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Autore: Flexum Sci_Fi    09/06/2012    0 recensioni
Ho scritto questa storia molto tempo prima di scoprire dell'esistenza di EFP; dato che credo che sarebbe un peccato caricarla tutta in una volta, l'ho divisa in tre capitoli, che pubblicherò a distanza di qualche giorno l'uno dall'altro. Si tratta di una storia già conclusa, senza un possibile seguito, ma i consigli sono pur sempre ben accetti.
Si tratta di una delle prime storie che pubblico su questo sito, e ancora non sono certo che l'apprezzerete, ma scrivendola mi sono impegnato parecchio e ho raggiunto un risultato che personalmente ho molto apprezzato. Spero che avrete la mia stessa impressione.
Ho cercato di rendere il genere della storia nel migliore dei modi selezionandolo fra quelli preimpostati, ma non sono certo che la scelta sia quella esatta. Ad ogni modo sono piuttosto convinto che la storia di un uomo disperato, perseguitato dalle ombre del suo passato, e anche da qualcosa di ben più concreto e spaventoso, possa essere definita come "thriller soprannaturale/drammatico".
Non mi resta che augurarvi buona lettura.
Genere: Drammatico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

Dalla biblioteca dell’Alta Confraternita dei Cacciatori.

Corsia 3, scaffale 2, ripiano 4.

Parte Prima

Lo sconosciuto aveva un aspetto estremamente inquietante: la sua snella figura era avvolta in un lungo cappotto scuro, la sua folta capigliatura corvina era mossa dalla fredda brezza che spirava nel vicolo. Il pallore cadaverico, le strette pupille cerchiate di rosso: metteva i brividi soltanto a guardarlo. Da quando aveva smesso di sussurrare minacce nei miei confronti, sulla strada era calato il silenzio. Terrorizzato, abbassai lentamente la pistola senza distogliere lo sguardo dallo sconosciuto, che sembrava essere divertito dal timore che incuteva: le sue sottili labbra scarlatte si dischiusero in un ghigno malefico che rivelò una fila di denti aguzzi e bianchissimi. Prima ancora che il mio braccio destro fosse totalmente abbassato, il mostro scomparve. Qualcosa mi colpì alle spalle, proprio in mezzo alle scapole. Un secondo dopo mi ritrovai ad assaporare il mio stesso sangue, con la faccia premuta sull’asfalto; a partire dal naso spappolato, un’ondata di dolore bruciante si diffuse in tutto il corpo. La risata annichilente del mostro riecheggiò fra le mura degli edifici circostanti: mentre le energie mi abbandonavano del tutto, gli echi della risata si fecero sempre più distorti, dopodiché non vidi altro che l’oscurità più assoluta, e sulla strada tornò a regnare il silenzio.

Quando ripresi i sensi aprii gli occhi e sobbalzai: mi trovavo faccia a faccia con un cadavere infestato dai vermi. Non urlai neppure: non ne avevo le forze. Con il cuore che batteva a mille, strisciai lontano da quell’orrore e mi sforzai di mettermi seduto. Albeggiava: in lontananza si udivano i rumori della città che si risvegliava lentamente dal torpore notturno. Attraverso le ciglia incrostate di sangue rappreso vedevo a malapena, ma riuscii a scorgere la mia pistola, sull’asfalto, distante alcuni metri dal punto in cui mi trovavo. Strisciando miseramente, raggiunsi l’arma e me n’impadronii: il mio buon senso suggeriva che quella fosse la giusta mossa da fare prima di compiere qualsiasi altra azione. A quel punto, muovendomi lentamente iniziai scrutare i dintorni. Nel vicolo, io e il cadavere putrescente eravamo soli: si trattava del corpo di un senzatetto, avviluppato in una larga e lercia giacca zuppa di sangue scuro. Lo stesso sangue formava un’ampia pozza sul pavimento, al livello del suo addome: quando me ne resi conto ricordai con sgomento il terribile modo con cui il barbone era stato ucciso.

