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Autore: CowgirlSara    11/06/2012    12 recensioni
L’orario poteva essere variabile, di solito notte fonda, o addirittura l’alba, ma quando il mondo taceva, il violino perdeva fascino e la comunità criminale di Londra riposava, Sherlock s’infilava nel letto di John.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Your love is like a soldier, loyal till you die'
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Un materasso per due
Per farmi perdonare del mostruoso ritardo che ultimamente sto accumulando con le long fic, mi son messa a scrivere questa cosa con poco senso. È solo che mi divertiva l’idea di quei due nello stesso letto! Non fate brutti pensieri! Oh, lo so che li fate… Ma so anche che non è colpa vostra, ma di quei due teneri imbranatoni *_*
Non è niente di speciale, ma come sempre ci tengo a sapere cosa ne pensate, quindi ogni commento sarà gradito.

La canzone che accompagna tutta la storia è l’adorabile “Waterloo” degli Abba. Non troppo una bed time song, ma troppo carina e adatta allo scopo! La uso solo per amore e non per lucro.

I personaggi usati appartengono ai loro legittimi autori e sono usati senza alcun scopo di lucro.

A voi il testo, divertitevi!
Baci, Sara.

- Un materasso per due -


…at Waterloo Napoleon did surrender
And I have met my destiny in quite a similar way
The history book on the shelf
Is always repeating itself
(Waterloo – ABBA)

Non riusciva esattamente a spiegarsi come fosse cominciato.
Erano trascorsi circa tre mesi dal ritorno di Sherlock dall’oltretomba e tutto sembrava essere tornato al ritmo di sempre. C’erano di nuovo i casi, il violino nel mezzo della notte, i pezzi di cadavere in frigo, il latte che mancava. Insomma, tutta la sua meravigliosa vita con Holmes.
Poi una notte, dopo la risoluzione di un caso impegnativo, che aveva tenuto sveglio Sherlock per giorni e portato John all’esaurimento fisico, era successo.

Quando il violino si era zittito – alle tre e ventotto della notte – John aveva sperato di poter finalmente piombare nelle braccia di Morfeo. Il sonno, difatti, non era tardato ad arrivare, cullandolo in un dolce torpore, dopo giorni fatti di brevi riposi strappati alle indagini ed ai continui sollecitamenti di Sherlock.
Non erano passati che pochi minuti, però, quando la porta della camera si aprì sul lieve chiarore del pianerottolo. Una figura scura sì intrufolò nella stanza, avvicinandosi al letto, poi sollevò le coperte e s’infilò tra le lenzuola, quindi si sistemò con un breve sospiro.

John si voltò su un fianco e scoprì un ostacolo. Un ostacolo grande, caldo e con respiro regolare. Allarmato e col cuore in gola, aprì gli occhi piano.
La sorpresa che si trovò davanti gli fece spalancare la bocca. Impossibile trovare qualcosa da dire.
“È un problema?” Domandò la voce profonda di Sherlock, restando ad occhi chiusi.
“Certo che sì!” Sbottò John. “Che diavolo ci fai nel mio letto?!”
Holmes sospirò vagamente scocciato, girandosi supino. “Fa freddo e non possiamo permetterci di accendere il riscaldamento anche di notte, il mio letto è gelido, mentre questo l’hai già scaldato tu e lo spazio è sufficiente per entrambi senza darci fastidio.” Spiegò quindi.
“Non mi sembrano motivi sufficienti per dividere il letto!” Replicò indispettito John. “È… è una cosa intima, è… il mio letto!”
“Quanto sei noioso, John.” Sbuffò Sherlock. “Ho sonno e questo letto mi fa rilassare.”
“Ti fa rilassare?” Esclamò incredulo il dottore.
“Hm, sì.” Fece Holmes, tornando a girarsi su un fianco e accomodandosi tranquillamente. “Ha l’odore giusto.”
John sbuffò una risatina. “Devo anche cambiare le lenzuola, che odore sarebbe?” Chiese divertito.
“Hn, odore di John.” Rispose atono Sherlock, quindi gli diede le spalle, lasciandolo totalmente spiazzato, ad occhi spalancati.

