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Autore: lunatica91    10/06/2012    1 recensioni
-Watson?-
John Watson, appoggiato malamente al tavolo del salotto di Baker Strett, alzò il volto madido di sudore e, con fatica, cercò di mettere a fuoco il suo interlocutore.
-Watson, che diavolo le prende?!-

4^ classificata al contest "Don't be a drug, just be a Queen" di RoyMustungSeiUnoGnocco
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Finalmente pubblico questa storia che è rimasta in cantiere per ere geologiche. Devo ammettere che l'ho scritta come sfogo personale; ogni tanto tutti abbiamo dei momenti grigi^^'
Spero vi piaccia, e ringrazio tutti coloro che commenteranno e metteranno la storia in preferite/seguite/ricordate. Buona lettura :)



Nick Autore: lunatica91
Pairing: Holmes/Watson, se vi va di vederlo ^^
Titolo Fanfiction: “Doing All Right”
Rating: Giallo
Generi: Drammatico, Introspettivo, Malinconico
Avvertimenti: One shoot
Eventuali note dell'autore: Questa storia partecipa al concorso "Don't be a drug, just be a Queen" di RoyMustungSeiUnoGnocco. La canzone citata è "Doing all right" dei Queen. Buona lettura!


Doing All Right

“Where will I be this time tomorrow?
Chasing joy or drinking in sorrow...”



Otto.

