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Autore: _reddy96_    11/06/2012    5 recensioni
[Johnlock]
[...] Tolse il telo. Sul tavolino c’erano una pistola ed una benda.
-“Allora Sherlock, cosa scegli?”- chiese Moriarty. Nei suoi occhi brillava l’eccitazione della follia.
Sherlock guardò entrambi gli oggetti, poi si rivolse al suo nemico:
-“E’ chiaro che la pistola rappresenta una morte veloce, mentre la benda qualcosa di più lungo e probabilmente doloroso. Strano che tu dia la possibilità di scegliere una morte indolore, non è da te”-
Moriarty sorrise compiaciuto.
-“Sono lusingato, mi conosci proprio bene. E’ ovvio che la tua scelta avrà una conseguenza”-
Sherlock fissò negli occhi lo psicopatico. Vide tutta la sua follia. Capì ed un brivido gli percorse la schiena.
-“John”- [...]
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty , John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: preciso che questa One-Shot non è mia, ma appartiene ad una mia amica, che non la vuole in alcun modo pubblicare a suo nome, perchè crede di non scrivere bene. Quindi se vi piace o se avete consigli, lasciate una recensione così la convinceremo che non fa poi così schifo ^-^ 
è LEGGERMENTE lunghetta, ma ne vale la pena, davvero ^-^ 
So Hope You like It
Buona Lettura


-“Non potevi trattenerti dal metterti in mostra,vero?”-
John si chiuse la porta alle spalle, per poi avvicinarsi a Sherlock,seduto in poltrona. La sua voce era calma ma tradiva molta più rabbia di quanto avrebbe potuto esprimere un grido. Sherlock non si scompose e non lo guardò negli occhi.
-“Io non mi metto in mostra, John, è solo che ho ritenuto opportuno avvertirti che la tua ormai presumo ex ragazza fosse sposata”-
John strinse i pugni.
-“Era divorziata! Il segno che hai visto sul suo dito era prodotto dall’anello del suo ex marito. Me l’ha detto appena ci siamo conosciuti”-
Il detective rimase impassibile.
-“Ha già divorziato una volta,quanto pensi che ci avrebbe messo a scaricarti?”- disse velocemente.
John non riuscì più a trattenersi e gridò:
-“Non lo so, ma avresti potuto darmi la possibilità di scoprirlo! Magari poteva essere quella giusta!”-
-“Lo hai già detto delle ultime dieci ragazze, John, e guarda caso ti hanno lasciato tutte.”- fece notare Sherlock,neanche minimamente turbato dalla rabbia dell’altro. Ormai era abituato.
-“Mi hanno lasciato perché tu ti sei messo a snocciolare i loro fatti personali neanche li avessero scritti in fronte!”- gridò il dottore,esasperato.
-“Io dico ciò che vedo, non è colpa mia se la gente ha dei segreti”- disse il detective.
-“Però a quanto pare trovi alquanto divertente elencare tutti quelli di ogni ragazza che varca la soglia di questo appartamento”- ribattè John. Sherlock alzò lo sguardo verso di lui.
-“Non lo trovo divertente, è una cosa che faccio per te”- disse calmo. John sbuffò.
-“No Sherlock, non lo fai per me. Lo fai per te, per soddisfare il tuo egocentrismo! Senti, và al diavolo!”-
Il biondo uscì di casa sbattendo la porta e andò a sbollire la rabbia nel freddo di Londra. Sherlock non reagì. Era abituato. Si alzò in piedi e iniziò a suonare il violino, tanto per fare qualcosa. Come al solito suonava ad occhi chiusi, per concentrarsi meglio. All’improvviso percepì un leggero pizzico a braccio destro e cadde per terra, privo di sensi. Dapprima sentì delle voci confuse che non riconobbe, anche se gli suonavano familiari e poi qualcuno che lo prese in braccio in malo modo per poi caricarlo su un camion o qualcosa di simile. Dopodichè il nulla.
 
Quando riprese i sensi, Sherlock non riuscì ad aprire subito gli occhi.  Sapeva di essere in piedi, sapeva di essere ammanettato ad un palo per i polsi, per le caviglie e in qualche modo anche per la pancia, probabilmente con l’ausilio di una catena, e sapeva anche di essere nudo. Aprì gli occhi. Tutte le sue sensazioni erano giuste. Davanti a sé aveva l’ultima persona che avrebbe voluto vedere al mondo: Jim Moriarty. Che sorrideva. Con un coltello in mano.
-“Ben svegliato Sherlock. Ti sono mancato?”-
-“A dire il vero neanche un po’”- rispose Sherlock.
-“Peccato. Ma dopotutto c’era il caro dottore a tenerti compagnia, giusto?”-
Sherlock ringhiò e Moriarty gli fece un taglio con il coltello all’altezza della spalla. Sherlock si morse un labbro.
