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Autore: Persephone Lupin    11/06/2012    3 recensioni
Quando Severus Snape torna a casa dopo una missione per il suo Signore, diventa testimone di un segreto che sconvolgerà il suo mondo. AU
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Severus Piton, Voldemort
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Eccomi qui! Sono sempre io, FRC Coazze ^^  Per chi attendeva il seguito di “Un incubo”, beh, eccolo qui! Ci ho messo un po’ a cominciare la traduzione, perdonatemi, ma è un periodo che ho parecchio lavoro a casa e la scrittura è passata in secondo piano, e nei ritagli di tempo faccio quel che posso. Tra l’altro, anche la mia storia originale è rimasta in sospeso perché non posso dedicarle il tempo di cui avrebbe bisogno, quindi al momento è in letargo in attesa di tempi migliori (questo per chi nel caso mi seguisse come autrice).

Poi, passiamo ai dati tecnici: qui potete trovare tutte le storie di Persephone Lupin. La storia in lingua originale la trovate qui in inglese e qui in tedesco.
 

Il titolo originale della storia è “Shedding one’s soul” ed è stata pubblicata nel 2003, quindi in un periodo di cui di Severus non si sapeva ancora nulla. Ora, ovviamente, tutto ciò che viene ipotizzato nella storia è AU.

Per chi non avesse letto il prequel può trovarlo qui: “Un incubo” (il rating è rosso).

Ora via lascio alla lettura.
 

 

Capitolo 1.  Segreti nel buio

(Secrets in the dark)



 

Severus Snape entrò nella casa cupa in Knockturn Alley dalla porta di servizio. Con solo la fioca luce emanata dalla punta della sua bacchetta a illuminare i suoi passi e attento a non far rumore, salì su per la scala. Un incontro con il suo - probabilmente ubriaco - padre non era esattamente quello che desiderava dopo la sua ultima missione per il suo padrone. Certo, aveva avuto successo, come sempre, e aveva assolto il proprio compito in molto meno tempo del solito. Ma era stato molto faticoso, e per il momento il suo unico desiderio era quello di recuperare il sonno perso di diverse notti.

C'era ancora luce in soggiorno. Severus poteva vederla attraverso le fessure della vecchia porta di legno. E poteva sentire le voci ovattate di Scelestus Snape e Caligula Malfoy. Chissà  quale diavoleria stavano complottando quei due questa volta? La curiosità ebbe la meglio su di lui, ed egli strisciò cautamente fino alla porta. Ma ciò che stava per udire avrebbe sconvolto il suo mondo...

«...e il meglio è che lui non sa nulla. Non il più piccolo sentore di un sospetto. Riesci a crederci? Abbiamo recitato la parte dei perfetti genitori, la povera defunta Sylvia ed io, no?»

La risata ebbra di Scelestus riempì la stanza sudicia. L'ubriaco non notò l'espressione disgustata sul volto del suo ospite, né l'ascoltatore silenzioso nel corridoio buio.

Caligula Malfoy disprezzava quel suo compagno Mangiamorte dal profondo del suo cuore, ma una volta ogni tanto era costretto dalla necessità ad accompagnarsi a quella brutta copia di un Purosangue. Quella volta era venuto a prendere alcuni ingredienti speciali per una certa pozione illegale che solo Scelestus poteva fornirgli. E il bastardo non era disposto a consegnare gli oggetti costosi senza condividere prima con Caligula una bevuta. Il whisky da quattro soldi gli bruciò la gola facendolo tossire. Ma la storia sembrava interessante, un segreto indicibile che avrebbe potuto fruttargli qualcosa in futuro, chi poteva sapere? Così, Scelestus e Sylvia non erano i genitori di Severus. Chi l’avrebbe mai pensato? Con quei suoi capelli neri e unti, la pelle pallida e il naso adunco il ragazzo aveva l'aspetto di una miscela piuttosto sfavorevole dei suoi genitori - no, non i suoi genitori, se ciò che Scelestus aveva appena detto era vero e non uno sproloquio senza senso di un vecchio ubriacone.

«Chi sono i suoi genitori, allora, e cosa è successo loro?»

