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Autore: RMSG    14/06/2012    8 recensioni
[Storia partecipante al contest di Filira 'War Tales - Racconti di Guerra']
[...]
Linda tacque. I tasselli del puzzle s’incastrarono pian piano tutti e il filo del discorso si tese come una corda di violino. Oliver fece una pausa, lunga, colma di dolore e di gelosia, di rabbia e invidia e se da una parte desiderò morire, per poter, magari, rivedere Edward, dall’altra non voleva cedere all’enorme potenza della morte. Sapeva di meritare di soffrire e questo era il suo scotto da pagare per aver tentato di ribellarsi a qualcosa contro cui non avrebbe mai potuto vincere.
"Ho pregato Dio ogni giorno di lasciarmi morire, anche brutalmente. Ma lui ha preferito tenermi in vita sino a quest’età… incredibile quanto possa essere vendicativo quel tipo lassù, eh?". Non s’accorse, Linda, che Oliver stava piangendo. "Non sai quanto vorrei poter chiudere gli occhi e smettere di star male”. La giovane s’alzò, col capo chino e le braccia penzolanti lungo i fianchi.
"La morte può essere l’espiazione delle colpe, ma non può mai ripararle, Zio".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Edward Elric, Nuovo personaggio, Roy Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti e benvenuti alla lettura di questo mio nuovo esperimento, 'stavolta sottoforma di one-shot.
Chi mi conosce sa che raramente sono soddisfatta a pieno di cosa scrivo e infatti anche in questo caso non sono mancati gli auto-rimbrottamenti. Tuttavia, sono orgogliosa di me stessa per essere riuscita a portare a termine un'idea che ritengo sia abbastanza complessa. Mi auguro che il tutto sia di vostro gradimento e che per voi sarà spontaneo lasciarmi un piccolo pensiero.

Per quanto riguarda i ringraziamenti: in primis un grazie grande tanto quanto la sua tenerezza a Child of Bodom nonché mio amato.
Poi grazie a Bellatrix29, che presta i suoi servigi e le sue opinioni sempre in modo gentile ed entusiastico;
Infine grazie a Filira che ha indetto il contest cui questa storia per l'appunto partecipa.
Detto questo, buona lettura!








Happiness and Revolution
(Can you forgive me?)





"Zio? Ci racconti la storia di quella spada?".
Un anziano signore appollaiato sulla sua tanto amata poltrona si gode il calore del caminetto e il sorriso dei suoi due, hippies, nipotini. Era un vecchio zio stanco, non ci vedeva né sentiva più tanto bene e anche se la memoria spesso lo ingannava, quella storia non se la sarebbe mai potuta dimenticare, nemmeno dopo sessantasei anni.
Alla richiesta della giovinetta seduta di fronte al fuoco e a lui, sorrise, increspando il proprio volto in una sconfinata miriade di rughe. "La storia di quella spada..." disse pensieroso, con aria stanca ma saggia.
"Dai, zio! Voglio saperla anche io! Raccontacela!" esclamò anche l'altro nipote, il maschio, mentre giocava coi propri lunghissimi capelli. Il prozio scosse il capo, pensando che un ragazzo come lui avrebbe dovuto portare i capelli corti e ordinati, a differenza di come scelleratamente faceva quello sciocco sempre pronto a seguire queste 'strane' nuove mode. Ai suoi tempi, c'era un modo di comportarsi cui non si poteva prescindere; c’erano regole da rispettare e codici che finivano per portare le persone ad azioni anche abominevoli.
Rifletté molto sulla possibilità di raccontare ai suoi nipoti quell’insanguinata storia e alla fine arrivò alla conclusione che sì, poteva dire loro tutto quanto. Era così dannatamente anziano, lui, ed era arrivato a un certo punto della sua vita in cui quel segreto, quell’errore, era diventato troppo grande, troppo pesante. Prima di morire, voleva almeno che quei due scapestrati imparassero qualcosa da un vecchio pazzo con le mani sporche di rosso.