-“Devo ammettere che è stato piuttosto facile catturarti. E’ stata una fortuna,mi sentivo così solo. Avrei dovuto pensarci tanto tempo fa”- disse Moriarty con aria assente.
Sherlock abbassò lo sguardo in modo da vedere il taglio. Non gli sembrava particolarmente profondo, anche se sanguinava.
-“Spesso le persone normali tendono a non vedere ciò che è facile o ovvio”-
Moriarty ghignò e gli fece un altro taglio, stavolta all’addome. Fu più doloroso dell’altro, ma il detective riuscì a non gridare.
-“Sherlock, ormai dovresti sapere che non sono una persona normale”-
-“Infatti, sei pazzo”- disse Sherlock, ansimando leggermente.
Moriarty rise di gusto e,senza neanche guardare, gli fece un piccolo taglietto all’altezza del cuore. Sherlock capì che doveva andarci piano, altrimenti sarebbe stato ridotto ad un colabrodo.
Ci fu qualche attimo di silenzio, in cui Moriarty sembrò assorto nei suoi pensieri e Sherlock ne approfittò per studiare la situazione. Era nei guai, questo lo sapeva. Probabilmente sarebbe morto. Anzi, ne era certo. Sicuramente non in modo semplice, non era da Moriarty. Capiva le manette e capiva anche tutti quei tagli, ma non capiva perché era nudo. Non che gli desse particolarmente fastidio,né si preoccupava del fatto che Moriarty sarebbe potuto scendere molto più giù con quel coltello,ma voleva sapere a tutti i costi il motivo.
-“Dato che siamo qui e dato che so che mi ucciderai, credo che tu mi debba qualche spiegazione. Capisco tutta questa bella messinscena,ma vorrei tanto sapere perché mi hai tolto i vestiti.”-
Moriarty ridacchiò.
-“Mi sembra ovvio, Sherlock, è perché hai un bel fisico”- rispose con voce maniacale.
 Sherlock rabbrividì sentendo quel tono. Poi Moriarty parlò di nuovo.
-“Comunque hai ragione, ti ucciderò,ma ho molto rispetto della tua intelligenza e voglio darti una scelta.”-
Si diresse alla fine di
quell’enorme stanza vuota e spinse una specie di carrellino da dolci coperto da un telo viola molto vicino a Sherlock. Tolse il telo. Sul tavolino c’erano una pistola ed una benda.
-“Allora Sherlock, cosa scegli?”- chiese Moriarty. Nei suoi occhi brillava l’eccitazione della follia.
Sherlock guardò entrambi gli oggetti, poi si rivolse al suo nemico:
-“E’ chiaro che la pistola rappresenta una morte veloce, mentre la benda qualcosa di più lungo e probabilmente doloroso. Strano che tu dia la possibilità di scegliere una morte indolore, non è da te”-
Moriarty sorrise compiaciuto.
-“Sono lusingato, mi conosci proprio bene. E’ ovvio che la tua scelta avrà una conseguenza”-
Sherlock fissò negli occhi lo psicopatico. Vide tutta la sua follia. Capì ed un brivido gli percorse la schiena.
-“John”-
mormorò.
Moriarty rise malignamente.
-“Sapevo che ci saresti arrivato. Hai presente il cecchino che ti ha colpito col proiettile soporifero? Ecco,è incaricato di sparare al caro Johnny boy se scegli la pistola. E non sparerà di certo sonnifero. Dunque Sherlock, cosa scegli?”-
Sherlock mantenne la calma, anche se il suo cuore batteva forte.
-“E dimmi un po’, dove porta quella benda?”- chiese, pur sapendo che non avrebbe ottenuto una risposta.
-“Non puoi chiedermi di giocare pulito, Sherlock”-disse Moriarty ghignando.
-“Ovviamente. Non ho altra scelta, allora, che la benda”- rispose il detective.
-“Prevedibile”- disse Moriarty e lo bendò. Poi lo stordì con del cloroformio e lo liberò. Sherlock sentì di nuovo qualcuno che lo prese in braccio,poi si addormentò.
 
Nel frattempo John era tornato a Baker Street, completamente ignaro di quanto fosse successo poche ore prima. Era convinto che,entrando, avrebbe trovato Sherlock esattamente dove l’aveva lasciato,non avrebbero tirato in ballo la loro discussione e tutto sarebbe tornato come prima. Ma Sherlock non era seduto in poltrona.
-“Sherlock, sono tornato”- gridò John per farsi sentire.
Niente. Pensò che Sherlock fosse andato a Scotland Yard ad aiutare Lestrade in qualche caso e si mise alla ricerca di un biglietto, un messaggio, qualcosa che Sherlock avrebbe potuto lasciargli per dirglielo, ma niente. Provò a chiamarlo sul cellulare, ma era spento. Strano, di solito il cellulare di Sherlock era sempre acceso. Pensò che il suo coinquilino fosse andato a trovare il fratello,cosa alquanto rara,e che aveva dovuto spegnere il suo telefonino per qualche motivo. Decise di chiamare Mycroft. Rispose una voce femminile che John riconobbe come quella della segretaria di Mycroft.