«Vuoi saperlo, caro amico. Ma è top secret, ordini dall’alto.» Scelestus scoppiò in un risata folle. «La curiosità ti ucciderà uno di questi giorni, caro Caligula.»

«E un eccesso di segretezza potrebbe uccidere te, Scelestus Snape. Ma comunque, io non ti credo. Cosa potrebbe esserci di così speciale riguardo alle origini del ragazzo che l'Oscuro Signore stesso avrebbe dovuto interessarsi alla vicenda?» Quello era il modo migliore per superare in astuzia il lurido, auto compiaciuto bastardo: fare finta di non credere nell'importanza delle informazioni. Aveva già spifferato il segreto abbastanza in fretta, l’untuoso bastardo.

«Tu non mi credi?» Scelestus si avvicinò, il suo respiro carico d’alcool quasi soffocò l'uomo più giovane. «E se la Sua Altezza in persona avesse scaricato il ragazzo al suo servo più fidato e leale e a sua moglie? E se il Signore Oscuro fosse suo padre?»

Nel buio del corridoio, Severus trattenne il respiro.

«Non stai dicendo sul serio. Ti sei fatto un whisky di troppo!»

«Prendere o lasciare, allora. Ma posso dire, ci sono delle tombe là fuori… tre tombe. Il nostro Signore ha fatto un lavoro minuzioso quando ha recuperato il suo ragazzo da quella puttana Sanguesporco che era sua madre e dai suoi genitori. Tra l’altro, sono sicuro che tu la conoscessi. Frequentava Hogwarts gli stessi anni di te e Tom. Una bellezza. Il suo nome era Helena Evans, Grifondoro.»

Caligula rimase a bocca aperta. Sapeva quello che era accaduto tra il suo compagno di classe e compare Serpeverde, l’allora Tom Riddle, e Helena Evans. Ma non sapeva ci fossero state conseguenze. E mai e poi mai avrebbe sospettato che tali conseguenze sarebbero potute andare sotto il nome di Severus Snape.

«Puoi provarlo?»

«Guarda i due negli occhi e avrai la tua prova.» Scelestus si protese ancora di più verso di lui, il suo naso a pochi centimetri da quello di Malfoy. «E… Severus parla il Serpent...»

Il giovane, di cui i due maghi in salotto stavano parlando, si appoggiò pesantemente contro la porta, troppo stordito per pensare o muoversi, quasi non ricordava come respirare. Il Signore Oscuro era suo padre. L'unica persona che aveva mostrato interesse, colui che gli aveva comprato la sua bacchetta quando aveva solo tre anni, che gli aveva donato quei libri affascinanti pieni di magia nera, che gli aveva dato una pacca sulla spalla quando era riuscito a lanciare la maledizione Imperius su un topo all'età di sette anni. Il suo ammirato padrino che gli aveva spiegato il concetto di potere. E lo stesso che gli aveva insegnato a torturare e uccidere al suo comando. Senza pensare. Quell’uomo era in realtà suo padre. E quel padre lo aveva scaricato in quell’inferno di abusi a Knockturn Alley. Con un "padre" che lo aveva picchiato regolarmente quando era ubriaco, e, quando sobrio, gli aveva scagliato contro il suo sarcasmo feroce. Ancora allora, non sapeva dire cosa fosse peggio. Aveva imparato presto come sgattaiolare silenziosamente per la casa, come rendersi invisibile mischiandosi tra le ombre - i suoi santuari - che la casa tetra forniva in abbondanza. Solo per evitare di attirare le attenzioni di suo “padre”. A volte, era riuscito a tenersi fuori dai piedi per giorni. Quelli erano i momenti in cui era stato fortunato. Ma poi di nuovo, il "padre" lo avrebbe cercato come valvola di sfogo per la sua collera ubriaca. Oppure avrebbe chiesto il suo aiuto nel laboratorio di pozioni.

