III° parte
Il resto della notte Felipe
lo dormì pesantemente e al mattino si svegliò, però, un po’ sbattuto; fece
colazione in compagnia del granduca, di Costanza, di Paolo e del dottore. Si
fece poi indicare dal suo ospite dove trovare mastro Filippo; era relativamente
vicino, decise di andarci a piedi.
Cominciò a passeggiare: il
sole era splendido e soffiava un vento fresco e gradevole, stormi di piccioni
volavano tra gli edifici a volte invadendo le strade, che in ogni caso erano
piene di gente; quella città, famosa in tutto il mondo conosciuto, era un
centro commerciale molto attivo. Attraversò un ponte, sotto scorreva il fiume e
sugli argini dei pescatori discutevano animatamente.
Arrivò in una piazza,
piuttosto ampia, dove, in mezzo ad una nuvola di polvere, lavoravano numerosi
operai; si avvicinò ad uno di loro e chiese di mastro Filippo.
“Prima di pranzo? Non credo
che vi riceverà, signore.” Rispose l’uomo, con aria perplessa. “Comunque lo
trovate nella sua tenda, laggiù.” Continuò, indicando la direzione con
l’indice.
Arrivato alla tenda ne
sollevò un lembo per entrare. All’interno c’era soltanto un uomo anziano, ma
ancora robusto, con gli occhi chiari e l’aria truce. Chiese timidamente:
“Siete voi mastro Filippo?”
“Non vi hanno ricordato che
prima di pranzo non ricevo né debitori, né creditori, e nemmeno quelli che
propongono lavori, perciò uscite!” tuonò il vecchio.
“Perdonatemi, ma il
granduca mi ha detto che potevo disturbarvi a qualunque ora del giorno.” Disse
Felipe, calcando sulla parola granduca.
“Ah... Vi manda il
granduca.” L'uomo sembrava essersi rabbonito. “Se é così. E’ veramente un buon
sovrano, non trovate?”
“Sì, vi do pienamente
ragione.” Confermò sicuro lo spagnolo, poi continuò presentandosi. “Sono Felipe
Aguilon, provengo dalla corte del principe José, ed ho bisogno del vostro aiuto
in merito al giardino granducale.”
“Sì, io l’ho progettato,
nella massima parte almeno.” Il vecchio si era seduto su una poltrona, di
fronte a Felipe, che si era seduto a sua volta.
“Lasciate che vi dica che
avete fatto un magnifico lavoro, soprattutto con il labirinto.”
“Modestamente lo ritengo
uno dei miei capolavori, scommetto che vi ci siete perso.” Disse ridacchiando.
“Purtroppo sì. Il granduca
mi ha detto che voi conservate tutti i disegni dei vostri progetti,
m'interesserebbe quello del labirinto.”
“Perché?” la domanda fu
talmente diretta e sincera, che Felipe non poté che rispondere con altrettanta
sincerità.
“Sento di potermi fidare di
voi, poiché siete fedele al granduca, vi dirò che sto indagando su un complotto
ai danni del nostro signore, e che il vostro labirinto potrebbe esserne parte
fondamentale.”
“Se é così potete recarvi a
casa mia, poco lontano da qui, chiedere di mia figlia Beatrice, con questo mio
biglietto...” Lo stava scrivendo. “ ...e lei vi darà ciò di cui avete bisogno,
basterà che lo riportiate quando avrete finito.” Disse alzando la testa dal
foglio.
“Ve lo giuro, mastro
Filippo, vi potete fidare di me.”
Dopo che l’anziano
architetto gli ebbe indicata la strada per la sua abitazione, Felipe si mise
subito in cammino, non era molto lontano; la raggiunse dopo poco: era un
massiccio edificio, chiuso da un portone altrettanto massiccio. Felipe bussò
energicamente con il batacchio di ferro. Venne ad aprirgli un servo magro
magro, Felipe pensò che mastro Filippo doveva essere uno spilorcio terribile.
Chiese di madonna Beatrice, dicendo che era mandato dal padre. Fu introdotto in
un salone arredato semplicemente, dopo poco arrivò la figlia di mastro Filippo.
