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Autore: Olimpias    13/06/2012    3 recensioni
«Buongiorno. Mi scusi, non volevo dist… », cominciò l’ispettore.
«Di cosa ha bisogno?», lo interruppe la danzatrice senza nemmeno voltarsi e continuando a fissarlo attraverso lo specchio. Le mani sulla spalliera, i piedi a formare un angolo perfetto, il busto retto… Il suo corpo, in quel momento, rispecchiava la rigidità interiore di quella donna incapace di apparenti inquietudini dell’animo. La flessibilità che aveva dimostrato di possedere e quel trasporto così esplicito, forse, non erano altro che perfette imitazioni di qualcosa che - Orhos se ne stava convincendo sempre più - lei probabilmente non aveva mai provato.
Genere: Dark, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mentre parcheggiava nei pressi della scuola di danza, con l’animo pesante, gli scorrevano davanti le immagini del cadavere grigio di Emily.

La mente analitica dell’ispettore Ohros si soffermò, macabra, sul segno rosso sul suo collo, sugli occhi vitrei e spalancati. Erano stati sicuramente bellissimi, pensò con rimpianto. Era certo che, vederla ballare, sarebbe stato come vedere un daino correre nella foresta umida. Piena di vita, aggraziata, dinamica.

Mentre saliva le scale in pietra deserte poteva udire l’eco dei suoi passi pesanti. Speditamente si diresse dove sapeva. Ormai ricordava a memoria il percorso.

Quando fu di fronte alle pareti a vetri della palestra non esitò a entrare, nonostante la ballerina si stesse allenando. Lei se ne accorse, ovviamente, ma – sdegnosa – lo ignorò e continuò il suo esercizio.

Distese tutto il corpo, che si allungò come una sinuosa molla infinita. Poi, quasi impercettibilmente, con una lentezza estrema e sempre in tensione assoluta, cominciò ad arcuarsi. Piano, piano… prima le mani, poi le braccia, e poi sempre di più, fino alle spalle, al seno, alla schiena, e infine natiche e gambe. Il primo pensiero che attraversò la mente di Ohros, come un lampo, fu che la donna, nell’intero suo gesto, sembrava preda di una forte ed elastica sensualità.

Incantato, ci mise qualche secondo a comprendere il dejà-vu che si trovava di fronte. Quella donna, il modo in cui si stava inarcando tutta, quasi in preda ad uno spasmo erotico, le ricordava vividamente una scultura di Rodin dal nome, per lui, sconosciuto. Non era mai stato una grande conoscitore dell’arte.

Ci furono un paio di secondi di completa immobilità, nel corpo della giovane ballerina. Poi la tensione venne rilasciata, i muscoli parvero cedere, e con la stessa languida eleganza, Amalia si ricompose, tornando a dimensioni e posizione normale. Dopo la breve performance, Orhos era quasi arrivato al punto di credere che l’essere che aveva davanti non fosse veramente una donna, ma piuttosto una seducente fata, o una venere voluttuosa. Un magnifico mostro. Poi lei aveva aperto le palpebre, l’aveva guardato con quegli occhi freddi e glaciali, e l’incantesimo s’era spezzato. La dea era tornata l’algida, nordica e tonica Amalia che aveva già conosciuto, e tutto il gelo dei suoi modi e del suo essere si lanciava fuori da quelle iridi grigio azzurre, incastonate in una coroncina di ciglia chiare. Era raccapricciante.

«Buongiorno. Mi scusi, non volevo dist», cominciò l’ispettore.

«Di cosa ha bisogno?», lo interruppe la danzatrice senza nemmeno voltarsi e continuando a fissarlo attraverso lo specchio. Le mani sulla spalliera, i piedi a formare un angolo perfetto, il busto retto… Il suo corpo, in quel momento, rispecchiava la rigidità interiore di quella donna incapace di apparenti inquietudini dell’animo. La flessibilità che aveva dimostrato di possedere e quel trasporto così esplicito, forse, non erano altro che perfette imitazioni di qualcosa che - Orhos se ne stava convincendo sempre più - lei probabilmente non aveva mai provato.

Con un gesto annoiato la donna si voltò, raccolse una bottiglia d’acqua da terra e bevve un sorso.

« Sono qui per Emily Ferguson », disse l’ispettore, approfittando della pausa.

« Sì, lo so. Lei è di nuovo qui per Emily Ferguson perché non l’ho convinta le ultime volte ».

« Non ha bisogno di convincermi, deve semplicemente dirmi la verità ».

« Non crede al mio alibi », disse Amalia. Era una constatazione.

Ed era così. Lui non le credeva. Non credeva a una singola parola di ciò che gli aveva detto. Era certo fino al midollo che fosse stata lei. Ma non c’era colpa senza movente. E la donna di fronte a lui non aveva apparentemente nessun movente per uccidere la piccola Emily.

Nessuna apparente gelosia di mezzo ed Emily, per quanto una promessa, non era comunque in grado di competere con la perfezione da professionista di Amalia, quindi nessuna invidia professionale. E allora perché Ohros vedeva il sangue scendere copioso dalle mani diafane della ballerina?

Si fissarono a lungo. Lei impassibile, o quasi. Lui, invece, si perse ancora una volta, ancora un attimo, nell’incarnato perfetto, nel piccolo neo bruno del mento, lungo la linea delle sopracciglia, nel collo tonico e slanciato, e infine nella tavolozza di gradazioni di grigio degli occhi di Amalia. Se non fosse stata la  Regina dei Ghiacci e un’assassina, Ohros ne era certo, avrebbe perso la testa per lei.

Ritornato in sé, l’ispettore tirò fuori dalla tasca del cappotto una busta di plastica che il giudice gli aveva permesso di portare fuori dal commissariato. Voleva fare scena, vedere se l’impressionava.

« Il medico legale ci ha messo un po’ per trovarlo, ma alla fine è venuto fuori. C’era questo capello biondo tra i ricci neri di Emily. Evidentemente non è suo ».

« E pensate sia mio ».

« No, perché? Non possiamo escluderlo, però. È per questo che sono qui. Ho bisogno di confrontare il suo DNA con quello del capello ritrovato. Così potremo essere certi che non è lei », disse fintamente l’ispettore.

Amalia tacque un attimo, poi sorrise, gelida, e con naturalezza tolse le forcine dallo chignon che le intrappolava la chioma. Poi, con lentezza, senza togliere un secondo gli occhi dall’ispettore, si passò una mano tra i fili d’oro, che brillarono in maniera incantevole all’ultima luce del pomeriggio.

Allungò un capello ad Ohros, che con prontezza estrasse un’altra busta di plastica e fece sì che la donna potesse metterci dentro ciò di cui si era appena privata.

L’ispettore sigillò la busta, e sentì che con essa stava chiudendo anche qualcos’altro, ma non avrebbe saputo dire cosa.

Salutò con un gesto riverenziale e voltò le spalle al palazzo della Regina.

Non sapeva se così, finalmente, sarebbe riuscito a serrare la morsa su di lei, ma la luce che le era brillata negli occhi mentre voltava le spalle gli aveva fatto salire un brivido su per la schiena. Freddo.

  
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