Severus aveva sempre amato il laboratorio. Era l'unica stanza in tutta la casa che era tenuta pulita e ordinata, anche se somigliava più ad un sotterraneo che ad una stanza. C’erano calderoni disposti su tavoli di pietra liscia; fiale di tutte le dimensioni, forme e colori posti ordinatamente su scaffali di legno, e ingredienti di tutti i tipi accuratamente conservati in cassetti, scatole, e cestini. Altri poi venivano conservati in numerosi barattoli di vetro su altre mensole di legno. Quei vasi di vetro con i loro contenuti misteriosi immersi in liquidi senza nome gli avevano sempre fatto venire i brividi quando era un ragazzino, ma al tempo stesso possedevano uno strano fascino che lo attirava a loro, sempre più vicino. Ora, all'età di ventidue anni, e con una padronanza delle pozioni che superava di gran lunga quella di suo “padre”, conosceva il contenuto di tali vasi a memoria ed era rimasto poco mistero intorno ad essi in realtà, tuttavia poteva ancora sentire il leggero brivido lungo la schiena, l'ondata di fascino, quando li guardava. Se non fosse stato per la presenza minacciosa di suo “padre” e il pestaggio che inevitabilmente lo attendeva dopo la sessione di lavoro – più che altro senza ragione alcuna - avrebbe potuto essere felice nel laboratorio di pozioni.

Neanche sua “madre” era mai stata di qualche aiuto. In principio, aveva litigato con il marito a favore del figlio un paio di volte, ma per la maggior parte del tempo era rimasta a fissare qualcosa che solo la sua mente stordita poteva vedere ed era a malapena consapevole dell’esistenza del figlio. Se non fosse stato per Ickly, la vecchia elfa domestica, Severus sarebbe sicuramente morto di fame e trascuratezza molto tempo prima di frequentare Hogwarts. Quando sua “madre” era morta durante il suo secondo anno di scuola - molto probabilmente di overdose di una qualche pozione – lui non aveva sentito nulla, non faceva alcuna differenza che lei ci fosse o meno dal momento che non era mai stata lì per lui. Per lui non era stata più di uno splendido soprammobile che aveva perso da tempo la sua utilità ed era stato infine messo da parte.

Ma la morte della vecchia Ickly, quello stesso anno, lo aveva lasciato devastato. Allora era stato veramente solo e alla mercé di suo “padre”. Avrebbe voluto che quell’estate quelle vacanze non fossero mai venute. Invece, erano arrivate inevitabili come la rivoluzione della Terra che continuava a girare e ruotare lungo suo cammino senza fine intorno al sole. L'unica speranza che allora gli impediva di cadere nella disperazione era che il suo padrino magari sarebbe passato a trovarlo una volta o due durante la pausa estiva e avrebbe portato nuovi libri e, se fosse stato molto fortunato, gli avrebbe insegnato delle nuove fatture.

Il suo padrino. Avrebbe potuto avere una famiglia amorevole, o almeno una madre e dei nonni che si prendevano cura di lui; avrebbe potuto vivere nella luce se non fosse stato per il suo “padrino”, che era in realtà suo padre. Che aveva ucciso la sua vera famiglia. Che lo aveva condannato a una vita all'inferno. Che aveva fatto di lui il suo schiavo senz'anima. Un assassino, spietato come il suo stesso padre. Che fosse maledetto quel bastardo!

Si sentiva male, nauseato. Non sentì i passi silenziosi avvicinarsi alla porta. Non notò che Malfoy aveva abbassato la maniglia. Quando improvvisamente la porta si spalancò, Severus perse l’equilibrio e cadde nel soggiorno all'indietro con un sussulto di sorpresa. Malfoy e Snape erano non meno stupiti del giovane mago che era caduto sul pavimento davanti ai loro piedi.

«Che diavolo ci fai qui, maledetto figlio di una cagna?» Scelestus chiese, torreggiando minacciosamente sul “figlio” a terra. Afferrò lo sbalordito Severus per il collo, lo strattonò verso l’alto e lo sbatté dolorosamente contro il muro preso da furia palese.

Sebbene Severus fosse un paio di centimetri più alto del suo vecchio, essendo di una corporatura piuttosto magra e snella non fu in grado di combattere fisicamente il robusto, corpulento Scelestus, che era, a dispetto delle sue abitudini di bevitore e dei suoi quasi sessanta anni, forte come un bue e sempre pronto a caricare.

«Che cosa hai sentito, lurido spione?» ringhiò Snape senior pericolosamente. «Rispondi!»

