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Autore: Columbrina    04/06/2012    3 recensioni
[Rameria]
Rama e Mar sono felicemente sposati e hanno una vita idilliaca con i loro tre pargoli, i rispettivi figli avuti da precedenti relazioni e una nipote ergo figlia acquisita fino a quando...
Anche Valeria è felicemente sposata con Simon, ma con due bambini, un segreto e un incontro casuale stravolgerà le vite di entrambi.
E ciò dimostra quanta malafede può celarsi in un innocuo incidente d'auto.
“Non mi dire che è tua figlia, Ordonez!”
“Invece sì! E quella è tua figlia, vero Gutierrez?”
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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 Non ricordo esattamente quello che è accaduto nel lasso in tempo in cui tutto ha iniziato a divenire soffuso come le luci delle lampare, e un’enorme confusione mi aveva inflitto il colpo di grazia finale eliminando ogni cellula di lucidità latente che mi restava.  Fatto sta, che forse non ero veramente svenuto.
Però a un certo punto, mi sono sentito come un cavallo imbizzarrito imbrigliato in possenti briglie, proprio per non fargli sfogare i bollenti spettri della rabbia matta e disperatissima che aveva preso il sopravvento.
Ripetimi … Esattamente … Cosa ha detto …” biascicavo, intanto, convinto che le parole fossero come quel tabacco fresco che una volta in bocca consuma il suo aroma
Misi a fuoco lo sguardo di Lleca, spianato di ogni retorica vena d’irriverenza.
“Ehm … Innanzi tutto, calmati. Non mi pare che hai una bella cera …”
“Io sono tranquillissimo. Coraggio, parla pure”
E, in effetti, usavo quella tranquillità latente come capro espiatorio per dare in escandescenze una volta che avesse sputato il rospo con scorta di pesanti novità al seguito. Come si deve alla più commercialissima freddura di tutti i tempi. Lleca mi scruta attentamente, come colpito da qualcosa di convincente o meno nel mio sguardo, annaspando tra le contorsioni del mio veritiero pensiero con un piglio esagerato, come un lobotomico cane da tartufo e io, per contro, me ne stavo beatamente sulle mie, improvvisando una canzone per non dare sfoggio del mio reale pensiero.
Oh, certo, il mio reale pensiero era sempre per Valeria, naturalmente, e quasi non biasimai più Lleca per essere stato infedele a mia sorella.
L’uomo è carne debole, ma la donna è carnefice.
Si decise a parlare solo quando fu veramente convinto e al sicuro da ogni mio eventuale raptus, così prese fiato e abbassò gli occhi, incalzando ancor di più una viva curiosità. Anche se Alelì è assai più prevedibile di quanto si pensi…
“Beh, per cominciare, le devo dei soldi”
Sindacalista. E taccagno. Ma glielo concedo. Un altro conto da addebitare all’espiazione.
“Mmm …”
“Poi ha gridato per circa un’ora, definendomi un disgraziato, uno scansafatiche …”
“Come minimo” commentai, costernato
“E che altro … Non ricordo … Ah, che devo cercarmi un lavoro”
Alelì aveva la capacità cognitiva di un bradipo.
Mi massaggiai le tempie con movimenti circolari delle dita, solcando le latenti grinze della pelle che si spingevano fino a una cavità dura, che mi destò un certo sollievo. Tra i mugugni senza capo né coda di Lleca e l’immagine di Valeria vestita solo del suo mancato pudore, mi era salito un pensiero che tamburellava la testa e traduceva il dolore in visioni ancora più confuse. Ebbi anche l’impulso di vomitare.
Intimai Lleca di lasciarmi solo, in modo da mettere in chiaro ogni mia necessità primaria, ma lui insistette a restare a poltrire ancora un po’ sul divano, con un’ascendenza tale che sembrò quasi deliberata e approfittatrice di questo mio momento di defibrillazione assistita. Acconsentii e lo guardai per un po’.