John avrebbe creduto che il fastidio di avere Sherlock nel suo letto sarebbe durato di più, invece si abituò in fretta. E quella fu la fine. Perché, in breve tempo, diventò un’abitudine.
L’orario poteva essere variabile, di solito notte fonda, o addirittura l’alba, ma quando il mondo taceva, il violino perdeva fascino e la comunità criminale di Londra riposava, Sherlock s’infilava nel letto di John.
Il dottore, col passare del tempo, cominciò ad aspettarlo. Non era una cosa razionale, soltanto faticava ad addormentarsi prima che Sherlock lo avesse raggiunto.
Capitava spesso che parlassero. Della giornata, dei casi. Parlavano, discutevano, ridevano, come se il materasso fosse un’appendice del soggiorno, ma più personale, calda e intima. Le loro voci basse e la sensazione di essere vicini li rendeva più tolleranti. Ed era – oh! – così piacevole.
John, a volte, si addormentava comunque. Almeno finché non arrivava Sherlock con i piedi gelidi – per essere stato tutta la serata e buona parte della notte scalzo sul divano in pieno inverno. Li infilava tra le gambe piegate di John per scaldarli, svegliandolo con un leggero sussulto.
Il dottore, allora, ancora un po’ spaesato e coi brividi per il freddo contatto con la propria pelle calda, sospirava profondamente, cercando di accomodarsi meglio, con l’ingombro dei grandi piedi ghiacciati del detective.
E allora allungava una mano all’indietro e toccava quella di Sherlock, che non ricambiava la stretta ma nemmeno si sottraeva al tocco tiepido di John.

Non durava mai tutta la notte, perché Sherlock si ritirava tardi e si alzava sempre molto presto. John, ogni tanto, si scopriva deluso di questo fatto. Chissà perché, pensava che sarebbe stato bello vedere la sua faccia come prima cosa al mattino.

In quei mesi, capitò solo una volta che non dormissero insieme.
John aveva conosciuto Cathy durante un caso. Era stata vittima di uno stalker a sua volta ucciso da una delle sue vittime. Un caso non semplice, che aveva particolarmente eccitato Sherlock, tanto da non accorgersi che il suo partner faceva il filo ad una sospettata.
Cathy, ad ogni modo, si era dimostrata del tutto estranea ai fatti e così John aveva potuto chiederle di uscire. Al secondo appuntamento era successo e si era ritrovato a passare la notte da lei.
Era tornato a Becker Street al mattino presto. Sherlock era seduto in poltrona che tormentava le corde del violino, gambe accavallate e piedi nudi.
“Hai dormito, stanotte?” Chiese il dottore, impalato sulla porta con ancora la giacca addosso e le chiavi in mano.
“No.” La risposta secca del detective, senza guardarlo.
“Ah… ok…” Biascicò John con aria vagamente colpevole.

La storia con Cathy non durò.
Dividere il letto con Sherlock, invece…

John, però, sapeva che dovevano chiarire questa situazione. Perché erano due uomini adulti. E due uomini adulti non dormono nello stesso letto come fratelli gemelli di sei anni, andiamo! Era consapevole che sarebbe stato a dir poco ostico, tentare di parlarne con Sherlock, ma doveva provare. Ne andava della sua vita privata!

