Chi mi conosce sa che raramente sono soddisfatta a pieno di cosa scrivo e infatti anche in questo caso non sono mancati gli auto-rimbrottamenti. Tuttavia, sono orgogliosa di me stessa per essere riuscita a portare a termine un'idea che ritengo sia abbastanza complessa. Mi auguro che il tutto sia di vostro gradimento e che per voi sarà spontaneo lasciarmi un piccolo pensiero.
Per quanto riguarda i ringraziamenti: in primis un grazie grande tanto quanto la sua tenerezza a Child of Bodom nonché mio amato.
Poi grazie a Bellatrix29, che presta i suoi servigi e le sue opinioni sempre in modo gentile ed entusiastico;
Infine grazie a Filira che ha indetto il contest cui questa storia per l'appunto partecipa.
Detto questo, buona lettura!
"Zio?
Ci racconti la storia di
quella spada?".
Un anziano signore appollaiato sulla sua tanto amata poltrona si gode
il calore
del caminetto e il sorriso dei suoi due, hippies, nipotini. Era un
vecchio zio
stanco, non ci vedeva né sentiva più tanto bene e anche se la memoria
spesso lo
ingannava, quella storia non se la sarebbe mai potuta dimenticare,
nemmeno dopo
sessantasei anni.
Alla richiesta della giovinetta seduta di fronte al fuoco e a lui,
sorrise,
increspando il proprio volto in una sconfinata miriade di rughe. "La
storia di quella spada..." disse pensieroso, con aria stanca ma saggia.
"Dai, zio! Voglio saperla anche io! Raccontacela!" esclamò anche
l'altro nipote, il maschio, mentre giocava coi propri lunghissimi
capelli. Il
prozio scosse il capo, pensando che un ragazzo come lui avrebbe dovuto
portare
i capelli corti e ordinati, a differenza di come scelleratamente faceva
quello
sciocco sempre pronto a seguire queste 'strane' nuove mode. Ai suoi
tempi,
c'era un modo di comportarsi cui non si poteva prescindere; c’erano
regole da
rispettare e codici che finivano per portare le persone ad azioni anche
abominevoli.
Rifletté molto sulla possibilità di raccontare ai suoi nipoti
quell’insanguinata storia e alla fine arrivò alla conclusione che sì,
poteva
dire loro tutto quanto. Era così dannatamente anziano, lui, ed era
arrivato a
un certo punto della sua vita in cui quel segreto, quell’errore, era
diventato
troppo grande, troppo pesante. Prima di morire, voleva almeno che quei
due
scapestrati imparassero qualcosa da un vecchio pazzo con le mani
sporche di
rosso.
Con in sottofondo un leggero vociare proveniente dal radiolone sulla
credenza,
nonno Oliver, mani in grembo e fiato nei polmoni, cominciò a narrare.
"Io sono nato nel 1882 e venivo da una famiglia che di soldi ne aveva
pochi. Le nostre tasche erano povere, ma il nostro cuore era ricco
di...".
"Aspetta, aspetta!! Oddio, adoro questa canzone! Alex, è Yellow
Submarine!" gridò la ragazza e il fratello subito la seguì vicino alla
radio per alzare il volume, cominciando a ballare.
Oliver li osservò seccato, arcigno e infastidito per essere stato
interrotto a
causa di una canzonetta fatta da qualcuno di quei tipacci capelloni, ma
non
poté non sorridere e ridacchiare quasi alla gioia sui visi di quei due
giovani.
Notò come si facessero cullare dalla musica e da parole che per un
vecchio
decrepito come lui non avevano un significato preciso. Li osservò
ballare e li
sentì ridere, e allora pensò che i tizi autori di quella canzone forse
non
dovevano essere così male. Anche se avevano i capelli troppo lunghi.
Finita la musica i ragazzi abbassarono il volume, rimettendosi seduti
sul
tappeto davanti a lui a gambe incrociate. "Scusaci, nonno, ma quando la
musica chiama..." e risero, guardandosi felici.
Il vecchio Oliver sospirò: "Sì sì, ma ora state zitti e ascoltatemi,
perché non ho intenzione di fermarmi più, chiaro?" minacciò, con finta
aria malevola, e quegli sciocchi sconsiderati finalmente si zittirono
ad
ascoltare.