Sbatté con forza il bicchiere sul tavolo mentre la gola bruciava, arsa dall’alcool. Decisamente non era un gran bevitore, ma non gli importava. Con mano leggermente malferma riempì velocemente un altro bicchiere e lo svuotò con altrettanta rapidità.
Nove.
Non funzionava, dannazione! Quel dannato liquore non stava dando alcun effetto, a parte appannargli la vista, e forse neanche quello. Avvertiva ancora nelle orecchie il pianto di quella povera donna, e se chiudeva gli occhi per scacciare via le urla, ecco riapparirgli quel lenzuolo bianco, quel sudario mortale…
No, no! Non voleva più vedere, non voleva più sentire, solo dimenticare, rimuovere, bruciare quel cassetto infernale che ingombrava l’attico della sua mente!
Dieci.
Il dannato ricordo rimaneva ancora lì, non accennando ad andarsene.
Ancora stentava a credere che fosse accaduto. Non voleva crederci. Non lui, nossignore, non lui! Come aveva fatto ad essere tanto superficiale ed imbecille? Sì, proprio così, imbecille! Non c'era aggettivo migliore per descriverlo.
Come aveva potuto, come?! Per amor del cielo, qualcuno risponda!
-Watson?-
John Watson, appoggiato malamente al tavolo del salotto di Baker Strett, alzò il volto madido di sudore e, con fatica, cercò di mettere a fuoco il suo interlocutore.
-Watson, che diavolo le prende?!-
Il dottore riconobbe la voce del coinquilino, la vista troppo annebbiata dal brandy. Sentì una mano strappargli con decisione il bicchiere ancora mezzo pieno e poi due forti braccia spostarlo quasi di peso sul divanetto. Una mano fresca si poggiò gentile sulla sua fronte rossa e accaldata. Sbatté qualche volta le palpebre cominciando a delineare i contorni appuntiti di Sherlock Holmes, gli occhi grigi stranamente spalancati, velati da un'ombra di preoccupazione.
Watson abbassò repentino il volto, non avendo il coraggio di sostenere quello sguardo compassionevole perché non se lo meritava affatto.
-Sono un assassino...-
Lo sussurrò appena perché la voce gli mancava, troppa la vergogna, e d'altronde Holmes con quel suo udito portentoso lo avrebbe sentito benissimo.
-Quanto brandy ha bevuto, dottore?-
Watson gli afferrò le braccia, iniziando a stringerle e a scuoterle con rabbia.
-Non mi chiami così! Sono un assassino, un orribile assassino! Come può chiamarmi dottore se il significato di tale parola è salvare vite umane? Le sto dicendo che io sono esattamente il contrario!-
Holmes non fu spaventato dalla reazione violenta dell'amico e, chissà perché, Watson se lo aspettava, come si aspettava lo sguardo duro che gli rivolse poi.
-Non dica certe scempiaggini. Il fatto che abbia avuto una dura giornata, perché dev'essere così, non le da assolutamente diritto di infierire su di lei in questo modo.-
-Ma io l'ho uccisa, Holmes, l'ho uccisa...- gemette Watson prendendosi il volto tra le mani.
Come faceva Holmes a non capire? Insomma, era l’investigatore migliore di tutta Londra, aveva risolto casi ben più intricati. Come faceva a non vedere la gravità di tale situazione? Come riusciva a guardarlo in faccia e a rivolgergli la parola quando a lui stesso l’idea ripugnava?
La voce di Holmes si addolcì e poggiò le mani sulle larghe spalle del dottore.
-Chi ha ucciso, Watson?-
Esitò. Non credeva che qualcuno, men che meno il suo amico, gli avrebbe mai rivolto una simile domanda.
-Jane Dawson... Aveva solo cinque anni e io l'ho uccisa...-
-È morta sotto i ferri.-
-No!- gridò il dottore con foga, rialzando velocemente il viso -Le sto dicendo che...-
-So cosa mi sta dicendo ma la conosco troppo bene oramai, e so che quando le capita di sbagliare ha la tendenza a drammatizzare. Le è morta una paziente sotto i ferri, dico bene?-
Watson annuì appena, non trovando la forza per dirlo a parole.
-Sa che questo non è omicidio, vero?-
-Certo che è omicidio! Io avrei dovuto salvarla, avrei dovuto guarirla e invece l'ho uccisa! Che dottore è uno che non riesce a salvare nemmeno una bambina?-
-La smetta immediatamente! Sa benissimo che non è così, ha ingerito talmente tanto alcool...-
-Non è l'alcool! Anche se fossi totalmente sobrio e lucido lo urlerei ai quattro venti!-
Continuava a non capire… Perché? Perché lo giustificava in questo modo?
Holmes sospirò spazientito.
-Non la sto giustificando, ma ho la sensazione che lei stia esagerando. Sono certo che non è stato il primo paziente a morirle davanti: tutti quelli in guerra...-
-Ma è diverso Holmes! È completamente diverso. Quegli uomini sapevano a cosa andavano incontro, sapevano che la loro vita era appesa ad un filo. E poi in quei momenti ti convinci che sia il nemico ad ucciderli, non tu.- Fece una pausa, trattenendo a fatica un singhiozzo -Ma lei era solo una bambina, lei non lo sapeva, lei pensava di guarire, di tornare a casa e continuare a giocare e io non sono stato in grado di esaudire questo semplice desiderio...-
