PROLOGO.
Santana chiuse gli occhi piano, e l'unico suono che era possibile udire dentro quella stanza vuota e triste era il rumore del macchinario che pareva martellarle la testa.
Sebastian era avvolto da un lenzuolo celeste, leggero, e un tubicino trasparente gli si prolungava su per le narici.
La testa era fasciata da una garza spessa e bianca, sporca di sangue dal lato della tempia destra.
Tanti graffi gli avevano sfregiato il viso e si erano chiusi lasciando delle cicatrici lunghe e sottili.
La testa era fasciata da una garza spessa e bianca, sporca di sangue dal lato della tempia destra.
Tanti graffi gli avevano sfregiato il viso e si erano chiusi lasciando delle cicatrici lunghe e sottili.
Per la prima volta, Santana vide Sebastian per ciò che era veramente: un essere umano.
Non importava quanto fosse stato impertinente in passato, quante cose cattive avesse commesso; certamente lei non era da meno.
La mano olivastra dell'ispanica strinse quella pallida del ragazzo, ma Santana aveva gli occhi troppo umidi perchè si accorgesse del contrasto tra i due colori.
-Mi dispiace, mi dispiace- Riuscì a dire, singhiozzando. Perchè si sentiva davvero, tremendamente in colpa.