Tanto la natura era stata generosa di talento con il padre, quanto lo era stata
con la figlia per la bellezza: era splendida, coi capelli dorati raccolti un
po’ a caso, gli occhi chiari e le labbra carnose aperte in uno splendente
sorriso.
“Dite, perché mio padre vi
ha mandato qui?” Aguilon le mostrò il biglietto del padre e le disse che doveva
ritirare i disegni del labirinto.
“Bene, venite con me, sarò
felice di accontentarvi.” Bella e anche molto più cordiale del padre. Felipe la
seguì sulle scale fino al piano superiore, rapito dalla scia del suo profumo di
lavanda.
Beatrice lo condusse in
un’ampia stanza piena di carte e d’armadi e cassapanche, sicuramente anch’esse
piene di carte.
“La quantità di progetti di
vostro padre é enorme, come fate a ricordare dove cercare?” le chiese.
“Facile, sono io che li
riordino e grazie ad una buona memoria ricordo dove li ho messi. Per esempio ciò
che voi state cercando é proprio qui...” Stava guardando in un armadio, dopo
essere salita sopra ad un panchetto.
“Accidenti, si é
incastrato...” Provava a far uscire una cartella di cuoio dall’armadio senza
riuscirci; quando diede uno strattone più forte lo sgabello prese una brutta
piega all’indietro, e purtroppo il peso dell’abito della fanciulla non fece che
aggravare la situazione. Felipe, sempre pronto di riflessi quando si trattava
di belle donne, l’afferrò, mentre cadeva, ma la spinta era forte ed entrambi
caddero a terra, insieme alla famosa cartella. Stesi sul pavimento si
guardarono negli occhi, prima di mettersi a ridere.
“Avete degli occhi
bellissimi.” Disse Beatrice, quando riuscì a smettere.
“Vi ringrazio. Ma adesso
che vi ho quasi salvato la vita voglio almeno un bacio come ringraziamento.”
“Che impertinente siete, io
sono fidanzata e lui é molto geloso.”
“Non preoccupatevi...” Continuò
Felipe, aiutandola a rialzarsi. “...io non glielo racconterò di certo.”
Quando uscì dalla casa di
mastro Filippo, avendo ottenuto due cose che gli premevano, i progetti ed il
bacio della splendida Beatrice, Felipe era piuttosto soddisfatto. Il pensiero
gli andò, però, al povero futuro marito della ragazza, il quale avrebbe avuto
un bel palco di corna, ben prima di meritarsele.
Lungo la strada del
ritorno, con la cartella sotto braccio, Aguilon stava già rimuginando sui
prossimi passi da compiere, quando s'imbatté in una bottega piena di parrucche
e cappelli. Decise di entrare, ricordandosi di avere ancora con sé il ciuffo di
capelli trovato nel labirinto.
“Buongiorno, mio signore.” Lo
salutò cordialmente il bottegaio.
“Buongiorno a voi.” Rispose
Felipe. “Posso gentilmente farvi una domanda?”
“Prego, se posso esservi
utile.”
Il giovane trasse dalla
scarsella un pezzetto di tela in cui erano avvolti i capelli rossi, e li mostrò
al suo interlocutore.
“Voi vendete parrucche di
questo colore?” L’uomo guardò attentamente il ciuffo di capelli veri, del
colore del fuoco.
“Ecco, questo colore é piuttosto
raro. Siete sicuro che si tratti di una parrucca?”
“Sì quando li ho raccolti
c’era ancora attaccata la colla.”
“Allora. Ma sarà difficile
che l’abbiano acquistata qui in città. Roba così rara e di buona fattura si può
trovare quasi esclusivamente a Roma.”
“Ne siete assolutamente
certo?” chiese Aguilon, cercando conferma.
“Ve lo giuro, la roba di
qui passa quasi tutta da me, e quelle più rare le prendo anch’io a Roma.”
“Vi ringrazio, penso che mi
siate stato molto utile.” Disse Felipe, lasciandogli una lauta mancia, mentre
usciva dalla bottega.