L'immagine di quel corpicino esangue gli tornò prepotentemente alla mente, seguito dai pianti isterici della povera madre.
Holmes serrò maggiormente la presa sulle spalle, questa volta notevolmente accigliato.
-Watson, torni in se! Non si rende conto delle idiozie che sta dicendo.-
-Certo che me ne rendo conto! Sto dicendo di essere un pessimo dottore, un inutile dottore! Accidenti, non riesco nemmeno a farla smettere di avvelenarsi con quell'abominio! Come posso pretendere di salvare delle vite se non riesco nemmeno ad aiutare quella del mio più caro amico?-
Holmes questa volta non rispose e tra i due calò un pesante silenzio, spezzato solo dal respiro ansante del dottore. Watson avvertì l’amico allontanarsi lentamente e pochi secondi dopo l’odore dolciastro del tabacco gli solleticò il naso.
-Mi dica Watson, è abbastanza lucido da espormi i fatti?-
Watson alzò lo sguardo stupito.
-Come?-
-Riuscirebbe a descrivermi l’uccisione della bambina, o è troppo annebbiato dai vapori dell’alcool?-
Il tono era piuttosto acido, decisamente diverso da poco prima e piuttosto insolito di per sé, ma il dottore, troppo abbattuto, pensò di meritarselo.
-Non so... Forse....Ecco, credo di poterla accontentare…-
-Perfetto. Come ha ucciso la paziente?- lo interruppe bruscamente Holmes, fissando intensamente il fuoco crepitante nel caminetto.
-Io… Io stavo finendo l’operazione, quando... quando all'improvviso la bambina ha smesso di respirare e...-
-Questo non risponde minimamente alla mia domanda.- sbuffò stizzito Holmes, attraendo lo sguardo scioccato e interdetto del dottore -Le sto chiedendo di descrivermi i fatti, e li vorrei in ordine e ben descritti, non pensavo che avrei dovuto chiarirlo proprio con lei.-
Watson boccheggiò esterrefatto di fronte a tanta freddezza: non era la prima volta che assisteva a un interrogatorio di Holmes, ma faceva una notevole differenza fare la parte del colpevole. Si sentiva un macigno gravare sullo stomaco, e la testa, già piuttosto pesante a causa del brandy, cominciò a girare leggermente davanti a tutte quelle domande secche e decise.
Le dita di Holmes picchiettavano impazienti sul fornello della pipa mentre lanciava occhiate in tralice al pover uomo, entrato ormai completamente in panico.
-Mi dia qualche minuto... Non credo che in questo stato le sarò molto di aiuto...- ribattè il dottore facendosi portare una caraffa d'acqua, sperando di smaltire, almeno in parte, la grossa quantità d'alcool ingerita che cominciava a far sentire i suoi effetti.
Holmes sbuffò spazientito, ma lasciò fare e prese posto su di una poltrona.
A Watson ci vollero dieci minuti buoni per calmarsi e ritenersi minimamente adeguato a rispondere alle domande dell'investigatore, e questo dopo essersi bevuto parecchi bicchieri d'acqua ed aver aspirato qualche generosa boccata di fumo dalla sua pipa.
-Bene, dottore!- fece Holmes avvicinando i polpastrelli delle dita con fare pensieroso -Ora che si è calmato, possiamo ricominciare. Dunque, cominci a descrivermi i fatti, dall'inizio la prego, e non tralasci alcun dettaglio.-
Watson, a quelle parole, avvertì un brivido salirgli lungo la schiena: era davvero troppo strano sentire quelle frasi, ascoltate un'infinità di volte, venire rivolte proprio a lui. Strano e umiliante.
-Questa mattina, verso le nove, si sono presentati nel mio studio una coppia di coniugi con una bimba di circa sei o sette anni. Mi hanno pregato in tutti i modi di curarla, ma già ad una prima occhiata si intuiva che la piccola era in fin di vita...-
-Davvero?- interruppe Holmes, alzando un sopracciglio -E come l'ha dedotto?-
-Era evidente, Holmes: il pallore del volto, la magrezza del corpo, febbre alta, respiro affannoso. É rimasta in stato incosciente per tutto il tempo.-
-Quindi era una paziente molto grave?-
Watson avvertì qualcosa nel tono di Holmes, qualcosa che durante gli interrogatori solitamente non c'era, una nota in più che stonava con tutto il resto. Inspirò profondamente, stringendo per un attimo le mani a pugno, convincendosi di essersi sbagliato.
-Sì, era grave, ma ancora salvabile. Se avessi usato il taglio di MacBurney, o quello mediano anziché la manovra classica...-*
-Dottore, capisco che per lei questo sia gergo elementare, ma non la riesco a seguire. Utilizzi termini meno tecnici, per cortesia.- Il tono era tornato nuovamente glaciale.
-Sto parlando dei vari tagli chirurgici che avrei dovuto utilizzare, quelli nuovi e all'avanguardia, considerati molto migliori del metodo classico, anche se ancora sperimentali. Avrei dovuto rischiare invece di attardarmi con il vecchiume...-
-Questo “vecchiume” di cui lei parla, è una tecnica sicura?-
-È sempre stata l'unica utilizzata in questo campo, solo da poco sono state fatte delle scoperte per agevolare gli interventi.-
-E ha già utilizzato altre volte questa tecnica classica?-
-Sì, certo, sempre con successo.-
