Four rings of light upon the ceiling
overhead
Quattro cerchi di luce sul soffitto
Temari guardò il
soffitto, sconsolata.
Il soffitto
guardò Temari, sicuramente con minore intensità: ma la ragazza era fermamente
convinta del fatto che quel dannato rivestimento di paglia la stesse fissando.
Si girò da un
lato. Sputò. Tornò a guardare in alto.
Di giorno faceva
troppo caldo, di notte troppo freddo. In un modo o nell’altro, la ragazza aveva
sempre una scusa per non dover uscire all’aria aperta e mettersi a guardare il
cielo.
Osservò annoiata
i suoi soliti vestiti coprirle il corpo ben proporzionato ed ondeggiare al
ritmo cadenzato del suo respiro, su e giù, su e giù. Di nuovo su. Poi giù.
Cominciava
a subentrare l’apatia della giornata, pensò stancamente lei. Gettò un’occhiata
azzurrina all’orologio e notò, sgomenta, che erano solo le tre del pomeriggio.
- Cazzo. – disse. Si alzò, ma lo slanciò eccessivo la fece
ruzzolare sul pavimento, col mento in avanti. Poi – Cazzo.
–
Il ventaglio,
abbandonato sullo stipite della porta della cucina, aveva un
angolo un po’ strano, e le ombre sulla stoffa andavano a formare un…
ghigno?
Come se non bastasse il soffitto.
Le
tre e mezza, pensò.
Giustamente, aveva cercato di ingannare il tempo giocando con le temari, ma
dopo mezz’ora in cui aveva provato ogni combinazione possibile per quelle palle
di corda si era costretta ad ammettere di non essere
un gatto – e quindi, di non voler passare il resto della sua vita rotolando
dietro a delle stupide palline colorate.
Niente da fare: a quanto pare, aveva esaurito la sua scorta di già limitata
pazienza in tutti i giorni precedenti che aveva passato nella stessa identica, noiosa maniera.
Tuttavia, Temari
perseverava nella sua decisione: non sarebbe uscita di
casa.
Non lo avrebbe
fatto, no.
Così, avrebbe
evitato gli occhi tristi di Gaara, e il suo viso
liscio, privo d’espressione.
Il pendolò batté le quattro del pomeriggio.
Un’altra mezz’ora.
I pensieri
volavano veloci nella sua mente.
Si svegliò di soprassalto col
tipico raspare discreto di una lucertola sulla stuoia.
Osservò il piccolo rettile –
e, diciamocelo, gli si sentì particolarmente affine – e quindi sorrise. Le
erano sempre piaciute, le lucertole. Discrete ma capaci di assalti
letali, se adeguatamente nascoste nell’ombra.
Ed era così che Temari intendeva giocare la partita dei
suoi sentimenti: nascosta.
E, possibilmente, muta.
Dei piccoli granelli di
sabbia fluttuavano pacati nell’aria, mentre altri,
quieti, rotolavano sul pavimento in silenzio.
Temari, assolutamente annoiata,
si mise a contare il numero di macchie sparse sul pavimento.
2 di
sangue, 3 di sabbia impastata. No,
4 di sangue.
Kankuro aprì la porta d’ingresso e, cercando di muoversi più
aggraziatamente possibile, si mosse verso di lei.
- Cosa
speri di fare, fratello? –
- Di rapirti e portarti
all’aria aperta. – rispose.
- Non sono particolarmente
incline a questa richiesta. –
- Non lo sei da una
settimana. –
- E
ho intenzione di esserlo ancora per molto. –
Il ragazzo delle marionette
alzò le spalle, deluso. – Sei cambiata, Temari. –
- Chi non lo è? –
Kankuro la fissò per un ultimo lungo istante. Scosse la
testa, anche lui stanco di aspettare, e si diresse
verso la camera.
Temari sospirò.
Non poté far a meno di
pensare che, ancora una volta, era tutta colpa di Gaara.
Esattamente una settimana
prima, a Sunagakure, il vento aveva deciso, in chissà
quale impeto di buonismo, di lasciar tirare un paio
di sospiri agli abitanti della Sabbia.
Temari, non particolarmente
entusiasta ma nemmeno indifferente all’avvenimento, aveva visto l’occasione
giusta per poter fare una camminata nel deserto, di notte.
Non fosse
per il fatto che Gaara aveva stabilito che non era
sicuro, e si era obbligato a
seguirla.
La sorella aveva alzato le
spalle e si era avviata verso le dune a passo spedito.
Vedeva la timida ombra del
fratello minore dipingersi sulla sabbia alle sue spalle.
Suo malgrado, non era
riuscita a rilassarsi come al solito. Dopo un’oretta
di camminata, infatti, si era lasciata cadere per terra.
- Cosa fai?
–
- Mi rilasso, no? Quello che dovresti fare anche tu, ogni tanto. Sai,
sdraiarsi sul letto e… -
Aveva compreso con un attimo
di ritardo di aver detto le parole sbagliate.
- Gaara,
non… -
Lui non poteva dormire.
