domandò quest’ultima.
Lily
annuì. «Tu ti sei ripresa da prima,
vedo»,
accennò.
Claire
scoppiò a ridere. «Ora mi sento un po’
meglio,
ma davvero ero così stupida?».
Anche
Lily rise. Si voltò ancora verso Lou, disteso e
lamentevole e le ritornò per qualche istante quel maledetto
sguardo assente.
A
Claire non sfuggì. Le bastò seguire la
traiettoria
degli occhi di Lily per capire qual’era il problema.
«È
ancora ubriaco, eh?».
Lily
annuì.
«Ti
spaventa?».
«Ho
paura per lui, per la sua salute. Non dovrebbe
esagerare in questa maniera, ma non c’e modo per farglielo
capire».
Claire
le sfiorò un braccio. «Da che lo conosco io,
è
sempre stato così e non ha mai ceduto. È forte,
una vera roccia».
Lily
sorrise stancamente. Poi Lou si alzò, e Lily ebbe
un sussulto. Barcollò, ma alla fine riuscì a
mettersi in piedi. Ciondolò fino a
raggiungerla e le cadde addosso, buttandole un braccio attorno alle
spalle.
Claire
sorrise sebbene la sua espressione fosse
preoccupata. «Ehm, ciao Lou».
«Claire»,
la salutò semplicemente lui, con un cenno del
capo.
«Scusate,
vado un attimo…», le ultime parole si persero
o forse Claire non le disse nemmeno. Si allontanò verso il
piano superiore
buttandosi qualche occhiata fugace alle spalle.
«Di
che parlavate?», chiese Lou, fissando Lily negli
occhi da quella distanza ristretta.
Lei
gli sorrise un poco. «Di questo e di quello»,
rispose vagamente.
«E
chi sarebbero questi tizi?», fece lui sarcastico,
mentre le ultime parole si spegnevano sulle labbra di lei. Lou la
baciò
delicatamente, stringendola con forza verso di sé.
«Ma
quanto sei ubriaco?», fece Lily.
«Molto.
A meno che tu non abbia due occhi in più»,
disse lui, ridendo.
Lily
rimase immobile e gli rivolse un’occhiata sconcertata.
«Scherzo»,
mormorò lui in tutta risposta, stando con il
profilo attaccato al suo. Lily sorrise appena, ma senza guardarlo in
faccia.
«Cosa
vuoi fare?», riprese Lou.
Lily
alzò le spalle.
«Ma
che ore sono?», si voltò alla ricerca di un
orologio, ma senza abbandonare la ragazza dalla sua stretta. Ne
incrociò uno
con lo sguardo: indicava le tre di notte passate.
Lou
fischiò e si voltò di nuovo verso Lily.
«Sono le
tre e un quarto!», esclamò, euforico.
«Cosa?
Accidenti, ma domani dobbiamo andare dai tuoi
genitori!».
Lou
si corrucciò. «Che dici? Sul serio? È
domani?».
«È
già oggi».
«No,
dannazione!».
«Non
pensavo che avremmo fatto così tardi alla festa.
Che facciamo, andiamo?».
Lou
sorrise. «Scherzi? Io voglio restare, voglio
divertirmi ancora con te».
«Ma
Lou! Se faremo tardi non avremo il tempo per
riposarci e arriveremo a casa dei tuoi come due zombie!»,
esclamò Lily con
enfasi.
Lou
fece una smorfia. «Dobbiamo andarcene, allora.
Cerchiamo Michael».
Lo
trovarono poco dopo, intento a sbaciucchiarsi nel sottoscala
con Janna. Lou si chinò quel poco che bastava per
intravederli nella penombra.
Si schiarì la voce rumorosamente e ottenne la loro
attenzione. Entrambi gli
rivolsero occhiate interrogative, cercando di capire per quale motivo
lui e
Lily li avevano interrotti.
Lou
si grattò con un dito la testa. «Michael, noi
dobbiamo andare. Non possiamo tardare più di
così…».
Michael
cercò di mettersi in piedi, e sebbene con
qualche difficoltà, ci riuscì.
«Ah,
ve ne andate, ragazzi?», chiese. Pareva piuttosto
intontito. E di sicuro non c’entrava solo la ragazza.
«Purtroppo
sì. Abbiamo un impegno più tardi, dobbiamo
arrivare al campus e recuperare un po’ di sonno perduto,
percui…».
«Capisco.
Allora ci sentiamo. Io lascio il campus, ma
ho intenzione di rimanere in contatto con certi amici»,
Michael sorrise.
«Perfetto»,
intervenne Lily, entusiasta.
«Comunque
ancora complimenti e grazie per la bella
nottata», fece Lou.
Michael
fece un gesto con la mano. «Grazie a voi per
essere venuti».
Li
abbracciò entrambi e quando si furono allontanati,
ritornò a sedersi accanto a Janna.
