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Autore: Ranerottola    07/06/2012    5 recensioni
Medioevo, Francia meridionale, una famiglia di Catari cerca di sopravvivere alla persecuzione della Chiesa di Roma.
"La famiglia LaTour, padre e cinque figli maschi, era riunita at-torno a un fuoco modesto nell’aia di fronte alla minuscola casa che, in quel momento, risuonava dei lamenti di una donna: la signora Anne LaTour stava partorendo per la settima volta, assistita dalla madre."
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Geneviève

Credits: Il ritratto di Geneviève è opera di una bravissima iconizer: Boundary, in onore della quale è stato indetto il contest di CoS "Collapsing Night - II Edizione"
per il quale è stata scritta questa storia. Questo è il link al LiveJournal di


Boundary Note dell'autrice:I personaggi storici sono tutti realmente esistiti, tutti gli altri sono frutto della mia invenzione. Malgrado le ricerche fatte, se mi fosse sfuggito qualche errore storico picchiatemi pure. La storia è stata scritta per il Contest: "Collapsing Night - II Edizione"  di: Collection of Starlight

     La famiglia LaTour, padre e cinque figli maschi, era riunita attorno a un fuoco modesto nell’aia di fronte alla minuscola casa che, in quel momento, risuonava dei lamenti di una donna: la signora Anne LaTour stava partorendo per la settima volta, assistita dalla madre. Il suo sesto figlio era nato morto e ora, ai dolori del parto, si aggiungeva la paura per il suo bimbo non ancora nato. Era una notte senza luna, quella del 24 Maggio 1200, buia e tiepida, dove  l’unica luce che rischiarava l’ambiente era quella del focolare. L’acqua bolliva piano nel calderone spandendo nella stanza il profumo rilassante delle erbe medicinali che l’anziana Vivienne aveva scelto con cura nel suo orto per aiutare la figlia in quella difficile notte. Mentre sorreggeva la testa della donna per farle bere un altro sorso del decotto di verbena e valeriana, Vivienne mormorava le parole di un’antica preghiera imparata da piccola: “Payre sant, Dieu dreyturier de bons speritz, qui hanc no falhist ni mentist ni errest ni duptest per âor de mort a pendre al mon de dieu estranh, Car nos no em del mon, nil mon no es de nos, Et dona nos a conoysher so due tu connoyshes et amar so que tu amas” (Padre Santo, Dio giusto degli spiriti buoni, che non hai mai ingannato né mentito né errato, né esitato per paura della morte a discendere nel mondo del Dio straniero, perché noi non siamo del mondo né il mondo è nostro,  concedi a noi di conoscere ciò che Tu conosci e di amare ciò che tu ami). Verso le tre, proprio nell’ora più buia, mentre la notte regnava sovrana sulla campagna occitana, gli uomini riuniti fuori sentirono un alto grido e, dopo qualche minuto di silenzio, un vagito forte e deciso ruppe l’aria, aprendoli al sorriso. All’interno Anne riposava esausta sul letto, mentre Vivienne cullava tra le braccia il membro più giovane della sua famiglia, mormorando dolci sciocchezze. La porta si spalancò e i cinque giovani LaTour sciamarono all’interno indecisi tra il rassicurarsi sulla salute della madre e lo sbirciare curiosi il fagottino in braccio alla nonna. Gérome LaTour si inginocchiò accanto al letto, accarezzando amorevolmente i capelli della moglie che gli rivolse un sorriso stanco. L’uomo si voltò sentendo la suocera avvicinarsi: “Gérome LaTour, sono fiera di presentarti tua figlia Geneviève!” Con queste parole, la donna gli mise tra le braccia un minuscolo bozzolo di lana da cui spuntavano un ciuffo di capelli rossi come il fuoco e una gota rosea: sua figlia dormiva, incurante di tutto, al sicuro tra le sue braccia.

     Quei primi anni trascorsero sereni: il babbo le insegnò a camminare tenendola per mano; i fratelli André, Bérnard, Claude, Daniel ed Etienne facevano a gara per farla giocare e per proteggerla; la mamma la metteva accanto a sé mentre preparava il pasto serale o cuciva gli abiti per tutta la famiglia e intanto cantava o pregava a bassa voce. La nonna, dal canto suo, le parlava di Dio, dei Bonnes Hommes, di vita e morte, di bene e male e di tante altre cose importanti prima ancora che fosse in grado di parlare e comprendere, convinta com’era che lo spirito della piccola avrebbe appreso anche se la sua “mente cosciente” ancora non capiva. La campagna vicino a Béziers forniva loro il necessario per vivere e i mercanti girovaghi o i commercianti della città barattavano il resto in cambio di formaggi e uova. Quella della famiglia LaTour era una vita semplice, vissuta poveramente e onestamente, nella quale i discorsi e le preoccupazioni di preti e potenti non avevano spazio alcuno. La vita era dura e faticosa, come per tutti, ma non lesinava loro quelle gioie modeste che solo i puri sanno apprezzare.