Con in sottofondo un leggero vociare proveniente dal radiolone sulla credenza, nonno Oliver, mani in grembo e fiato nei polmoni, cominciò a narrare.
"Io sono nato nel 1882 e venivo da una famiglia che di soldi ne aveva pochi. Le nostre tasche erano povere, ma il nostro cuore era ricco di...".
"Aspetta, aspetta!! Oddio, adoro questa canzone! Alex, è Yellow Submarine!" gridò la ragazza e il fratello subito la seguì vicino alla radio per alzare il volume, cominciando a ballare.
Oliver li osservò seccato, arcigno e infastidito per essere stato interrotto a causa di una canzonetta fatta da qualcuno di quei tipacci capelloni, ma non poté non sorridere e ridacchiare quasi alla gioia sui visi di quei due giovani. Notò come si facessero cullare dalla musica e da parole che per un vecchio decrepito come lui non avevano un significato preciso. Li osservò ballare e li sentì ridere, e allora pensò che i tizi autori di quella canzone forse non dovevano essere così male. Anche se avevano i capelli troppo lunghi.
Finita la musica i ragazzi abbassarono il volume, rimettendosi seduti sul tappeto davanti a lui a gambe incrociate. "Scusaci, nonno, ma quando la musica chiama..." e risero, guardandosi felici.
Il vecchio Oliver sospirò: "Sì sì, ma ora state zitti e ascoltatemi, perché non ho intenzione di fermarmi più, chiaro?" minacciò, con finta aria malevola, e quegli sciocchi sconsiderati finalmente si zittirono ad ascoltare.


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Io, Oliver Ridley, venni al mondo in un'umida e calda giornata d'estate del 1882. Ero il sesto figlio di una famiglia povera, ignorante e dipendente per lo più da elemosina o dai lavori che nessuno voleva fare. Ci si arrangiava e anche se a tavola spesso mancava un pasto, sentivo che l'amore no, quello non mancava mai. Però d'amore non si vive e dovetti impararlo nel modo peggiore possibile. Abbandonato dalla mia tanto adorata famiglia, mi sono ritrovato a cercare rifugio insieme a una miriade di altri bambini orfani dimenticati da Dio sin dalla tenera età. Lì conobbi due persone la cui storia d'amore sarebbe stata la più grande mai narrata. E sì, erano due maschi. E no, non era poi così strano, perché fra di loro c'era sempre stato un legame del tutto ultraterreno, che scindeva dalla mera comprensione umana, e io... beh, io me ne intendevo d'amore.


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"Cavolo, zio! Sei così oltre! Dammi il cinque!" propose Alex, entusiasta dalle parole del parente. L'anziano, stizzito per esser stato nuovamente interrotto, colpì col proprio bastone la testa dello sciagurato nipote.
"Ti ho detto di non interrompermi!" sbraitò, per poi riacquistare un'inquietante e cupa calma mentre un grosso bernoccolo cresceva fra i capelli troppo lunghi di Alex.