La passeggiata verso il
palazzo fu molto stimolante, specie per l’appetito; quando arrivò si recò nella
sua stanza, a rinfrescarsi ed a cambiarsi per il pranzo, poi mentre scendeva,
incontrò Costanza, sempre più affascinante, e con lei raggiunse la sala da
pranzo. Mangiarono piuttosto silenziosi, in seguito venne a sapere che il
granduca aveva avuto un altro screzio con il dottor Peñarosa durante la
mattinata. Finito il pasto tutti si alzarono, il granduca si scusò con gli
ospiti, ma doveva far fronte a degli impegni tralasciati il giorno prima, anche
il dottore ed il conte Paolo dovettero andarsene, così rimasero di nuovo soli
Felipe e Costanza. Il giovane però doveva assolutamente ritornare nel labirinto
con il progetto, al più presto possibile. Si accorse che la donna stava già
affilando le sue feline arti di seduzione, ma nonostante il grande dispiacere
Felipe fu costretto a liquidarla con gentilissime frasi di circostanza.
Tornò nella sua stanza, si
tolse la giacca, rimanendo con la camicia, prese i disegni ed uscì di nuovo.
Arrivato al labirinto entrò per la stessa strada dell’altra volta, ma ora aveva
il progetto e lo seguì passo per passo: trovò così altre uscite laterali, ed
anche passaggi interni, passò nuovamente dal centro, dove c’era la bella statua
d'Icaro. Per una persona che conoscesse bene il labirinto sarebbe stato facile
far apparire fantasmi ad ogni angolo solo usando le uscite segrete. Raggiunse
l’uscita posteriore (c’era davvero!), e infine l’uscita laterale che aveva già
usato. Controllò nuovamente l’area circostante, per vedere se il fantasma aveva
lasciato altre tracce, e la sua fortuna lo aiutò ancora: in basso, proprio
sotto la siepe che costeggiava l’uscita, vide qualcosa luccicare; si chinò e
raccolse un grosso orecchino. Il decoro floreale cesellato nell’argento ed il
pendente di pietra dura, color acquamarina, erano inconfondibili; Felipe
riconobbe subito il gioiello di Lucrezia. Lo strinse nel pugno e dopo essere
uscito dal labirinto s'incamminò verso il palazzo. Giunto in prossimità della
costruzione vide Costanza: camminava come se niente fosse sul bordo della
fontana; cercò di evitarla cambiando direzione, ma lei lo vide e lo prese al
volo.
“Dove credete di andare?”
Felipe si scusò, ma non poteva fermarsi, le baciò la mano e la lasciò in
giardino. Costanza, nonostante il nome, stava perdendo la pazienza. Ma lo
spagnolo non poteva perdere tempo con lei, per ora, doveva parlare con la dama
di compagnia della granduchessa, era una questione molto importante.
Trovò Lucrezia che scendeva
con i piatti della granduchessa, le si parò davanti, facendole quasi cadere il
vassoio.
“Oh, signor Aguilon, mi
avete spaventata, siete arrivato così all’improvviso!” disse la giovane, con
voce realmente impaurita.
“Devo parlarvi...adesso.”
Felipe aveva un’aria minacciosa, allungò le braccia, fino a toccare con le mani
le pareti strette della rampa delle scale.
“Fatemi passare... è tardi
e devo portare queste stoviglie in cucina!” così dicendo strinse più forte a sé
il vassoio e tentò di passare, ma Felipe l’afferrò per la vita, facendo cadere
ciò che la donna portava.
“Lasciatemi!” gridò
Lucrezia. “O chiamo aiuto.”
“Non vi conviene.” Disse
Aguilon, a voce bassa. “ Ho le prove che siete voi ad avvelenare il cibo della
granduchessa, e se sopraggiungerà qualcuno, non farò fatica a dimostrarlo.”
“Mentite, io non faccio
niente di tutto questo, la granduchessa è pazza, lo dice anche il dottore.”
“Vedo che vi ha bene
istruita. Ditemi ora in che punto delle scale vi fermate ad avvelenare le
pietanze, è qui oppure qui...” Diceva Felipe, trattenendo la donna per un
braccio, ed indicando punti del pianerottolo.
