The world is full
of wonderous things, it's true
But they wouldn't have much meaning
without you.
(Wonderful, wonderful -Johnny Matis-)
Raccolse le pergamene sparse alla
rinfusa, proprio non era da lei tutto quel disordine, d'altra parte
quel piccolo capovolgimento delle sue abitudini era dovuto al fatto
che anche lei, come tutti, spesso perdeva minuti di coscienza,
annebbiata dai pensieri del passato. Da chi non c'era più.
Era
trascorso troppo poco tempo perché il lutto potesse essere
elaborato; e l'essere tornata ad Hogwarts, al contrario di Harry e
Ron, aveva anche a che vedere con il
fatto che per la prima volta si trovava a dover gestire
qualcosa senza sapere da che parte cominciare.
Hermione era
logica, metodica, e questo l'aveva aiutata nelle più disparate
situazioni, facendole cogliere il particolare insignificante ma che
si rivelava sempre essere la chiave del problema; ora invece il lutto
pesava come un masso sul suo cuore, soffocandolo di tristezza, e non
capiva come fare per gestirlo.
Si era allontanata, andando nel
posto che sarebbe sempre stato il monumento ultimo di quella guerra
che aveva portato via troppe persone, anche per non dover sopportare
l'eterno sguardo di smarrimento negli occhi di chi amava; ma ora lo
smarrimento era in lei, e gli occhi che rimanevano vacui, ripensando
alle vittime strappate via dalla vita, erano i suoi.
Mascherava
quel lato in via di corrosione di sé con l'apparenza che il mondo le
aveva sempre affibbiato, ma quando si ritrovava sola ecco che il
blackout si prendeva gioco di lei, come una valvola di bollitore la
corrosione che premeva per uscire si rivelava in gesti stupidi, come
delle pergamene sparpagliate senza cura su uno scrittoio.
Ricordò
quando rimise piede nella tana per la prima volta dopo la fine della
battaglia; l'assenza di Fred era soffocante, la percepiva ovunque: il
silenzio che rimbombava nelle stanze, lo strano tic che prendeva
possesso della mano della signora Weasley, che continuava a portarsi
una mano al petto come a voler proteggere il suo cuore dal dolore
peggiore per una madre, la ruga perenne tra le sopracciglia di
George, pensieroso, nell'attesa infinita della sua metà.
Ron si
muoveva cercando di non dare nell'occhio, ottenendo con maldestro
impaccio l'effetto opposto, ed Hermione, guardandolo, guardandoli
tutti insieme, sentì ancora più amplificato il dolore della
perdita.
Erano passati appena due giorni, e le sembrava che il
mondo non avrebbe mai potuto ricominciare a girare.
Poi la
vita era ripartita, gradualmente, e poco a poco l'apparenza acquisiva
le tinte seppur sbiadite del passato, forse a causa dell'orgoglio,
della voglia di riappropriarsi della vita per chi era stato
risparmiato, l'istinto naturale di sopravvivenza insomma; eppure
c'erano ancora molti segni ridondanti che il lutto non era finito, e
che i cuori feriti si sarebbero forse rimarginati un poco, ma la
lacerazione sarebbe stata lì, per sempre.
Hermione aveva fissato
Teddy, pensando a quando sarebbe arrivato il giorno per tutti loro di
trattenere le lacrime e raccontare a quel bambino chi erano i suoi
genitori; e guardando Molly, che leggeva il Profeta con la mano
posata distrattamente sul cuore, Ron, che parlando continuava a far
cadere ogni cosa che toccava, si era sentita una codarda col suo
desiderio di tornare a Hogwarts.
Non solo suo padre e sua madre,
anche i Weasley erano la sua famiglia e lei, seppur non direttamente,
li stava abbandonando.
- Forse potrei studiare a casa, e dare solo
i Mago... - disse a Ron, pensierosa, in una sera d'estate.
Lui,
incredibilmente, la capì immediatamente, ma in fondo a dirla tutta
non era la prima volta che la sorprendeva.
Le strinse la mano, in
un gesto d'affetto ancora lievemente imbarazzato nonostante ormai
fossero a tutti gli effetti una coppia.
- Hermione, - le disse,
zittendola, - per quanto sia difficile dobbiamo andare avanti con la
nostra vita. Tu vuoi andare a Hogwarts, nessuno si
permetterebbe di aspettarsi che tu non ci vada.