-“Buonasera,perdonatemi il disturbo, sono John Watson. Cerco Mycroft Holmes, può passarmelo?”-
-“Mi dispiace signor Watson, ma attualmente il signor Holmes è in Svizzera per un incontro ufficiale. Devo lasciare un messaggio?”-
-“No grazie, non si preoccupi e scusi ancora”- disse John e riattaccò. Quindi Sherlock non era con Mycroft. Iniziava a chiedersi dove diamine potesse essere finito, poi tutte le sue domande trovarono risposta quando un uomo con un fucile di precisione in mano entrò al 221B. John lo riconobbe come Sebastian Moran, il braccio destro di Moriarty.
-“Buonasera dottor Watson”- disse Sebastian con tono tranquillo, anche se puntava il fucile su John.
-“Buonasera Moran”- ricambiò il dottore.
Conosceva bene quell’uomo e non era completamente pazzo come il suo capo, quindi non avrebbe sparato senza un preciso ordine. Capì che Sherlock era nelle mani di Moriarty  c’era Sherlock e tra i due era lui quello in pericolo.
-“Non voglio usare la forza senza motivo,quindi le chiedo di lasciarsi ammanettare senza troppe storie”-
Moran estrasse un paio di manette dalla tasca interna del suo cappotto mentre diceva queste parole con tono calmo. John decise che la miglior cosa era obbedire e piegò le braccia dietro la schiena, girandosi solo quando sentì lo scatto delle manette.
-“Se vuole può sedersi”- disse Moran gentilmente.
John trovò strano il fatto di avere il permesso di fare qualcosa in casa propria, ma non disse niente e si accomodò in poltrona. Il cecchino si sedette su quella di fronte e si mise il fucile sulle gambe.
-“A cosa devo l’onore della visita?”- chiese John.
-“Dottor Watson, l’ha capito benissimo.”- rispose l’altro.
-“Oh, capisco. Moriarty si occupa di uccidere Sherlock e lei si occupa di uccidere me? Elegante”-
Moran rise.
-“Si e no. Dipende tutto dalla scelta del suo coinquilino. Secondo Jim lei si salverà,dottor Watson”-
Quelle parole non furono di conforto per John.
-“Ma in un modo o nell’altro Sherlock morirà,vero?”- chiese il dottore. Moran si limitò ad annuire.
Poi il cecchino ricevette un sms.
-“A quanto pare lei è fortunato, Jim aveva ragione. Non devo ucciderla”-
-“Se si può considerare fortuna questa…”- John si accorse di avere gli occhi umidi e sperò che il cecchino non se ne accorgesse.
-“Come morirà Sherlock? Credo di avere il diritto di saperlo,anche se sono sicuro che non sarà un modo veloce ed indolore, giusto?”- continuò.
-“Lascerò che sia Jim a spiegartelo. Ha detto che verrà qui a Baker Street appena avrà sistemato l’affare.”- disse Sebastian.
John deglutì. Non aveva grandi problemi con il cecchino, con lui si poteva ragionare. Il vero problema era Moriarty.
 
Sherlock riprese i sensi per la seconda volta mentre era chiuso in quello che sembrava il bagagliaio di un’auto. Era bendato e sentiva le manette stringergli i polsi. Lo spazio era ristretto e lui era costretto in una posizione molto scomoda, data la sua altezza. All’improvviso la macchina si fermò. Qualcuno aprì il bagagliaio e lo aiutò a scendere. Anzi, diciamo che lo scaraventò a terra. Sherlock finì faccia a terra e sentì il naso sanguinare. Gli tolsero la benda e quasi rimase accecato dal sole. Entrarono in un prefabbricato in lamiera abbandonato,uguale ai tanti altri che si trovavano nella vecchia zona industriale di Londra.Non c’era alcun tipo di pavimento all’interno del magazzino, quindi Sherlock era costretto a camminare sul terreno. Solo in quel momento si accorse di essere ancora nudo. Moriarty era in piedi vicino ad una bara aperta. Sherlock smise di camminare quando la vide e ci volle uno spintone per convincerlo a camminare.
-“Oh,ma che gentile,l’hai presa per me? Ne sono onorato”- disse il detective cercando di mascherare il suo timore.
Aveva capito che Moriarty l’avrebbe sepolto vivo.  Lo psicopatico ridacchiò.
-“Non sforzarti Sherlock,è normale avere paura di fronte alla Morte. Spero ti piaccia la mia scelta”-
Sherlock fu condotto di fronte a Moriarty.
-“Niente male, sono colpito. Come mai hai deciso di seppellirmi vivo?”-
Sapeva la risposta, ma non capiva come aveva fatto l’altro a scoprirlo.