     Nel 1205 André, il figlio maggiore, costruì una casa e prese moglie. La famiglia di lui partecipò commossa alla sua felicità anche se la giovane sposa era cattolica, perché ella era buona e onesta. Quando, un anno dopo, nacque la loro primogenita la chiamarono Anne, come la madre di André, e i parenti di entrambi festeggiarono insieme senza preoccuparsi affatto delle differenze religiose.

     Geneviéve a quel tempo aveva cinque anni e cresceva operosa e di buon carattere come si confaceva a una bimba di una famiglia di Buoni Cristiani. Era molto vivace e amava correre nei prati, cercando di riconoscere le piante e i fiori che le aveva mostrato la nonna, mentre portava il pasto di mezzodì al padre e ai fratelli che lavoravano duramente nei campi.

Era uno spettacolo che allargava il cuore vedere quella figuretta dai lunghi capelli rossi e dal vestitino verde correre a perdifiato, ridendo, cantando e rallegrando le giornate, non solo dei familiari ma di tutti i vicini che la vedevano passare. Mamma Anne le insegnava a cucinare e si faceva aiutare a rammendare i vestiti dei fratelli ma, soprattutto, le mostrava con l’esempio l’importanza del fare l’elemosina ai poveri, dell’essere gentili e dolci con tutti e del vivere umilmente servendo Dio con gioia. Una o due volte la settimana i più giovani dei LaTour si recavano in visita dalla nonna che insegnava loro i precetti dell’essere Bonnes Hommes, come aspirare a diventare Parfait e come amare e onorare il Signore pur vivendo in un corpo formato da carne e peccato. Spesso Vivienne tratteneva più a lungo Geneviève per mostrarle come utilizzare le piante per creare medicamenti e decotti utili per la salute e per spiegarle tutto ciò che sapeva sul funzionamento del corpo umano. Alla sua età la piccola si annoiava un po’ per le lunghe chiacchiere della nonna, quando queste non implicavano passeggiate nel bosco alla ricerca di erbe, ma era buona, rispettosa e intelligente perciò cercava di ascoltare senza distrarsi troppo e apprendeva velocemente sotto lo sguardo orgoglioso di Vivienne.

     Gli avvenimenti del mondo non toccavano quella famiglia semplice, né i loro vicini e conoscenti. I più piccoli giocavano a essere cavalieri crociati, portando fiori e piccoli pegni alla sorellina e alle sue amichette che ridevano e ringraziavano graziosamente, coronate di rose e margherite come delle dame; i grandi lavoravano nei campi, accudivano il bestiame e barattavano al mercato il poco che gli serviva in più. Tuttavia era sempre più frequente, in quegli anni, imbattersi in predicatori e preti che cercavano di convincere i Catari ad abbandonare la loro “eresia” per abbracciare la “vera fede” annunciando la scomunica dalla chiesa del Papa a tutti coloro che rifiutavano la conversione. Geneviève sentì parlare spesso uomini così, andando al mercato di Béziers col padre e si meravigliava molto di come si potesse vestire riccamente e coprirsi d’oro per parlare di Gesù e di preghiera: la povertà predicata dai Perfetti catari era molto più vicina al suo modo di vivere e le sembrava più giusto che l’angelo Gesù, mostratosi ai poveri sulla terra, fosse onorato con una vita povera e semplice. La sua mente di bambina risolveva istintivamente una controversia che, negli anni a venire, avrebbe portato lutti, dolori e sangue alla Francia.

     Sempre più spesso i Credenti si riunivano per parlare della situazione e il clima, negli anni, si fece via via più teso. Episodi di intolleranza e violenza si verificavano con sempre maggiore frequenza: ricchi cattolici non si fecero scrupolo di sfruttare la scomunica decretata dal Papa per sottrarre beni e potere ai nobili catari mentre gruppetti di cavalieri, di ritorno dalle Crociate, terrorizzavano i contadini e maltrattavano i Parfait in molte zone della Linguadoca.

