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Autore: Emma Bennet    14/06/2012    12 recensioni
«Platone, tramite Aristofane, ci spiega il mito degli Androgini: c’era un tempo in cui esistevano quelli che noi chiamiamo Uomini Androgini, per l’appunto, che erano dotati di entrambi i connotati ed erano esseri perfetti. Purtroppo, erano arroganti e per questo peccarono di tracotanza, offendendo Zeus e gli altri dei, che decisero di punirli nel modo più crudele possibile: li separarono. Da allora, ogni uomo cerca la sua parte mancante, il pezzo che ci completa, l’anima gemella… La cosiddetta altra metà della mela»
Sei tu la mia metà della mela.
James e Clementine si conoscono da quando avevano tre anni, e sono sempre stati migliori amici, ma col tempo qualcosa è cambiato, e l'amicizia si è trasformata in qualcosa di più. Almeno per uno dei due.
Genere: Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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The other side of the... Apple.







 

 

 

 

“Dunque al desiderio e alla ricerca dell’intero si dà il nome amore”
Platone, Simposio, 192e-193a

 

 

 

 

 

 

La prima volta che James aveva visto Clementine aveva tre anni e mezzo, ma nonostante l’età così giovane, riusciva a ricordare perfettamente il loro incontro.
Stava piangendo disperatamente perché lui a scuola non ci voleva andare, no no e no, e per questo si trovava davanti all’edificio della Preschool, sbattendo i piedini a terra e strillando, mentre sua madre cercava di calmarlo, un’espressione terribilmente imbarazzata sul viso.
Lei lo aveva notato e gli si era avvicinata, trotterellando sulle sue gambette un po’ cicciottelle, un gran sorriso stampato in faccia.
«Ciao!» aveva esclamato «Come ti chiami?»
Lui si era girato a guardarla, e con quel vestitino rosa e bianco, con quei capelli biondi legati in due trecce ai lati della testa che le ricadevano morbidamente sulle spalle esili e con quegli occhi verde smeraldo, gli aveva fatto pensare che era così che doveva essere una principessa.
Aveva smesso di piangere, ed era rimasto a fissarla, domandandosi se fosse più simile a Cenerentola o alla Bella Addormentata nel bosco. A quel punto sua madre gli aveva allungato un buffetto sulla guancia, per scuoterlo.
«Andiamo, Jamie, dici a questa bella bambina come ti chiami» lo aveva spronato.
Lui le aveva sorriso, improvvisamente spavaldo. «Il mio nome è James, e ho tre anni e mezzo»
«E tu invece, piccolina, com’è che ti chiami?» era intervenuta di nuovo sua madre.
«Io mi chiamo Clementine» aveva sentenziato, con aria molto seria «E ho compiuto tre anni il mese scorso»
«Ma che bel nome!» aveva cinguettato sua madre, e lui era stato d’accordo: Clementine gli era sembrato un nome abbastanza adatto a una principessa, tutto sommato.
«Dov’è la tua mamma, Clementine?»
«E’ dovuta correre in tribunale»
«Ah!» aveva esclamato la donna «E’ un avvocato?»
«No, ma ha un avvocato. E’ un uomo molto simpatico, mi porta sempre le caramelle, e la mamma dice che aiuterà il mio papà ad uscire di prigione»
James ricordava chiaramente come sua madre era sbiancata, a quel punto.
«P-prigione?» aveva mormorato.
«Sì» aveva risposto Clementine, senza battere ciglio «Ma non so per cosa, la mamma non ha voluto dirmelo» aggiunse, incupendosi leggermente.
Sua madre aveva tirato le labbra in un sorriso falso, annuendo. «E sei qui tutta sola?»
«Oh, no! » aveva esclamato la bimba «Ora c’è James a farmi compagnia»

 

 

 