-“Perché so la tua più grande paura è quella di perdere il dottore. Tu forse non l’hai capito, ma io si. E’ per questo che ti ho messo davanti ad una scelta. E so anche che soffri molto di claustrofobia. Le tue uniche grandi paure in un solo colpo. Mi chiedevo quale avessi scelto”- rispose lo psicopatico ridendo. Sherlock non disse niente, rimase fermo a fissare ora Moriarty ora la bara. Capì cosa si provava ad avere le gambe che tremavano.
-“Forza Sherlock, prima ci entrerai, prima finirà tutto”- disse Moriarty, aprendo meglio il coperchio della bara. Il detective sospirò.
-“Puoi almeno togliermi le manette?”- chiese Sherlock. Moriarty gliele tolse. Sherlock si sedette nella bara.
-“Ho la tua parola che a John non torcerai neanche un capello?”- Moriarty ghignò.
-“Hai la mia parola, Sherlock. Sai quali sono le cose che mi fanno godere più di tutte?”-
-“Il dolore,la sofferenza e il caos”- rispose Sherlock con un sussurro.
-“Esattamente. Ora, se io uccidessi il dottore, gli farei soltanto un piacere. E invece voglio vederlo soffrire caro Sherlock. Creare sofferenza attraverso le emozioni è molto più appagante che farlo attraverso un coltello.”- disse Moriarty.
Sherlock rimase pietrificato.  Provò pena per John. La sua sofferenza sarebbe finita tra qualche ora, quando l’aria nella bara sarebbe finita, ma quella del dottore sarebbe durata per molto tempo. La voce di Moriarty lo distolse da quei pensieri.
-“Avanti Sherlock, finiamo la partita. Abbiamo chiacchierato fin troppo. E’ stato un onore giocare con te.”-
Sherlock si distese e Moriarty lo chiuse dentro.
Buio. Sherlock sentì il rumore dei chiodi che venivano usati per chiudere la bara. Poi si sentì trascinato e,dopo una specie di breve discesa, capì di essere nella fossa. All’inizio riuscì a percepire il rumore della terra buttata per coprire la sua sepoltura, poi niente più, soltanto buio e silenzio.  Impose a sé stesso di rimanere lucido e di riflettere finchè fosse durata l’aria in quella stramaledetta bara. Non voleva dare a Moriarty la soddisfazione di morire tremante come una foglia. Riuscì a trattenere il suo tremore per un po’, ma poi iniziarono a tremargli le mani. Respirava a pieni polmoni per cercare di calmarsi, anche se sapeva che ogni respiro poteva essere l’ultimo. Il suo cuore batteva forte e sembrava volesse uscire dal petto. Pensò che almeno la vita di John sarebbe stata risparmiata(ma a quale prezzo)e riacquistò un po’ di sicurezza.  Alzò un braccio per vedere quanto fosse alta la bara e constatò che il suo coperchio distava da almeno 15 centimetri dal suo viso. Era abbastanza larga e lunga per farlo stare comodo, per quanto una bara potesse essere comoda. Rimase fermo ad ascoltare il silenzio e a vedere il buio. La sua mente vagava e il tempo passava. Quanto tempo era trascorso? 5 minuti o 10 ore? Poteva essere lì dentro da un giorno senza accorgersene? No, era impossibile,l’aria sarebbe finita prima. Pensò che l’aria avrebbe iniziato a scarseggiare dopo le successive due ore, per poi esaurirsi completamente un’ora dopo. Gli rimanevano quindi tre ore.
-“Mi rimangono tre ore d’aria. Ma quanto ci metterò ad impazzire, chiuso qui dentro?”- pensò. La sua paura degli spazi così angusti era considerevole - Moriarty aveva ragione- e non sapeva per quanto sarebbe rimasto lucido.
-“L’unico modo per uscire vivi da qui è rompere la bara e provare a scavare. Bella missione suicida”-
Decise di provare. Con non poche difficoltà riuscì a staccare un pezzo dell’imbottitura interna, ma dopo di esso trovò una lastra di ferro, che evidentemente Moriarty aveva fatto mettere di proposito tra il legno e l’imbottitura,avendo calcolato questa eventualità. Sherlock fece un sorriso rassegnato.
-“Addio sogni di libertà.-pensò amaramente-E in ogni caso saresti morto non appena avresti aperto un varco.”-
Sherlock considerò quello il primo indizio di follia. Chiuse gli occhi. Era buio lo stesso, ma era un buio più familiare. E’ quello che ci accompagna mentre dormiamo. E’ quello che ci accompagna nei sogni,dove entriamo in un mondo interamente nostro. E forse si addormentò davvero, senza accorgersene,perché all’improvviso sentì che gli mancava l’aria. Possibile che fossero passate già due ore? Iniziò a boccheggiare e a sudare freddo. Rimase comunque il più fermo possibile. Pensò a John senza neanche sapere il perché. Pensò al loro litigio. Fu invaso dal terrore.
