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Autore: Holly Rosebane    03/06/2012    2 recensioni
«Janice, mi è venuta un’idea.» Bieber riemerse dal suo momento rubato di relax,
spalancando gli occhi e fissandomi con una strana luce nello sguardo.
Oh, no.
Si metteva sempre male, quando diceva quella frase. Da quando avevamo sette anni.
«Justin, non…» risposi, scuotendo la testa, ma lui mi zittì, alzando una mano.
Scattò in piedi, stringendomi gentilmente le spalle.
«Scappiamo da qui. Passiamo la serata come due adolescenti normali.» propose, sorridendo.
Lo guardai, interdetta. Poi, scoppiai a ridere.
«Non dirai sul serio…!» commentai, ma lui si stava già guardando attorno,
per assicurarsi che i vari tecnici del suono e addetti al make up fossero troppo occupati per badare a noi.
Mi prese la mano, e iniziò a correre.
Diceva sul serio.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Teenage Dream

 
 
 

Let's go all the way tonight.
No regrets, just love.
We can dance until we die…
You and I…
We'll be young forever.

Katy Perry Teenage Dream
 
 


«Justin, tra mezz’ora saremo in diretta mondiale. Vedi di non fare tardi.»
Mi volsi verso Scooter Brown, il manager di quel biondo canadese dal volto d’angelo. Fece un segno a Bieber, e poi si attaccò al cellulare, allontanandosi. Vidi il ragazzo sbuffare, agitandosi sulla sedia.
«Dio, che ansia.» disse, passandosi una mano sulla faccia. Mi avvicinai a lui, dandogli una solidale pacca sulla spalla.
Quella sera avrebbero dovuto intervistarlo per una delle reti americane più famose in assoluto, si prevedevano già cifre esaltanti di share. La pressione era a mille, potevo sentirla io per lui.
«Non ce la faccio più, Janice.» commentò, chiudendo gli occhi e appoggiandosi allo schienale della reclinabile.
«Resisti, Kidrauhl. Fallo per le tue fan!» esclamai, cercando di trasmettergli un po’ di serenità. Non mi rispose, perso nei suoi pensieri.
Cosa ci facevo io, Janice Williams, diciassette anni e canadese di nascita, lì con Justin Bieber a Manhattan? Semplice: ero la sua migliore amica da quando eravamo piccoli.
Consideravo Pattie una seconda madre, e avevo passato più tempo a casa loro che nella mia. E Justin aveva voluto a tutti i costi portarmi con lui per il “Believe Tour”, in giro per il mondo. Aveva bisogno di un volto amico, ma più che altro mi disse di voler condividere con me le sue esperienze più belle.
Che bisogno c’era stato di scarrozzarsi dietro la vecchia amica d’infanzia, quando aveva la sua procace fidanzata sempre al fianco? Beh, perché Selena non era la sua vera ragazza.
Nel privato, erano alla stregua di due fratelli separati alla nascita. La tanto decantata coppia “Jelena”, che deliziava i media e atterriva alcune delle sue fans, era tutta una montatura. Una bella recitina. La Gomez era una bravissima ragazza, e mi aveva subito accolta con gentilezza, quando Justin ci aveva presentate. Alla fin fine, quella pseudo-coppia mi stava pure bene.
Ultimamente non si sentivano molto, perché lei era impegnata nelle riprese di un film. Così avevo più tempo per uscire con lui, nei momenti liberi. E ne ero segretamente grata.
Già, quella faccia semi allucinata dalla luce del flash, un po’ imbarazzata e del tutto anonima che avete visto su quella rivista… era la mia. Anche “la misteriosa amica di lunga data di Justin Bieber” ero sempre io. Pittoresco.
Trovavo divertente fare smorfie ai paparazzi, e vedermi sulle riviste scandalistiche non mi faceva né caldo né freddo. Justin, ovviamente, era contento del fatto che non mi sentissi per nulla a disagio. Beh, ero tutto l’opposto di quelle adolescenti con il complesso da diva, quindi era perfettamente normale. Quello che non lo era, consisteva nel fatto che provassi qualcosa di più del semplice sentimento d’amicizia fraterno, per Justin. E lui non lo sapeva.
«Janice, mi è venuta un’idea.» Bieber riemerse dal suo momento rubato di relax, spalancando gli occhi e fissandomi con una strana luce nello sguardo. Oh, no. Si metteva sempre male, quando diceva quella frase. Da quando avevamo sette anni.
«Justin, non…» risposi, scuotendo la testa, ma lui mi zittì, alzando una mano. Scattò in piedi, stringendomi gentilmente le spalle.
«Scappiamo da qui. Passiamo la serata come due adolescenti normali.» propose, sorridendo. Lo guardai, interdetta. Poi, scoppiai a ridere.
«Non dirai sul serio…!» commentai, ma lui si stava già guardando attorno, per assicurarsi che i vari tecnici del suono e addetti al make up fossero troppo occupati per badare a noi. Mi prese la mano, e iniziò a correre.
Diceva sul serio.
 