Effettivamente, a parte per quei primi cinque minuti di conversazione, Clementine non era mai risultata troppo simpatica alla madre di James, anzi. Forse era per la storia di suo padre, che era uscito di prigione solo cinque anni dopo il loro primo incontro, e aveva pensato bene di abbandonare la moglie, nonostante lei gli fosse stata vicina durante il periodo più brutto della sua vita, e la figlia. O forse, era perché aveva notato il forte legame che univa i due, e la accusava implicitamente di aver allontanato il figlio dalle premure materne. O ancora, poteva essere perché la riteneva la responsabile del suo cambiamento, che da bambino timido e piagnucolante, era divenuto un giovane uomo ombroso e aggressivo. E James doveva ammettere che forse sua madre, almeno per quanto riguardava l’ultimo punto, aveva ragione.
Ma a lui faceva piacere essere così, perché era stato proprio il suo pessimo carattere a garantire a Clementine una protezione perenne dalle accuse delle persone. James ricordava il primo ragazzo che aveva picchiato, per lei. Si chiamava Ronald Finn e aveva dodici anni, come loro. Una mattina, a scuola, le si era avvicinato, un ghigno strafottente e presuntuoso sulla faccia, e l’aveva guardata dall’alto in basso.
«Ladra!» aveva strillato «Sei anche tu una ladra come tuo padre, non è vero? I miei me l’hanno detto, sai? Quello che ha fatto tuo padre. Tutti i soldi, milioni e milioni di dollari, che ha rubato alla società dove lavorava. Ne avrà approfittato, no? Li avrà spesi per te, la sua bambina! Oppure no, Clementine? Forse li ha spesi per andare a puttane, per mettere le corna a quella sfigata di tua madre!»
James non ci aveva visto più, e gli aveva dato un pugno sul naso. Ricordava la sensazione dell’osso che si frantumava sotto le sue dita, le lacrime negli occhi di Clementine, il grazie che gli aveva mimato con le labbra, l’espressione di sua madre quando aveva saputo che era stato sospeso.
Da  allora, aveva cominciato a picchiare chiunque osasse offendere la sua amica. Clementine era intoccabile, un piccolo miracolo sceso dal Cielo, una fanciulla d’altri tempi: Clementine era pura. James sapeva che chiunque altro al posto della ragazza, viste le situazioni che era stata costretta ad affrontare - un padre in prigione per frode contabile con la vergogna che ne derivava, e poi l’essere abbandonata, e il dover crescere in fretta per poter aiutare la madre - si sarebbe tramutato in un adolescente complicato, con svariati problemi, forse qualche dipendenza da alcol o droga, o perlomeno un rendimento bassissimo a scuola. Clementine, invece, aveva sempre affrontato tutto con il sorriso sulle labbra e con la dolcezza che la caratterizzava. Non importava quante cattiverie avesse dovuto subire, non importavano le chiacchiere della gente, lei aveva sempre una parola buona per tutti. Se veniva offesa, chinava il capo. Non negava mai il suo aiuto a nessuno, si dava da fare per non caricare sua madre di troppi pesi e responsabilità, lavorava come cameriera in una tavola calda, e vantava una delle medie migliori di tutta la scuola.
Clementine amava tutti, senza riserve, senza paura. E proprio questo amore che diffondeva e regalava senza avidità né doppi fini, le aveva permesso di farsi valere. Le accuse e i dispetti fattigli per via di suo padre erano cessati, e lei era riuscita a farsi apprezzare, complice la sua eterea bellezza che rispecchiava il suo animo mite.
Ma questo suo amare senza eccezioni le aveva causato anche parecchie delusioni, perché si affezionava troppo facilmente. James le aveva detto di darsi una regolata, ma era più forte di lei: bastava che un ragazzo le dedicasse qualche attenzione, che le facesse un paio di complimenti, e lei già si dichiarava innamorata alla follia. Così, quando il suddetto ragazzo la lasciava per una cheerleader, o perché lei cercava una relazione troppo seria per i suoi gusti - dove troppo seria stava per monogama - Clementine si ritrovava a dover raccogliere i brandelli del suo cuore infranto. E James doveva pensare a punire lo stronzo in questione, perché lei non meritava di essere trattata così in ogni caso.
Il ragazzo ricordava quando avevano quindici anni, e la sera dell’Homecoming, Clementine aveva volteggiato avvolta dal suo vestito color pervinca, rimirandosi allo specchio. «Gli piacerò, Jamie? Pensi che gli piacerò?» gli aveva domandato, parlando di Dick Martin, il suo accompagnatore per quella sera.
James l’aveva guardata, sorridente. «Come non piacergli, Clem?» le aveva risposto, mentre una strana sensazione gli attanagliava la bocca dello stomaco «Sei bellissima»
E lo pensava veramente. Per lui, Clementine era la ragazza più bella che avesse mai conosciuto. Per lui, anche a distanza di dodici anni, era ancora una principessa, anche se stavolta i capelli le ricadevano sciolti sulle spalle in morbidi boccoli, e gli occhi erano resi più profondi dal mascara e dall’ombretto.
Qualche ora dopo, lui aveva fatto ritorno a casa, e seduta sui gradini del patio di casa sua, ci aveva trovato l’amica, in lacrime, gli occhi arrossati e le guance macchiate di nero. Finito il ballo, quel pezzo di merda di Dick, invece di accompagnarla a casa, aveva pensato bene di appartarsi con lei, in quanto aveva deciso di portarsela a letto, e aveva provato a metterle le mani addosso. James l’aveva abbracciata, le aveva asciugato le lacrime, e l’aveva fatta dormire con lui, quella notte, tenendola stretta a sé, mormorandole parole di conforto e carezzandole i capelli.
Neanche a dirlo, il pomeriggio seguente Dick Martin era stato visto aggirarsi per la scuola con aria spaurita, un occhio nero e il labbro superiore spaccato.

