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Autore: Eugenie    05/06/2012    1 recensioni
Due brevissime lettere scritte dal poeta John Keats al suo amico George, in cui racconta la morte di sua madre.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Nota dell'autrice: ho cercato di rendere nel modo più plausibile possibile il lessico di inizio Ottocento, quindi, per esempio, vorrei specificare che l'avverbio
'finalmente' sta a indicare semplicemente 'alla fine', in senso temporale, senza alcuna connotazione di sollievo.
 
Moorgate, Londra
4 febbraio 1810

George,
Perdonatemi se mancherò di fare un'adeguata premessa, ma un'antica riflessione mi ruba il tempo da giorni.
Io credo, amico mio, che la letteratura sia il più prezioso tra i doni che l'uomo abbia mai ricevuto.
Talvolta, stento a credere che un tale bene divino appartenga ai mortali... oh, Signore misericordioso, quanti irresponsabili ne fanno cattivo uso!
Da qualche anno mia madre mi ha iscritto a scuola, che è presto divenuta per me il rifugio prediletto dai mali mondani.
Le parole degli autori sono il più dolce degli espedienti per convivere con i dispiaceri di questa vita, che già hanno attanagliato il mio giovane cuore.
Precisamente, ritengo che il poeta si elevi al di sopra dello scribacchino e dell'imbrattacarte, che propinano le loro incontestabili verità al mondo intero... egli, per l'appunto, ha imparato ad accettare il male nella sua vita, considerandolo (invece che qualcosa per cui disperarsi) un nuovo terreno da esplorare e da fare proprio.
Ed è proprio questo che io mi prefiggo di riuscire a fare, un giorno: piegare le parole al mio volere, per frugare i più reconditi lidi dell'anima mia, ove solingo è celato il dolore.


Sperando nel vostro bene,
John

 
 
 

Moorgate, Londra
11 marzo 1810

Amico mio,
Vi scrivo con il cuore in mano e gli occhi colmi di calde lacrime, che offuscano il mio sguardo e mi impediscono di riflettere con lucidità.
Mia madre è morta. La Malattia se l'è portata via e, dopo mio padre, anche lei mi ha finalmente lasciato.
Lo giuro, non so più a cosa appigliarmi.
Ricordate, vero, tutte le belle parole sul convivere con il male della vita? Bene, è decisamente giunto il momento di metterle in pratica.
Cerco conforto nella poesia, cerco conforto nei versi in rima.
Cerco conforto, dunque, nella più inaffidabile forma d'arte che la mente umana abbia mai concepito.

Scusate per la brevità di queste mie ultime missive, ma la mia anima è lacerata dal dolore più nero, e anche scrivere ad un caro amico come voi mi costa fatica.

Vostro,
John

 
  
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