- Abbiamo perso
abbastanza persone da fermarci un attimo e tirarci su tra di
noi.
Anche il suo ragionamento non faceva una piega, ma Ron era
troppo convinto da lasciarle l'ultima parola, per bene che fosse lei
la sua interlocutrice, Hermione Jane Granger, umanamente impossibile
da zittire.
- Hermione, - l'ammonì. Lo guardò, quasi offesa dal
tono di voce che lui aveva usato, che era quasi l'antitesi di Ron
stesso. - dobbiamo andare avanti, e farlo per loro.
La mano si
chiuse maggiormente sulla sua, mentre in silenzio le lasciava il
tempo per comprendere cosa voleva dire. Nel lutto non c'era un giusto
e uno sbagliato, nel dolore le scelte che si compiono non sono da
giudicare. Hermione partì per Hogwarts, Ron l'accompagnò al
binario, rimanendo sulla banchina fino a che il treno partì,
lentamente.
Lei aveva abbassato il finestrino e lo guardava, in
quel silenzio che non ha bisogno di molte parole: si sarebbe sentita
sola senza lui e senza Harry, gli avrebbe scritto e preteso in
risposta lettere dettagliate; si raccomandava che lui non oziasse e
che sfruttasse quel periodo in modo produttivo.
Ron sollevò un
angolo delle labbra,
- Non cambierai mai, Hermione Granger. - Le
disse poi, con tenera fierezza.
Hermione distese la fronte
crucciata, e rispose al sorriso mentre il treno acquistava
velocità.
Odore di bruciato: lo sentiva ovunque, nei
corridoi della scuola. Hogwarts non era più quella dei suoi ricordi
d'infanzia ma di sicuro era stata ricostruita abilmente, eppure
Hermione camminando sentiva sempre odore di bruciato. Si ritrovò a
convincersi che fossero le sue narici ad esserlo, o che fosse quasi
una parte dentro di sé che aveva continuato ad ardere; eppure
complice quell'odore nauseabondo, che le ricordava troppo i momenti
della battaglia, camminava stringendo la bacchetta spasmodicamente,
come se avesse dovuto parare un attacco da un momento all'altro.
La
Sala Grande era diventata un incubo: ogni volta che vi entrava le
sembrava di vedere i corpi che giacevano sulle panche, sui tavoli;
lividi ed inermi, totalmente reali.
Le mancava il fiato, come quel
giorno che vi entrò e scorse il corpo di Fred, esanime.
Si era
sentita persa, guardando quelle labbra sicuramente inclinate
nell'ultimo sorriso, sperando con tutto il suo cuore che fosse
l'ennesimo scherzo del ragazzo: se solo avesse aperto gli occhi
quella volta avrebbe potuto perdonarglielo.
Ma intorno a lui la
sua famiglia piangeva, stringendo per l'ultima volta la mano di Fred,
accarezzandogli la guancia, ripromettendosi forse di vendicarlo.
Hermione aveva capito, non era uno scherzo. Aveva stretto la mano di
Ron, piangendo in silenzio.
Ora faceva di tutto per non guardare
in quella direzione, come se avesse potuto trovare ancora un qualcosa
che lo ricordasse, o peggio, vedere che niente faceva capire che cosa
era successo in quel punto.
Prima dell'ora dei pasti, quando non
studiava, camminava per i corridoi, sentendo l'acre odore di
bruciato, aspettando che il battito del suo cuore rallentasse e che
l'ansia di tornare nella Sala Grande cessasse.
Tutto era come
sarebbe stato se non fosse mai diventata amica di Harry e Ron: sempre
eccellente in classe, infaticabile nello studio a qualsiasi ora del
giorno e della notte, qualche saluto scambiato tra una lezione e
l'altra, qualche chiacchiera nei dormitori e nella sala comune, ma
nulla di più. In quel momento Hermione non voleva di più, mentre
cercava di capire come liberarsi da quel peso sul cuore e allo stesso
tempo aveva paura del momento in cui sarebbe avvenuto: del momento in
cui avrebbe dimenticato.
Inoltre, non sapeva se doveva farlo o
meno: il suo istinto, che nel suo caso era paradossalmente il lato
più razionale, le diceva di evitare semplicemente di pensare,
procrastinare la tristezza in attesa del momento in cui il ricordo le
avrebbe fatto meno male; eppure la sua coscienza strideva con questo
pensiero, suggerendole che non solo la sua anima si sarebbe
intorpidita con quello sforzo ma nessuno dei morti meritava il
mancato onore della memoria, della sofferenza.