Nella mia mente si formò l’immagine del mostro col gomito piegato ad angolo retto, l’avambraccio parallelo al terreno, le dita tese e le unghie aguzze protratte verso il pezzente. L’uomo arretrava in preda al terrore e supplicava lo sconosciuto di non ucciderlo: la tragedia si consumò nel momento in cui rivelai la mia presenza. L’oscurità fu squarciata dal fascio luminoso della mia torica: quando il disco di luce comparve sul muro, a sinistra del barbone, lo sconosciuto trasalì e sbudellò il poveraccio con un solo affondo dei propri artigli. Ancora inconsapevole della natura sovrumana del misterioso individuo, corsi nella sua direzione, convinto di poter prevalere su di lui per il semplice fatto di possedere una pistola. Mentre mi avvicinavo al mostro con l’arma spianata, urlavo pesanti insulti nei suoi confronti, intimandogli di arrendersi. Prima ancora che il cadavere del senzatetto avesse avuto il tempo di afflosciarsi al suolo, il suo uccisore era scattato verso di me coprendo in un istante la discreta distanza che c’era fra noi. Sopraffatto dall’orrore, feci cadere la torcia al suolo; quella rimbalzò un paio di volte sull’asfalto e si spense con un suono di vetri infranti. Il vicolo piombò nell’oscurità più totale: riuscivo a malapena a scorgere la sagoma antropomorfa del mostro, il quale sembrava invece vederci benissimo. Egli era enormemente compiaciuto dell’espressione inorridita che avevo assunto dal momento in cui aveva iniziato a descrivermi nei dettagli i modi con cui avrebbe potuto farmi fuori. Il tremito che scuoteva ogni fibra del mio essere si faceva più forte ad ogni parola pronunciata dal malvagio individuo, finché che ad un certo punto fui costretto ad abbassare l’arma con cui lo stavo puntando. Fu allora che, accertatosi del fatto che non rappresentavo alcuna minaccia, il mostro si avventò su di me facendomi finire al tappeto.

Quando controllai le tasche della mia giacca, scoprii che non mi era stato sottratto alcunché; tuttavia, né la ricetrasmittente, né il cellulare davano segni di vita, e lo stesso valeva per l’orologio che portavo al polso sinistro. Era come se fossi stato investito da un forte campo magnetico che aveva mandato in tilt tutti gli apparecchi elettronici che avevo con me. Che tutto questo centrasse col misterioso avvenimento della notte precedente? L’unico modo per mettersi in contatto con la centrale era trovare una cabina telefonica o qualcosa del genere. Mi misi in piedi e fui colto da un capogiro, dunque mi avvicinai alla parete e arrancai verso la strada principale, già inondata dalla luce arancione dell’alba. Varie volte rischiai di inciampare nell’immondizia sparsa sul pavimento, ma in qualche modo riuscii a raggiungere la strada senza mai finire carponi in mezzo alla sporcizia. Raggiunta la strada, mi scontrai con qualcuno. Se io mi limitai a sussultare, quel qualcuno fu spaventato a morte dalla mia comparsa improvvisa, e lanciò un urlo. Scoprii di essere finito addosso ad un’attraente ragazza in tenuta da jogging: quando si accorse che indossavo la divisa, si rilassò, ma tornò presto ad accigliarsi, vedendo com’ero ridotto. Effettivamente non dovevo essere proprio un bello spettacolo, col naso deforme, il volto ricoperto di sangue secco e l’uniforme deturpata da strappi e macchie. Nessuno di noi sapeva cosa dire, così ci guardammo: io con l’espressione di un cane bastonato, lei con aria interrogativa e ancora un po’ spaventata. Finalmente, dopo alcuni secondi, mi decisi a rompere il silenzio:

- Ehi! Scusa se ti ho spaventata. Per caso hai con te il cellulare?

- Ma che diavolo ti è successo? – disse lei, aggrottando a fronte e abbozzando un sorriso, mentre s’infilava una mano nella tasca a marsupio del maglione verde acceso che aveva addosso.

- Non mi crederesti se te lo dicessi – iniziai – E’ proprio questo il motivo per cui mi serve un telefono al più presto. Devo chiamare subito in centrale per mettere al corrente i miei colleghi di quello che è accaduto.

L’espressione della ragazza tornò ad essere seria:

- E’ successo qualcosa di grave?

- C’è un corpo in fondo a quel vicolo – dissi, sospirando.

- Oh. Un cadavere, vuoi dire? – la sua voce si fece flebile.

Annuii gravemente e presi il cellulare che la ragazza mi stava porgendo: la ringraziai, dopodiché digitai il numero di emergenza e chiesi l’intervento immediato di una volante.

Quando le restituii il telefono, lei si arrischiò a chiedere se poteva vedere il corpo.

- Non credo sia una buona idea: è morto in modo orribile, in un bagno di sangue – risposi.