Alla bocca dello stomaco si innestò un moto di ribrezzo latente dinanzi all’ambizione che stava per conseguire; una vita a metà, spezzata dal pendolarismo tra la sua condizione cognitiva e quella di padre assente; anzi non era ribrezzo, era solo un’impellente necessità di sistemare le cose. Ma come posso io fare la predica se provo istinti sessuali verso un’altra donna.
Inutile rimuginarci sopra, penso che voi, posteri, abbiate capito da un po’ che le mie frequenti erezioni sono dovute a quella donna che non mi lascia pace.
Come se stessi attraversando una seconda pubertà. E lo stesso valeva per Lleca, quindi dovevo rimetterlo sulla buona strada, almeno a lui. Così mi parai dinanzi a lui, ai suoi occhi agnostici e afflitti da una condizione quasi infernale di sciattezza, e mi rividi come se fosse un riflesso incondizionato, a dir poco angosciante, perché era come se stessi ammettendo le mie colpe e non potessi fare niente, malgrado la consapevolezza.
“Senti” esordii, come se stessi impedendo di lasciarlo – o meglio di lasciarci – morire crogiolati in una condizione disinteressata di vita morta “Gli istinti sono vividi, ma fugaci. Questo lo sai e d’accordo. La cosa più penosa è che tu ti sia lasciato condizionare da loro, senza il minimo ritegno verso i tuoi principi”
“Rama, l’unica cosa che voglio in questo momento è riallacciare i rapporti con mia figlia”
Quella rivelazione mi spiazzò piacevolmente e mi sentii accalorato da una caldana indicibile, perché era esattamente quello che volevo sentirmi dire. Non mi importava che avesse tradito Alelì, insomma, questa fase l’attraversano un po’ tutti, uomini o donne che siano, perché in questo campo siamo tutti il sesso debole e ciò non è determinato dalla carenza d’affetto, ma da quanto siamo, poi, forti ad attingere il minimo indispensabile dai nostri errori e ripararli. Sorrisi, ascoltandolo apertamente.
“Forse non lo do a vedere perché sono davvero un disgraziato, ma non puoi immaginare quanto mi roda il fatto di non poter andare da Greta e dirle, senza troppi indugi, ‘Ehi, piccola, andiamo a mangiare un gelato?’ come fanno i padri e le figlie normali”
“Proprio per questo… Tu non sei normale, Lleca”
Ridemmo, consapevoli della nostra reciproca inettitudine. O meglio di essere, per una volta, noi i deboli. Però lui ci stava provando e io non potevo far altro che imparare da lui, paradossalmente. Gli diedi una pacca sulla spalla e gli sorrisi di nuovo.
“Prova a conoscerla meglio”
Fece un cenno d’assenso, che accese in me un nuovo senso di sollievo che, per quanto fugace, mi rese davvero felice, perché si stava aprendo qualcosa in quel guscio d’agnostica spensieratezza mal manovrata. E ora toccava a me mettermi in gioco. E questo venne da lui, pulpito di repressa esperienza di vita. Sorrisi grato a Lleca e guardai l’orologio di scialba fattura – e attrattiva, a dire il vero – che tamburellava le sue lancette puntualmente.
Mar non sarebbe tornata prima dell’orario di cena.
Guardai per un’ultima volta Lleca, che mi rivolse un’espressione eloquente come non mai.
“Puoi badare tu ai bambini mentre non ci sono?”
“Ovvio”
Sorrise e mi rivolse un occhiolino, che gli deturpò per una frazione quel faccino sardonico e volitivo. Feci per andarmene, quando un esagerato sospiro d’aria pesante che provenne da Lleca mi fece rinsavire dalla mia risoluzione subitanea.
Mi spaventai anche.
“Che c’è?!”
“Dimenticavo di dirti che Alelì tornerà tra un paio di giorni”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