“Vi prego lasciatemi, mi
fate male...” Lucrezia si era messa a piangere; la lasciò e la ragazza cadde in
ginocchio, mettendosi le mani sul viso. Aguilon le si avvicinò, lei si
ritrasse.
“Lucrezia...” La voce di
Felipe era ridiventata dolce. “So che non fate questo per cattiveria, che c’è
qualcuno che vi manovra, forse siete innamorata di questa persona, e perciò io
vi perdono. Ma pensate ad Isabel, non ha forse diritto anche lei a vivere una
vita serena, con l’uomo che ama? Ditemi chi è la mente di questo complotto,
aiutatemi...” Lucrezia singhiozzava sempre più forte.
“Non posso, non posso...
non posso proprio!”
“Vi prego almeno aiutatemi
a coglierlo in fallo, mentre recita la messinscena del fantasma...”
“No, lasciatemi andare, vi
prego Felipe!” la donna gli si era attaccata al braccio, con sguardo
supplichevole. Felipe l’aiutò ad alzarsi e le lasciò libera la strada; Lucrezia
raccolse le stoviglie cadute, lo guardò negli occhi, tirò su col naso, e
s'incamminò veloce verso le cucine. Lo spagnolo rimase appoggiato al muro delle
scale: c’era quasi riuscito, doveva solo insistere un po’ di più, era lei
l’anello debole, il suo complice non si sarebbe mai scoperto.
Ridiscese le scale, era
tempo di parlare con il granduca; doveva comunicargli le importanti novità
emerse quella mattina. A metà dell’ultima rampa vide Costanza che parlava con
il cugino Paolo: quella donna stava diventando il suo incubo; era bellissima, e
solo lui sapeva quanto gli sarebbe piaciuto passare del tempo con lei, ma ora
di tempo non ne aveva. Per evitarla fu costretto a passare dal terrazzo,
entrare da una finestra nella camera di chissà chi, per poi scendere dalle
scale dell’altra ala del palazzo.
Quando arrivò dal granduca
era sfinito, quel palazzo era enorme, aveva percorso probabilmente una lunga
distanza. Bussò discretamente alla porta, poi entrò.
“Aguilon, amico mio, vi
stavo aspettando!” l’apostrofò il suo ospite, con cordialità, mettendo via le
carte che stava esaminando.“ Prego, Tommaso, lasciateci.” Proseguì, invitando
il suo segretario. Felipe si sedette di fronte al granduca.
“Spero che abbiate novità
da raccontarmi.” Disse il nobile, incrociando le mani sul tavolo.
“Temo, però, che non
saranno tutte belle notizie.” Quest’affermazione dello spagnolo fece
corrucciare il volto del suo interlocutore.
“Parlate, sono pronto ad
ascoltarvi senza replicare, fino in fondo.”
“Per prima cosa parliamo
della parrucca. Ho scoperto che di quel tipo e, soprattutto di quel colore, che
è molto raro, le vendono solamente a Roma. Temo che dovrò fare un viaggio là.
Secondo punto: sono tornato nel labirinto, questa volta con il progetto, ed ho
trovato questo.” Mostrò l’orecchino al granduca. “Voi sapete di chi è?”
“Di Lucrezia, lo
riconosco... Volete sostenere che è lei che sta avvelenando mia moglie? Quella
falsa, disgraziata, l’ho cresciuta come fosse una sorella!” il granduca si era
alzato in piedi sbattendo i pugni sul tavolo.
“Calmatevi, mio signore. Vi
renderete conto anche da solo, pensandoci un momento, che Lucrezia non può
essere l’artefice di questo piano; esiste qualcuno che la manovra.” Rispose,
con la sua solita calma, Felipe.
“Oh Dio, ma come fate a
dirlo, che prove ne avete?”
“Prima di tutto la
proverbiale mancanza di senso dell’orientamento di Lucrezia, ciò prova che,
nonostante lei abbia sicuramente impersonato il fantasma nel giardino,
l’orecchino lo dimostra, qualcuno l’ha aiutata ad uscire dal labirinto. Inoltre
la fanciulla non possiede una cultura così vasta da permetterle di conoscere le
erbe allucinogene che sono state somministrate a vostra moglie. Da ciò deduco
che lei abbia un complice e, anzi, che questa persona sia in realtà l’ideatore
del complotto.”