«Ma non vedi che non può rispondere? Lo stai strozzando, il ragazzo.» Caligula sogghignò. Sembrava apprezzare genuinamente il dramma che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi.

A malincuore, Scelestus allentò la morsa soffocante intorno alla gola di Severus e aspettò con impazienza che il giovane avesse recuperato un po’ la mancanza di ossigeno.

«Ora, rispondi a tuo padre: cosa hai sentito?»

Una rabbia terribile e un odio sconfinato improvvisamente gonfiarono il petto di Severus.

«Tu non sei mio padre, maledetto, inutile bastardo!» sputò con vigore e, con un rapido movimento imprevisto, si liberò dalla presa di suo “padre”, estrasse la bacchetta e fece volare Scelestus dall’altra parte della stanza.

«Come osi?!» Scelestus era di nuovo in piedi dopo pochi secondi, la sua bacchetta pronta.

La cosa si prospettava interessante, un duello padre-figlio… anzi, non padre-figlio, dopo tutto. Caligula fece alcuni passi indietro, ben lungi dal tentare di fermare quella divertente performance. Scelestus sembrava aver smaltito la sbornia per l’eccitazione, ed era conosciuto per essere un duellante esperto che non dava alcuna importanza alle regole. Di cosa il giovane Severus fosse capace non poteva ancora dire; ma, considerando ciò che suo figlio Lucius gli aveva raccontato sul suo compagno di Serpeverde, Severus sapeva il fatto suo.

Le fatture volavano nell’aria veloci come fulmini. Presto, passarono a maledizioni sempre più oscure, e la furia omicida crebbe negli occhi di entrambi gli uomini.

«Crucio!» Scelestus gridò, già ansimando pesantemente.

Ma Severus con un liscio, balzo felino, riuscì a schivare la maledizione, e ora toccava a lui l’attacco.

«Ora basta! Expelliarmus!» I combattenti vennero sbalzati all’indietro, le loro bacchette volarono nell’aria.

«Non interferire, Malfoy!» Severus ruggì mentre tentava di rialzarsi, la sua attenzione e la sua rabbia ora rivolte all’uomo biondo che sorrideva beffardo e che gli aveva strappato la bacchetta.

«Non posso permettere che vi uccidiate a vicenda, non credi? Per quanto mi sarebbe piaciuto lo spettacolo. Ma che cosa dovrei riferire al Signore Oscuro se mancherete alla prossima riunione? É per il vostro bene, sai, e anche per il mio.» E con un gesto elegante della sua bacchetta, Caligula evocò delle grosse corde che si avvolsero strettamente attorno alle braccia, petto e gambe di Severus.

Nel frattempo, Scelestus era strisciato verso la sua bacchetta, inosservato. Avrebbe ucciso il ragazzo, nient’altro importava. La follia cieca aveva preso il sopravvento.

«Avada Kedavra!» La luce verde esplose dalla punta della bacchetta di Scelestus. Ma, istintivamente, Severus si lasciò cadere giusto in tempo evitando l’Anatema che Uccide per pochi, miseri centimetri.

E poi, esplose l’inferno. Severus non sapeva come potesse farlo, ma tutto ad un tratto la sua ira rovente deflagrò in un impeto tonante di bolle di energia. Le corde che lo legavano volarono in aria lacerate in centinaia di brandelli sfrigolanti e, con il fragore di un tuono, metà del soffitto crollò sui suoi aggressori, le pesanti travi di legno che bruciavano come le torce del purgatorio.

Tutta la stanza prese immediatamente fuoco. Severus, esausto da quella potente dimostrazione di magia senza bacchetta, inciampò verso la porta, attraverso polvere, fumo e fiamme, ignorando le urla frenetiche di dolore provenienti da colui che aveva chiamato padre mentre le fiamme lo consumavano. Malfoy, almeno, aveva trovato una morte più rapida.

Arrivato in cortile, le gambe gli cedettero e cadde nell'erba bagnata. Le fiamme si stavano già diffondendo al secondo piano, contorcendosi come viticci di fuoco e protendendosi nel cielo notturno.