- Ma come? – fece lei, incerta – Non sei stato tu ad ucciderlo? Non era un criminale? – poi arretrò di qualche passo, come colta dal sospetto che il criminale fossi io.

Scossi la testa:

- No – dissi, e strinsi i denti come per impedire a me stesso di aggiungere particolari al quadro della situazione, già sconvolgente di per sé.

- Se non hai lottato perché sei ridotto così? – fu la domanda successiva.

- Non ho detto di non aver lottato. Il compito principale degli agenti di polizia è proteggere la gente, non far fuori i criminali – chinai la testa, amareggiato, e aggiunsi con voce sommessa - Anche se spesso le due cose coincidono.

- Quindi non sei riuscito a svolgere il tuo compito, giusto? – disse la ragazza.

- Tante grazie per avermelo rinfacciato! – esclamai, ironicamente.

- Hai ragione, mi spiace – si scusò lei, e nel frattempo aveva mosso qualche passo verso il vicolo.

- Ehi! Dove credi di andare? – feci io.

Con un sorriso nervoso, la ragazza confessò:

- A vedere il luogo del delitto. Non ti dispiace se ci do un’occhiata, vero?

- Certo che mi dispiace! – esclamai – Non è certo il tipo di spettacolo che piacerebbe ad una come te.

- Credi davvero di sapere cosa mi piace o cosa non mi piace, solo perché abbiamo parlato per qualche minuto? – domandò lei con stizza, ma sempre con un debole sorriso sulle labbra – Allora, forza: se non c’è alcuna legge che te lo impedisce, accompagnami a dare un’occhiata al corpo. O forse hai paura?

Io sollevai le spalle e la guardai:

- Ok, mi arrendo. Ti porterò a vedere il corpo, purché tu mi stia vicina e, in caso di pericolo, faccia tutto ciò che ti dico senza discutere.

- Quindi hai paura per davvero, agente? – pronunciò quest’ultima parola con tono canzonatorio.

Decisi di non rispondere alla sua domanda: credo che se mi fossi difeso sarei apparso infantile e probabilmente le avrei dato una soddisfazione che non intendevo darle. Tuttavia non volevo nemmeno procurarle un dispiacere, così l’accompagnai verso il luogo del misfatto. Mentre camminavamo in silenzio, pensai alla singolare curiosità della ragazza; ci riflettei e nella mia mente si formò il germe di una battuta spiritosa che riguardava l’argomento. S’impossessò di me il desiderio morboso di dar sfogo alla mia vena comica. E così, quando raggiungemmo il corpo, indicandolo, dissi:

- Perché t’interessa tanto vedere un cadavere? – e allora mi accorsi che ciò che stavo per dire non era affatto divertente – Hai forse delle tendenze necrofile?

La ragazza fece una smorfia e mi guardò di traverso, poi si sforzò di emettere una risata che suonasse la più ironica possibile. Infine sorrise sinceramente e disse:

- Dunque era questo il pensiero che ti frullava per la testa mentre camminavamo? Ecco il perché del tuo sorrisetto idiota!

La sua sincerità mi fece avvampare per l’imbarazzo, ma al tempo stesso tirai un sospiro di sollievo: per un momento, dopo aver pronunciato le fatidiche parole, avevo pensato che si sarebbe infuriata e se ne sarebbe andata.

Finalmente, smettemmo di punzecchiarci e volgemmo la nostra attenzione al cadavere, che fino ad allora avevamo ignorato del tutto. Mi accorsi fin da subito che qualcosa non andava, ma la ragazza mi anticipò di parecchio: nel momento in cui io intuii che c’era qualcosa di strano, lei aveva già capito tutto ed era pronta ad enunciare la sua tesi al riguardo:

- Questo corpo è in fase di decomposizione avanzata; la morte sembra risalire ad almeno tre giorni fa – e il sorriso, che non aveva mai abbandonato il suo viso luminoso, si spense proprio in quell’istante – Tuttavia questo non coincide con la tua versione dei fatti.

Mi trovavo assolutamente d’accordo con lei: il solo motivo per cui non me n’ero accorto prima era che appena appena dopo essere rinvenuto ero troppo frastornato per constatarlo. Aggrottai la fronte, assalito da un dubbio:

- A cos’è dovuta tutta questa professionalità? – mi riferivo all’estrema precisione con cui la ragazza aveva stimato il momento del decesso.

In tutta risposta, lei mi porse la mano e finalmente si presentò:

- Laura Dever, studio Medicina Legale presso l’università di questa cittadina.