- Non importa. Non so cosa
voglia dire rilassarsi. Quando sento le palpebre pesanti
mi costringo a fare qualcosa per non cadere a terra. –
- Gaara,
ascolta, non volevo dire… -
- E
sai qual è la cosa peggiore? Non è nemmeno colpa mia. –
Il tono era rimasto pacato per tutto il discorso, quasi assente. Temari si era
alzata, scossa.
Era stato allora che le aveva
viste. Trasparenti su quel viso bianco come quello di una bambola.
Lacrime.
Cadevano sul naso e poi,
perdute, si gettavano sulla sabbia, dove scomparivano in un secondo, assorbite dalle dune.
La ragazza aveva pensato che
quella era tutta la vita di Gaara,
Non c’è niente di lui che non appartenga alla Sabbia.
ed era una vita triste.
Da allora, non era più
riuscita a fissare in viso il fratello senza che una sorta di dolore le si arrampicasse, assolutamente non desiderato, per tutta
la schiena.
Aveva risolto le cose nella
sua solita sbrigativa maniera, come era solita fare:
si era chiusa in casa.
Così Gaara,
seduto sul tetto, sarebbe rimasto solo un ricordo.
E il cuore di Temari, abbandonato dentro la stanza, non
avrebbe sofferto.
Non troppo, almeno.
Riaprì gli occhi, che
automaticamente caddero sull’orologio davanti a lei.
Le sette.
Aveva fatto un notevole passo
in avanti.
Di nuovo un solitario
grattare la costrinse ad aguzzare la vista, in cerca dell’ennesima lucertola
clandestina.
Temari sbatté le palpebre,
perplessa.
Stanchezza a parte, le pareva
di non aver mai visto delle lucertole grigie.
Un topo.
- Ah. –
La sua mente, parzialmente
annebbiata dal sonno, scelse il momento peggiore per ricordarle che, in effetti,
aveva sempre provato una folle paura verso quegli animaletti molesti.
- Oh. –
Un secondo, due.
Poi Temari iniziò ad urlare,
disperata.
Gaara sussultò.
Indirizzò lo sguardo sul
pavimento del tetto su cui era seduto e, istintivamente, pensò che Temari aveva
urlato.
Nella furia di alzarsi, però,
non aveva considerato un ribelle lembo del suo completo che, col solito
proverbiale tempismo cui erano soliti quei dannati cosi, si era infilato sotto la sua
scarpa.
Il ragazzo si sentì subito
ributtare verso terra.
Atterrò di sedere, sbattendo
contemporaneamente anche la testa, il piede destro e il corrispettivo gomito.
Infine, la paglia non aveva
retto il suo dolce peso e si era semplicemente aperta sotto di lui, lasciandolo
in balia della gravità.
Gaara si sentì precipitare.
Cadde, con gli occhi chiusi.
Il silenzio angoscioso che
cadde – anche lui – sui due sapeva molto di derisione.
Temari alzò un sopracciglio,
attendendo che quello che rimaneva del fratello sbucasse
da quel grumo indistinto di paglia e travi.
- Non… -
- Che
bravo. –
- Hai urlato, ecco. Pensavo
avessi bisogno di aiuto. –
- In
effetti si, c’era un topo. Ma credo che tu lo
abbia schiacciato, oramai. –
- Ah. –
Gaara si sentì incredibilmente idiota. – Torno sul tetto. –
- L’hai appena sfondato. –
- Ah. –
- Già. –
- Vado al campo ad allenarmi.
–
- Si. –
Kankuro, attirato dal fracasso, mise piede nella stanza solo
due minuti dopo, quando ormai del minore non c’era più traccia. Temari era
tornata in posizione prona, di fianco alle macerie.
- Ma
che diamine… -
- Non è
nulla, poi ci penso io. –
Il burattinaio alzò le
spalle, perplesso. – Non serve aiuto? –
- No. –
Le sette e
mezza.
Temari, indolente, tirò un
lungo sospiro.
Continuava a fissare il
soffitto.
Ma là dove Gaara aveva
sbattuto, cadendo, si erano formati quattro cerchi perfetti, che lasciavano
trasparire una fioca luce.
La ragazza, in un ultimo
solitario pensiero prima del sonno, non poté far a meno di pensare che, ancora
una volta, era tutta
colpa di Gaara.
Meno male.
Prima
che mi prendiate per una cretina.
È
mezzanotte e 16 minuti e la mia febbre ha toccato i 40.
La
storia è stata concepita in un momento di pura follia, ecco. Pure io con le Flavours.
La
colpa è ovviamente di Kodamy.
E di chi, se no?
Sua anche la colpa se ho pubblicato questa fanfic. Me l’ha fatta passare.
Grashie, amora**
Come
avete notato, non ho così tanto buona volontà per
andare in ordine.
Questo
era il terzo titolo.
Il
prossimo, se non mi sbaglio, sarà il diciottesimo.
[Next]
The smell of
hospitals in winter.
Solo i morti sentono l’odore di ciò che li ha uccisi.
E, in fin dei conti, Sasuke
era già morto.