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Io,
Oliver Ridley, venni al mondo in
un'umida e calda giornata d'estate del 1882. Ero il sesto figlio di una
famiglia povera, ignorante e dipendente per lo più da elemosina o dai
lavori
che nessuno voleva fare. Ci si arrangiava e anche se a tavola spesso
mancava un
pasto, sentivo che l'amore no, quello non mancava mai. Però d'amore non
si vive
e dovetti impararlo nel modo peggiore possibile. Abbandonato dalla mia
tanto
adorata famiglia, mi sono ritrovato a cercare rifugio insieme a una
miriade di
altri bambini orfani dimenticati da Dio sin dalla tenera età. Lì
conobbi due
persone la cui storia d'amore sarebbe stata la più grande mai narrata.
E sì,
erano due maschi. E no, non era poi così strano, perché fra di loro
c'era
sempre stato un legame del tutto ultraterreno, che scindeva dalla mera
comprensione umana, e io... beh, io me ne intendevo d'amore.
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"Cavolo, zio! Sei così oltre! Dammi il cinque!" propose Alex,
entusiasta
dalle parole del parente. L'anziano, stizzito per esser stato
nuovamente interrotto,
colpì col proprio bastone la testa dello sciagurato nipote.
"Ti ho detto di non interrompermi!" sbraitò, per poi riacquistare
un'inquietante
e cupa calma mentre un grosso bernoccolo cresceva fra i capelli troppo
lunghi
di Alex.
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Edward e Roy erano perfetti; nacquero con lo stesso ideale e morirono
insieme
nel tentativo - purtroppo vano - di realizzarlo con divise dai colori
diversi.
Quando nel 1° Novembre del 1899, tutti e tre diciassettenni, scoppiò la
Rivoluzione Del Cambio Di Secolo - così nei pochi libri di storia non
censurati
sarebbe poi stata chiamata -, tutti furono messi di fronte a una
scelta.
Arruolarsi per difendere gli altolocati o rimanere fra il proletario a
prendersi le pallottole. Insieme a Oliver, Roy scelse l'inamidato
colletto
dell'esercito inglese, mentre Edward gli sporchi stracci operai.
"Come puoi venderti così?!" gli gridò contro Edward. "Mi fai
schifo! Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme!". Roy sospirò,
arrabbiato.
"Stupido, ma non capisci?! Così avrò uno stipendio e potrò aiutarvi!
Oltre
che proteggervi con le armi d'ordinanza che mi daranno!" gli spiegò,
mettendogli le mani sulle spalle.
"Stronzate! Tu ti sei venduto e non appena uscirai di qui, non ti farai
rivedere mai più!" piccole lacrime apparvero agli angoli degli occhi di
Edward. "Come hai potuto, Roy? Come? Scegliere la via più facile non è
mai
stato da te...". Roy lo abbracciò di slancio e affondò il viso nella
sua
camicia logora.
"Edward, io ti amo. E voglio un bene dell'anima anche ai bambini che
ogni
giorno aiutiamo perché non affrontino ciò che abbiamo dovuto passare
noi"
gli accarezzò i lunghi capelli biondi mentre Ed gli si stringeva
contro.
"Ma così, non posso cambiare le cose, lo capisci? Non posso fare
niente.
La gente è confusa, terrorizzata, è convinta che il mondo finirà tra
qualche
giorno e quindi se ne frega delle regole, delle leggi. Si
approfitteranno di
voi e quei poveri bambini... Dio solo sa che fine faranno se non vi
porto da
mangiare". Se lo coccolò fra le braccia a occhi chiusi, cercando forza
da
lui. "Ed, non lascerò che ti succeda niente, io-AH".
Due gemiti, due camice bianche che diventavano scarlatte e due corpi
che
ricadevano su se stessi, incastrati l'uno all'altro da una spada.
Edward e Roy erano perfetti; nacquero e morirono con lo stesso ideale e
guardandosi
negli occhi.
"Schifosi finocchi" e l'assassino scappò via.
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Oliver si rabbuiò. Pensò a cosa dire e scartò gli iniziali buoni
propositi,
tornando indietro come un gambero.
Il resto lo inventò, preferendo il nascondere la testa sotto la sabbia.
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A trovarli fui io, quella stessa notte. Ero andato a cercare Roy perché
non
aveva fatto ancora ritorno in caserma e questo lo aveva spaventato un
po',
considerato che era uscito in divisa: che qualche ribelle lo avesse
catturato?
A dire il vero, avrei preferito mille volte che qualcuno gliene avesse
date di
santa ragione senza un motivo ben preciso.
Ricordo che la nausea saliva, inesorabile, e che si trasformò in
liquido
trasparente nelle mie orbite. Ricordo che avrei voluto strapparmi gli
occhi
piuttosto di vedere ancora per un secondo quell'abominevole spettacolo
mentre a
stringermi o a darmi una pacca sulla spalla non c'era nessuno. A parte
la
disperazione.