- Ah, ecco che tutto si spiega… - dissi, dopodiché mi presentai a mia volta e le strinsi la mano con decisione.

Mentre il rumore delle sirene si diffondeva nella fredda aria mattutina, Laura mi guardò molto seriamente e disse:

- Quando hai detto che è successo tutto questo?

- Credo che sia accaduto tutto ieri notte. Un individuo misterioso ha assalito il barbone ed io sono intervenuto per sistemare le cose. Tuttavia la mia intromissione è servita soltanto a far ammazzare il poveraccio e a procurarmi le ferite che vedi. Poi sono svenuto, e ho ripreso i sensi pochi minuti prima che c’incontrassimo  – risposi.

- Ne sei proprio sicuro? Potresti essere rimasto privo di sensi per più di un giorno. Oggi è mercoledì quattordici, sai?

- Non ne ero sicuro, dato che ho orologio e cellulare fuori uso. Ma ora che me lo dici, sono certo che risalga tutto a ieri.

- Allora ci dev’essere qualcosa che non va: questo corpo sembra essere privo di vita da circa settantadue ore – osservò Laura, evidentemente preoccupata.

- Sarà meglio che raggiunga i miei colleghi -  dissi – Si staranno chiedendo dove sia finito – poi mi avviai verso la strada e intimai alla ragazza di starmi sempre vicina.

- Ma tu zoppichi! – esclamò lei – Perché non l’ho notato prima? – chiese, più a se stessa che a me.

- Perché fino ad un attimo fa credevo che il dolore si fosse placato. Ma è tornato tutto in una volta, all’improvviso – le risposi, ansimando per la fatica.

- Vieni qui, reggiti a me – disse lei, offrendomi un braccio.

Insieme, arrancammo lungo il vicolo, e quando raggiungemmo la strada trovammo due volanti e un’ambulanza parcheggiate lungo il marciapiede. Le sirene tacevano, ma i lampeggianti continuavano a spargere i loro bagliori azzurri sui muri dei palazzi circostanti. Molte finestre si erano aperte con largo anticipo rispetto alla consuetudine, e numerosi spettatori assonnati osservavano la scena da posti privilegiati. Altre persone erano addirittura scese in strada per ottenere dagli agenti informazioni sull’accaduto. Anche certi passanti s’erano fermati, incuriositi dalla presenza dei mezzi di soccorso. Contai complessivamente tredici persone; fra di esse riconobbi Exley e Carson, due agenti miei colleghi, e il Capitano Lansdale. Nella folla spiccavano anche le uniformi sgargianti di tre soccorritori: due uomini e una donna.

Sempre appoggiandomi al braccio di Laura, mi avviai verso il gruppetto di persone. Ero tutto assorto nei miei pensieri: provavo mentalmente le parole con cui avrei spiegato la situazione al Capitano. Per questo sobbalzai quando una mano mi si appoggiò sulla spalla e una voce chiamò il mio nome con un’inflessione interrogativa. Mi girai di scatto e mi trovai faccia a faccia con un giovanissimo agente che conoscevo soltanto di vista. Quando l’agente ebbe avuto conferma che ero veramente colui che stava cercando, mi disse di seguirlo: il Capitano voleva parlare con me al più presto, ed era infuriato per non avermi trovato nel punto concordato. Effettivamente, quando guardai con più attenzione in direzione di Lansdale, mi accorsi che era scuro in volto e continuava a guardarsi intorno. Affrettai il passo e mi feci strada fra la gente, raggiungendo il Capitano solo al costo di lasciare indietro Laura, la quale si unì alla folla, desiderosa di seguire le indagini dal vivo.

- Si può sapere dov’eri finito? – mi aggredì immediatamente il Capitano –  Ti abbiamo cercato dappertutto! Dove diavolo è il cadavere?

- Mi scusi, Capitano. Sono tornato sulla scena del crimine per accertarmi di alcuni particolari – mentii – Il cadavere si trova in fondo a quel vicolo, comunque -  dissi, indicando la giusta direzione con la mano sinistra.

Ma l’attenzione di Lansdale era rivolta altrove: guardava in direzione dei soccorritori.

- Il ferito è qui – disse loro, e quelli ci raggiunsero in pochi secondi. Lo stesso fecero Exley e Carson, i quali mi rivolsero un rapido saluto e si diressero verso la scena del crimine, indicata loro dal Capitano.

  
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