-E dunque ha deciso di utilizzare un metodo con cui ha più familiarità per operare una paziente grave , anziché cimentarsi in esperimenti, dico bene?-
Ancora quel tono. Watson tremò leggermente, decisamente seccato dalla cosa: era colpevole, lui sapeva di essere colpevole e per questo meritava una punizione esemplare, non delle assurde giustificazioni campate per aria!
-No. Non ero abbastanza preparato nelle altre tecniche che invece avrei dovuto conoscere.- rispose il dottore con foga, per poi lasciare uscire un sospiro amaro, che fece quasi male -Se ci avessi almeno provato, invece di essere così pavido...-
-Non mi confonda la codardia con la prudenza.- lo interruppe bruscamente Holmes, fulminando il compagno con i suoi freddi occhi grigi -Ha appena detto che non conosceva quelle tecniche di operazione, dico bene? Se mi avesse detto il contrario, se avesse tentato di operare la paziente con procedimenti a lei praticamente sconosciuti, ora la starei già accompagnando in centrale con l'accusa di negligenza. In pratica, dire che lei avesse operato con gli occhi bendati sarebbe stato lo stesso.-
Watson rimase interdetto. Questa volta era più difficile rispondere a tono. Per qualche attimo una parte della sua anima riuscì quasi a convincersi delle teorie di Holmes: in fondo non aveva tutti i torti, no? Aveva utilizzato tutte le sue conoscenze migliori, e.... No! No, assolutamente no! É vero che la prudenza è giusta nell'ambito medico, ma a volte è più giusto rischiare.
-Da cosa era affetta?-
I pensieri dell'accusato furono interrotti da un'altra domanda secca e decisa, e perciò ci mise svariati secondi a formulare la risposta.
-Lei… Lei era affetta da appendicite…-
-Ne è sicuro?-
-Certo che ne sono sicuro!-
-Strano, per un dottore che dichiara di essere un inetto, essere così sicuro su di una diagnosi…-
Ancora una volta Watson rimase basito. Si ritrovò a boccheggiare come un ragazzetto sprovveduto davanti alla saggezza del proprio maestro. Questa volta fu davvero complicato non dare ragione ad Holmes: la diagnosi era in tutto e per tutto corretta, la bambina era affetta da appendicite, non lo si poteva proprio obiettare. Però la piccola non ce l'aveva fatta, lui aveva fallito, e si era sentito annientare da quella sconfitta che tutti i medici temono e sperano di provare il più raramente possibile.
-Dunque, torniamo all'operazione. Ha capito da cos'era affetta e ha cominciato l'operazione...-
È strano come una semplice frase possa cambiare radicalmente i pensieri di una persona, a volte basta anche solo una parola, qualche sillaba, e già tutto cambia: la strada percorsa si restringe o si ingrandisce, il cuore va in tachicardia o rallenta a tal punto da sembrare quasi fermo, un'espressione malinconica e distrutta può tornare a brillare di una luce, seppur tenue, di speranza. E fu proprio quella luce, intravista solo per pochi attimi, ad incuriosire Holmes.
-A dire la verità... a dire la verità io non ho cominciato l'operazione, l'aveva già visitata qualcuno prima di me...-
Sì, decisamente questo cambiava tutto, e non era solo il dottore a pensarla timidamente in questo modo -perché ovviamente, per quanti danni avesse fatto l'altro medico, non riusciva proprio a perdonarsi quella morte- anche ad Holmes brillò per un attimo lo sguardo a quella sensazionale scoperta, ma si voltò repentinamente a nascondere il suo trionfo.
-Veramente? E chi?-
-I genitori hanno parlato di un dottore del loro paesino, nel Sussex, qualche giorno prima. Purtroppo non mi hanno rivelato il nome. Aveva confuso la malattia, è molto facile all'inizio. Da quel che ho potuto capire l'aveva presa per una semplice indigestione, ma poi, con l'aggravarsi delle condizioni e l'avvento della febbre, ha capito ed ha provato ad operare. Immagino fosse una delle sue primissime operazioni perché il taglio era veramente insicuro, addirittura mal cucito! Si figuri che attorno alla cicatrice, fatta al massimo appena due giorni prima, l'epidermide si stava infettando attorno ai vari punti di sutura; e dicevo, si figuri che i lembi di pelle non erano nemmeno stati uniti totalmente!-
Watson, troppo preso dal racconto e dalla foga nel descrivere all'amico l'orribile operazione a cui era stato sottoposto quel povero corpicino, non si avvide del sorrisino che aleggiava vittorioso sulle labbra di Holmes.
L'investigatore, con molta calma e tranquillità, si lisciò le pieghe dell'abito e aspettò che l'altro finisse la sua diagnosi dettagliata e ricca di termini medici dell'operazione, che il fantomatico dottore del Sussex avrebbe dovuto fare per salvare la piccola.
-Bene.- fece Holmes appena Watson si fermò a prendere fiato -Questo conclude il caso e decreta che lei è innocente.-
Ovviamente le parole di Holmes non furono accolte con la felicità che chiunque si sarebbe aspettato.
-Che cosa?! Lei non…-
-A differenza di lei, mio caro, io sono assolutamente certo delle mie abilità, e se ho dichiarato la sua innocenza, allora vuol dire che è inconfutabilmente vera, che le piaccia o meno.-