Quella sera Sherlock arrivò abbastanza presto per i suoi standard: era appena l’una e cinquantuno. Rimase in piedi davanti al letto e alzò un sopracciglio, sorpreso di vedere John sveglio che leggeva un libro. Non ci volle molto perché avesse una risposta alla sua domanda inespressa.
“Dobbiamo parlare, Sherlock.” Dichiarò serio il dottore, guardandolo con una smorfia.
L’investigatore emise un verso interessato, alzando le sopracciglia, poi si sfilò la vestaglia e la mise, come sempre, sui vestiti di John appoggiati alla sedia.
“Non credo ci sia qualcosa che dobbiamo ulteriormente chiarire sul caso, no?” Fece, tornando verso il letto. “Ho brillantemente chiarito movente, mezzo, tempistica e logistica dell’omicidio e quel tuo suggerimento sulle rane velenose del centro America è stato utile…”
“Non lo hanno ucciso con le rane…” Biascicò John abbassando il capo; era ancora mortificato da come Holmes aveva scartato quell’ipotesi fantasiosa ma plausibile.
“No, ma era un argomento interessante.” Replicò Sherlock, infilandosi sotto le coperte accanto a lui. “Il veleno degli anfibi tropicali… Potrei inserirlo nel mio sito.” Aggiunse riflessivo.
“Sherlock…” Mormorò arreso il medico. “…non volevo parlare di questo…”
“Beh, allora affronta quello che t’interessa!” Sbottò Holmes, mentre si aggiustava la coperta sul petto. “Ma prima spegni la luce, mi da fastidio.” Ordinò quindi.
John sbuffò esasperato, poi si torse un po’ verso sinistra, allungandosi per premere l’interruttore. Quando la stanza fu immersa nel buio, tornò a mettersi supino.
“Allora?” Lo spronò Sherlock.
“Quanto credi che andrà avanti questa cosa?” Domandò Watson, indicando loro due nel letto insieme.
“Credevo di aver capito che non ti dava fastidio.” Ribatté Holmes aggrottando la fronte.
“Non mi da fastidio.” Replicò immediato John; un po’ troppo immediato, si disse. “O, almeno…”
“Sono un consulente investigativo, non un dentista, John.” Affermò pedante l’altro. Il dottore sospirò, roteando gli occhi.
“Credo che, ecco… questa cosa tra noi…” Odiava parlare con quella insicurezza, specie davanti a lui, perché sapeva che la pazienza non era un suo pregio. “…possa  avere serie ripercussioni sulla mia vita privata…”
Sherlock lo fissò con un’espressione assolutamente indecifrabile per qualche istante, poi sbuffò ironico, alzando gli occhi al cielo.
“John, tu non hai una vita privata.” Dichiarò infine. Watson grugnì.
“Vabbene.” Fece, decidendo di ignorare quel commento. “Se però io volessi invitare una ragazza qui, a passare la notte qui…”
“Oh, andiamo!” Commentò Holmes con tono fastidioso.
“Perché?” Esclamò l’uomo, sollevando su un gomito verso l’amico. “Quando un uomo e una donna hanno una relazione, desiderano anche questo tipo di cose e…”
“Ci sono tutta una serie di motivi per cui non inviterai mai una donna a passare la notte qui.” Lo interruppe Sherlock. “Per prima cosa: trovi che il mio comportamento con loro – intendo i tuoi flirt – sia, in qualche modo che mi sfugge, sconveniente. Poi…”
“In qualche modo che ti sfugge?!” Esclamò John interrompendolo.
“Poi…” Riprese Holmes ignorandolo. “…temi che una donna possa rimanere sconvolta dal nostro stile di vita, dai miei esperimenti o da qualche mio comportamento che ritieni imbarazzante.”
“Ammetterai che, per una persona normale, non è bello trovare teste mozzate in frigo o manichini di cadavere impiccati in salotto…” Commentò il dottore.
Sherlock sbuffò. “Inoltre, hai qualche vago timore che una donna possa trovarmi… hm… più affascinante di te.” Affermò quindi, lanciandogli un’occhiata compiaciuta.
John si lasciò scappare una risatina beffarda. “Oh, Sherlock, credimi, questo è assolutamente impossibile!” Mormorò poi, ridacchiando.
“E perché?” Fece l’altro serio, guardandolo di traverso con la fronte aggrottata.
“Andiamo! Chiunque ti conosca da più di due minuti, ha soltanto voglia di picchiarti con qualsiasi oggetto a portata di mano fino a ridurti al silenzio!”
“Tranne te.” Soggiunse Sherlock.
John girò il capo per guardarlo, ritrovandosi a fissare i suoi occhi trasparenti che, nella semi oscurità, avevano un colore grigio strano, come dell’acqua in un contenitore di metallo. John sorrise a quello sguardo serio.
“Io sono un masochista.” Replicò infine, mentre si stringeva nelle spalle.