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Edward e Roy erano perfetti; nacquero con lo stesso ideale e morirono insieme nel tentativo - purtroppo vano - di realizzarlo con divise dai colori diversi.
Quando nel 1° Novembre del 1899, tutti e tre diciassettenni, scoppiò la Rivoluzione Del Cambio Di Secolo - così nei pochi libri di storia non censurati sarebbe poi stata chiamata -, tutti furono messi di fronte a una scelta. Arruolarsi per difendere gli altolocati o rimanere fra il proletario a prendersi le pallottole. Insieme a Oliver, Roy scelse l'inamidato colletto dell'esercito inglese, mentre Edward gli sporchi stracci operai.
"Come puoi venderti così?!" gli gridò contro Edward. "Mi fai schifo! Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme!". Roy sospirò, arrabbiato.
"Stupido, ma non capisci?! Così avrò uno stipendio e potrò aiutarvi! Oltre che proteggervi con le armi d'ordinanza che mi daranno!" gli spiegò, mettendogli le mani sulle spalle.
"Stronzate! Tu ti sei venduto e non appena uscirai di qui, non ti farai rivedere mai più!" piccole lacrime apparvero agli angoli degli occhi di Edward. "Come hai potuto, Roy? Come? Scegliere la via più facile non è mai stato da te...". Roy lo abbracciò di slancio e affondò il viso nella sua camicia logora.
"Edward, io ti amo. E voglio un bene dell'anima anche ai bambini che ogni giorno aiutiamo perché non affrontino ciò che abbiamo dovuto passare noi" gli accarezzò i lunghi capelli biondi mentre Ed gli si stringeva contro. "Ma così, non posso cambiare le cose, lo capisci? Non posso fare niente. La gente è confusa, terrorizzata, è convinta che il mondo finirà tra qualche giorno e quindi se ne frega delle regole, delle leggi. Si approfitteranno di voi e quei poveri bambini... Dio solo sa che fine faranno se non vi porto da mangiare". Se lo coccolò fra le braccia a occhi chiusi, cercando forza da lui. "Ed, non lascerò che ti succeda niente, io-AH".
Due gemiti, due camice bianche che diventavano scarlatte e due corpi che ricadevano su se stessi, incastrati l'uno all'altro da una spada.
Edward e Roy erano perfetti; nacquero e morirono con lo stesso ideale e guardandosi negli occhi.
"Schifosi finocchi" e l'assassino scappò via.

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Oliver si rabbuiò. Pensò a cosa dire e scartò gli iniziali buoni propositi, tornando indietro come un gambero.
Il resto lo inventò, preferendo il nascondere la testa sotto la sabbia.

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A trovarli fui io, quella stessa notte. Ero andato a cercare Roy perché non aveva fatto ancora ritorno in caserma e questo lo aveva spaventato un po', considerato che era uscito in divisa: che qualche ribelle lo avesse catturato?
A dire il vero, avrei preferito mille volte che qualcuno gliene avesse date di santa ragione senza un motivo ben preciso. 
Ricordo che la nausea saliva, inesorabile, e che si trasformò in liquido trasparente nelle mie orbite. Ricordo che avrei voluto strapparmi gli occhi piuttosto di vedere ancora per un secondo quell'abominevole spettacolo mentre a stringermi o a darmi una pacca sulla spalla non c'era nessuno. A parte la disperazione.


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"Allora, quel fioretto... quel fioretto è la spada che li trafiggeva?". Linda si mise le mani sulla bocca e una lacrima gli rigò una guancia. "Ma è una storia terribile, mio Dio..." scosse il capo, disgustata.
"Ma chi era stato a ucciderli in modo così infame? L'hai mai scoperto?". Oliver sospirò, guardando tutto quel fervore giovanile.
"Io conoscevo già il colpevole, lo ammetto. La morte di Roy ed Edward era qualcosa di programmato da tempo immemore, sin da quando eravamo solo dei poveri bambini".