 

 

 

A differenza di Clementine, James donava raramente la sua fiducia, si circondava di un paio di amici - pochi ma buoni, diceva sempre lui - e aveva avuto due o tre storie che superassero le quattro settimane. Ad essere sinceri, riscuoteva anche abbastanza successo tra le ragazze, in parte grazie ai suoi occhi azzurro cupo, in parte grazie alla sua fama da cattivo ragazzo, ma le attenzioni  femminili, più che lusingarlo, lo infastidivano. Era sua abitudine considerare tutte le ragazze che gli ronzavano attorno non abbastanza carine quanto Clementine, non abbastanza sveglie quanto Clementine, neanche lontanamente intelligenti quanto Clementine. James le comparava tutte all’amica e, neanche a dirlo, uscivano sempre sconfitte da questo paragone. L’aveva sempre fatto: una ragazza, per avere la sua attenzione, doveva somigliare in tutto e per tutto alla bionda, altrimenti non valeva la pena perdere del tempo con lei. James credeva che questo suo atteggiamento fosse del tutto normale, non importava il fatto che i suoi amici lo prendessero sempre in giro per il legame che lo univa a Clementine, o il modo in cui lei lo sapeva far sentire, non si era mai soffermato a riflettere sui propri sentimenti. Non lo aveva mai fatto, per lo meno, fino a un pomeriggio del marzo dei loro sedici anni.
I due stavano studiando in biblioteca, James doveva recuperare un’insufficienza in filosofia - corso che odiava, ma che l’amica lo aveva costretto a seguire perché la filosofia ti aiuta a pensare, Jamie! - e Clementine si era offerta di aiutarlo, e gli stava spiegando il Simposio di Platone.
«E dimmi, cosa diamine sarebbe questo mito degli uomini androgini
«Oh, è facilissimo! E’ la mia parte preferita della filosofia platonica» gli aveva risposto lei, con un sorriso a trentadue denti. Lui aveva alzato gli occhi al cielo, con una smorfia. «Sei una tale secchiona, Clem! Chi potrebbe mai entusiasmarsi per un filosofo decrepito e noioso?»
Lei lo fulminò con lo sguardo, punta sul vivo. «Non sono secchiona» negò «Sono intelligente!»
James scoppiò a ridere. «Sì, certo, come no. E io sono un tipo dolce e gentile»
«Con me lo sei sempre» replicò lei, piccata.
Il ragazzo scrollò le spalle. «Tu sei diversa» dichiarò «Ora spiegami questa robaccia»
«Bene. Platone, tramite Aristofane, ci spiega il mito degli Androgini: c’era un tempo in cui esistevano quelli che noi chiamiamo Uomini Androgini, per l’appunto, che erano dotati di entrambi i connotati ed erano esseri perfetti. Purtroppo, erano arroganti e per questo peccarono di tracotanza, offendendo Zeus e gli altri dei, che decisero di punirli nel modo più crudele possibile: li separarono. Da allora, ogni uomo cerca la sua parte mancante, il pezzo che ci completa, l’anima gemella… La cosiddetta altra metà della mela»
Sei tu la mia metà della mela.
Quel pensiero nacque spontaneo, e sconvolse completamente James. Come gli era venuta in mente una cosa del genere? Come aveva anche solo lontanamente pensarla? Lui e Clementine erano amici. Migliori amici. Basta.
Quel tarlo lo tormentò a lungo e quando, qualche tempo dopo, la ragazza gli venne ad annunciare che stava frequentando un nuovo ragazzo, James dovette ammettere a se stesso che quello che lo legava a Clementine non era solo amicizia. E questo spiegava gli attacchi di gelosia, il senso di protezione che sentiva nei suoi confronti, il modo in cui la riteneva superiore a tutte le altre. Era innamorato di Clementine, e non c’era niente che potesse fare a riguardo.
Qualcuno al suo posto, magari, avrebbe provato a dichiararsi, ma James decise di tenere per  sé i propri sentimenti, temendo di perderla per sempre. Avrebbe atteso in silenzio, standole accanto come aveva sempre fatto.