     Nel 1208 la situazione precipitò: il Papa indisse una nuova Crociata, la prima fatta da cristiani contro altri cristiani e decretò così l’inizio della Crociata contro i Catari!

     Nel mese di Aprile, temendo per la vita dei loro cari, Gérome LaTour e suo figlio André decisero di lasciare la terra dove vivevano, e che coltivavano da tutta la vita, e si trasferirono con le loro famiglie all’interno delle mura della città di Béziers. Trovarono una casetta modesta formata dal pianoterra con la cucina, il camino con davanti la sedia della nonna e il tappeto su cui spesso giocavano i piccoli d’inverno, nonché il tavolo attorno al quale si riunivano tutti per il pasto serale e un sottotetto, nel quale vennero collocati i giacigli per entrambe le famiglie, che completava la nuova abitazione. I primi tempi furono molto duri: in città non c’era terra da coltivare né un orto da curare, i pochi animali che avevano erano stati venduti per pagare la pigione della casa, la legna per il fuoco scarseggiava e la cisterna per prendere l’acqua era distante. La famiglia, tuttavia, non perse tempo a lamentarsi della malasorte. Nel giro di qualche mese le donne trovarono un paio di famiglie di commercianti a cui servivano delle sarte e delle lavandaie e divisero le loro giornate tra bucato e cucito; André trovò lavoro presso il maniscalco, Gérome aiutava, di volta in volta, il falegname e il fabbro; Bérnard e Claude entrarono come apprendisti dal fornaio, mentre Daniel, Etienne e Geneviève aiutavano i bottegai come fattorini per le consegne. Tutti si impegnarono al massimo e riuscirono a  migliorare notevolmente la loro situazione: durante la stagione estiva misero da parte legna e conserve, verdura sotto sale e frutta secca per poter superare al meglio i lunghi e freddi mesi invernali. A Ottobre la piccola Anne, la figlia di André, compì due anni e cominciò a sgambettare dietro alla cuginetta per tutta la casa e a volerla seguire ogni volta che usciva. Geneviève accettava graziosamente la venerazione di cui era oggetto e passava molto del suo tempo coccolando la bambinetta e insegnandole piccoli giochi e nuove parole. Alla veneranda età di nove anni quasi compiuti si sentiva grande abbastanza per insegnare alla piccina tutto ciò che aveva appreso dalla nonna e dalla mamma e le donne la osservavano con indulgenza mentre spiegava ad Anne di Gesù, dei Catari e di come diventare Perfetti; dei fiori, che in città non si vedevano quasi mai, e dei versi degli animali che avevano lasciato nella vecchia casa.