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"Un, due, tre, stella! Ah, ti ho beccato, Zolf!" Edward rideva scandalosamente forte, mentre il piccolo Zolf J. s'ammutoliva imbronciato sotto l'umiliazione d'aver perso al gioco. Quando si è piccoli le cose sono molto diverse dalla realtà ed è ovvio che perdere a un gioco può diventare quasi come perdere l'onore. Sembra assurdo ma andò davvero così. Zolf non era bravo a giocare a niente, non era bravo con le persone e tutti lo ritenevano un bambino antipatico. Nemmeno io, che sono sempre stato buono e gentile con tutti quanti, sono mai riuscito a sopportarlo. Nessuno riusciva ad avvicinarlo e lui non voleva che nessuno ci provasse. Più passava il tempo, più il suo rancore cresceva, più si isolava dal nostro gruppetto, che ormai era diventata una piccola famiglia. Ci aiutavamo a vicenda, o almeno ci provavamo. 
C'era chi cercava di recuperare vestiti nuovi, chi si preoccupava di recuperare l'acqua piovana per lavarci e chi, come Roy, procurava la cosa principale: il cibo. Avevo sempre pensato che Roy fosse un bambino davvero carino, con quei grandi occhioni neri, quella zazzera scura sempre arruffata e quei vestiti più grandi di lui d'almeno tre taglie. Ma era un ragazzino troppo intelligente per ingannare i commercianti di Covent Garden soltanto col suo candore. Lui li imbrogliava e intortava con le parole imparate dai comizi sentiti per strada ed essendo anche l'unico fra di noi capace di leggere il minimo, quando avevamo dei soldi non ci facevamo fregare da alcuni maligni venditori.
Se fosse nato in questi anni, Roy, forse sarebbe stato un grande stratega militare, sapete? Perché era... era semplicemente geniale. Solitamente girovagava per Londra tirandosi dietro una pentola d'acciaio un po' ammaccata e un po' arrugginita, dove faceva finire tutto il suo bottino della giornata. 
Il suo metodo era quasi sempre lo stesso: prima s'avvicinava stringendosi piano il pancino, guardando triste i venditori, facendo leva sui sensi di colpa. Così riusciva a guadagnarsi sì e no una mela, se gli andava bene. Ma mentre triste e sconsolato guardava con finta ammirata commozione la mela rossa di turno, Edward da dietro rubava dalla bancarella di tutto e di più, persino cartelli dei prezzi!
Roy era un professionista (sapeva proprio fare ogni cosa) e alla fine, infatti, riusciva sempre a intenerire il commerciante e a farlo sentire così tanto in colpa che poi, quando inviava un altro di noi lì vicino a fare la stessa sceneggiata, il proprietario della bancarella donava ben due, mele. E il pranzo era servito.

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"Mi sembra incredibile che a nessuno importasse di così tanti bambini abbandonati…" disse Alex, scandalizzato.
Lo zio sbuffò e con poche parole demolì il nipote. "Alex, non capisci? Nella grigia e sporca Londra di fine Ottocento niente era certo, salvo le spese. Tutti, da ricchi a poveri, andavano alla ricerca del prezzo migliore, perdendo anche qualche monetina qui e là, senza nemmeno rendersi conto di quanto quella monetina potesse fare la differenza per qualcuno. Nonostante sembrasse una città piena di vita, le persone che vagavano a tutte le ore e senza sosta per le oscure vie apparivano come anime perdute. Uno poteva sentirle passare accanto come un inconsistente soffio d'aria...". Persino le parole di Oliver apparvero come fruscii di un vento smorzato.

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Come avrete certamente capito, forse noi ce la passavamo meglio di chi viveva in una bella casa, calda e profumata. Non ci lamentavamo così tanto, preferivamo abbandonarci all'affetto reciproco, senza crearci alcun tipo di problema. I legami erano forti e se ne creavano di nuovi ogni giorno, proprio perché si aggiungevano e se ne andavano bambini quotidianamente. I veri guai, però, come vi ho detto, arrivarono nel Novembre del 1899 con lo scoppio della rivoluzione. Tutti erano terrorizzati, tutti desideravano sopravvivere a questa fantomatica fine del mondo a spese altrui e non importava chi sarebbe rimasto indietro; in quel periodo dominava solo la legge del più forte. Le varie superstizioni e i vari pregiudizi diventarono il pane di tutti i giorni e la folla, la massa, si nutriva di quello. Fra le tante cose, anche l'odio per l'omosessualità aumentò vertiginosamente - come se il vero problema da affrontare fosse stato quello.
Ero spaventato e preoccupato per i miei amici, per i bambini e anche, soprattutto, per me, ovvio. Avevo diciassette anni e vivevo con l'incubo di non arrivare sano e salvo alla mattina dopo.