Entrambi erano supini, fissavano il soffitto grigio respirando piano. John non voleva che la discussione finisse così, doveva chiarire le cose.
“Davvero non hai mai desiderato un po’ d’intimità con un altro essere umano?” Gli domandò infine, quasi con timore.
Erano argomenti che, da buon inglese, aveva cercato sempre di evitare, specie con lui – e qui il motivo era più misterioso – ma quella domanda era uscita spontanea, come se dividere il letto per settimane lo avesse autorizzato ad esplorare territori finora proibiti.
“Questa, la chiamo intimità.” Dichiarò l’investigatore.
“Noi dormiamo insieme, e basta.” Precisò John. “Io parlavo di qualcosa di più… fisico.”
“Credo che il sesso sia un’attività decisamente sopravvalutata.” Affermò allora Sherlock. “Uno spreco di tempo ed energie che potrebbero essere spese in modi migliori e più utili, e solo per qualche istante di fuggevole piacere.”
“Oh, andiamo!” Sbottò Watson, sbattendo le mani sulla coperta. “Io non posso crederci, è qualcosa di fisiologico! Non ti sei mai fatto nemmeno una sega da ragazzino?”
“Se alludi alla masturbazione…” L’altro annuì. “…ho provato.” Ammise quindi, strappando un mugugno soddisfatto a John. “L’effimera scarica di endorfine e adrenalina è assolutamente non comparabile con quella causata da un nuovo caso e dalla sua risoluzione.” Aggiunse lui.
“Mi dispiace.” Soggiunse John con sincero coinvolgimento.
“E per che cosa?” Sbottò Sherlock. “Io sto bene così, non sento nessuna esigenza.”
“Non siamo fatti per stare da soli, tutti hanno bisogno di qualcuno che gli stia vicino, anche fisicamente.” Spiegò titubante John. “Ne ha bisogno il nostro corpo, ma anche il nostro cervello.”
“Sono a posto.” Ribadì Holmes. “Non ho bisogno di niente e di nessuno.”
“Bene.” Sentenziò asciutto John. “Quindi presumo che tu non abbia nemmeno bisogno di uno scaldaletto umano, così…” Aggiunse, mentre si girava su un fianco e gli dava le spalle. “…puoi tranquillamente tornartene nel tuo letto.”
Il suo tono sembrava offeso, rifletté Sherlock, rimasto a fissare perplesso la schiena del dottore. Ah, quello stupido permaloso! Sbuffò, tornando a guardare il soffitto. Perché doveva sempre sprecarsi in inutili e lunghe spiegazioni con lui?
“Non mi lasci mai finire.” Mormorò poi. Avvertì  John irrigidirsi appena. “Non ho bisogno di niente, perché ho già tutto quello che mi serve. E non ho bisogno di nessuno, perché…”
“Perché?” Lo spronò l’altro, con un filo di voce, sempre voltato dall’altra parte.
“Vuoi proprio farmelo dire?” Replicò Holmes.
“Oh, sì.” Rispose convinto il medico.
“Perché ho te.” Affermò infine Sherlock.