-“Sicuramente Moriarty andrà a parlargli. Gli comunicherà che sono morto. Ha detto che voleva vederlo soffrire, almeno psicologicamente parlando,ma se così non fosse? Potrebbe accadere che John sarà lieto della notizia. Magari riderebbe. Magari potrebbe decidere di unirsi a Moriarty, di diventare suo complice e chissà, magari suo amante.”-il corpo di Sherlock fu scosso da un brivido al solo pensiero. Vide davanti ai suoi occhi la scena. Vide Moriarty e John scambiarsi tutta la passione che avevano in corpo. Vide Moriarty prendersi il suo John.Vide Moriarty ottenere ciò che Sherlock aveva sempre desiderato,ma che non aveva avuto il coraggio di chiedere. E adesso era troppo tardi. Troppo tardi per avere l’amore di John. Probabilmente avrebbe avuto solo il suo odio.
-“Mondo crudele! Perché devi far soffrire così un povero disgraziato che sta morendo? Non ti basta sapere che presto di me rimarrà solo cenere, che la mia carcassa sarà divorata dai vermi e Dio solo sa cos’altro? Angelo della Morte, vuoi davvero infierire con tanta crudeltà? Allontana da me questi pensieri o vieni a riscattare il debito che tutti prima o poi paghiamo. Smettila di torturarmi in questo modo o vieni subito a prendere la mia anima. Non aggiungere altra sofferenza!”- gridò Sherlock con quanto fiato aveva. Tutto il suo corpo era in preda ad un tremore incontrollabile. Era sudato e aveva freddo. Moriarty sarebbe stato felice di sapere che ormai era impazzito. Poi tutto sparì così come era comparso. Gli sembrò quasi di avere altra aria a disposizione. Ora che si era tranquillizzato,  realizzò che era stato uno stupido.  John non si sarebbe mai unito a Moriarty. E, per l’amor del cielo, mai sarebbe diventato suo amante.  Lo invase un leggero torpore. Capì che stava per lasciare questo mondo. Combattè quel leggero torpore per fare ciò che non aveva fatto in tutta una vita: pregare. Cos’altro poteva fare un uomo nella sua ora più buia?
-“Ho sempre dubitato della tua esistenza, Dio, e devo dire che non ne sono sicuro neanche adesso che sto per morire. So che tra poco brucerò tra le fiamme dell’Inferno e non chiedo pietà. Se è questo ciò che mi merito, lo accetto volentieri. Non voglio pregare per essere salvo. Ormai il mio destino è segnato. La mia preghiera è per John. Ti chiedo di non farlo soffrire, di non lasciare che Moriarty lo faccia soffrire. John è un uomo forte, io lo so, ma potrebbe aver bisogno di un aiuto. Ci sono molte persone che soffrono nel mondo,ma John è quello che si merita meno sofferenza di tutte. E’ stata una luce nella notte oscura,lui, la mia guida, il mio amico, il mio amore. Ti prego, non far spegnere la fiamma che gli arde in petto. Non lasciare che il dolore annienti tutto il suo amore.  E c’è un’altra cosa che vorrei chiederti, Dio. Mi sembra impossibile che io stia per dirlo davvero, ma tanto ormai non ha più importanza. Per tutto questo tempo ho cercato,riuscendoci, di allontanare le fidanzate di John. Ero geloso ed ero troppo codardo per ammettere i miei sentimenti. Non volevo che mi lasciasse da solo,e non avevo il coraggio di dirglielo in faccia. Ormai è troppo tardi e forse è meglio così. Ti chiedo di fargli trovare qualcuno che lo ami. Qualcuno che lo ami come lo amo io”- pensò Sherlock. Tutte le lacrime che aveva trattenuto per tutto questo tempo adesso gli rigavano il volto e gli impedivano di parlare. Si lasciò vincere da quel torpore e chiuse gli occhi.
Si dice che prima di morire, un uomo veda passare davanti tutta la sua vita. Sherlock vide soltanto i momenti passati con John. Sul volto del detective compare un sorriso.E poi Sherlock non sentì più niente.
 
John e Sebastian erano seduti sulle poltrone in assoluto silenzio quando entrò Moriarty. Se non fosse stato per le manette, John gli sarebbe saltato addosso per strangolarlo.
-“Sebastian, ti dispiacerebbe aspettarmi in macchina? Devo scambiare due paroline con Johnny boy”- disse Moriarty rivolto al cecchino, ma guardava John. Sebastian annuì e andò via. Moriarty estrasse una pistola dalla giacca. John si aspettava che non sarebbe arrivato disarmato.
-“Buonasera, Johnny boy. Indovina un po’ da dove sono appena tornato?”- disse lo psicopatico, giocherellando con l’arma.
-“Dall’Inferno presumo, dov’è giusto che stiano i diavoli come te”- ringhiò John. Si aspettava che Moriarty gli sparasse,lo desiderava,ma ciò non avvenne.  Moriarty si limitò a ridacchiare girovagando per la stanza, ficcando il naso in tutte le cose di Sherlock. John guardò le sue scarpe. Erano sporche di terra e lasciavano impronte ad ogni passo dello psicopatico. Gli venne un’idea e sperò che Moriarty camminasse il più possibile.
