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Autore: TheClia    12/06/2012    1 recensioni
[...]Il cuore cominciò a battermi talmente forte che cominciai a temere che mi schizzasse fuori dal petto o che semplicemente mi sarebbe venuto un infarto e sarei morta senza neanche sapere cosa mi sarebbe accaduto. Girai il viso, solo per riuscire a sbattere il naso contro un paio di lucide scarpe di vernice nere con un tacco vertiginoso che avrebbe provocato invidia a qualsiasi popstar. Ansimai per lo sforzo di quel semplice movimento, mentre il profumo di menta che avevo sentito nel condominio mi investi nuovamente provocandomi nausea e capogiri. Cercai anche se dolorosamente di alzare il viso quel tanto che mi permettesse di osservare chi sedesse sui sedili posteriori.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

Il tempo passava lento alla libreria. Per quanto fosse in centro la gente, non si curava molto di una libreria di antiquariato nella rinomata città dell’illegalità e malavita come Detroit.
La libreria era molto ampia e dalla mia postazione d’onore, riuscivo a vederla per intero. Le pareti erano di un verde pistacchio scurito e vagamente ingiallito dal tempo, gli scaffali neri e pieni zeppi di libri di qualsiasi genere erano disseminati nello spazio formando tre corridoi. Era un bel posto dove potersi rilassare e fuggire per almeno qualche minuto dalla vita mondana lasciandola al di fuori della porta. L’orologio sopra la mia testa suonò le 12 in punto ed io posai il libro che stavo leggendo sotto il bancone. Andai alla porta e voltai il cartellino in modo che si leggesse il: “Pausa pranzo =)” con uno smile sorridente per cui avevo dovuto combattere con Daniel per rendere quel cartellino almeno un po’ più felice. Tornai alla cassa e la chiusi a chiave, come mi aveva raccomandato Daniel circa un milione di volte, mi diressi al magazzino a prendere le mie cose. Mi svestii della maglia nera e indossai la mia, la sciarpa e il capello. Presi anche la borsa, ci infilai dentro il libro comprato prima e me ne andai a pranzare uscendo dalla porta posteriore.
 
Il vento ululava tra i rami degli alberi portando con sé un fruscio di foglie e uno strano e pungente profumo di menta. Annusai l’aria sorpresa e alquanto stranita dalla fragranza che aleggiava nell’aria. Sembrava provenire dagli alberi o forse era proprio l’aria che ne era impregnata. L’odore filtrava dalla finestra aperta del giro scale. Eppure sapevo benissimo che nessuno di quegli alberi possedeva quello strano profumo. Scuotendo il capo e alzando le spalle con espressione dubbiosa estrassi il mazzo di chiavi dalla borsa. Sbuffai cercando di infilare la chiave giusta nella serratura, peccato che mi risultava parecchio difficile dato la fioca luce che filtrava dalla finestra e l’assenza della lampadina rotta non mi facilitava, in più i capelli mi cadevano come una tenda nera sugli occhi. Li soffiai via dal viso, ma inutilmente, loro tornarono a posarsi davanti ai miei occhi. Con uno scatto a vuoto mi resi conto che la serratura fosse già aperta, corrugando la fronte cercai di ricordare se quella mattina avessi lasciato aperta la porta o se l’avessi chiusa. Sì. Ne ero sicurissima. La porta l’avevo chiusa, la chiudevo sempre. Soprattutto dopo quando da piccola io e mia madre rimanemmo vittime di una rapina in casa nostra a causa di una sua dimenticanza. Tornai alla realtà poggiando una mano aperta a spingere la porta, il palmo che aderiva perfettamente al legno scuro. Quella cigolò un paio di volte, ricordandomi che da troppo tempo mi ero ripromessa di oliarla senza mai ricordarmene, per poi aprirsi di colpo sbattendo silenziosamente contro il muro. Scivolai all’interno del caldo buio accogliente del corridoio anche se una strana sensazione di pericolo mi faceva contrarre le spalle. Con la parte destra appiccicata al muro cercai a tentoni l’interruttore della luce ed appena la mia mano lo trovò, toccò anche qualcosa di caldo, caldissimo. Accesi la luce e ritrassi la mano repentinamente per poi girarmi a fissare cosa avessi mai toccato. Poi tutto accadde così velocemente che non ebbi il tempo di comprendere cosa stesse succedendo. Una figura nera si mosse tanto velocemente che non riuscii a vedere né il viso né il resto. Sembrava una macchia di petrolio che si espandeva a vista d’occhio davanti al mio viso stupefatto e spaventato. L’unica cosa che riuscii a captare era l’altezza e la possanza di ciò che mi stava davanti. Mi sentii colpire al viso con tale potenza che fui piroettata contro la parete opposta andando a sbattere contro il muro sotto la finestra. L’impatto così violento che mi si mozzò il fiato e tanti piccoli puntini bianchi cominciarono ad annebbiarmi la vista e danzare sotto le mie palpebre che si stavano chiudendo. Silenziosamente con un rombo assordante nelle orecchie scivolai in un abisso nero e corposo dal qualche non riuscivo a riemergere. Qualcosa di caldo mi scorreva lungo la fronte e la guancia. Avrei tanto voluto toccarmi per rendermi conto di quanto fossi messa male ma ero troppo stanca, troppo dannatamente stanca. Sospirai e poi più niente, il buio mi avvolse.
 
