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Autore: Lady Antares Degona Lienan    02/01/2007    10 recensioni
[LJ community, 52Flavours]
1. Four rings of light upon the ceiling overhead. [Temari/Gaara][Temari sospirò. Non poté far a meno di pensare che, ancora una volta, era tutta colpa di Gaara][One shot][Romantico, Ironico]
2.The smell of hospitals in winter. [Saku/Sasu][Solo i morti sentono l’odore di ciò che li ha uccisi. E, in fin dei conti, Sasuke era già morto.][Death fic, One Shot][Romantico, Triste]
3.Everything you ever wished for. [Sospresa][Il menù della serata comprendeva, in ordine, speranza, stallo e quindi delusione.][Character-centric, One Shot][Romantico, Malinconico]
4. As long as you're mine.[Sakura/Sorpresa][- Io ti amo. – le classiche tre parole. Sempre efficaci. Urlate in un posto pieno di gente. Ma a mali estremi, estremi rimedi. E lei era IL male estremo.][One shot, Yuri][Romantico, Ironico]
5. Above the thunder. [Oro/Anko]["Ma io avevo dei sogni, prima che Tu giungessi a distruggerli."][Romantico]
6. A new iconography of Resurrection. [Rin-Kakashi-Obito][- Si. Siamo tutti vivi. – disse lui. E Rin si sentì Dio.][One shot, Accenno ThreeSome][Angst, Triste]
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Four rings of light upon the ceiling overhead

Four rings of light upon the ceiling overhead

Quattro cerchi di luce sul soffitto

 

 

 

 

Temari guardò il soffitto, sconsolata.

Il soffitto guardò Temari, sicuramente con minore intensità: ma la ragazza era fermamente convinta del fatto che quel dannato rivestimento di paglia la stesse fissando.

Si girò da un lato. Sputò. Tornò a guardare in alto.

Di giorno faceva troppo caldo, di notte troppo freddo. In un modo o nell’altro, la ragazza aveva sempre una scusa per non dover uscire all’aria aperta e mettersi a guardare il cielo.

Osservò annoiata i suoi soliti vestiti coprirle il corpo ben proporzionato ed ondeggiare al ritmo cadenzato del suo respiro, su e giù, su e giù. Di nuovo su. Poi giù.

 

Cominciava a subentrare l’apatia della giornata, pensò stancamente lei. Gettò un’occhiata azzurrina all’orologio e notò, sgomenta, che erano solo le tre del pomeriggio.

- Cazzo. – disse. Si alzò, ma lo slanciò eccessivo la fece ruzzolare sul pavimento, col mento in avanti. Poi – Cazzo. –

Il ventaglio, abbandonato sullo stipite della porta della cucina, aveva un angolo un po’ strano, e le ombre sulla stoffa andavano a formare un… ghigno?

Come se non bastasse il soffitto.

 

Le tre e mezza, pensò. Giustamente, aveva cercato di ingannare il tempo giocando con le temari, ma dopo mezz’ora in cui aveva provato ogni combinazione possibile per quelle palle di corda si era costretta ad ammettere di non essere un gatto – e quindi, di non voler passare il resto della sua vita rotolando dietro a delle stupide palline colorate.

 

Niente da fare: a quanto pare, aveva esaurito la sua scorta di già limitata pazienza in tutti i giorni precedenti che aveva passato nella stessa identica, noiosa maniera.

Tuttavia, Temari perseverava nella sua decisione: non sarebbe uscita di casa.

 

Non lo avrebbe fatto, no.

Così, avrebbe evitato gli occhi tristi di Gaara, e il suo viso liscio, privo d’espressione.

Il pendolò batté le quattro del pomeriggio.

 

Un’altra mezz’ora.

I pensieri volavano veloci nella sua mente.

 

 

Si svegliò di soprassalto col tipico raspare discreto di una lucertola sulla stuoia.

Osservò il piccolo rettile – e, diciamocelo, gli si sentì particolarmente affine – e quindi sorrise. Le erano sempre piaciute, le lucertole. Discrete ma capaci di assalti letali, se adeguatamente nascoste nell’ombra.

Ed era così che Temari intendeva giocare la partita dei suoi sentimenti: nascosta.

E, possibilmente, muta.

 

Dei piccoli granelli di sabbia fluttuavano pacati nell’aria, mentre altri, quieti, rotolavano sul pavimento in silenzio.

Temari, assolutamente annoiata, si mise a contare il numero di macchie sparse sul pavimento.

2 di sangue, 3 di sabbia impastata. No, 4 di sangue.

Kankuro aprì la porta d’ingresso e, cercando di muoversi più aggraziatamente possibile, si mosse verso di lei.

- Cosa speri di fare, fratello? –

- Di rapirti e portarti all’aria aperta. – rispose.

- Non sono particolarmente incline a questa richiesta. –

- Non lo sei da una settimana. –

- E ho intenzione di esserlo ancora per molto. –

Il ragazzo delle marionette alzò le spalle, deluso. – Sei cambiata, Temari. –

- Chi non lo è? –

Kankuro la fissò per un ultimo lungo istante. Scosse la testa, anche lui stanco di aspettare, e si diresse verso la camera.

Temari sospirò.

Non poté far a meno di pensare che, ancora una volta, era tutta colpa di Gaara.

 

 

Esattamente una settimana prima, a Sunagakure, il vento aveva deciso, in chissà quale impeto di buonismo, di lasciar tirare un paio di sospiri agli abitanti della Sabbia.

Temari, non particolarmente entusiasta ma nemmeno indifferente all’avvenimento, aveva visto l’occasione giusta per poter fare una camminata nel deserto, di notte.