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"Allora,
quel fioretto... quel fioretto è la spada che
li trafiggeva?". Linda si mise le mani sulla bocca e una lacrima gli
rigò
una guancia. "Ma è una storia terribile, mio Dio..." scosse il capo,
disgustata.
"Ma chi era stato a ucciderli in modo così infame? L'hai mai
scoperto?".
Oliver sospirò, guardando tutto quel fervore giovanile.
"Io conoscevo già il colpevole, lo ammetto. La morte di Roy ed Edward
era
qualcosa di programmato da tempo immemore, sin da quando eravamo solo
dei
poveri bambini".
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"Un, due, tre, stella! Ah, ti ho beccato, Zolf!" Edward rideva
scandalosamente forte, mentre il piccolo Zolf J. s'ammutoliva
imbronciato sotto
l'umiliazione d'aver perso al gioco. Quando si è piccoli le cose sono
molto diverse
dalla realtà ed è ovvio che perdere a un gioco può diventare quasi come
perdere
l'onore. Sembra assurdo ma andò davvero così. Zolf non era bravo a
giocare a
niente, non era bravo con le persone e tutti lo ritenevano un bambino
antipatico. Nemmeno io, che sono sempre stato buono e gentile con tutti
quanti,
sono mai riuscito a sopportarlo. Nessuno riusciva ad avvicinarlo e lui
non
voleva che nessuno ci provasse. Più passava il tempo, più il suo
rancore
cresceva, più si isolava dal nostro gruppetto, che ormai era diventata
una
piccola famiglia. Ci aiutavamo a vicenda, o almeno ci
provavamo.
C'era chi cercava di recuperare vestiti nuovi, chi si preoccupava di
recuperare
l'acqua piovana per lavarci e chi, come Roy, procurava la cosa
principale: il
cibo. Avevo sempre pensato che Roy fosse un bambino davvero carino, con
quei
grandi occhioni neri, quella zazzera scura sempre arruffata e quei
vestiti più
grandi di lui d'almeno tre taglie. Ma era un ragazzino troppo
intelligente per
ingannare i commercianti di Covent Garden soltanto col suo candore. Lui
li
imbrogliava e intortava con le parole imparate dai comizi sentiti per
strada ed
essendo anche l'unico fra di noi capace di leggere il minimo, quando
avevamo
dei soldi non ci facevamo fregare da alcuni maligni venditori.
Se fosse nato in questi anni, Roy, forse sarebbe stato un grande
stratega
militare, sapete? Perché era... era semplicemente geniale. Solitamente
girovagava per Londra tirandosi dietro una pentola d'acciaio un po'
ammaccata e
un po' arrugginita, dove faceva finire tutto il suo bottino della
giornata.
Il suo metodo era quasi sempre lo stesso: prima s'avvicinava
stringendosi piano
il pancino, guardando triste i venditori, facendo leva sui sensi di
colpa. Così
riusciva a guadagnarsi sì e no una mela, se gli andava bene. Ma mentre
triste e
sconsolato guardava con finta ammirata commozione la mela rossa di
turno,
Edward da dietro rubava dalla bancarella di tutto e di più, persino
cartelli
dei prezzi!
Roy era un professionista (sapeva proprio fare ogni cosa) e alla fine,
infatti,
riusciva sempre a intenerire il commerciante e a farlo sentire così
tanto in
colpa che poi, quando inviava un altro di noi lì vicino a fare la
stessa
sceneggiata, il proprietario della bancarella donava ben due, mele. E
il pranzo
era servito.
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"Mi sembra incredibile che a nessuno importasse di così tanti bambini
abbandonati…" disse Alex, scandalizzato.
Lo zio sbuffò e con poche parole demolì il nipote. "Alex, non capisci?
Nella grigia e sporca Londra di fine Ottocento niente era certo, salvo
le
spese. Tutti, da ricchi a poveri, andavano alla ricerca del prezzo
migliore,
perdendo anche qualche monetina qui e là, senza nemmeno rendersi conto
di quanto
quella monetina potesse fare la differenza per qualcuno. Nonostante
sembrasse
una città piena di vita, le persone che vagavano a tutte le ore e senza
sosta
per le oscure vie apparivano come anime perdute. Uno poteva sentirle
passare
accanto come un inconsistente soffio d'aria...". Persino le parole di
Oliver apparvero come fruscii di un vento smorzato.