     Tutti gli adulti furono molto orgogliosi di lei quando una Parfait, fermatasi a dividere il pasto con loro, si complimentò per la vocazione di Geneviève per la predicazione e l’insegnamento e per la purezza dello spirito della bambina che brillava come una luce in quei tempi bui. La donna li esortò a non interrompere la sua educazione, anzi a coltivarla contemporaneamente a quella della cugina per sfruttare al meglio l’evidente rapporto speciale tra le loro anime. Dopo di ciò la nonna prese ad accompagnare le bimbe fuori dalle mura in ogni giorno di sole abbastanza caldo per una passeggiata, portando spesso in braccio Anne fino ad un boschetto di pioppi dove la lasciava barcollare dietro a Geneviève per esplorare alberi, cespugli e tane di conigli mentre Vivienne ripeteva con la più grande canti e preghiere, compresa quella che aveva sussurrato la notte della sua nascita: “Payre sant, Dieu dreyturier de bons speritz, qui hanc no falhist ni mentist ni errest ni duptest per âor de mort a pendre al mon de dieu estranh, Car nos no em del mon, nil mon no es de nos, Et dona nos a conoysher so due tu connoyshes et amar so que tu amas, Farisens engenadors, que estat a la porta del regne, evedaytz aquels qui intrat i voldrian, e vos autres no y voletz, Per que prec al Paire sant de bons speritz, que a poder de salvar las ammas, et per bos speritz fa granar et florir, en per raso dels bos dona vida als mals, e fara mentre que i vaia al mon dels bos, E quan mica non y aura dels mieus els menors cels, que son dels set regnes, que avalran de paradis aus que Lucifer los ne trasch am semblansa de 'ngan que Dieus no'l premes sino be, e per ta;l quar lo diapble era mot fals que 'ls prometia mal e be, E dys que dar lor molers que amarian trop, e dar lor hia senhoria uns sobre autres, en que ni auria que syrian reys e comtes e emperadors, et am hun ausel que n'prendrian autre, et am huna bestia autra; Totas las gens que serian sotzmesas a els que devalarian deios e que aurian poder de far mal e be ayshi cum Dieus desus, e que trop lor valia mai que fossan deios, que poyrian far mal e be, que desus on Dieus no lor dava sino be. E ayshi puieron sobre un cel de vid, e aytans com mi ni puieron caseron e foro peritz. E Dieus devalec del cel ab XII apostols, e adombrec se en sancta Maria.” (Padre santo, Dio legittimo degli spiriti buoni, che non hai mai ingannato né mentito né errato, né esitato per paura della morte a discendere nel mondo del Dio straniero - perché noi non siamo del mondo né il mondo è nostro - concedi a noi di conoscere ciò che tu conosci - e di amare ciò che tu ami. Farisei ingannatori, che state alla porta del regno e impedite di entrare a coloro che lo vorrebbero, mentre voi non volete!Per questo prego il Padre santo degli spiriti buoni, che ha il potere di salvare le anime, e fa germogliare e fiorire per gli spiriti buoni, e per causa dei buoni dà vita ai malvagi e lo farà finché essi vadano nel mondo dei buoni. E lo farà fino a quando non vi sarà più nei cieli inferiori, che appartengono ai sette regni, nessuno dei miei che sono caduti dal paradiso, da dove Lucifero li ha tratti con il falso pretesto che Dio non prometteva loro altro che il bene, mentre il diavolo nella sua grande falsità prometteva loro sia il male che il bene. E disse che avrebbe dato loro donne che avrebbero amato moltissimo e avrebbe dato signoria agli uni sugli altri, e che vi sarebbero stati fra loro re e conti e imperatori, e che con un uccello ne avrebbero catturato un altro e con una bestia un'altra. E disse che tutti coloro che si fossero sottomessi a lui sarebbero discesi e avrebbero avuto il potere di fare il male e il bene come Dio in alto, e che per loro sarebbe stato molto meglio essere in basso e fare il male e il bene che essere in alto dove Dio non dava loro che il bene. E così salirono su un cielo di vetro e, appena vi furono saliti, caddero e furono perduti. E Dio discese dal cielo con dodici Apostoli e si adombrò in santa Maria.)

     A Dicembre scese la neve e i più giovani furono costretti a restare in casa; la nonna allora, davanti al camino, spiegò ai bambini di come il mondo fu creato da Satana per allontanare gli spiriti dal Dio buono e dividerli da Lui e di come Lui mandò il suo Angelo più puro, Gesù, a prendere l’aspetto di un uomo di carne per insegnare ai Credenti come lasciar tornare i loro spiriti a Dio disprezzando i beni materiali e tutto ciò che riguardava i loro corpi fisici. Vivienne spiegò anche che molti rimasero talmente accecati dal mondo da non riconoscere in Gesù l’Angelo di Dio e perciò Lo crocifissero e che, perciò, la croce è un abominio davanti a Dio e non un oggetto da adorare. I bambini facevano molte domande su quello che avevano sentito dire dai predicatori cristiani e sulle differenze con ciò che insegnava loro la nonna perciò i LaTour invitarono alcuni Parfait a dividere il desco con loro per spiegare meglio ai piccoli i precetti Catari e il perché fossero così differenti da quelli cristiani.

     Purtroppo anche quella tranquilla vita cittadina era destinata a durare poco: nel Giugno del 1209 arrivò la notizia dell’ avanzata dell’esercito crociato verso la Linguadoca e la paura cominciò a dilagare tra la popolazione di Béziers.

     Per quanto possibile i LaTour cercarono di far continuare almeno alle bimbe, essendo le più piccole, una vita serena e normale perciò Vivienne continuò a recarsi con loro al bosco dei pioppi e nascose le sue paure per lasciare ancora qualche settimana di spensieratezza alle sue adorate nipotine. Per questo motivo, il giorno in cui Béziers fu attaccata, la donna era fuori città con le due piccine.