 

 

 

Questo era quello che si era ripetuto per due anni, ma ora che se la ritrovava davanti in lacrime per l’ennesimo cuore spezzato, James capì che non ce l’avrebbe fatta a continuare in quel modo. Non avrebbe potuto continuare a fingere che andasse tutto bene, che vederla uscire con altri ragazzi non gli creasse problemi, che non provasse il desiderio di averla solo per sé, senza doverla dividere con qualcuno che non la meritava.
«Smettila», fu solo un sussurro, quello di James, ma Clementine lo udì chiaramente. Alzò lo sguardo, gli occhi ancora umidi di pianto, un’espressione interrogativa dipinta sul viso.
«Cosa?»
«Smettila, Clementine. Hai diciotto anni, è ora di smetterla»
Lei lo guardò confusa, aggrottando le sopracciglia color sabbia. «Smettila di fare cosa, Jamie? Non capisco…»
«Invece io credo che tu abbia capito benissimo. Smettila di comportarti così, Clementine. Smettila di trovarti un fidanzato ogni due mesi, smettila di dichiararti innamorata di ognuno di loro, smettila di cominciare a progettare il tuo matrimonio, la villetta a schiera con tanto di portico bianco in cui andrai a vivere, il nome dei tuoi figli e del tuo cane, e smettila di piangere ogni fottuta volta che poi ti lasciano»
La ragazza lo guardava a bocca aperta, ma ormai James aveva iniziato a parlare, e non si sarebbe fermato fin quando non le avrebbe detto tutto ciò che si teneva dentro da troppo tempo.
«Sono stufo, Clementine, mi capisci? Ma non sono stufo perché non ti voglio bene o perché non ti sopporto, sono stufo di vederti comportare come una persona fragile quando in realtà non lo sei. Tu sei la persona più forte che io conosca, Cristo Santo, Clem! Sei sopravvissuta all’abbandono di tuo padre, sei riuscita a non far cadere in depressione tua madre, hai preso in mano la tua vita e l’hai trascinata in salvo! Hai un lavoro fisso da quando avevi quattordici anni in pratica, mandi avanti casa tua come se nulla fosse perché tua madre è sempre in ufficio, e trovi persino il tempo per studiare! E non è che a scuola te la cavi, lo sappiamo tutti e due, hai una media altissima. Sei forte, Clementine, sei forte, e intelligente, e bellissima...»
«James…»
«No, fammi finire, Clem. Mi rendo conto che questo tuo perenne bisogno di avere qualcuno al tuo fianco derivi dall’abbandono di tuo padre, no, non fare quella faccia ti prego… Fammi finire. Non hai bisogno di loro, Clem, lo capisci? Non hai bisogno di nessuno di quei cretini che in questi anni ti hanno rifiutato, o ti hanno lasciato, o che si sono comportati male con te… Non hai bisogno di loro perché non hai bisogno di nessuno, tu. Hai cercato per tutta la vita qualcuno che ti completasse, senza capire che sei completa già da sola»
Per James, a quel punto, prendere la ragazza tra le braccia fu la cosa più naturale del mondo. Posò le proprie labbra sulle sue; erano calde e delicate, esattamente come aveva sempre immaginato. Ne saggiò la morbidezza, assaggiando il suo sapore e inebriandosi con esso, mentre sentiva il cuore battergli furiosamente nel petto.
Ma quando si accorse dello  sguardo negli occhi di Clementine, cominciò a pentirsi di quello che aveva appena fatto. Non sembrava amore, il sentimento riflesso nelle iridi verdi della ragazza, era più simile alla paura.
«Clem, io… Mi dispiace…» mormorò.
Ma lei era già fuggita via.