Non fosse per il fatto che Gaara aveva stabilito che non era sicuro, e si era obbligato a seguirla.

 

La sorella aveva alzato le spalle e si era avviata verso le dune a passo spedito.

Vedeva la timida ombra del fratello minore dipingersi sulla sabbia alle sue spalle.

Suo malgrado, non era riuscita a rilassarsi come al solito. Dopo un’oretta di camminata, infatti, si era lasciata cadere per terra.

 

- Cosa fai? –

- Mi rilasso, no? Quello che dovresti fare anche tu, ogni tanto. Sai, sdraiarsi sul letto e… -

Aveva compreso con un attimo di ritardo di aver detto le parole sbagliate.

- Gaara, non… -

Lui non poteva dormire.

- Non importa. Non so cosa voglia dire rilassarsi. Quando sento le palpebre pesanti mi costringo a fare qualcosa per non cadere a terra.

- Gaara, ascolta, non volevo dire… -

- E sai qual è la cosa peggiore? Non è nemmeno colpa mia. –

Il tono era rimasto pacato per tutto il discorso, quasi assente. Temari si era alzata, scossa.

Era stato allora che le aveva viste. Trasparenti su quel viso bianco come quello di una bambola.

Lacrime.

Cadevano sul naso e poi, perdute, si gettavano sulla sabbia, dove scomparivano in un secondo, assorbite dalle dune.

La ragazza aveva pensato che quella era tutta la vita di Gaara,

Non c’è niente di lui che non appartenga alla Sabbia.

ed era una vita triste.

 

Da allora, non era più riuscita a fissare in viso il fratello senza che una sorta di dolore le si arrampicasse, assolutamente non desiderato, per tutta la schiena.

Aveva risolto le cose nella sua solita sbrigativa maniera, come era solita fare: si era chiusa in casa.

Così Gaara, seduto sul tetto, sarebbe rimasto solo un ricordo.

E il cuore di Temari, abbandonato dentro la stanza, non avrebbe sofferto.

Non troppo, almeno.

 

Riaprì gli occhi, che automaticamente caddero sull’orologio davanti a lei.

Le sette.

Aveva fatto un notevole passo in avanti.

Di nuovo un solitario grattare la costrinse ad aguzzare la vista, in cerca dell’ennesima lucertola clandestina.

Temari sbatté le palpebre, perplessa.

Stanchezza a parte, le pareva di non aver mai visto delle lucertole grigie.

Un topo.

- Ah. –

La sua mente, parzialmente annebbiata dal sonno, scelse il momento peggiore per ricordarle che, in effetti, aveva sempre provato una folle paura verso quegli animaletti molesti.

- Oh. –

Un secondo, due.

Poi Temari iniziò ad urlare, disperata.

 

Gaara sussultò.

Indirizzò lo sguardo sul pavimento del tetto su cui era seduto e, istintivamente, pensò che Temari aveva urlato.

Nella furia di alzarsi, però, non aveva considerato un ribelle lembo del suo completo che, col solito proverbiale tempismo cui erano soliti quei dannati cosi, si era infilato sotto la sua scarpa.

Il ragazzo si sentì subito ributtare verso terra.

Atterrò di sedere, sbattendo contemporaneamente anche la testa, il piede destro e il corrispettivo gomito.

Infine, la paglia non aveva retto il suo dolce peso e si era semplicemente aperta sotto di lui, lasciandolo in balia della gravità.

Gaara si sentì precipitare.

Cadde, con gli occhi chiusi.

 

Il silenzio angoscioso che cadde – anche lui – sui due sapeva molto di derisione.

Temari alzò un sopracciglio, attendendo che quello che rimaneva del fratello sbucasse da quel grumo indistinto di paglia e travi.

- Non… -

- Che bravo. –

- Hai urlato, ecco. Pensavo avessi bisogno di aiuto. –

- In effetti si, c’era un topo. Ma credo che tu lo abbia schiacciato, oramai.

- Ah. –

Gaara si sentì incredibilmente idiota. – Torno sul tetto. –

- L’hai appena sfondato. –

- Ah. –

- Già. –

- Vado al campo ad allenarmi. –

- Si. –

Kankuro, attirato dal fracasso, mise piede nella stanza solo due minuti dopo, quando ormai del minore non c’era più traccia. Temari era tornata in posizione prona, di fianco alle macerie.

- Ma che diamine… -

- Non è nulla, poi ci penso io. –

Il burattinaio alzò le spalle, perplesso. – Non serve aiuto? –

- No. –

 

Le sette e mezza.

Temari, indolente, tirò un lungo sospiro.

Continuava a fissare il soffitto.

Ma là dove Gaara aveva sbattuto, cadendo, si erano formati quattro cerchi perfetti, che lasciavano trasparire una fioca luce.

La ragazza, in un ultimo solitario pensiero prima del sonno, non poté far a meno di pensare che, ancora una volta, era tutta colpa di Gaara.

 

Meno male.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prima che mi prendiate per una cretina.

È mezzanotte e 16 minuti e la mia febbre ha toccato i 40.

La storia è stata concepita in un momento di pura follia, ecco. Pure io con le Flavours.

La colpa è ovviamente di Kodamy. E di chi, se no?

Sua anche la colpa se ho pubblicato questa fanfic. Me l’ha fatta passare.

Grashie, amora**

 

Come avete notato, non ho così tanto buona volontà per andare in ordine.

Questo era il terzo titolo.

Il prossimo, se non mi sbaglio, sarà il diciottesimo.

 

 

[Next]

 

The smell of hospitals in winter.

 

Solo i morti sentono l’odore di ciò che li ha uccisi.

E, in fin dei conti, Sasuke era già morto.

 

   
 
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