“Avete ragione, conosco
bene quella donna e so che non è molto intelligente. Ditemi ora, voi sapete già
chi è il complice di Lucrezia?”
“Sono quasi certo, ma...”
“Parlate, santi numi!” lo
spronò il granduca.
“Devo prima avere conferma
dei miei sospetti scoprendo se la parrucca viene veramente da Roma. Ma
pensateci anche voi: c’è una sola persona che si avvantaggerebbe se voi
diventaste debole.”
“Lo farò. Per quanto
riguarda Roma potete fare a meno del viaggio: domani mattina invierò Tommaso.”
“Vi fidate di lui?” chiese
Aguilon.
“Ciecamente, poi doveva
andare comunque, devo far arrivare dei documenti in vaticano, lo fa spesso per
me. Istruitelo su ciò che deve chiedere, voglio essere sicuro di avere elementi
certi sul colpevole.”
“Vi ringrazio, farò del mio
meglio.”
“Adesso è ora di cena, mi
accompagnate in sala da pranzo, Felipe?”
“Se non vi dispiace vorrei
cenare nella mia camera, devo riordinare le idee.”
“Nessun problema. Più
lavorate sul mio problema meglio è. Ci vediamo domani allora. Buona notte.”
“Buona notte a voi.”
Dopo aver parlato con
Tommaso, che prese appunti sulle domande che doveva fare, ed avergli
raccomandato di non parlare con nessuno, Felipe si ritirò nella sua stanza; gli
portarono la cena, mangiò poco, non aveva fame, i suoi ragionamenti erano
troppo veloci per interromperli con l’appetito e la giornata era stata pesante.
Dopo aver camminato su e
giù per la camera inseguendo il filo di un pensiero, il giovane si sdraiò sul
letto. Per allentare la pressione decise di leggere un libro che era sul
tavolino da letto fin dal primo giorno in cui era arrivato; la storia era
noiosa, ma sempre meglio che arrotolarsi il cervello su particolari
irrilevanti: lui aveva già un’idea ben chiara di come si erano svolte le cose.
Leggeva da un po’ quando la
storia lo innervosì più del dovuto, allora lanciò il libro tra le due colonne
di fondo del letto: il povero volume atterrò rumorosamente, vicino alla
cassapanca. Era nervoso, avrebbe avuto bisogno di fare qualcosa per distrarsi
un po’. Stava per alzarsi dal letto quando sentì un rumore alla porta, aveva
già la mano sul fioretto, quando vide entrare Costanza.
“Siete stato molto cattivo,
con me, oggi.” Disse la donna chiudendo la porta e tirando il chiavistello.
Felipe si sentì in trappola, la sua trappola preferita.
“Adesso mi dedicherete un
po’ del vostro preziosissimo tempo.” Continuò, facendo calare la camicia da
notte. Aguilon scavalcò il letto, spegnendo la candela.
Felipe sedeva all’ombra di
un pino, guardando il prato che copriva la dolce collina sotto di lui, c’era
una ragazza molto piacente poco lontano. Aveva capelli rossi come il fuoco;
quando si voltò, Aguilon la riconobbe: era Maddalena. Lei lo salutò, lui
rispose con la mano. Ad un tratto dal tronco del pino cominciarono a provenire
fortissimi colpi; Felipe si spostò guardando stupito l’albero, ma i colpi
continuavano. Non riusciva a capire, allora cercò di aprire meglio gli occhi.
Al suo sguardo assonnato la
stanza parve particolarmente buia, aveva addosso Costanza ed i suoi lunghi
capelli sciolti. Ora capiva: sognava; la realtà era che stavano bussando alla
porta.
“Felipe, aprite, sono il
granduca. Vi prego, mia moglie è sparita di nuovo!”
Costanza aprì gli occhi,
stava per dire qualcosa, ma lo spagnolo le tappò la bocca con una mano. Poi le
indicò di nascondersi dietro le pesanti tende; lei ubbidì in silenzio. Aguilon
accese la candela e rispose al granduca.