-Ma Holmes, allora non mi ha ascoltato!-
-Invece l'ho ascoltata attentamente, mio caro, ed è grazie a ciò che ho sentito che adesso la reputo inequivocabilmente innocente.-
Watson provò davvero a crederci, con tutte le sue forze, soprattutto perché era proprio il suo amico a dirlo e si era sempre fidato delle sue enormi capacità; ma sentiva quella morte gravare dolorosamente sulla coscienza a tal punto da non riuscire ad accantonare la cosa con tanta facilità. Per questo motivo, con un'ultima occhiata accigliata al compagno, si alzò dal divano con risolutezza.
-Bene Holmes, se lei ha deciso di prendersi gioco di me con le sue arti oratorie, non rimarrò qui per il suo diletto. Andrò direttamente a Scotland Yard, sicuramente lì prenderanno sul serio il mio caso.-
-Santi numi, Watson, non posso credere che lei non abbia ancora smaltito quell'alcool!-
-Sono lucidissimo, Holmes!-
-Devo dissentire, dottore. I suoi discorsi fanno credere decisamente il contrario: crede davvero che a Scotland Yard sappiano anche solo pensare? La prego, si risieda, e finiamo per una buona volta questa assurda discussione.-
-Ma questa non è un'assurda discussione! Non stiamo affatto discorrendo sul suo disordine o sui suoi modi alquanto atipici di passare il tempo. Stiamo parlando di omicidio! Non volontario, ma si tratta pur sempre di omicidio e mi fa ribrezzo pensare che un inetto come me sia riuscito anche solo a passare i titoli di studio, con addirittura voti alti! Chissà cosa...-
-Non è assolutamente così, Watson.-
La voce di Holmes bloccò quel fiume di parole come una diga: non che il tono fosse stato alto o adirato, fu solo talmente secco e deciso che persino l'ululare del vento si sarebbe fermato di fronte a tanta fermezza.
-Quello che sta facendo adesso è un discorso idiota e non provi mai più a dire cose così insensate. Non si è accorto che i genitori della bambina non l'hanno chiamata in nessuna causa? Ciò non le fa venire in mente che forse avevano intuito anche loro che la piccola non ce l'avrebbe fatta? In secondo luogo: mi ha descritto in modo talmente dettagliato le varie operazioni che sarebbero state necessarie, da non avere praticamente dubbi sulle sue capacità e qualità mediche. Per non parlare di quante volte io stesso mi sia lasciato curare da lei: se non fosse stato per le sue attenzioni, ora sarei molto più ammaccato di così e le assicuro, mio caro, che non mi lascio curare da dottorucoli qualsiasi.-
-Ma questo non...-
-Mi lasci finire! Solo per il semplice fatto che io le parli dovrebbe capire che non è affatto idiota, perché non perderei mai il mio tempo prezioso con gente immeritevole.-
Watson finalmente si zittì. Si capì da una semplice occhiata che, da quando era arrivato, avrebbe voluto sentirsi dire esattamente quelle parole; non se le era aspettate, ma le aveva sperate, aveva sperato con tutto se stesso che Holmes gli leggesse dentro all'anima e gli urlasse in faccia quello che non aveva avuto il coraggio di urlarsi da solo. Ed ora che le aveva sentite e la loro eco rimbalzava ancora tra le pareti del salottino, non sapeva più come accusarsi. Non si sentiva innocente, ma lo era, non c'erano santi che tenessero. Si risedette sul divanetto, sconfitto.
-Si è calmato, dunque? Certo Watson che lei ha una bella faccia tosta! Più di una volta mi ha accusato di eccessiva loquacità, ma anche lei nei suoi momenti migliori non scherza.-
Watson riuscì a ridacchiare dopo quella che gli parve un’eternità: credeva che ormai non ne sarebbe più stato capace e invece, con sua grande sorpresa, aveva scoperto che a volte bastava davvero poco, una semplice frase ad esempio, a rimettere a posto delle certezze disfatte.
-Holmes, non credevo che anche lei avesse il dono del sesto senso: sa, di solito quello è riservato al gentil sesso, come più di una volta mi ha fatto notare.- azzardò il dottore scherzosamente, cercando di mantenere quella sottile bolla di serenità che si era formata e di cui in quel momento aveva enormemente bisogno.
Holmes abbozzò un sorriso, intento a guardare la strada crepitante di gente.
-A quanto pare mi sbagliavo. C’è sempre qualcosa da imparare o da scoprire, amico mio.-
Watson scrutò con gratitudine la siluette dell’amico, immobile di fronte alla finestra: non poteva che essere d’accordo.

“Yesterday my life was in ruin,
now today I've learned what I'm doing.
Anyway I should be doing all right...”





*Queste particolari operazioni sono alcune di quelle utilizzate per curare i vari casi di appendicite. I primi due che vengono citati sono stati scoperti proprio alla fine del 1800, quindi erano ancora in fase sperimentale nel periodo in cui si svolge questa storia. Ho ipotizzato che Watson ne abbia sentito parlare e se ne sia interessato.
   
 
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