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Il vecchio smise di raccontare, prendendosi una pausa dopo aver rievocato tutti quei dolorosi ricordi. Alla fine non era facile parlare di Roy ed Edward dopo così tanto tempo.
"Zio Oliver?" mormorò, Linda, con le lacrime agli occhi. "Ma Roy ed Edward.. perché sono morti, alla fine? Quale fu la loro colpa? Solo l'essere omosessuali?".
Oliver prese il fazzoletto di stoffa dai pantaloni e lo porse alla sua nipotina, un po' triste. Linda lo prese volentieri e gli donò uno sguardo colmo d'affetto e ringraziamenti mai detti. Subito dopo si soffiò il naso nel fazzoletto e fece per ridarglielo. Il nonno la guardò un po' scioccato, poi scosse il capo. "Tienitelo" borbottò, e si abbandonò sulla poltrona, chiudendo gli occhi.
"Sai, Linda... io non so come risponderti. La verità è che loro furono le prime vittime disponibili di un assassinio che fu solo lo sfogo di una società ormai del tutto marcia".
"In che senso?". Oliver si grattò la testa. Come poteva spiegarglielo?
"La verità è che quando la corrente ti sta portando dove vuoi andare, non discuti più nulla, capisci? Nemmeno volendo, perché non ha più senso abbaiare una volta nel gregge: basta scodinzolare e mordere qualunque cosa si trovi fuori la recinzione". Linda sembrò comprendere e a lungo si guardarono negli occhi. Entrambi li avevano dello stesso ceruleo colore. A Oliver sembrò davvero che sua nipote avesse capito, e lo sperò. Non erano cose facili da spiegare. O da ammettere. Nel senso che parlare di un omicidio, del suo colpevole e delle sue motivazioni erano argomenti scabrosi di cui non si vorrebbe mai parlare. Forse.
"Come si chiamava l'assassino?" domandò a bruciapelo Linda.
"Fu quel Zolf J., ovviamente. Invidioso del loro amore e rancoroso sin da quando eravamo bambini".
"Vuoi dirmi che quest'uomo ha assassinato due persone solo per invidia?".
"L'invidia è solo un'ammissione d'inferiorità, tesoro...". Oliver s'ingobbì sotto il peso delle sue stesse parole e strizzando i piccoli azzurri si sfogò. "Gli uomini vanno continuamente alla ricerca della felicità, ma non la trovano mai. Se a noi sembra sempre che la fortuna ci sfugga dalle mani per un niente, per la gioia altrui abbiamo sempre un occhio di riguardo". 
"Ma uno può scegliere se essere una persona cattiva, invidiosa o scorretta, no?" intervenne Alex, cambiando posizione e stiracchiando le gambe un po' intorpidite.
"Non credo, Al" rispose Linda, incupita. "Non puoi sopprimere all'infinito ciò che hai dentro. Alla fine verranno a galla per torturarti eternamente". Oliver prese parola, per cercar di cambiare discorso.
"E' con quella stessa spada che ho partecipato alle guerre mondiali, sapete? Come portafortuna" si girò a guardarla. "Volevo che loro fossero con me e che mi perdonassero per non esser riuscito a impedire la loro morte..."
"Mentre facevi strage di nemici, no?" continuò Linda. 
"No, mentre cercavo di darvi un futuro migliore".
"Un futuro dal passato di sangue".
"Non è stata colpa mia!" tuonò, Oliver. "Dovevo farlo!" e tossì, affaticato dall'urlo.
"No, non dovevi! Potevi rifiutarti! Potevi seguire la strada più difficile, sì, ma più giusta! Potevi combattere al loro fianco e non venderti!". Alex prese per un braccio sua sorella.
"Lin, calmati. Non è colpa dello zio... lui era un militare da tanto tempo, ormai, doveva per forza partecipare a quelle guerre". Linda lo fissò, irata, e si calmò. Gridare non avrebbe cambiato assolutamente niente. Lo sapeva lei e lo sapeva Oliver. Lo sapevano tutti, anche Dio.
Alla fine Alex se ne andò, doveva andare dal barbiere per farsi qualche treccina. Linda, dal canto suo, rimase ancora un po’ con lui. 