 
Arrivammo difilato alla sua auto, mentre un paio di macchinisti avevano iniziato a rincorrerci, urlandoci di non fare stupidaggini. Justin tirò fuori le chiavi dalla tasca del jeans, e aprì l’auto. Spalancai lo sportello, e saltai dentro, mentre lui inseriva le chiavi nel quadro.
 Intanto, ai macchinisti si erano aggiunti un paio di addetti alle luci, e uno di loro era andato a chiamare Scooter. Bieber accese la macchina.
«Stasera si fa alla vecchia maniera.» disse, sorridendo. Mi voltai verso di lui, e lo vidi sgasare, uscendo dal parcheggio. Sentii qualche protesta provenire dal gruppetto di gente che si era assiepato fuori dallo studio televisivo, e scoppiai a ridere. Lui mi imitò, imboccando la prima strada e immettendosi nel traffico.
Non potevo ancora crederci! Eravamo davvero scappati, e giravamo senza meta per l’Upper East Side!
«Dove andiamo, Janice? Ho voglia di divertirmi.» disse, svoltando ad un incrocio. Mi strinsi nelle spalle, ammirando con gli occhi tutte le luci notturne della città, vive, pulsanti e incredibilmente reali.
«Non lo so… lascia la macchina da qualche parte, e facciamoci un giro.»
Girammo per altri cinque minuti, poi trovò un posto libero davanti ad un locale, e parcheggiammo lì. Scendemmo dall’auto, ancora increduli.
 L’Upper East Side era proprio lì, davanti a noi. In tutto il suo proibito splendore notturno. Passanti e pedoni camminavano tranquillamente su e giù per i marciapiedi, dai locali proveniva l’eco di musica dance, mischiato allo sfrecciare delle auto in strada e ai clacson.
Un gruppetto di ragazze in tiro ci passò davanti, ridendo animatamente. Sembrava una scena di “Notte Folle a Manhattan”. Justin fece il giro dell’auto, e mi venne vicino, intrecciando le sue dita alle mie. Sorrisi.
«La città ci aspetta!» esclamò, e c’incamminammo senza una direzione precisa.
Dopo poco, passammo davanti ad alcuni turisti asiatici, che si stava mettendo in posa per fare una foto. Ci guardammo, senza neanche bisogno di parlare.
Corremmo in mezzo al gruppetto, e sorridemmo all’obiettivo, mentre un passante del luogo scattava. Dopo il breve lampo del flash, scappammo via.
«Ehi, ma tu non sei Justin Bieber?!» ci urlò dietro l’uomo che aveva fatto la foto, ma non ci voltammo a rispondere. Eravamo troppo occupati a ridere.
Trascorremmo la serata a riempirci la vista di persone, strade, luci. Ci infilavamo in un locale, ballavamo per qualche minuto e poi uscivamo di corsa quando qualcuno ci riconosceva. Provavamo ad atteggiarci insieme a qualche street dancer, ci scattavamo foto improbabili con l’iPhone di Justin in posti particolari, urlavamo insieme alla musica che pompava dalle casse dello stereo di una macchina di passaggio.
Non mi ero mai sentita così viva.
Dopo essere usciti dall’ennesima discoteca, arrivammo di fronte a Central Park. Tutto quel verde assumeva un’aria misteriosa a quell’ora, da foresta delle fiabe. I lampioni illuminavano i percorsi vari, alcune persone passeggiavano in tranquillità, immersi nel verde. Guardai Justin.
«Entriamo.» disse. Camminammo per un po’, in silenzio, approfittando di quei minuti di calma rubata. Trovammo una panchina libera, e ci accomodammo. O meglio, Justin si sedette, e io mi sdraiai sul resto dello spazio, posando il capo sulle sue ginocchia.
«Non mi sono mai divertito tanto come stasera!» esclamò, allargando le braccia e fissando il cielo trapunto di stelle, negli spazi lasciati dalle chiome verdi. Sorrisi. «Già, nemmeno io.»