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Come avrete certamente capito, forse noi ce la passavamo meglio di chi
viveva
in una bella casa, calda e profumata. Non ci lamentavamo così tanto,
preferivamo abbandonarci all'affetto reciproco, senza crearci alcun
tipo di
problema. I legami erano forti e se ne creavano di nuovi ogni giorno,
proprio
perché si aggiungevano e se ne andavano bambini quotidianamente. I veri
guai,
però, come vi ho detto, arrivarono nel Novembre del 1899 con lo scoppio
della
rivoluzione. Tutti erano terrorizzati, tutti desideravano sopravvivere
a questa
fantomatica fine del mondo a spese altrui e non importava chi sarebbe
rimasto indietro; in quel periodo dominava solo la legge del
più forte. Le
varie superstizioni e i vari pregiudizi diventarono il pane di tutti i
giorni e
la folla, la massa, si nutriva di quello. Fra le tante cose, anche
l'odio per
l'omosessualità aumentò vertiginosamente - come se il vero
problema da
affrontare fosse stato quello.
Ero spaventato e preoccupato per i miei amici, per i bambini e anche,
soprattutto, per me, ovvio. Avevo diciassette anni e vivevo con
l'incubo di non
arrivare sano e salvo alla mattina dopo.
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Il vecchio smise di raccontare, prendendosi una pausa dopo aver
rievocato tutti
quei dolorosi ricordi. Alla fine non era facile parlare di Roy ed
Edward dopo
così tanto tempo.
"Zio Oliver?" mormorò, Linda, con le lacrime agli occhi. "Ma Roy
ed Edward.. perché sono morti, alla fine? Quale fu la loro colpa? Solo
l'essere
omosessuali?".
Oliver prese il fazzoletto di stoffa dai pantaloni e lo porse alla sua
nipotina, un po' triste. Linda lo prese volentieri e gli donò uno
sguardo colmo
d'affetto e ringraziamenti mai detti. Subito dopo si soffiò il naso nel
fazzoletto e fece per ridarglielo. Il nonno la guardò un po' scioccato,
poi
scosse il capo. "Tienitelo" borbottò, e si abbandonò sulla poltrona,
chiudendo gli occhi.
"Sai, Linda... io non so come risponderti. La verità è che loro furono
le
prime vittime disponibili di un assassinio che fu solo lo sfogo di una
società
ormai del tutto marcia".
"In che senso?". Oliver si grattò la testa. Come poteva
spiegarglielo?
"La verità è che quando la corrente ti sta portando dove vuoi andare,
non
discuti più nulla, capisci? Nemmeno volendo, perché non ha più senso
abbaiare
una volta nel gregge: basta scodinzolare e mordere qualunque cosa si
trovi
fuori la recinzione". Linda sembrò comprendere e a lungo si guardarono
negli occhi. Entrambi li avevano dello stesso ceruleo colore. A Oliver
sembrò davvero
che sua nipote avesse capito, e lo sperò. Non erano cose
facili da
spiegare. O da ammettere. Nel senso che parlare di un omicidio, del suo
colpevole e delle sue motivazioni erano argomenti scabrosi di cui non
si
vorrebbe mai parlare. Forse.
"Come si chiamava l'assassino?" domandò a bruciapelo Linda.
"Fu quel Zolf J., ovviamente. Invidioso del loro amore e rancoroso sin
da
quando eravamo bambini".
"Vuoi dirmi che quest'uomo ha assassinato due persone solo per
invidia?".
"L'invidia è solo un'ammissione d'inferiorità, tesoro...". Oliver
s'ingobbì sotto il peso delle sue stesse parole e strizzando i piccoli
azzurri
si sfogò. "Gli uomini vanno continuamente alla ricerca della felicità,
ma
non la trovano mai. Se a noi sembra sempre che la fortuna ci sfugga
dalle mani
per un niente, per la gioia altrui abbiamo sempre un occhio di
riguardo".
"Ma uno può scegliere se essere una persona cattiva, invidiosa o
scorretta, no?" intervenne Alex, cambiando posizione e stiracchiando le
gambe un po' intorpidite.
"Non credo, Al" rispose Linda, incupita. "Non puoi sopprimere
all'infinito ciò che hai dentro. Alla fine verranno a galla per
torturarti
eternamente". Oliver prese parola, per cercar di cambiare discorso.
"E' con quella stessa spada che ho partecipato alle guerre mondiali,
sapete? Come portafortuna" si girò a guardarla. "Volevo che loro
fossero con me e che mi perdonassero per non esser riuscito a impedire
la loro
morte..."