"Ora siamo solo io e te. Dimmi la verità, dimmi la vera storia, zio Oliver”. 
Oliver la guardò torvo e addolorato ricominciò a parlare, sinceramente ‘stavolta, mentre il tempo aveva finalmente terminato di logorare l’errore e di levigare la verità.
"Ti sei mai chiesta, Linda, come mai io non mi sia mai sposato?"

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Il fatto è che lo amavo. 
Lo amavo talmente tanto che se solo me lo avesse chiesto gli avrei regalato il mio cuore strappandomelo a mani nude dal petto. Amavo i suoi occhi dorati e il profumo assolutamente innato che emanava mi faceva impazzire. Lo sognavo di notte, lo cercavo di giorno, lo veneravo ogni istante. Edward era perfetto. Roy era perfetto. Io no. 
Come ho detto prima, io, Edward e Roy eravamo un terzetto assai affiatato. O meglio, lo siamo diventati, perché prima c’eravamo solo io ed Ed. E andava tutto alla perfezione. 
"Ed" un minuscolo e da poco decenne me stesso abbracciò stretto Edward, commosso. "Grazie per aver rubato quel pezzo di pane per me. È il più bel regalo di compleanno del mondo!". Ricordo che Edward rise, imbarazzato, e si grattò la testa. 
"Era il minimo che potessi fare". Il cuore mi batteva e mi sentivo così felice che avrei potuto toccare il cielo con un dito. E lo feci, davvero. Andai in paradiso quella mattina, per poi ritornare sulla Terra con uno schianto. Era arrivato un nuovo bambino quel pomeriggio e si chiamava Roy.
Roy aveva tutto ciò che io non possedevo. Dall’età all’innata bellezza fanciullesca, dal sorriso ai capelli lucenti, dagli occhi di tenebra a un grande, enorme generoso cuore. 
Io invece ero piccolo, sdentato, bruttino e insicuro di me. L’ombra di Roy, insomma, e l’ombra di Edward. Credo risulterebbe inutile raccontarti di quanto Ed rimase colpito dal nuovo arrivato. Così tanto colpito da dimenticare che quel giorno era il mio compleanno. Più avanti negli anni, quando tutti ormai volevano bene a Roy, ci ritrovammo a festeggiare quel giorno come l’anniversario della sua venuta. Di me, s’erano già tutti scordati.


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Linda tacque. I tasselli del puzzle s’incastrarono pian piano tutti e il filo del discorso si tese come una corda di violino. Oliver fece una pausa, lunga, colma di dolore e di gelosia, di rabbia e invidia e se da una parte desiderò morire, per poter, magari, rivedere Edward, dall’altra non voleva cedere all’enorme potenza della morte. Sapeva  di meritare di soffrire e questo era il suo scotto da pagare per aver tentato di ribellarsi a qualcosa contro cui non avrebbe mai potuto vincere.

"Ho pregato Dio ogni giorno di lasciarmi morire, anche brutalmente. Ma lui ha preferito tenermi in vita sino a quest’età… incredibile quanto possa essere vendicativo quel tipo lassù, eh?". Non s’accorse, Linda, che Oliver stava piangendo. "Non sai quanto vorrei poter chiudere gli occhi e smettere di star male”. La giovane s’alzò, col capo chino e le braccia penzolanti lungo i fianchi.
"La morte può essere l’espiazione delle colpe, ma non può mai ripararle, Zio".

   
 
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