Lou
e Lily fecero un breve giro a salutare quelli che
riuscivano ad incontrare. Poi uscirono all’aperto e si
diressero alla loro
auto.
Lily
corse verso il suo sportello, ma Lou la raggiunse
e la bloccò contro quello. Lei lo fissò sorpresa,
anche se le stava comparendo
un sorriso esaltato.
«Cosa
fai?», chiese.
«Lasciami
concludere in bellezza questa notte», gli
sussurrò lui all’orecchio.
Le
baciò i capelli e scese lungo il profilo del collo.
Lily sentì un brivido correrle lungo la schiena. Lou scese
fino alla spalla,
allargandole la maglietta per sfiorarle la pelle. Lily lo
abbracciò,
appoggiandogli le braccia sulle spalle e poi gli toccò i
capelli e lo spinse
contro di sé. Lo tenne stretto, e nascose il viso contro la
sua spalla. Lou
rimase stupito. Era quasi pigiato verso la carrozzeria
dell’auto, così abbassò
il capo sul collo di lei e la strinse per la vita. Rimasero avvinghiati
per
qualche momento, poi lei si staccò e lo allontanò
quel poco per guardargli il
viso.
«È
tutto okay?», chiese lui, leggermente preoccupato.
«Torniamo
al campus», mormorò Lily. Lo baciò
un’ultima
volta, poi lo spinse via e si infilò in auto, mentre anche
lui raggiungeva il
suo posto.
Lou
aveva la vista appannata. Forse non aveva poi tanto
esagerato prima, quando aveva detto a Lily di vederla con quattro
occhi, due
sopra e due sotto. Si sfregò un’altra volta il
viso con la mano, ma non
cambiava poi molto. E poi la testa. Gli girava come una giostra per
bambini e
gli bruciava. Era insopportabile.
«Vai
più piano», mugugnò Lily, buttando
un’occhiata al
contatore sul cruscotto, che indicava i centodieci.
Ma
la strada era deserta e Lou non riusciva a mollare
il pedale. Un’ampia curva lo fece frenare quasi di colpo; la
prese piuttosto
male e una volta superata ritornò alla velocità
precedente.
«Hai
una sigaretta?», domandò Lily.
«Ehm…
dovrebbero essere lì, da qualche parte»,
indicò
uno scompartimento sotto alla radio, spenta.
Lily
ci frugò e trovò una sigaretta e
l’accendino.
L’accese, tirò e aprì il finestrino,
sporgendo fuori la mano. Lily non aveva
fumato quasi per niente quella sera, e ora gli era venuta voglia. O
semplicemente aveva trovato qualcosa di diversivo da fare che fissare
la strada
buia.
«Me
la passi un attimo?», chiese Lou, buttandole fugaci
occhiate.
Lily
lo guardò accigliata.
«Ti
prego, amore. Solo una volta», supplicò lui.
Lily
sospirò e gliela allungò. Lou fece illuminare la
punta di rosso acceso e, dopo che lei gliela tolse, buttò
fuori il fumo, che
fece capriole per l’abitacolo fino a trovare la via
d’uscita dal finestrino.
Lou
sbuffò annoiato e spinse sull’acceleratore.
«Non
andare così veloce», lo ammonì Lily.
Lou
fu sul punto di rispondere, ma in quel momento
tutto si svolse molto rapidamente.
Lou
abbassò per un istante gli occhi al cruscotto, per
tenere d’occhio la situazione, quando dalla selva ai lati
della strada,
improvviso e inaspettato uscì fuori un animale; con molta
probabilità si
trattava di un cervo. Era notte ed era scuro; in quella strada di
campagna non
c’erano luci artificiali ad illuminarla. Solo i fari della
macchina.
Lily
aveva lo sguardo impegnato fuori dal finestrino, e
solo nel momento in cui lo spostò sulla via si accorse del
pericolo. Cacciò un
urlo che fece sobbalzare Lou. Lui frenò di colpo, il cervo
si buttò contro
l’auto che sbandò e si diresse dritta in mezzo
alla selva, contro un albero.
L’urlo
di Lily si affievolì in quell’attimo.
L’urto fu
terribile. Lou fu sbalzato contro il finestrino e si ferì la
testa. Poi rimase
inerte contro il sedile. Lily fu scaraventata verso Lou,
sentì la testa
mancargli, e perse conoscenza.
Quando
il campanello suonò, Cordelia aprì gli occhi, in
seguito ad un sussulto. Impiegò qualche secondo per
focalizzare l’ambiente
circostante. Era mattina: dalle imposte semichiuse filtrava qualche
debole
raggio di sole, ma non abbastanza da illuminare profondamente la
stanza. Sbatté
gli occhi e si alzò dal letto, guardandosi intorno.
François
riposava dall’altra parte del letto,
tranquillo.