“Perdonatemi, mio signore,
ho il sonno pesante.” S'infilò i calzoni e la camicia. “Vi apro subito.” Si
avvicinò alla porta e tirò il chiavistello. Si trovò di fronte il suo ospite
sconvolto.
“Non riesco a capire come
sia successo, quando mi sono addormentato lei aveva già preso sonno, era
tranquilla.”
“Non allarmiamoci eccessivamente...”
Nemmeno Felipe era convinto mentre lo diceva, un brutto presentimento gli
aleggiava in testa. “Ora andiamo a cercarla.”
“Ho provato a chiamare
anche mia sorella, ma non risponde...”
“Vedrete che presto verrà
anche lei.” Disse il giovane voltandosi verso le tende, poi lui ed il granduca
uscirono a cercare Isabel.
Costanza uscì dal
nascondiglio, s'infilò la sua camicia da notte, era molto turbata anche lei;
aprì la porta, controllò che nessuno la vedesse e andò nella sua camera. Si pettinò i capelli e
decisa raggiunse gli altri nel parco.
L’enorme e silenzioso
giardino era ora illuminato dalle fiaccole degli uomini alla ricerca della
granduchessa, suo marito aveva
mobilitato più gente possibile: gridavano il suo nome sparpagliandosi
nel verde, rovistando ogni cespuglio, ogni macchia, cercandola nel labirinto,
nei patii, nelle scuderie, in ogni angolo.
Felipe si era diviso dal
granduca ed era andato dritto al labirinto: la cercò disperatamente tra le
siepi di lauro, sentiva che era successo qualcosa di terribile, se Isabel fosse
morta non sarebbe più potuto tornare a casa, il rischio che correva era di
perdere la vita per mano del principe José. E poi si era affezionato al
granduca ed a sua moglie, non poteva permettere che la situazione precipitasse.
Ad un tratto sentì delle voci provenire dalla parte del laghetto; raggiunse
l’uscita laterale che si affacciava proprio in quella direzione.
Sul vialetto che portava al
palazzo vide il granduca, aveva il volto pallidissimo e guardava con gli occhi
fissi verso lo specchio d’acqua. Aguilon si voltò: c’era un gruppetto di
persone, proprio vicino alla riva, con le fiaccole, ed a terra il corpo di una
donna. Uno dei presenti si chinò.
“Non toccatela!” gridò
Felipe avvicinandosi, l’uomo si rialzò subito. Nel frattempo era arrivata di
corsa anche Costanza, che si avvicinò al fratello, prendendogli il braccio, lui
non fece una piega, continuava a guardare il corpo esanime. Quando la donna lo
vide si portò le mani alla bocca, rabbrividendo.
“E’ Isabel, ne sono certo.”
Disse il granduca con voce rotta dall’emozione. La sorella lo guardò, scuotendo
la testa; poi guardò Felipe che si chinava presso il cadavere.
La donna a terra aveva una
posizione innaturale: le braccia erano rivolte all’indietro, la testa e le
spalle erano a pelo d’acqua, persino i capelli rossi parevano essere staccati.
Ma lo spagnolo sapeva che quella era una parrucca. Esaminò il terreno
circostante, vide della sabbia giallastra, ne prese un po’ tra le dita per
osservarla meglio; controllò la veste, anche su questa erano presenti tracce di
sabbia.
“Aiutatemi a girarla.” Disse
poi. Due uomini lasciarono le fiaccole e si avvicinarono al cadavere. Anche
Costanza si fece coraggio e raggiunse Aguilon.
Mentre voltavano il corpo
la parrucca cadde rivelando dei capelli color miele, racchiusi in una stretta
treccia, ed il viso di Lucrezia, deturpato dalla morte.
“No!” gridò Felipe
allontanandosi di scatto dagli altri uomini. “No. No. No!” continuò,
sbattendosi i pugni sui fianchi. Nell’attimo in cui la voltarono, Costanza,
ebbe un sussulto. Quando vide il viso della dama di compagnia portò di nuovo le
mani alla bocca, e si voltò verso il fratello: non si era mosso ed era sempre
più pallido, allora corse verso di lui e l’abbracciò.