-“No, Johnny boy, non vengo dall’Inferno. Vengo dal funerale del tuo caro Sherlock. Eh, già, il grande Sherlock Holmes è morto o comunque molto vicino all’esserlo.”-
Moriarty si voltò verso John con un ghigno. John chiuse gli occhi, deglutì e respirò profondamente. Quelle parole lo ferirono come una pugnalata.
-“Stai soffrendo, vero? Proprio come piace a me. Potrei aiutarti a lenire il dolore, se tu lo volessi”- Moriarty si avvicinò a John e gli sussurrò queste parole all’orecchio. John maledisse le manette.
-“Sai, Johnny boy, se solo tu fossi un po’ più… “elastico”… potresti evitare tutto questo dolore. So essere riconoscente, io, se voglio. “- continuò Jim. John chiuse gli occhi, non voleva vedere, ma sentì le labbra dell’altro mordergli il collo,mentre con una mano provvedeva a tenerlo fermo e con l’altra iniziava a sbottonargli la camicia.
-“Piuttosto preferirei che tu mi sparassi”- gridò il dottore. Moriarty si staccò da lui e ridacchiò.
-“Sarebbe troppo facile. Ti sto dando un’opportunità, Johnny boy,è inutile fare il cagnolino fedele, il tuo padrone non c’è più, non tornerà.”-
Moriarty fece una pausa quando vide lo sforzo che faceva John per non piangere. Era questo il tipo di sofferenza che lo faceva impazzire di piacere.
-“Avanti, Johnny boy,non deludermi,non inseguire il passato. Fatti una nuova vita… unisciti a me.”-
-“Ripeto che preferirei morire”- rispose John, sicuro di ciò che diceva.
-“Ho promesso a Sherlock che non ti avrei ucciso. Gli ultimi desideri di un morto si rispettano, non credi? Ma sappi che,anche se non posso ucciderti, posso renderti la vita un inferno. L’hai detto tu che sono un diavolo.”- disse Moriarty. Anche lui era sicuro di ciò che diceva.  Si diresse verso la scrivania e vi posò qualcosa. Poi uscì dall’appartamento. John si alzò e lo vide entrare nella macchina con Moran. Andò alla scrivania e trovò un paio di chiavi, evidentemente lasciate da Moriarty. Con un po’ di difficoltà riuscì ad aprire le manette e si liberò. Con sua somma gioia notò che Moriarty aveva lasciato parecchie impronte sul tappeto del soggiorno in cui si era svolta la chiacchierata. Sherlock gli diceva sempre che si può risalire ai posti dove è stata una persona analizzando la suola delle sue scarpe e per fortuna le scarpe di Moriarty avevano lasciato parecchia terra.
-“Moriarty non è stupido, se ne sarà accorto e l’avrà fatto apposta. Vorrà farmi arrivare da Sherlock, o da ciò che ne rimane, per farmi soffrire ancora di più. Non m’importa di soffrire. Devo farlo per Sherlock”-  Pensò John lasciandosi sfuggire qualche lacrima. Si affrettò a chiamare Lestrade e a spiegargli la situazione e la sua idea.
-“Arrivo subito con la scientifica.”- disse l’ispettore dall’altro capo del telefono. Dopo pochi minuti, gli agenti della scientifica stavano raccogliendo quanto più materiale possibile.
-“Anderson, quanto tempo ci vorrà per avere i risultati?”- chiese Lestrade all’agente capo della scientifica.
-“Almeno un paio d’ore, capo”- rispose l’altro. John si scagliò contro di lui.
-“Ascoltami bene pezzo di legno con le orecchie,Sherlock riesce a farlo da solo nella metà del tempo. Tu e tutta la tua squadra dovreste metterci  altrettanto. Oppure siete davvero così idioti come dice Sherlock?”-
Anderson si offese.
-“Ci metteremo anche meno di un’ora. Avanti ragazzi, abbiamo abbastanza materiale, procediamo con le analisi”- disse Anderson alla sua squadra e si avviò verso Scotland Yard. Quando non ci furono più agenti della scientifica nell’appartamento, John si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto. Lestrade era allibito.
-“Non guardarmi così Greg, è semplice psicologia”- disse John.
-“E’ proprio vero che chi va con lo zoppo impara a zoppicare.-  disse l’ispettore -Forza, andiamo anche noi”- salì in macchina con John, diretto alla stazione di polizia.
-“Credi che sia ancora vivo?”- chiese Lestrade, una volta che lui e John entrarono nel suo ufficio, in attesa dei risultati. Il medico sospirò.
-“ Moriarty era molto sicuro di sé,altrimenti non avrebbe lasciato tutte quelle impronte, sono sicuro che l’abbia fatto di proposito. Però mi fido di Sherlock”- rispose. Lestrade annuì. I due uomini sedettero in silenzio nell’ufficio in attesa dei risultati. Meno di un’ora dopo, Anderson entrò trionfante con in mano una busta.