 

 

Per l’intera durata del week-end che seguì a quel giorno, James sperò che Clementine decidesse di farsi viva: infatti, ogni volta che suonavano il campanello, il ragazzo si illudeva che fosse lei venuta a parlargli, e ogni volta che gli squillava il telefono, desiderava leggere il suo nome impresso sul display. Ma per due giorni, Clementine non si fece sentire né vedere, e quando lui si decise a chiamarla, non ottenne risposta.
Perciò, quando se la vide comparire sulla porta della sua camera, nel tardo pomeriggio della domenica, in un primo momento credette che fosse un residuo della nottata precedente, passata a bere con gli amici.
«Ehi» mormorò la ragazza, visibilmente imbarazzata.
«Ciao» rispose lui.
«Mi dispiace per l’altro giorno, non me ne sarei dovuta andare così» ammise lei, mentre le guance le si imporporavano.
«Non devi scusarti, sono io che ho sbagliato. Non avrei dovuto… Fare quello che ho fatto»
«Ho riflettuto su quello che mi hai detto. Avevi ragione, Jamie, su tutto… O quasi. C’è una cosa su cui ti sbagliavi»
Lui rimase in silenzio, in attesa che lei continuasse.
«Non è vero che io non ho bisogno di nessuno, non è vero che sono completa da sola. In questi anni ho cercato l’altra mia metà della mela, e non riuscivo a trovarla perché cercavo altrove, senza sapere che l’avevo avuta accanto per tutto questo tempo. Sei tu, Jamie, l’altra mia metà della mela»
A quelle parole, James sentì il cuore scoppiargli nel petto, e stavolta, negli occhi di Clementine, vide riflessi gli stessi sentimenti che provava anche lui.
«Almeno su una cosa Platone aveva ragione, allora. Quegli uomini androgini dovevano essere proprio perfetti, perché non riesco a pensare a niente di più perfetto di me e te insieme» le sussurrò all’orecchio, un attimo prima di chinarsi su di lei, e baciarla.

 

 

 

 

 

 

Author’s Corner: salve a tutti! Prima di dire due paroline, vorrei specificare un paio di cose: allora,  la storia è ambientata in una città americana che nella mia mente è Detroit, ma voi potere immaginare quella che preferite.  Inoltre, nell'ultima parte del racconto, ho considerato il week-end di cui si parla a partire dal venerdì, perciò - prendendo il giovedì come il giorno del litigio - James e Clementine non si sentono per due giorni, e solo al terzo - la domenica - lei va a trovarlo.  Ci tengo anche a specificare che Clementine non è andata a letto con nessuno dei ragazzi che ha frequentato, e infatti questa ha sempre costituito la ragione più comune per cui veniva scaricata.
Infine, vorrei aggiungere che il nome della  protagonista, Clementine,  vuole essere un omaggio a una storia di cui mi sono innamorata, Silver di 
Butterphil (vi consiglio vivamente di leggere tutte le sue storie perchè è bravissima), che tra l'altro è anche l'autrice del meraviglioso banner di questa storia. Un grazie anche a SunriseNina che mi ha aiutato con l'html ** Spero che questa one-shot vi sia piaciuta, apprezzerei qualsiasi commento decidiate di lasciarmi <3 Un bacio, Emma



NdA: questa storia partecipa al contest Love, love and... Love! indetto da fivecarrots. sul forum di EFP

   
 
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