 
 
Stronzo. Stronzo. Stronzo.
Gli faccio il paternale, dopato di una qualche cognizione ciceronesca, e quello se ne esce con una freddura del genere.
Sarà meglio che non si faccia evirare prima di aver comprato almeno un giocattolo a quella povera bambina.
Misi su un disco, giusto per aggregarlo alla giusta atmosfera che si era creata, satura di un qualche malocchio che avevano lanciato su di me giusto per farmi impazzire. Perché mi risultava facile a me.
Stavo guidando da una decina di minuti da casa e imprecando da quando ero uscito, e solo dopo appurai che il mio conto delle indulgenze era talmente saturo che San Pietro mi avrebbe dato un biglietto di sola andata nel girone dei dannati. Forse Valeria sarebbe venuta con me … I nuovi Paolo e Francesca.
E se non fosse venuta, l’avrei trascinata io con la persuasione dell’amante.
Ma che cazzo sto dicendo?
Anche gli angeli hanno le seghe mentali ogni tanto.
Comunque la strada si stagliava lastricata d’anonimato dinanzi a me, come se fosse alle pendici del menefreghismo, giusto sul ciglio di qualche città fantasma che si racconta nelle leggende metropolitane. Non ci facevo molto caso, comunque. La solitudine era un toccasana in quel momento.
Per giunta, Mar mi inviò un messaggio per avvertirmi che non sarebbe tornata prima dello spaccare del coprifuoco dei bambini, quindi in definitiva … Sarebbe tornata per le dieci.
Che strano. Quasi non discutiamo da giorni, come se avessi il tempo necessario di vederla.
Beh, non che mi aspettassi così tanto da questo matrimonio, in realtà.
Thiago è troppo radicato in lei e non l’avrebbe potuto espellere dalla sua vita come se nulla fosse con un soffio casuale, instaurando una fugace promessa con la prima spalla su cui piangere. Fu una cerimonia sobria, fortemente voluta da entrambi, perché eravamo reciprocamente coscienti che tale sarebbe stato il nostro matrimonio, costellato di un reticente amore che piano piano avrebbe preso gli odori, i sapori e i colori della monotonia impellente, che tutto consuma, crogiola, rosola nella quotidianità infelice.
Poi arrivarono i gemelli, di punto in bianco, inaspettati, come se fossero il campanello d’allarme per avvertirci della forzatura.
E poi Bea che, non vi dico, fu una tale gioia dato che era la principessina di casa. E già allora, quando confidai a Tacho di volerla chiamare Valeria, avrei dovuto capire che una serpe si stava insinuando sempre più radicalmente in me come in lei. Ebbi il mio attimo per constatare la situazione, quando andai all’anagrafe per registrarla e Mar era ancora in convalescenza, essendo reduce anche da una gravidanza difficile, e dissi che si sarebbe chiamata – volontariamente o no, non ricordo – Beatriz Valeria Ordonez, con la virgola in modo da non dover affibbiarle quell’affare obbligato.
Ecco il piccolo peccato di Ramiro Ordonez.
Nessuno lo sa.
Tranne voi ed io.
Come nessuno sa quello che sarebbe accaduto tra pochi istanti …
Il giro di ronda era quasi terminato e appurai che fosse meglio tornare a casa appena avrei imboccato la fine della strada. Il crepuscolo si stagliava nitido, come la striscia di terra che divide il mare e il bagnasciuga, quel lembo impeccabile che è a metà strada tra forza e armonia, vero e falso, verità e logica.
Avevo gli occhi stanchi e i pensieri pesanti, ma non demordevo.
E venni attirato dalla sua snella figura bionda e appassita che sembrava rivolgersi a me come una calamità imminente che avrebbe portato una nuova razione di folli pensieri infelici. La notai che anche lei era attraversata da segni di spossatezza che le attanagliavano il viso e aveva una postura quasi catatonica e moscia nei suoi gesti che mi venne da chiedere se fosse veramente lei. L’avevo lasciata con un purè alle mutande e ora la vedevo errare su cigli di strade buie.
Teneva per mano la piccola Rose e un bimbo di pochi anni in meno a lei, bruno, che portava il vessillo orgoglioso degli equini Arrechavaleta, quasi da non sembrare suo fratello. Cercava di mostrarsi forte, ma i segni che forse aveva pianto erano evidenti.
Sterzai e smorzai quasi d’istinto, perché non potei resistere alla camicia di forza che aveva mozzato ogni mia condizione, cognizione o contraddizione che sia. Fatto sta che era successo qualcosa a Valeria e la sorte stava giocando per entrambi.
“Ma cosa …”
Ci incrociammo e una patina lucida si adagiò dolcemente sui suoi occhi intrisi dei colori del tempo che tutto porta via, e le parve di essere anche lei alle soglie della pubertà, quanto era sconvolta. I bambini mi guardarono, troppo ignari per sapere cosa c’era dietro.
“Tu non dovresti vedermi così”
Si sforzò di sorridere, immane come notai dalla sofferenza con cui elargì quella piega agli angoli della bocca, come se fosse impregnata nello stucco. Le feci segno di non mentire con me, perché la conoscevo a memoria.
“Vieni a casa e dimmi cosa è successo”
Sorrise e cedette subito, senza opporre alcuna resistenza, perché sapeva che non ne valeva minimamente la pena. Sussurrò qualcosa ai bambini, che annuirono senza pensarci, anzi mi parve di intravedere un qualche sorriso sul volto della piccola Rose. E di nuovo mise i miei occhi su di me, forse non si era accorta che avevo messo i miei sui suoi.
Fece salire i bambini in macchina, per poi sedersi accanto a me, lo sguardo meno sostenuto e intriso di un’emotività che aspettava solo di venire fuori, come sfogo plausibile, ma non l’avrebbe mai fatto davanti a me.
Le strinsi la mano, incoraggiandola silenziosamente, perché mi sentivo in dovere di mettere da parte i miei egoistici propositi  e sperare che anche Mar fosse di quell’avviso.
“Dove ti piacerebbe andare?”
“Ovunque, ma lontano da qui” disse lei, con voce sostenuta “E poi ci sei tu, naturalmente”
“Chi altri, sennò?”
 