“E’ Lucrezia.” Gli sussurrò
all’orecchio con un filo di voce. Il granduca ebbe un sospiro di sollievo.
“Cosa dobbiamo fare?”
chiese un uomo ad Aguilon.
“Come?” il giovane era
ancora distratto. “Ah...sì. Portate il corpo in una stanza fresca. Dovrò
esaminarlo più attentamente.”
“Gli altri riprendano a
cercare la granduchessa.” Il granduca aveva ripreso vigore, le ricerche
sarebbero continuate ad oltranza. Felipe si avvicinò al suo ospite prima che
questi andasse via.
“Dov’è vostro cugino?”
chiese.
“E’ partito ieri sera,
prima di cena.”
“E’ per caso tornato a
Roma?”
“No, doveva andare a
Bologna per incontrare alcuni mercanti orientali.” Rispose Costanza.
“Continuate ad aiutarci con le ricerche?”
“Sì, ma voglio che mettiate
dei soldati a guardia del cadavere. Non voglio brutti scherzi.” Il granduca
fece un cenno di affermazione con la testa e si allontanò.
Trovarono Isabel che
dormiva, sull’erba in un boschetto, all’alba. Fu portata nella sua stanza, ma
quando si svegliò non ricordava nulla della notte passata; probabilmente
soffriva ancora i postumi dell'avvelenamento.
Una volta conclusa la
ricerca Felipe si apprestò ad esaminare il cadavere di Lucrezia; lo avevano
portato in una stanza nell’ala nord del palazzo, c’erano due soldati davanti
alla porta. La camera era veramente molto fredda: le imposte e le tende erano chiuse ed era buio. Aguilon
entrò con una candela, ma aveva bisogno di luce, così aprì tutti i tendaggi e
gli scuri delle finestre. Il corpo era adagiato su un divano, il giovane
dovette farsi aiutare dai soldati per metterlo sul tavolo. Quando i due uomini
uscirono cominciò a controllare le mani: la sinistra era graffiata sul palmo,
evidentemente la ragazza aveva fatto forza sulle pietre della riva per impedire
che le mettessero la testa sott’acqua; sulla destra, invece, non c’erano
particolari segni, ma si accorse che sotto le unghie c’era della pelle. La
povera Lucrezia, nel tentativo di difendersi, doveva aver graffiato a sangue il
suo aggressore. Era un buon indizio. Passò poi ad esaminare il collo; infatti,
dal colore che la pelle aveva assunto, Felipe aveva capito che la donna non era
morta affogata, ma era stata strangolata. L’acqua doveva essere servita solo
per tramortirla. Sul collo sottile c’erano, infatti, i segni delle dita dell’assassino;
non aveva fatto sicuramente fatica ad ucciderla, se non per la sua strenua
difesa. Le tolse la veste e vide che aveva anche altri segni sul corpo: la
lotta con l’aggressore era stata violenta. Infine guardò la suola delle scarpe,
ed anche lì, trovò la sabbia giallastra rinvenuta sul luogo del delitto. Quando
ebbe finito coprì il corpo con la veste ed uscì.
“Io ho finito.” Disse ai
soldati. “Chiamate qualcuno che ricomponga il cadavere.” Poi si allontanò. Non
poteva più rischiare così; ora doveva dire tutto al granduca.
Lo trovò nella sua stanza,
con le mani tra i capelli. Gli sembrò un po’ invecchiato, rispetto al giorno in
cui lo aveva conosciuto. L’uomo gli fece cenno di sedersi.
“Ditemi tutto.” Quelle
parole esigevano spiegazioni eloquenti. Non era più il tempo dei misteri e dei
sarcasmi, una persona era morta, e Felipe era schiacciato dai sensi di colpa.
“E’ colpa mia. Sì, è colpa
mia se Lucrezia è morta. L’ho affrontata troppo presto, e poi l’ho lasciata in
balia di un potenziale assassino. Sapevo che lei non era più convinta del loro
piano, ma non potevo aspettarmi che lo affrontasse. Non avrei dovuto mollarla
un attimo, seguirla; e invece mi sono distratto e l’ho persa. Lei è morta ed è
solo colpa mia.”
