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Autore: Enigmista96    10/06/2012    5 recensioni
Un disperato Holmes in preda alla depressione dopo aver saputo della "morte" della Adler e una sorpresa che scalderà i cuori ma lascerà anche l'amaro in bocca.
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Irene Adler, Sherlock Holmes
Note: Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
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Il più grande detective di tutti i tempi si trascinava stancamente per i diciassette gradini che lo separavano dal suo appartamento in Baker Street.
La donna dietro di lui, la quasi santa Mrs. Hudson, gli sbraitava contro cumuli di parole che lui percepiva come niente più che un incessante e fastidioso ronzio.
Non aveva bisogno di sentirsi elencare tutti i suoi difetti, le sue mancanze: necessitava esclusivamente di stare solo.
Non voleva vicino nemmeno Watson, il suo caro Boswell.
“Che rimanga con la sua cara Mary, che si goda l’amore come io non ho saputo fare!”
Pensava amaramente.
Già, perché il suo unico amore, che lo volesse ammettere o meno, era morto, piegato dal peso di un suo errore, schiacciato come un insetto dal suo più acerrimo nemico.
In quel momento, voleva solo che lei tornasse, dirle tutto ciò che non aveva mai rivelato a nessuno, nemmeno a se stesso, confessarle il suo amore, spezzando le catene dell’orgoglio.
Ma non poteva, dalla morte non si torna indietro.
Morire è come cadere in un pozzo, sempre più giù, senza possibilità di risalire, di cambiare le cose.
Dopo la morte solo buio, freddo, solitudine e una fossa di cinque piedi nel terreno del London Cemetery.
Finalmente, con passo incerto, raggiunse la cima delle scale.
Entrò nel suo studio, avvolto nel silenzio più assordante.
Ma se nella stanza regnava la quiete più assoluta, nella sua anima, nella sua mente e anche, suo malgrado, nel suo cuore, era in atto una tempesta, un accavallarsi di suoni, voci, ricordi, frasi non dette e menzogne pronunciate senza troppe cerimonie…e tutto questo lo stava facendo impazzire, lo stava uccidendo lentamente, logorandolo dall’interno, come un bruco porta una mela alla putrefazione insinuandosi tra la sua polpa.
Sentiva il bisogno di tacitarle, doveva zittirle in un modo o nell’altro e gli unici due metodi che conosceva erano la morte e l’astuccio di marocchino.
Scartata la prima opzione perché lo impossibilitava nella vendetta, si diresse verso il camino.
Fece scorrere la mano sulla mensola al di sopra di esso.
Tastò alla cieca, per qualche istante, fino a quando non sentì tra le dita il profilo familiare del fedele compagno di sventure.
Una volta agguantato il tanto prezioso astuccio, si affrettò ad aprirlo, per trarne la siringa ipodermica e la boccetta di droga.
Il suo sguardo saettava dal metallo brillante dell’ago all’etichetta del botticino, sulla quale era vergata, in calligrafia alquanto minuta, la scritta “Slz. 7%”.
Indugiò solo un istante, poi si decise, grazie all’assurdo pensiero che gli impediva di abbandonare il suo deleterio vizio.
“Io non sono dipendente dalle droghe, le uso solo per combattere il ristagno mentale e la noia…come i comuni cittadini che vanno in viaggio fuori città…abbandonare la tediosa normalità...è una lieve distrazione…”
Senza pensarci si tirò su la manica sinistra.
Poi con occhi lucidi e colmi di aspettativa, si apprestò ad aspirare il suo piccolo paradiso in bottiglia con la siringa.
Ancora una volta i suoi occhi si posarono sul rassicurante bagliore dell’ago.
Con inimmaginabile precisione, lo fece penetrare nella pulsante vena del braccio.
Le dita dell’uomo premettero sullo stantuffo, spingendo il liquido dentro il braccio del detective.
Il caldo torpore della morfina si diffuse nel corpo dell’uomo.
Sherlock Holmes si lasciò ricadere in poltrona con un sospiro di soddisfazione.
Finalmente, dentro e intorno a lui, pace e silenzio.
Chiuse gli occhi, abbandonandosi all’oblio della droga, alla serenità che solo in quel modo poteva portare nella sua vita, se così poteva definire la sua esistenza sulla terra.
 
Contemporaneamente una giovane donna, mora e aggraziata, camminava a passo deciso per Baker Street.
Irene Adler era determinata a lasciare un segno affinché lui sapesse che era ancora in vita.
Giunse sul retro del 221B.
Frugò nella sua borsetta, in cerca delle chiavi che aveva “preso in prestito” da Watson tempo addietro.
Con esse in mano, aprì l’ingresso secondario della casa del consulente investigativo.
Salì velocemente le scale con passo felpato ed entrò nel suo studio.
Lo vide lì, come addormentato, cullato dai fumi della droga come un bambino dalla ninna nanna della madre.
Lo fissò qualche istante, prima di avvicinarsi.
Lo studiò ancora un po’, per poi cedere ai suoi istinti e cominciare ad occuparsi di lui, prima di sparire un’altra volta.
Poggiò la siringa, precedentemente scivolata sulla pelle di tigre, sul tavolinetto indiano.
«Ma come ti sei ridotto?»
Mormorò senza ottenere risposta alcuna.
Si avvicinò al corpo inerte del suo amato, osservando il segno della recente iniezione sul suo braccio, prima di abbassargli la manica della camicia.
«Per fortuna che il grande Sherlock Holmes non aveva debolezze…»
Proseguì sarcastica.
Gli scostò i capelli dal volto, pettiandoli indietro con le dita, in quella che tentava disperatamente di non definire "carezza amorevole".
Infine si chinò vicino al suo orecchio, per sussurrargli la verità.
«Sono viva Sherlock…»
Iniziò al destro.
«Viva…»
Sottolineò al sinistro.
Iniziò a dirigersi verso la porta dello studio.
Di colpo, si fermò, fece dietrofront e tornò verso Holmes.
Avvicinò il suo volto a quello di lui e…lo baciò, con trasporto, un’ultima volta prima di lasciare il disordinato appartamento e il suo disperatamente amabile proprietario.
 
Più tardi quella sera, l’uomo si risvegliò dal suo “sonno” artificiale.
Una sola voce nella testa, la sua.
Il ricordo della bocca di lei a coprire quella di lui.
Si morse il labbro inferiore, con la disperata speranza di sentire ancora il suo sapore, di percepire l’aroma di colei che era morta portandosi dietro una parte di lui.
Si guardò intorno, l’unica cosa strana che notò fu la sua manica abbassata, ma la giustificò come un gesto compiuto in assenza di coscienza o come effetto della gravità.
Sospirò rumorosamente, pronto ad iniettarsi una seconda dose.
«Vorrei che tu fossi viva, credimi…ma era solo un sogno».


N.d.A.: Eccomi con una nuova One-Shot...non ho resistito, dovevo scriverla.
Dovrei ringraziare il caldo per la notte insonne e l'ispirazione, ma non lo farò perchè IO VOGLIO DORMIRE!
Ok...grazie per aver letto i miei deliri, prometto nuovi aggiornamenti nell'interminabile Long (Sì, l'ho già fatto troppe volte, ma lasciamo perdere...)
Recensite in tanti, ci  tengo a conoscere le vostre opinioni ed a leggere le vostre critiche.
Quindi...buona domenica!

L'Autrice

   
 
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