Aprii gli occhi all’improvviso sentendomi pulsare la testa in modo atroce come se avessi ricevuto davvero una bella botta, ed in quel momento realizzai che era stato proprio così. In quel momento la paura prese il posto della sorpresa nel trovarsi stesa e legata sul pavimento di un auto che non riconoscevo. Il cuore cominciò a battermi talmente forte che cominciai a temere che mi schizzasse fuori dal petto o che semplicemente mi sarebbe venuto un infarto e sarei morta senza neanche sapere cosa mi sarebbe accaduto. Girai il viso, solo per riuscire a sbattere il naso contro un paio di lucide scarpe di vernice nere con un tacco vertiginoso che avrebbe provocato invidia a qualsiasi top-mode. Ansimai per lo sforzo di quel semplice movimento, mentre il profumo di menta che avevo sentito nel condominio mi investi nuovamente provocandomi nausea e capogiri. Cercai anche se dolorosamente di alzare il viso quel tanto che mi permettesse di osservare chi sedesse sui sedili posteriori.
Tre figure mi fissavano con occhi impenetrabili che non riuscii a scorgerne neppure il colore, le loro espressioni indecifrabili come quelle dei poliziotti. Chissà perché ero convinta che non lo fossero affatto. Forse erano le loro espressioni minacciose o forse aveva appena scoperto di possedere un sesto senso.
Una donna sedeva affiancata da due uomini, uno dei quali era enorme quanto io fossi piccola e questo la diceva lunga sulla sua stazza. Tardai qualche secondo a rendermi conto che quella figura non fosse solo enormemente grande ma anche enormemente inumana. I suoi lineamenti assomigliavano molto di più a quelli di un animale, a quelli di un lupo, che a quelli di un essere umano. Il viso appena allungato come se da un momento all’altro al suo posto potesse comparire un muso animale. Il mio sesto senso mi avvisò che se mai fosse successo non avrei voluto essere lì per qualsiasi ragione al mondo.
L’uomo animale, che in quel momento non riuscivo a descrivere in altro modo, si curvò su di me come se avesse voluto accarezzarmi il viso ma la sua mano o forse era più corretto descriverla come una zampa anche se non del tutto pelosa si posò sul mio collo dapprima lievemente per poi stringere sempre di più. Sgranai gli occhi, il mio cuore sul punto di cedere per il terrore, mentre lui stringeva sempre più. Il mio mondo cominciò nuovamente a traballare mentre la mia bocca cercava invano di emettere qualche suono di disperato aiuto. Ma l’aria ormai non raggiungeva più i miei polmoni che cominciarono a bruciare e prosciugarsi in un modo terribilmente veloce. L’ultima cosa che vidi prima di perdere conoscenza per la seconda volta fu solo il viso animale dell’uomo seguito da un ringhio rabbioso e lupesco prodotto da qualcosa che sembrava una gola umana.
  
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