-“Ho qui i risultati, in meno di un’ora,proprio come avevo detto. Abbiamo individuato dove si trova il luogo in cui si trova lo stram..il signor Holmes. Si tratta della vecchia zona industriale ad ovest di Londra”- disse,compiaciuto di se stesso.
John si alzò di scatto e quasi lo travolse mentre usciva di corsa da Scotland Yard e prendeva in prestito la macchina dell’ispettore Lestrade.
-“Tieni duro Sherlock,sto arrivando”- pensò mentre sfrecciava a tutta velocità ignorando semafori rossi, divieti e sensi unici. Dieci minuti dopo aveva attraversato mezza città ed era arrivato alla vecchia zona industriale. Scese in fretta dalla macchina e, seguendo l’istinto che l’aveva salvato dalla morte certa in Afghanistan, entrò in uno dei capannoni. Trovò due pale buttate per terra e segni evidenti di terra smossa. Capì che Sherlock era stato sepolto vivo. Si ricordò della sua claustrofobia. Rabbrividì. Decise che non era il momento di perdere tempo e, prendendo una delle pale, iniziò a scavare dove il terreno era più morbido perché era stato spostato da poco. Le braccia iniziavano a fargli male,ma non si fermò neanche un minuto. Quando poi toccò qualcosa di duro con il bordo della pala la sua forza si triplicò. In pochi minuti scoprì tutta la bara. Con non poca fatica la trascinò fuori dalla fossa. Aiutandosi con sempre con la pala riuscì ad aprirla. Solo allora si fermò a riprendere fiato. Sherlock era nudo e sembrava dormisse. Vide i tagli che gli aveva fatto Moriarty e avvertì un moto di rabbia non indifferente verso lo psicopatico. Fece in modo di accantonarlo, doveva pensare Sherlock. Per prima cosa gli prese il polso tra le mani.
-“Grazie al cielo il battito c’è,anche se è bassissimo”- mormorò e poi iniziò a fargli un massaggio cardiaco. Notò che Sherlock respirava, ma debolmente. Non ci pensò su due volte e prese a fargli la respirazione bocca a bocca. Alternava il massaggio cardiaco alla respirazione.
-“Avanti Sherlock, lo so che ce la puoi fare”-  pensava mentre poggiava le sue labbra contro quelle di Sherlock.
-“Andiamo, bastardo egoista, credi davvero di cavartela così?”- gridava, mentre cercava di far tornare il cuore di Sherlock a battere regolarmente.
John non seppe se ciò accadde per le sue urla, per i suoi pensieri o per la sua abilità medica,ma Sherlock aprì gli occhi. Si mise a sedere scattando come un pupazzo a molla e iniziò a tossire. John gli diede forti pacche sulla schiena nuda.
-“Ce l’hai fatta, va tutto bene, devi solo respirare”- disse John all’amico cercando di tranquillizzarlo. Il suo cuore era pieno di gioia e la sua voce la lasciava trasparire. Sherlock si girò verso Watson, poi si guardò. Prese tre o quattro grandi respiri prima di parlare.
-“John, non guardarmi, sono nudo!”- gridò e gli venne di nuovo la tosse. John riprese a dargli delle pacche sulla schiena per aiutarlo. E rideva.
-“Non pensare a queste sciocchezze,ti preferisco nudo piuttosto che morto”- disse. Anche Sherlock rise. Poco dopo sentirono le sirene della polizia e dell’ambulanza.
-“Andiamo adesso, hai bisogno di cure”- disse John e aiutò Sherlock ad uscire, finalmente, da quella maledetta bara.
-“Non ho bisogno dell’ospedale, sto benissimo”- disse Sherlock.
-“Ascoltami bene,sei quasi morto là dentro e per di più sei pieno di tagli, opera di quello psicopatico scommetto, quindi tu adesso vieni all’ospedale senza fare storie e ti fai visitare!”- gridò Watson.
-“Solo se mi visiti tu”- mormorò Sherlock, un po’ timoroso di contraddire John per come aveva gridato. Il dottore sospirò rassegnato.
-“D’accordo, adesso andiamo”-
Salirono sull’ambulanza e a Sherlock venne data una coperta per coprirsi. Lui non ci fece neanche caso,fissando John come se fosse incantato e ci pensò il dottore a mettergliela addosso.
 
 
-“Stenditi sul lettino”- disse John, mentre si infilava il camice. Sherlock obbedì.
-“Sarà meglio dare un’occhiata a questi tagli.”-
John disinfettò e studiò attentamente ogni singolo taglio inferto da Moriarty mentre Sherlock lo osservava in silenzio.
-“Devo cucirne uno”-
Watson gli iniettò una siringa di anestesia e iniziò a rimarginare la ferita all’addome. Fortunatamente non era tanto profonda da necessitare di un intervento in sala operatoria. Sherlock rimase zitto per tutto il tempo.