     Sentirono il clamore delle armi e le urla da lontano e Vivienne, terrorizzata, ingiunse il silenzio alle bambine spingendole in una tana di tasso per nascondersi poi lì vicino, nel folto dei cespugli. Passarono lì molte ore, piangendo in silenzio e pregando. Anne si era addormentata, sfinita, abbracciata alla cugina e Geneviève cercava di non muoversi, per non svegliarla, ma anche per non far crollare il loro nascondiglio. Aveva capito perfettamente che da quella tana dipendeva la loro vita e aveva molta paura. Non aveva il coraggio di chiamare la nonna ad alta voce e, allo stesso tempo, temeva che le fosse successo qualcosa. Mentre il buio si addensava dimostrò di essere impavida, cullando piano la piccola affidatale e pregando tra sé per la salvezza della sua famiglia, senza piangere per non far rumore. Quando la luce del giorno lambì l’imboccatura della tana, le bimbe sentirono l’amata voce della nonna chiamarle per nome. Vivienne non provò mai un sollievo così grande come quello che sentì nel momento in cui le vocine delle bambine le risposero. Passarono una mattina d’inferno nascondendosi al minimo rumore, temendo che i soldati si spingessero fin là. Nel pomeriggio sentirono urla improvvise e strazianti alzarsi dalla città e i rumori dei combattimenti crescere d’intensità per poi diminuire di nuovo. Si spinsero al limitare del bosco, fino a vedere le mura e guardarono con orrore le case e i palazzi crollare ad uno ad uno e sentirono i lamenti spegnersi a poco a poco finché un agghiacciante silenzio di morte non scese su tutto. Le lacrime solcavano i loro visi mentre, nel crepuscolo, guardavano da lontano l’esercito crociato abbandonare incolonnato le rovine della bella Béziers.

     Aspettarono alcuni giorni prima di arrischiarsi a lasciare il loro rifugio. Nel frattempo Vivienne insegnò ad Anne e Geneviève a bere la rugiada che si raccoglieva nell’incavo delle foglie e a riconoscere le bacche e i frutti che potevano mangiare da quelli velenosi. Quando decise di tornare a Béziers, Vivienne avrebbe voluto andare sola, ma non ebbe il coraggio di dividersi dalle nipotine per paura di non ritrovarle più al suo ritorno, nonché per il timore di abbandonarle da sole, qualora le fosse accaduto qualcosa.

     Lo spettacolo che si presentò loro quando entrarono in città fu l’ immagine stessa dell’apocalisse: rovine ovunque, nessun palazzo sembrava ancora intero, parti di cadaveri spuntavano da sotto le macerie e corpi giacevano ammassati in ogni angolo. Sopra a ogni cosa aleggiava un terribile odore di sangue ed escrementi che rendeva difficile persino respirare.

     Le bambine si stringevano a Vivienne guardandosi attorno con gli occhi sgranati e la donna le accarezzava sulla testa piangendo silenziosamente. La speranza di ritrovare vivi i loro cari si affievoliva un passo dopo l’altro. Quasi non riconobbero la loro casetta per come era stata ridotta: il tetto era parzialmente crollato, le pareti, danneggiate, avevano riempito di detriti il pavimento e la porta giaceva, sfondata, oltre la soglia. La nonna fece sedere le piccole accanto ai resti della finestra ed entrò da sola, con cautela, nella stanza in penombra. Trovò per primo il giovane André, stringeva ancora il coltello con cui aveva cercato di difendersi e aveva il cranio sfondato. Poco oltre vide parte di un corpo emergere da un mucchio di pietre crollate dalla parete, si chinò in fretta e cominciò a spostare pezzi di muro fino a liberare, con orrore il volto di suo nipote Claude. Le lacrime, ormai, rigavano la polvere sul suo viso e le annebbiavano la vista quando scovò il genero, Gérome, trafitto da una lancia che, trapassandolo da parte a parte, aveva ucciso lui e il figlio Bérnard inchiodandoli insieme alla parete in un abbraccio mortale. Vivienne si sentiva svenire ma continuò la sua macabra esplorazione fino a convincersi che le donne e i suoi nipoti più piccoli non si trovavano in casa. A quel punto dovette decidere cosa fare: si trovava in un enorme cimitero, con due bambine spaventate e senza viveri né riparo. Si mise a frugare nei resti di ciò che era stata la cucina finché riuscì a trovare un otre ancora sano, un sacchetto di farina e un barattolo intero di conserva; ringraziò il Signore e si spostò a cercare attorno ai resti della scala che aveva condotto nel sottotetto, ora crollato. Scoprì una coperta, una veste della piccola Anne, una che doveva essere appartenuta a sua figlia e una piccola sacca che conteneva ancora delle pezze di lana. Mise nella sacca tutto ciò che aveva racimolato, disse rapidamente una preghiera per i suoi cari, così barbaramente uccisi e guadagnò l’uscita per riunirsi alle bambine.