"Mentre facevi strage di nemici, no?" continuò Linda.
"No, mentre cercavo di darvi un futuro migliore".
"Un futuro dal passato di sangue".
"Non è stata colpa mia!" tuonò, Oliver. "Dovevo farlo!" e
tossì, affaticato dall'urlo.
"No, non dovevi! Potevi rifiutarti! Potevi seguire la strada più
difficile, sì, ma più giusta! Potevi combattere al loro fianco e non
venderti!". Alex prese per un braccio sua sorella.
"Lin, calmati. Non è colpa dello zio... lui era un militare da tanto
tempo, ormai, doveva per forza partecipare a quelle guerre". Linda lo
fissò, irata, e si calmò. Gridare non avrebbe cambiato assolutamente
niente. Lo
sapeva lei e lo sapeva Oliver. Lo sapevano tutti, anche Dio.
Alla fine Alex se ne andò, doveva andare dal barbiere per farsi qualche
treccina. Linda, dal canto suo, rimase ancora un po’ con
lui.
"Ora
siamo solo io e te. Dimmi
la verità, dimmi la vera storia, zio Oliver”.
Oliver la guardò torvo e addolorato ricominciò a parlare, sinceramente
‘stavolta, mentre il tempo aveva finalmente terminato di logorare
l’errore e di
levigare la verità.
"Ti sei mai chiesta, Linda, come mai io non mi sia mai sposato?"
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Il fatto è che lo amavo.
Lo amavo talmente tanto che se solo me lo avesse chiesto gli avrei
regalato il
mio cuore strappandomelo a mani nude dal petto. Amavo i suoi occhi
dorati e il
profumo assolutamente innato che emanava mi faceva impazzire. Lo
sognavo di
notte, lo cercavo di giorno, lo veneravo ogni istante. Edward era
perfetto. Roy
era perfetto. Io no.
Come ho detto prima, io, Edward e Roy eravamo un terzetto assai
affiatato. O
meglio, lo siamo diventati, perché prima c’eravamo solo io ed Ed. E
andava
tutto alla perfezione.
"Ed" un minuscolo e da poco decenne me stesso abbracciò stretto
Edward, commosso. "Grazie per aver rubato quel pezzo di pane per me. È
il
più bel regalo di compleanno del mondo!". Ricordo che Edward rise,
imbarazzato, e si grattò la testa.
"Era il minimo che potessi fare". Il cuore mi batteva e mi sentivo
così felice che avrei potuto toccare il cielo con un dito. E lo feci,
davvero.
Andai in paradiso quella mattina, per poi ritornare sulla Terra con uno
schianto. Era arrivato un nuovo bambino quel pomeriggio e si chiamava
Roy.
Roy aveva tutto ciò che io non possedevo. Dall’età all’innata bellezza
fanciullesca, dal sorriso ai capelli lucenti, dagli occhi di tenebra a
un
grande, enorme generoso cuore.
Io invece ero piccolo, sdentato, bruttino e insicuro di me. L’ombra di
Roy,
insomma, e l’ombra di Edward. Credo risulterebbe inutile raccontarti di
quanto
Ed rimase colpito dal nuovo arrivato. Così tanto colpito da dimenticare
che quel
giorno era il mio compleanno. Più avanti negli anni, quando tutti ormai
volevano bene a Roy, ci ritrovammo a festeggiare quel giorno come
l’anniversario della sua venuta. Di me, s’erano già tutti scordati.
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Linda tacque. I tasselli del puzzle s’incastrarono pian piano tutti e il
filo del discorso si tese come una corda di violino. Oliver fece una
pausa,
lunga, colma di dolore e di gelosia, di rabbia e invidia e se da una
parte
desiderò morire, per poter, magari, rivedere Edward,
dall’altra non voleva
cedere all’enorme potenza della morte. Sapeva
di meritare di soffrire e questo era il suo scotto da
pagare per aver
tentato di ribellarsi a qualcosa contro cui non avrebbe mai potuto
vincere.
"Ho
pregato Dio ogni giorno di
lasciarmi morire, anche brutalmente. Ma lui ha preferito tenermi in
vita sino a
quest’età… incredibile quanto possa essere vendicativo quel tipo lassù,
eh?".
Non s’accorse, Linda, che Oliver stava piangendo. "Non sai quanto
vorrei
poter chiudere gli occhi e smettere di star male”. La giovane s’alzò,
col capo
chino e le braccia penzolanti lungo i fianchi.
"La morte può essere l’espiazione delle colpe, ma non può mai
ripararle,
Zio".