-“Finito…ti ho fatto male?”-
-“Non ho sentito niente”-Sherlock gli sorrise. John ne fu felice. Gli misurò la pressione e vide che tutti i parametri erano regolari. Il dottore sospirò sollevato.
-“A quanto pare qui è tutto a posto, ti conviene riposare un po’”-
-“Non sono stanco. Non c’è bisogno che tu vada via”- 
John si sedette vicino al lettino di Sherlock.
-“Non ne avevo intenzione”-Sherlock sorrise.
-“Sai John prima ho davvero creduto di morire. Ho perfino visto passare la mia vita davanti agli occhi.”-
-“E’ capitato anche a me, una volta. Fu quando mi spararono alla spalla in Afghanistan. Eppure sono qui”-
-“Hai visto proprio tutta la tua vita?”- chiese Sherlock. John sorrise e scosse la testa.
-“No. Soltanto alcuni momenti,i più importanti credo”-
-“E’ successo anche a me. Non ho visto tutta la mia vita.”-disse Sherlock. Fece una pausa.
-“ Mi dispiace per la tua ragazza John. Ti prometto che non lo farò più.”- sussurrò.
John arrossì.
-“Non preoccuparti di quello, è storia vecchia,non importa. Si vede che le ragazze non fanno per me”- disse con un sorriso.
-“L’importante è che sei vivo”- aggiunse,sfiorando la mano del moro con la propria.
Calò il silenzio. Fu Sherlock a romperlo:
-“John, devo dirti una cosa. Non sono il tipo d’uomo che è abituato a fare confessioni,quindi ti prego, non interrompermi. Sai quanto me che soffro di claustrofobia. Ero praticamente impazzito in quella maledetta bara. Ho sofferto come un cane,più psicologicamente che fisicamente. Ho immaginato perfino che tu potessi odiarmi e decidessi di unirti a Moriarty. Ho immaginato che diventaste amanti. Devi perdonarmi se ho potuto pensare cose simili,ma non ero in me, stavo male. E all’improvviso non sentii più nulla.”- Sherlock fece una pausa, in cui John non osò parlare.
-“Prima di morire vediamo passare la nostra vita davanti agli occhi. Io ho visto soltanto la mia vita con te. Probabilmente perché quella di prima non era vita. John io…io…”- si bloccò. Voleva dirgli tutto, ma non ce la faceva. Sentiva di avere la parola sulla punta della lingua,e non riusciva a pronunciarle. Incrociò i suoi occhi con quelli del dottore,che erano lucidi,e gli chiese aiuto con lo sguardo. John capì. Lo sapeva e l’aveva sempre saputo. Si alzò dalla sedia e posò le sue labbra su quelle di Sherlock,dolcemente,come se temesse di fargli del male. Il detective lo strinse a sé e ricambiò con più passione. Nessuno dei due stava per morire, ma entrambi rividero le loro vite, per meglio dire, la loro vita, perché da quando si erano incontrati erano un tutt’uno.
Il medico appoggiò la sua fronte su quella del detective e rimasero a guardarsi negli occhi. Furono interrotti dalla porta che si apriva. Era Lestrade. Il biondo e il moro si voltarono verso l’ispettore,interrompendo il loro contatto visivo,ma rimasero mano nella mano. Lestrade lo notò e sorrise.
-“Sherlock, stai bene? Ce la fai a dirmi cos’è successo?”- chiese. Sherlock annuì. Contemporaneamente un’infermiera chiamò John perché c’era bisogno di lui in un altro reparto e il medico fu costretto ad uscire,mantenendo fino all’ultimo il contatto visivo con il compagno.
Sherlock raccontò a Lestrade tutto ciò che aveva vissuto. In cambio, chiese a Lestrade di raccontargli cosa era successo al 221B.
 
Era ormai sera inoltrata quando Sherlock e John riuscirono a tornare a casa. Sherlock si lasciò cadere sul divano e si mise seduto. John rimase in piedi.
-“Hai bisogno di qualcosa?”-
-“Vorrei dormire”-
John sorrise.
-“Non avrei mai creduto di sentirti dire queste parole. Ti conviene farlo sul letto però o ti verrà il mal di schiena”-
Sherlock si alzò e prima di dirigersi in camera da letto si fermò davanti a John,lo avvolse tra le sue braccia e gli diede un bacio.
-“Vieni con me?”- chiese il detective.
-“Speravo me lo chiedessi”- rispose il dottore.
Andarono nella stanza di Sherlock, quella più vicina, stendendosi sul letto. Il moro si accoccolò vicino al biondo,abbracciandolo e il biondo ricambiò l’abbraccio. Si addormentarono quasi istantaneamente, stremati per quella lunga e terrificante giornata. Sapevano che la gente avrebbe usato molte parole per definirli,ma a loro non importava. La gente ha bisogno di parole. Sherlock e John invece non hanno bisogno di parole.
  
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