     Dire a Geneviève ciò che aveva scoperto fu la cosa più difficile che avesse mai fatto. La bambina la fissò senza piangere, poi annuì, chinò la testa un momento, quindi si alzò stringendo la mano della piccola Anne e si incamminò lungo la strada che portava verso la chiesa della Madeleine.

     La nonna la seguì senza trovare il coraggio di farle domande. Quando arrivarono in vista della chiesa Geneviève si fermò e, in silenzio, consegnò la mano della cuginetta alla nonna, le fece cenno di aspettare e proseguì da sola. Non provò neanche paura, mentre si inoltrava sul sagrato della chiesa, tanta era la determinazione a ritrovare sua madre. Solo lei sapeva ciò che Anne le aveva raccomandato tante volte, da quando vivevano in città: “Se ti succedesse qualcosa o ti perdessi, chiedi come raggiungere La Madeleine e rifugiati in chiesa, ti ritroverò lì.” Il portone era spalancato e all’interno trovò mucchi di corpi ammassati davanti all’altare. Riconobbe i suoi vicini e alcuni bottegai che conosceva e che sapeva essere cristiani poi, in un angolo un po’ appartato, riconobbe la veste rossa della madre. Anne giaceva scompostamente, squartata da un colpo di spada, stringendo ancora tra le braccia i corpi senza vita di Etienne e Daniel. Poco distante trovò la bella moglie di André, era semi spogliata, con le vesti strappate e il corpo insanguinato, le gambe divaricate e il ventre solcato da una pugnalata. Geneviève sedette a metà strada tra le due donne e pregò a lungo, in silenzio, senza che le lacrime smettessero mai di solcarle il viso, prima di raccogliere la catenina della madre da terra e uscire all’aperto per riunirsi alle uniche sue parenti ancora in vita.

     Rimasero in città un paio di giorni, cercando tra le macerie tutto ciò che poteva loro servire per il viaggio che le attendeva. Quando si decisero a partire Geneviève non aveva ancora ripreso a parlare. Viaggiarono a lungo, portando in braccio a turno la piccola Anne e seguendo il fiume fin dove possibile per avere a disposizione l’acqua necessaria per bere e lavarsi.

     Nei successivi sette anni viaggiarono quasi sempre. Si fermavano nei mesi invernali e nei mesi caldi riprendevano a camminare. Toccarono Puisserguier, Hautpoul e Castres; si fermarono quasi un anno a Puylaurens finché, nel 1216, Raimondo VI cominciò la riconquista della contea e della città di Tolosa e le tre donne decisero di trasferirsi là. Anne era cresciuta molto ed era una bella bambina, bionda come il grano, molto vivace e sempre in movimento. Risultava simpatica a tutti procurando loro, spesso, una buona ospitalità solo grazie al suo sorriso. Vivienne era più vecchia e lenta ma preparava sempre i migliori decotti e rimedi della regione e li vendeva ai contadini, o nei mercati dei villaggi dove si fermavano. Geneviève era divenuta una splendida fanciulla di sedici anni, i lunghi capelli rossi le scendevano sulla schiena fino alla vita come delle fiamme, il nasino all’insù le dava un’aria sbarazzina e i grandi occhi verdi, sempre un po’ malinconici, brillavano di intelligenza. A Puylaurens aveva avuto numerosi corteggiatori, attratti dalla sua pelle candida, dalla figura flessuosa e dalla bocca rosea a forma di cuore e tutt’altro che infastiditi dal suo silenzio. La ragazza, infatti, non aveva mai ripreso a parlare da quel lontano giorno a Béziers e, pur avendo un carattere dolce e gentile, nulla e nessuno riuscivano a rompere il suo mutismo. Un solo giorno all’anno la voce della ragazza risuonava tra le pareti della piccola casa in un canto mesto e melodioso: il 22 Luglio, l’anniversario della morte della sua famiglia. Quando lasciarono Puylaurens ricevettero piccoli doni da molti vicini e amici: una veste per Anne, delle piante aromatiche per Vivienne, un flauto per Geneviève e delle provviste per il viaggio. I segni di affetto e stima che ricevettero furono la dimostrazione visibile di quanto fossero buone, oneste ed amabili con tutti.