«Sai… sono contento di averti portata in tour.» disse, spostando lo sguardo su di me. Iniziò a giocherellare con i miei capelli, spaziando con gli occhi su tutto il volto. Arrossi lievemente.
«Avevi Selena, non sarebbe stato poi così necessario.» commentai, guardando ovunque tranne che verso di lui. Prese un gran respiro, prima di parlare di nuovo. Perché dovevo sempre rovinare tutto con le mie inutili considerazioni?
«Janice, quante volte devo dirtelo? Selena è… come una sorella, per me.» spiegò. Sì,Selena.
«Tu, invece… sei speciale.» aggiunse, sorridendo. Battei le palpebre, sorpresa. Non mi aveva mai detto una cosa simile, in diciassette anni. Forse perché non si era mai veramente accorto di me?
«In che senso, Justin?» gli chiesi, mettendomi a sedere. Lui fissò un punto imprecisato delle sue scarpe, per qualche istante.
«Non è facile, da spiegare.» esordì. Si voltò verso di me, accorciando le distanze. «Il fatto è, Janice… che tu…» tu? Tu?! Si stava forse dichiarando? Iniziavo ad avvertire il panico.
Volevo veramente saperlo? Dopo diciassette lunghi anni, finalmente ottenevo quello che avevo sempre sperato. Eppure non ero sicura di volerlo veramente udire dalle sue labbra. Almeno, non in quel preciso istante.
«Tu mi…»
«Shhh.» dissi, posandogli l’indice sulle labbra. Mi fissò, sorpreso. Gli sorrisi, mio malgrado.
«Dicesti di voler passare una serata da adolescenti normali.» dissi. «La notte non è ancora finita. Rimandiamo a domani quello che Justin Bieber la popstar intendeva dire adesso.» ritrassi l’indice, avvicinandomi a lui.
«Per il momento, restiamo ancora Justin e Janice. Due normali adolescenti in libera uscita.»
Mi sorrise, scuotendo la testa. Si sporse, e mi baciò la fronte. Poi si rialzò, tendendomi la mano.
«Hai ragione. Ne riparliamo domani.» convenne. Intrecciai le mie dita alle sue, e mi lasciai tirare su.
 La suoneria del suo cellulare spezzò il silenzio. Justin vide il numero sul display, e fece una smorfia.
«Chi è?» chiesi, sporgendomi per sbirciare a mia volta. Il ragazzo rifiutò la chiamata.
«Scooter.» rispose. Mise il telefonino a posto, e si voltò a guardarmi. Sorrideva.
«Ma Justin l’adolescente non conosce nessuno con questo nome.» commentò, e scoppiai a ridere. Uscimmo dal parco, ricominciando l’avventura americana di quella notte. Era bello poter guadagnare dei momenti persi.
Dei sogni da teenager.




Holls' Corner!:


Saaaalve!! Questa è la prima volta che posto un mio scritto sul fandom di Justin, mi sento quasi una novellina, hahahah! Diciamo pure subito che questa OS è particolare, per non dire strana! Lo so, ma quando mi viene un'idea abbastanza folle... devo metterla per iscritto! Comunque non è stata tutta opera mia, hahaha! In parte il merito va anche all'omonima canzone di Katy Perry, Teenage Dream. E questa era la storia... della storia!
In genere, do sempre dei volti ai miei personaggi, e questa OS non fa eccezione! Janice (che si legge Janis - sì, i nomi particolari me li vado a cercare tutti io, avete ragione! -) ha il volto di
Ellen Page!
Bene, ho detto tutto! Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensiate di questa storia, se vi sia piaciuta... le vostre opinioni! Ci tengo! Vi lascio con una gif su Justin e Janice che ho fatto io, speriando che vi piaccia!
Ringrazio in anticipo chiunque la legga, per il tempo che le ha dedicato! Un bacione, e alla prossima!


   
 
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