Seguì uno di quei lunghi momenti che si sarebbero potuti definire “silenzi memorabili”, in cui nessuno dei due ebbe il coraggio di dire una parola. O, semplicemente, pensarono che qualsiasi parola fosse di troppo. John, infine, decise di parlare.
“Sherlock Holmes, tu sei la più pedante, saccente, presuntuosa, insopportabile, ermetica, indecifrabile, sorprendente, assurda… bella persona con un brutto carattere, che io abbia mai conosciuto in vita mia.”  Dichiarò tutto d’un fiato.
“Posso ritenerlo un complimento?” Interrogò l’investigatore, con una chiara nota ironica nella voce.
“Hn… sì…” Borbottò John, continuando a dargli le spalle.
“Ti sembrerebbe troppo strano, sentirmi dire che sento il bisogno di un contatto fisico con te?” Azzardò Sherlock.
“So che potrebbe stupirti saperlo, ma tu sei strano.” Precisò l’altro. Un istante e scoppiarono a ridere.
John stava ancora ridacchiando, quando si trovò avvolto nelle braccia di Sherlock. Si irrigidì immediatamente, mentre l’altro gli posava il capo sulla schiena.
“Come ti senti?” Gli chiese poi. Il suo fiato caldo smosse i peli sulla nuca di John e la sua voce gli arrivò all’orecchio calda e bassa, quasi… carezzevole.
John sospirò. Come doveva fare con lui? Gli venne in mente quella simpatica canzone degli Abba, in cui l’amore veniva paragonato alla disfatta napoleonica. Sono sconfitto, tu hai vinto la guerra…(*) Sì, si sentiva di aver vinto, anche se perdeva.
“Mi sento come il ripieno in un involtino di Sherlock.” Rispose infine, ironico, mentre le lunghe braccia e gambe del coinquilino lo avvolgevano. L’altro rise sul suo collo, provocando una deliziosa vibrazione.
“Davvero hai bisogno di una donna?” Domandò allora Holmes, sempre tenendolo stretto e parlandogli sulla nuca. “Cosa può darti una donna, che non ti do io?”
“Non fare domande di cui conosci la risposta, è un insulto alla tua intelligenza.” Ribatté scherzoso il dottore, girando appena il capo.
“Ti ho già detto cosa penso del sesso.” Ricordò l’altro, mentre si accomodava contro la schiena di John e senza accennare a volerlo lasciar andare.
“Se vuoi qualcosa, devi essere pronto a dare qualcos’altro in cambio.” Replicò il medico.
Sherlock, allora, si scostò un po’ da lui, lo prese per le spalle e lo voltò verso di se, senza incontrare resistenza. Si ritrovò a fissare i profondi occhi blu dell’amico. John guardò interrogativo l’espressione riflessiva di Sherlock, in attesa dell’elaborazione fatta dal suo cervello.
L’investigatore, infine, afferrò saldamente il dottore per le spalle, avvicinò il viso al suo e gli diede un breve, secco, duro, impacciato, bacio a stampo sulle labbra.
Quando si scostò e riaprì gli occhi, si trovò davanti l’espressione tra l’incredulo e il divertito sul viso di John. Lo fissò intensamente, inarcando un sopracciglio.
“Questo cos’è?” Chiese Watson. Sherlock tossicchiò e deviò lo sguardo.
“Un bacio.” Rispose poi asciutto. “Ora posso ritenermi autorizzato a dividere il letto con te?”
John dovette trattenersi dal ridergli in faccia. C’erano delle volte in cui, dall’alto della sua enorme intelligenza, Sherlock non capiva proprio un accidente! E questo, invece di irritarlo, gli faceva tenerezza… e la diceva lunga sulla grandezza della sua sconfitta. Non potrei scappare nemmeno se lo volessi…(*)
Il dottore scosse il capo con un sorriso impossibile da dissimulare, poi alzò gli occhi in quelli di Sherlock, che aveva già una smorfia impermalita. Lui sorrise ancora di più e gli prese il viso tra le mani, prima di posare le labbra sulle sue.
Il bacio stavolta fu più morbido, più umido, più dolce e profondo di prima. Sherlock, inizialmente rigido, si rilassò presto, davanti all’esperienza, alla tenerezza ed al calore di John. Quando si lasciarono, lo occhieggiò un po’ confuso.
“Ora, sei autorizzato.” Sentenziò soddisfatto Watson, prima di voltarsi di nuovo e dare le spalle al coinquilino.
Sherlock rimase per qualche istante paralizzato, poi si riscosse, assaporando le proprie labbra ancora intrise del sapore di John. Prese un lungo respiro.
“Questo non significa che faremo sesso.” Commentò infine, serio e compunto, quindi si voltò dalla parte opposta rispetto al dottore. “Buonanotte, John.”
L’altro ridacchiò piano. “Buonanotte, Sherlock.” Rispose poi, il cuore leggero nonostante la sconfitta.

Waterloo,  knowing my fate is to be with you…


FINE


NOTE
(*) I corsivi sono tutte citazioni del ritornello della canzone (lo metto tutto):
        Waterloo - I was defeated, you won the war
        Waterloo - Promise to love you for ever more
        Waterloo - Couldn't escape if I wanted to
        Waterloo - Knowing my fate is to be with you
        Waterloo - Finally facing my Waterloo
    




   
 
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