     Arrivarono a Tolosa nell’autunno del 1217 e trovarono alloggio presso una vedova catara in cambio di aiuto nelle faccende domestiche. Vivienne poté così piantare, nel minuscolo orto, le piante avute in dono a Puylaurens. Vivevano poveramente ma con dignità, come avevano sempre fatto: la nonna iniziò a vendere al mercato i suoi infusi e ben presto divenne famosa in tutto il circondario, Anne fece rapidamente amicizia con i bambini della zona ed era spesso fuori a giocare o a fare piccole commissioni per i vicini, Geneviève, invece, usciva di rado passava le giornate cucendo, suonando il flauto e pregando. La nonna si preoccupava molto per lei ma, quando provava ad esortarla a frequentare qualcuno della sua età, riceveva invariabilmente un cenno di diniego e un sorriso. Purtroppo, poco dopo il loro arrivo, la città di Tolosa venne nuovamente presa d’assedio dai crociati.

     La guerra aveva nuovamente raggiunto la famiglia LaTour.

     L’inverno fu lungo e difficile per gli assediati: uomini e donne si dividevano i turni di guardia sulle mura e contemporaneamente facevano il possibile per condurre una vita pressoché normale. Le merci cominciarono a scarseggiare, dalle campagne non arrivavano rifornimenti e fu necessario razionare i viveri dei depositi. Ogni giorno Geneviève andava a prendere la loro razione al castello del conte Raimondo e passava ore a ascoltare le chiacchiere di nobili e soldati nel cortile per apprendere le ultime notizie. Sedeva in un angolo, a volte suonando piano il suo flauto, a volte semplicemente ascoltando e divenne una presenza familiare per tutti, nessuno si curava troppo di quella giovane dall’aria modesta e sempre silenziosa.

     Vivienne si rendeva utile aiutando a curare i feriti che aumentavano a ogni attacco soprattutto a causa delle frecce e dei quadrelli di arcieri e balestrieri nemici. Anne, dal canto suo, portava messaggi insieme agli altri bambini, da una parte all’altra della città. Con l’arrivo della buona stagione gli attacchi si intensificarono, gli uomini morti e feriti aumentarono e le donne iniziarono a fare dei turni anche alle macchine da getto e alle balestre per prendere il posto dei caduti.

     Il 24 Maggio 1218 Geneviève compì diciotto anni.

Passò la giornata in cima alle mura, da sola, riflettendo e pregando. Poi, verso mezzanotte, l’esercito accampato attorno alla città e i difensori all’interno sentirono una voce femminile, amplificata dal buio e dal silenzio della notte:

     “Papa Onorio come puoi definirti un uomo di Dio? Tu vesti di oro e gemme preziose e siedi nel tuo palazzo mandando altri a morire per tuo ordine e a uccidere su tuo comando, ma il sangue dei morti ricade su di te! Tu non servi l’Angelo di Dio ma Satana, il signore di questo mondo.  

     Tu affermi che il sapere è importante e che per parlare di Dio bisogna essere uomini, saper leggere, sapere a memoria le preghiere e le regole decise da te, ma io conosco povere donne ignoranti che sanno di Dio molto più dei tuoi preti. Esse lavorano duramente, pregano, digiunano e dimostrano a tutti con l’esempio come avvicinare l’anima al Dio Buono. Tu invece mangi carne, vivi nel lusso e non hai lavorato un solo giorno in vita tua, eppure pretendi di dire a tutti come devono comportarsi, in cosa devono credere e come devono vivere e mandi soldati ad uccidere chi non la pensa come te.

     Usi la scusa del volere di Dio per ammassare beni togliendoli agli altri e conquistando terre e possedimenti altrui in nome del Signore, mentre in realtà agisci per conto del signore di questo mondo, dio della corruzione e del male.

     Hai deciso che il capitano Simon de Monfort sia il nuovo Conte di Tolosa e hai decretato che il Conte Raimondo debba lasciargli la sua casa e le sue terre solamente perché, secondo te, Simon è un cristiano migliore. Eppure il Conte Raimondo è amato da tutti i suoi sudditi che lo ascoltano e lo rispettano, è un buon capo per tutti, siano essi cattolici o catari. Nelle sue terre si viveva in pace finché tu non hai deciso il contrario.