“Ora che vi siete sfogato
vi sentite meglio?” chiese il granduca con aria inquisitoria. Aguilon alzò lo
sguardo, stupito dal tono del suo interlocutore. “ Voglio sapere cosa avete
trovato sul cadavere.” Era tornato il freddo e razionale uomo politico
conosciuto in tutto il mondo occidentale, quello che aveva vinto molte
battaglie e visto molti morti.
Felipe gli riferì ogni
particolare: la pelle sotto le unghie, lo strangolamento e la sabbia. Il
granduca lo ascoltò attentamente.
“Adesso.” Disse poi. “voi
mi direte chi è il complice della povera Lucrezia, perché voi lo sapete, o
almeno lo sospettate, ed io voglio saperlo.” Non ammetteva repliche.
“Bene. Gli elementi che ho
finora, e in altre parole: la necessaria conoscenza del giardino, del labirinto
e del palazzo, l’acquisto della parrucca, effettuato quasi sicuramente a Roma;
e poi l’uso delle erbe, solo una persona che abbia viaggiato molto può
conoscere questo tipo di veleni, portano ad una sola persona, che poi è anche
l’unica ad avere un vero motivo per volervi nuocere. Vostro cugino Paolo.”
“Ma via, Felipe!” disse
scocciato il granduca. “Paolo è l’uomo più innocuo del mondo. Io ho centinaia
di nemici, è normale per un personaggio che occupa una posizione come la mia, e
voi puntate i vostri sospetti contro un mio parente.”
“Spesso sono proprio i
parenti le serpi peggiori, poiché covate in seno.” Commentò Felipe.
“Ci sono altre persone a
palazzo che hanno le stesse caratteristiche...”
“Sì, ma lui è l’unico che
si avvantaggerebbe direttamente se voi foste fuori dai giochi.”
“In ogni caso non posso credere
che abbia ucciso Lucrezia. E poi era già partito.” Disse il granduca,
voltandosi verso la finestra. Il cielo si era rannuvolato.
“Non è certo, non ci sono
prove che sia veramente partito. Pensateci: avrebbe probabilmente ucciso vostra
moglie, forse questa notte stessa, se Lucrezia non l’avesse fermato. La donna,
poi, era diventata un pericolo, dopo che ieri io l’avevo affrontata e lei aveva
quasi ceduto. Lui aveva ascoltato la nostra conversazione.”
“Come lo sapete?” chiese il
suo interlocutore.
“Dovrò chiedere a vostra
sorella che gli stava parlando quando sono sceso, per conferma, ma penso che
fosse sulle scale, nel pianerottolo successivo, o nascosto dietro qualche
arazzo, ed abbia sentito tutto. Da qui è scaturita la sua decisione di uccidere
la dama di compagnia.”
“La vostra convinzione sta
lentamente persuadendo anche me. Credo di aver spesso sottovalutato Paolo,
credendo che fosse uno scansafatiche, ma è molto intelligente; non sarà facile
incastrarlo.”
“Se Tommaso tornerà da Roma
con le notizie giuste non ci saranno più dubbi.”
“Voglio fidarmi ancora una
volta di voi Aguilon. Ma vedete di non farci scappare altri morti, averne sulla
coscienza uno è più che sufficiente, non credete?”
“Sono costretto a darvi
piena ragione, mio signore.”
Felipe uscì dalla stanza
del granduca con una grande stanchezza addosso; si fermò davanti ad una
finestra per guardare fuori: il cielo si era fatto ancora più scuro,
trasformando i colori del giardino e facendo sentire il giovane d'umore ancora
peggiore. Camminò per i corridoi, ancora più bui, vista la scarsa luce
proveniente dall’esterno. Decise di andare nella sua camera, non aveva voglia
di parlare con nessuno.
Entrò; la stanza era come
l’aveva lasciata la notte precedente, con la confusione che c’era stata non
avevano rifatto neanche il letto. Si sdraiò, poi si rannicchiò su un fianco e
si addormentò pesantemente.
CONTINUA...