Presto sarebbe arrivata gente. Doveva andarsene. Ma andare dove? Cosa diavolo avrebbe dovuto fare ora? Severus non riusciva a pensare, né tantomeno a concentrarsi. Voleva uscire fuori, fuori di lì, fuori da quell’incubo. E voleva vendicarsi. Suo padre lo aveva tradito… ora lui avrebbe tradito suo padre. Stranamente, il pensiero ebbe su di lui un effetto calmante. Almeno, aveva uno scopo ora. Gli rimaneva da progettare una strategia ancora. Ma non adesso. Un po’ più tardi, quando la sua testa avrebbe smesso di farsi credere pronta ad esplodere in qualsiasi momento. Ora doveva andare via. Doveva andarsene.

Troppo provato per osare Smaterializzarsi, si trascinò lentamente in piedi. Senza guardare indietro all’inferno di fiamme che aveva creato, Severus chiamò a sé gli ultimi residui di energia rimastigli e, barcollando, uscì dal giardino.

Senza meta, andò alla deriva le strade avvolte dalla notte, indifferente al freddo e alla pioggia battente. Infine, si ritrovò in un parco senza nome e crollò su una panchina di legno logoro. Chiuse gli occhi. Ma il sonno non venne, solo immagini della sua vita da Mangiamorte, delle incursioni, del caos, fiamme e sangue. I volti delle persone che aveva torturato e ucciso. Le urla. E, sopra a tutto, la fredda, minacciosa voce e l'acuta risata fanatica del suo padrone. Di suo padre. Voleva vomitare dal disgusto e dal disprezzo di se stesso.

Come lo odiava ora… odiava se stesso; odiava il marchio che lo legava al Signore Oscuro per sempre. Il marchio del male, del peccato e della dannazione impresso a fuoco nella sua carne. E anche se sapeva fosse inutile, anche se sapeva che non sarebbe mai svanito, prese a graffiare e lacerare il marchio sul suo avambraccio sinistro con denti e unghie, accogliendo il dolore. Ma i semplici graffi non bastavano. Nelle tasche del suo pesante mantello da viaggio trovò il coltellino che usava per raccogliere le erbe e tagliò il marchio sanguinante che ancora gli ghignava maligno in faccia. Tagliò in profondo.

La mattina fredda e tetra di dicembre trovò Severus sul terreno umido, mentre lentamente si risvegliava dall’incoscienza. La testa gli pulsava e sentiva un dolore paralizzante pulsare attraverso il suo braccio sinistro. Non sapeva dove fosse, né perché fosse ancora vivo. Rabbrividì per il freddo, il suo mantello intriso d’umidità non forniva alcun sollievo. Si sentiva più infelice che mai prima di allora, aveva le vertigini e la nausea, e voleva soltanto rannicchiarsi come un riccio e morire dimenticato da Dio in quel parco.

Ma c'era qualcosa che doveva fare prima. Prima di arrendersi - vendetta. Sì. Si aggrappò a quella parola come a un'ancora di salvezza. E improvvisamente, l'immagine di un vecchio mago, con lunghi capelli bianchi, la barba folta e scintillanti occhi azzurri dietro gli occhiali a mezza luna, si formò nella sua mente. Dumbledore. Albus Dumbledore. Il preside. Certo. Lui avrebbe ascoltato. Se si fosse rivolto al Ministero lo avrebbero gettato ad Azkaban senza pensarci due volte, o avrebbe subito il Bacio del Dissennatore sul posto. Non che lui non se lo meritasse. Lo sapeva. Il Bacio sarebbe addirittura stato il benvenuto. Avrebbe posto fine a quel caos di emozioni, ai ricordi terribili che continuavano a inondare la sua mente dopo che la rivelazione della sera prima aveva spezzato le sue difese mentali. Ma prima voleva provocare più problemi possibili a Voldemort. Riferire al nemico tutto ciò che sapeva. Dumbledore avrebbe ascoltato prima di condannare, e avrebbe saputo cosa fare…


 


 

Note alla traduzione

Come sempre, la traduzione non è letterale, ma cerca di mantenere lo stile della storia originale. I nomi ho dovuto lasciarli in inglese, anche perché avevo dovuto farlo con il prequel quindi non potevo cambiare così, di punto in bianco. Anche se mi trovo personalmente molto male con i nomi originali.

Altro da dire non avrei, quindi… aspetto i vostri commenti :)

 
 
  
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