     A causa del tuo predecessore Innocenzo, la mia famiglia è stata uccisa e ora, a causa tua, molti altri sono morti. Papa Onorio tu veneri la croce, uno strumento di morte e umiliazione, affermando che è santa e benedetta perché ha ucciso Gesù. Io dico che Satana parla attraverso la tua bocca! Perché voi soldati accettate di uccidere gente innocente solo perché non prega come voi o perché non venera i vostri santi? Molti di voi hanno vissuto insieme ai boni homini, hanno coltivato la terra coi nostri uomini e le vostre mogli e madri hanno preso l’acqua al pozzo con le nostre donne. Per quale motivo ora ci odiate? Solo perché il vostro papa dice che dovete farlo? E’ terribile il controllo che egli ha su di voi! Io non posso impedirti, papa, di odiare quelli come me, né posso impedire che tu ci faccia uccidere dai tuoi uomini, ma io ti dico, papa Onorio, che sarai maledetto sette volte per ogni anima pura uccisa in questa guerra e sette volte sarai maledetto per ogni uomo, donna e bambino senza colpa morto a causa del tuo odio!”

     Quando Geneviève smise di parlare un canto si levò dalle mura della città: erano le donne di Tolosa che ringraziavano il Signore per il suo amore e pregavano per la vita dei loro cari.

La ragazza si riscosse dall’immobilità e sgattaiolò in strada senza farsi notare da nessuno.

Nei giorni successivi tutta la città si interrogò sull’identità di quella voce ma nessuno seppe risolverne il mistero finché, col passare del tempo, si creò la leggenda di un angelo che tuonava nella notte, contro il papa, dalle mura di Tolosa.

     Un mese dopo, il 25 di Giugno, Geneviève era di turno sulle mura, accanto ad una macchina da getto e ad un mucchio di pietre quando ci fu l’ennesimo attacco degli assedianti.

     Salve di frecce sorvolarono le mura provocando nuovi lamenti laddove andarono a segno e scale in legno vennero posizionate per far salire gli assalitori. Le donne cominciarono a lanciare pietre con le macchine e a lasciarle cadere, a mano, sui soldati intenti alla scalata.

     Geneviève prendeva i massi più grandi che riusciva a sollevare e cercava di mirare con precisione, sbirciando tra i merli, prima di tirarli. Riuscì a far cadere un’intera fila di soldati da una scala colpendo quello più in alto sulla testa. Poi vide un vuoto tra i difensori là dove le donne che manovravano una macchina giacevano trafitte da frecce e si spostò in quella posizione. Caricò il mangano e lo azionò. Pochi istanti dopo sentì salire delle urla dai nemici e si affacciò a guardare: un cavaliere con insegne nobili giaceva con il cranio sfondato dalla sua pietra. Ci mise alcuni minuti a capire come, il gran trambusto, fosse dovuto all’identità del morto: i colori erano quelli del Conte Simon de Monfort.

     L’attacco dei crociati si interruppe dopo poco e le voci dei difensori si alzarono trionfanti.

     Quando lasciò le mura, Geneviève scoprì, affranta, che una freccia aveva centrato e ucciso la vecchia Vivienne. Il dolore che la assalì fu talmente forte da farle pensare che le si fosse spezzato il cuore. Nei giorni seguenti si occupò dei riti necessari allo spirito di sua nonna e si assicurò che, se fosse accaduto qualcosa anche a lei, sua cugina Anne avesse un posto dove vivere. Parlò con i Parfaits e confessò l’omicidio commesso quindi chiese di ricevere il Consolamentum, cioè il Battesimo cataro. Le furono imposte le mani e venne purificata dal male commesso. Dopo la conclusione del rito si chiuse in casa scegliendo ciò che i catari chiamano endura ossia un digiuno consistente nell'astinenza totale dal cibo e dall'acqua, una forma estrema di negazione di sé e di separazione dal mondo materiale portata fino alla morte.

     Col passare dei giorni, più il suo corpo si indeboliva, più il suo spirito divenne lieto. Credeva fermamente che, l’estremo sacrificio, avrebbe riunito la sua anima al Dio del bene.

     Dopo una settimana non riuscì più a alzarsi dal suo giaciglio, più volte al giorno gente della sua fede andava a visitarla, portando anche i bambini, affinché mostrasse loro l’esempio del suo essere diventata Perfetta.

     Geneviève LaTour si spense a diciotto anni, con animo sereno, il 15 di Luglio dell’anno del Signore 1218 e riunendo il suo spirito con quello del Dio del bene e della sua amata famiglia.

La sua storia si diffuse e continuò a lungo a essere raccontata acquisendo, quasi, il sapore di una leggenda, creata per insegnare ai giovani e per esaltare le migliori qualità dell’essere “Bons Hommes”.

 

 

Nota: La preghiera in lingua occitana, la sua traduzione e i termini in corsivo relativi alla religione catara non sono una mia creazione ma sono realmente esistenti.

 

   
 
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