 

 

 
Non c’è molto da dire sulla serata.
Li portai in un locale attrezzato per i marmocchi sotto i dodici anni e sotto la supervisione da eventuali crisi ormonali, giusto per far divertire i bambini ed entrare nelle loro grazie, se così si può dire.
Dopo aver acquisito familiarità, la piccola Rose è diventata più loquace, come se avesse scoperto nel lupo cattivo, l’animo di un vero principe, se non pecco di modestia.
La piccola fotocopia Arrechavaleta non era dello stesso avviso, anche perché a stento biascicava qualche parola. Riusciva ad articolare solo singulti ed era questo che contraddistingueva il suo vocabolario.
I bambini stavano giocando nell’area attrezzata. Io e Valeria eravamo vicini e parlavamo fitti, in modo da non attirare l’attenzione.
“Sei pronta a dirmi cosa ti è successo?”
Non aveva ancora osato cedere all’emotività, cocciuta del suo orgoglio, perciò nascose il viso tra le mani e fece scendere sì e no qualche stralcio di comprensione verso sé stessa prima di prendere fiato e incrociare finalmente il mio sguardo, mentre le tenevo la mano.
“No”
Lo immaginavo e non la biasimai, perché non avevo bisogno di un movente per sentirla mia o di caricarmi addosso il peso del mondo solo per lei. Intanto, la piccola Rose rideva felice, le iridi vivide della madre.
E si fece ancora più chiaro il motivo per cui non aveva ancora osato cedere a sé stessa.
“Vuoi restare per un po’ a casa nostra?”
Sorrise.
“No. Prenderò una stanza d’albergo”
“Scordatelo”
“Rama, non è una tua responsabilità …”
“Ma tu lo sei… Per me”
Smise di guardarmi, crogiolandosi in un pesante disagio carico di una tensione che si addiceva perfettamente alla nostra condizione, perché stesso io non mi capacitavo del mio spirito d’iniziativa. Ma diventavo così quando si trattava di lei. Non le dissi neanche i miei sospetti sul fatto che Simon se ne fosse andato di punto in bianco, probabilmente. Ciò che mi sfuggiva era il perché.
“Scusami” esordii io, con reticente condiscendenza, che certo non sfuggì a lei, dato che mi prese la mano in una stretta comprensiva
“Hai già fatto tanto”
“Lasciami fare di più”
A quel punto si abbandonò sullo schienale della sedia, alzando gli occhi al cielo, consapevole di certo che non avrei ceduto nemmeno sotto le pressioni delle sue continue reticenze di convenienza. Non attaccavano con me, quindi non doveva procrastinare più di tanto.
Mi alzai, pagai il conto e presi le chiavi della macchina.
“Prendi i bambini. Venite a casa con me. “ sentenziai, col tono perentorio di chi non lasciava scampo ai compromessi “Poi a Bea farà sicuramente piacere”
 
 

   
 
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