E allora cercava di
farsi coraggio, entrava nella Sala Grande e camminava, avvicinandosi
a quel punto che sempre evitava; poi la forma delle mattonelle, il
numero dei passi, la faceva desistere. Il suo coraggio era un altro,
non comprendeva l'essere capace di affrontare il dolore per la sua
perdita.
Aveva sorpreso uno strano movimento, intorno al
reparto proibito: qualcuno andava e veniva costantemente, si era
trovata ad indagare e a concentrarsi sui più piccoli indizi fino a
scoprire un gruppo di studenti che stavano facendo una ricerca. Più
precisamente su un incantesimo antico, che si diceva avesse il potere
di mischiare il presente al passato e dare un nuovo futuro a chi non
lo aveva potuto avere.
Irruppe così nell'angolo della libreria
dove quei ragazzi si erano riuniti.
- Non sapete, - li riprese, la
severa Caposcuola, - che cose terribili succedono ai maghi che si
intromettono nel tempo? Non sapete, - continuò, - che non si può
riportare in vita chi non è più di questo mondo? Siamo maghi e
streghe, non degli dei: se fosse stato possibile a quest'ora ognuno
avrebbe ancora qui i propri cari. - Loro la guardavano, ammutoliti,
cercando di nascondere il libro che avevano trovato: Hermione,
integerrima, notò il movimento e si avvicinò sicura al ragazzo del
quinto anno, togliendogli il libro dalle mani. - Ora, non vi farò
punire solo perché siete stati terribilmente stupidi, non questa
volta: immagino che ognuno di voi abbia un motivo per essere qui;
d'altra parte vi vieto anche solo di pensarci un'altra volta. Vado a
mettere al sicuro questo libro, al mio ritorno non vi voglio più
trovare qui: sta per scattare il coprifuoco.
Si allontanò, con
passo spedito, pronta a consegnare alla bibliotecaria il
volume.
Voltò la testa, per assicurarsi che gli studenti fossero
andati via, e tornando a girarsi inciampò nel piede di una sedia
fuori posto.
Aveva sbattuto le ginocchia a terra, sicuramente si
erano sbucciate, e controllò un'escoriazione sul lato della sua
mano: era una cosa da niente, ci avrebbe pensato lei stessa, senza
dover andare in infermeria. Rialzandosi si guardò intorno, in cerca
del libro, e lo scoprì sotto a un tavolo. Si mise a carponi, per
raggiungerlo, e tirandolo a sé così come era caduto si ritrovò a
non riuscire a distogliere la vista dal punto in cui si era
aperto.
Una figura occupava un'intera pagina, la figura di un
ragazzo sul punto di morire, con gli occhi socchiusi che la
guardavano, guardavano lei.
Era Fred.
Chiuse di scatto il
libro, sicuramente quell'immagine figurava chi, la persona che
leggeva il libro, desiderava riportare in vita, eppure non riuscì a
riprendere a camminare. Fissò a lungo la copertina, poi nascose il
libro nel mantello della sua divisa e si diresse verso il suo
dormitorio.
Era così concentrata su quello che stava facendo
che per una volta non notò l'odore di bruciato: i suoi occhi
saettavano in continuazione, il suo cervello continuava a fornirle
scuse nel caso qualcuno l'avesse sorpresa e al contempo moniti
continui di riportare il libro al suo posto; il braccio stretto
convulsamente al fianco, dove aveva incastrato il grosso volume, era
così premuto che i muscoli le facevano male.
Borbottò alla
Signora Grassa la parola d'ordine, lasciandosi andare a uno sbuffo
all'ennesimo momento di protagonismo della donna del quadro, e quando
finalmente la fece entrare si infilò nel passaggio, percorse a passi
lunghi e rapidi la sala comune ed infine salì verso il suo
dormitorio.
Le altre ragazze, che dividevano con lei la stanza, si
erano riunite su un letto, e ridacchiavano scambiandosi delle foto,
-
Ciao Hermione, vieni anche tu? Stiamo componendo la nostra squadra
ideale di Quiddich, in base a dei canoni che sono molto importanti,
anche se nessuno ci dà peso: bellezza, fisico e fascino!