Cordelia
si strinse nella camicia da notte e lasciò la
stanza ancora assonnata, chiedendosi chi potesse essere stato a suonare
a
quell’ora.
Scese
le scale e notò l’ombra di una sagoma alta al di
là della porta. Arrivò e
l’aprì.
Dall’altra
parte c’era un poliziotto, con la divisa blu
scuro. Le rivolse una breve occhiata, e non fece tanto caso alla
camicia da
notte e all’aria stordita.
Semplicemente
si tolse il cappello, tenendolo stretto
tra le mani.
Cordelia
non riusciva a capire, non riusciva a
immaginare per quale motivo quel signore potesse essere lì,
davanti alla porta
di casa a quell’ora. E soprattutto perché non
diceva niente, perché non si
spiegava?
«Sì?»,
domandò alla fine lei, impaziente.
«Salve,
signora. È lei la madre di Lou Black?».
Cordelia
si corrugò, ma annuì.
«Mi
dispiace dirglielo, ma suo figlio e una ragazza,
identificata come Lily Elliot, sono stati trovati sulla
quarantasettesima,
dentro un’auto finita contro un albero».
Cordelia
si immobilizzò e la sua espressione si fece
inquieta, angosciata.
«Mi
dispiace, ma non ce l’hanno fatta».
Cordelia
sentì come se il cuore le si fosse fermato nel
petto. Che diavolo diceva quel tizio? Era forse uno scherzo?
Dov’erano suo
figlio e Lily realmente? Possibile che fosse tutto falso? Possibile che
quell’agente fosse venuto fin lì per dirle una
sciocchezza, una sciocchezza
così pesante? Ma come poteva essere tutto vero? Aveva
sentito suo figlio per
telefono qualche giorno prima, e gli aveva parlato
dell’università che andava
tutto bene, e di Lily di cui era innamorato pazzamente. E Cordelia era
stata
felice per lui, lo aveva incoraggiato e aveva sorriso più
volte alla cornetta,
desiderando di vedere il suo viso mentre gli riferiva i suoi successi.
E
ora?
Come
era potuto succedere? Come potevano dirle una cosa
del genere? Non lo avrebbe mai più rivisto, non avrebbe mai
più sentito la sua
voce. Non lo avrebbe mai più visto così felice
come lui le diceva di essere.
Il
poliziotto continuava a parlare, ma a Cordelia
parevano tutte parole perse, lontane. Non le ascoltava, non ci
riusciva. Come
se qualcuno le avesse introdotto un batuffolo di ovatta nella testa, e
non
riuscisse più a comprendere niente.
Sentì
qualcuno sfiorarle la schiena. Si voltò quel poco
che bastava per incontrare François, che l’aveva
raggiunta e guardava stranito
l’agente di polizia.
L’uomo
rivolse anche a lui uno sguardo afflitto e
triste.
Cordelia
sentì il viso bagnato, umido di lacrime. Il
poliziotto fece un piccolo inchino con il capo, e si congedò
da loro, con
un’espressione che sapeva di mestizia.
François
chiuse la porta e prese Cordelia tra le sue
braccia, mentre lei piangeva senza controllo. La strinse contro il suo
petto,
mentre lei si era nascosta il volto tra le mani, disperata.
Più la stringeva e
la accarezzava, più sentiva la malinconia salirgli, un grave
senso di
tristezza. Un terribile vuoto di stomaco si impadronì di
lui. Fece un smorfia, ma
anche per lui, le lacrime avevano avuto il via libera. Era sul limitare
delle
scale, quando aveva udito le parole dell’agente.
Ma
davvero non sarebbe più tornato? Ma davvero non lo
avrebbe mai più rivisto? Eppure aveva solo
ventitré anni, come poteva essere
possibile abbandonare il mondo a soli ventitré anni? E Lily,
quella ragazza che
gli era piaciuta così tanto dal primo momento? Come era
possibile che non li
avrebbe mai più visti, nessuno dei due?
Il
pianto di un bambino soggiunse dal piano superiore.
Doveva essere stato svegliato dai loro lamenti e dal loro pianto.
Cordelia
si staccò da suo marito, e provò ad asciugarsi
le lacrime con la manica della vestaglia. François le
toccò una spalla, come
per infonderle forza.
Il
pianto del bambino era sempre più forte, pareva
tanto disperato quanto lo era stato il loro.
Salirono
le scale, entrambi tenendosi stretti alla
spalliera, per non cedere.
Arrivarono
alla stanza di Rosiel; Cordelia lo prese in
braccio e lo tenne stretto contro il suo petto, cullandolo avanti e
indietro. E
nel frattempo piangeva. François
l’abbracciò di nuovo, stringendo anche Rosiel
in mezzo a loro.
E
quando fu circondato dai suoi nonni, il bambino si
tranquillizzò e alla fine, sorrise.