Hermione
si sforzò di sembrare naturale,
- Scusatemi, ma ho degli
arretrati da studiare, sarà per un'altra volta!
Si sedette
sul suo letto, fece scorrere la tenda intorno al baldacchino e lanciò
un incantesimo insonorizzante. Anelava la pace, in momenti come
quello rimpiangeva non poter avere una camera tutta per sé. Sfilò
il libro dal suo nascondiglio, e lo riaprì: ancora la stessa pagina,
ancora quel viso. Lo chiuse di scatto, gattonò sopra alle coperte e
lo nascose sotto al materasso: la tentazione di leggerlo, di sapere,
era arricchita non solo dalla sua proverbiale sete di conoscenza, ma
anche dal pensiero che stava lentamente insidiandosi, come un
serpente, nella sua mente. Forse c'era un modo per salvarlo. Fred o
qualcun altro.
Ripeté come un mantra le parole che aveva detto al
gruppo di studenti in biblioteca, rivolte a sé stessa, per far sì
che si imprimessero bene in lei e scacciassero la tentazione.
Non
era il suo destino.
La storia del secondo fratello Peverell.
Non
apparteneva più al mondo dei vivi.
Eppure continuava a sentirsi
in colpa, come se la sua prudenza fosse il motivo per cui non poteva
scoprire se poteva dargli un nuovo presente, un futuro che era stato
strappato via dal male.
Aprì gli occhi, capendo di essersi
addormentata sfinita dai suoi ragionamenti, realizzando allo stesso
tempo che per quanto avesse dormito, ore o pochi minuti, la sua
razione di sonno per quella notte era già stata esaurita. Scostò le
tende, scoprendo che nella stanza era calato il buio e che le altre
ragazze dormivano tranquille. Prese la vestaglia, la sua bacchetta e
decise di andare a leggere qualcosa nella sala comune. Poco prima di
uscire dalla stanza però tornò verso il suo letto, prendendo il
libro da sotto il materasso: aveva bisogno di sentirlo accanto a
sé.
La sala comune era uno di quei posti tornato rapidamente
ad assumere l'aspetto che aveva sempre avuto, si accoccolò sul
divano ravvivando il fuoco con un colpo di bacchetta e iniziò a far
vagare lo sguardo tra quelle mura.
Solo in un punto, il muro
dell'uscita, c'era qualcosa di diverso: i ritratti dei vecchi
compagni che avevano perso la vita durante l'ultima guerra magica,
sormontati da una targa dorata che recitava:
Con amore nel loro ricordo,
Grifondoro fino alla fine.
Passò
in rassegna i loro visi, alcuni meno conosciuti, alcuni terribilmente
cari come Lupin e Sirius, che era stato affisso nonostante la sua
morte fosse avvenuta poco prima della comprensione da parte di tutti
del ritorno di Voldemort.
I loro visi erano come se li sarebbe
sempre ricordata, con lo sguardo fiero, l'espressione tranquilla.
Proseguì, incontrando il ritratto che tra tutti l'aveva sempre messa
a disagio: Fred, con una fossetta accennata sulla guancia, un piccolo
particolare che forse sfuggiva a chi non l'aveva conosciuto appieno;
era come l'inizio di un sorriso, di una risata. La turbava perché
per quanto così rappresentato fosse felice, in realtà qualunque
persona che sta per sfoderare un sorriso non può essere definita in
pace: in pace è chi è già arrivato al culmine del sorriso, o chi è
tornato esteriormente serio conservandolo negli occhi e nel cuore,
non chi sta per esprimerlo.
Perciò il quadro di Fred non le
trasmetteva un fiero ricordo, come per gli altri.
Non avevano
voluto fossero animati, pensavano che aiutasse chi li aveva
conosciuti ad osservarli senza rimpianti, con serenità.
Ed
invece, incrociando lo sguardo dell'amico, i rimpianti di Hermione si
accavallavano sempre di più, torturandole la coscienza.
Traduzione della citazione musicale iniziale:
Il mondo è pieno di cose meravigliose, è vero,
ma non avrebbero molto senso senza di te
Nda Con sorpresa mi do ai contest,
questo specialmente è stata una bella fonte d'ispirazione, e mi
ha fatto buttare su questo pairing che ho scoperto interessarmi molto.
La storia è consegnata, i capitoli non amo pubblicarli tutti insieme, quindi contate su una frequenza settimanale.
Bhe, spero che vi piaccia!