Crossover
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Autore: Registe    17/06/2012    3 recensioni
Seconda storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone". Sono passati tre anni dagli avvenimenti narrati ne "Il Castello dell'Oblio", e i membri dell'Organizzazione hanno perduto gran parte dei loro poteri e sono ridotti a vagare per il loro mondo primitivo come vagabondi o ladruncoli qualunque. Auron e Mu invece si sono uniti alla Resistenza contro il Grande Satana, anche se Auron non e' ancora riuscito a dimenticare la breve storia d'amore vissuta con Zachar tre anni prima. Nella Galassia Mistobaan, ancora sotto l'influsso del condizionamento, e' diventato il fedele braccio destro dell'Imperatore. Ma il Grande Satana non intende rimanere a guardare, e tentera' con ogni mezzo in suo potere di riprendersi il suo servitore...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 3 - Tre giorni


Dohko

Dohko




“Quanto manca?”
“Sarà la milionesima volta che me lo chiedi, Auron. Il Tempio è oltre quelle colline laggiù, ci vorrà ancora un giorno e mezzo circa di cammino.”
Auron sbuffò d’impazienza, allungando il passo per tenere dietro all’esuberanza di Mu. Andare al Tempio delle Dodici Case era stata un’idea dell’amico, naturalmente. Erano anni che il sacerdote non aveva notizie dei suoi ex compagni, e anche se all’epoca non si erano separati nel migliore dei modi era impaziente di rivederli. Gli mancavano molto, aveva confessato ad Auron, che alla fine si era offerto di accompagnarlo. Non amava i preti, ma sempre meglio che lasciare il piccolo e indifeso Mu a girovagare da solo per strade infestate da Occhi di Zaboera e altre creature della famiglia demoniaca.
“Pensi che ti accoglieranno bene?” domandò il mercenario, sferrando un calcio all’ennesimo ciottolo sul sentiero polveroso. Erano appena usciti da un boschetto e adesso di fronte ai loro occhi si estendeva una morbida distesa verde, interrotta soltanto qualche chilometro più a nord da un gruppo di colline dai fianchi ricoperti di alberi. La strada che stavano seguendo portava proprio in quella direzione.
“Ne sono sicuro. Dopotutto non abbiamo litigato… beh, non proprio, almeno. Ma penso che anche a Shaka farà piacere rivedermi”.
“Basta che stai attento a non farti sfuggire troppe cose con lui…”
“Lo so, Auron, lo so. Non c’è bisogno che tu me lo dica”.
“Non si sa mai. Le nostre spie dicono che hanno patteggiato con il GSB”.
“Lo hanno fatto per poter restare in pace. Non ci tradirebbero mai, lo so.”
“Beh, sempre meglio tenere la bocca chiusa e basta! Inventa la scusa che vuoi, ma evita di dire che abbiamo passato tre anni con la resistenza, grazie!”
La resistenza. La loro nuova famiglia, la nuova, pericolosa missione in cui avevano scelto di imbarcarsi. A dire la verità Mu ne faceva parte da molto più tempo di lui: da prima di venire rapito dai membri dell’Organizzazione e portato al Castello dell’Oblio. Era stato proprio il sacerdote a presentare Auron alla principessa Leona e agli altri, garantendo che sarebbe stato un ottimo alleato nella lotta contro i demoni. Auron non avrebbe mai e poi mai immaginato che un mercenario come lui sarebbe finito a impiegare la sua spada in nome della nobile causa della libertà, ma era davvero grato alla resistenza: gli aveva dato uno scopo, qualcosa in cui credere. Aveva dato alla sua vita una nuova direzione dopo che le sue speranze di costruirsi un futuro con la donna che amava erano saltate in aria insieme al Castello dell’Oblio.
Zachar.
Non l’aveva mai dimenticata. Si diceva che il tempo guarisse le ferite d’amore e sbiadisse i ricordi, ma… beh, per quel che lo riguardava erano tutte cazzate. Chi lo pensava probabilmente non era mai stato innamorato in vita sua; non sul serio, almeno. Ogni volta che chiudeva gli occhi prima di dormire vedeva il volto di lei vivido come se fosse stato impresso a fuoco dietro le sue palpebre. Vedeva il suo sorriso, dolce e malinconico come allora. Aveva provato ad annegare quei ricordi nell’abbraccio di altre donne, a stordirsi tra i loro baci e le loro carezze. Era servito solo a farlo stare ancora peggio, e a far piangere un paio di ragazze della resistenza che credevano di aver trovato nel misterioso guerriero vestito di rosso l’uomo della loro vita.
Fortuna che c’erano i combattimenti contro i demoni a tenere la sua mente occupata. E gli amici. Ne aveva trovati di ottimi nella resistenza, ma sopra ogni altro c’era l’insostituibile Mu. Anche lui aveva i suoi rimpianti: non era mai riuscito a perdonarsi di aver abbandonato Camus nelle mani di Vexen, anche se non era stata colpa sua.
“Secondo te come sta ora?” Mu gli aveva letto nel pensiero. Gli aveva fatto quella domanda centinaia di volte. Non aveva mai abbandonato la speranza di ritrovare Camus un giorno, e liberarlo finalmente dal condizionamento.
Auron scosse la testa, incapace di rassicurare l'amico, e rispose con una nuova domanda: “Ti sei mai chiesto perché i membri dell'Organizzazione hanno scelto proprio noi, tre anni fa? Perché proprio io, te e Camus? Cosa avevamo di speciale?”
“Io credo nulla, Auron.” la voce di Mu si era fatta improvvisamente più dura e tagliente. “Ci hanno presi a caso. Volevano solo degli schiavi e delle cavie per i loro esperimenti, tutto qui. E adesso Camus è ancora nelle loro mani. E noi non siamo riusciti a fare niente.”
Era un discorso che avevano già affrontato. “Mu, sai anche tu che...”
“Sì Auron, lo so, lo so.” sospirò. “Shaka e gli altri saranno preoccupatissimi per lui. Non credo che sappiano del mio rapimento, perché all'epoca ero già con la resistenza, ma Camus è stato preso dall'Organizzazione mentre era al Tempio. Il minimo che posso fare è spiegare loro cosa gli è successo.”
“Chissà, forse potrebbero aiutarci a cercarlo.” disse Auron, più per consolare l'amico che perché lo pensasse veramente. Se davvero i sacerdoti delle Dodici Case erano scesi a patti con i dominatori demoni allora non dovevano avere troppa libertà di azione.
Guardò verso le colline che si avvicinavano sempre di più, colto all'improvviso da un presentimento oscuro e inquietante. Scosse la testa, ansioso di scacciare quel pensiero.
Sarebbe andato tutto bene, e con un po' di fortuna i preti non lo avrebbero neanche ammorbato troppo con i loro sermoni.


Non erano passi felici quelli che guidavano il Gran Sacerdote verso la Sesta Casa. In verità non lo erano ormai da diversi anni, perché ad ogni gradino le sue ossa gli ricordavano i decenni che dovevano sostenere ed il bastone scricchiolava al vento. Ma quello che più gli doleva era la lettera appena giunta per bocca di una viverna, che lo aveva costretto a scendere di corsa la scala tortuosa del Tempio delle Dodici Case sotto lo sguardo preoccupato di Aphrodite e Shura.
La pace che regnava nella Casa della Vergine era innegabile. Il suo custode accendeva grani di incenso ogni giorno, ed i petali di loto degli albero gemelli del suo giardino vorticavano nell’aria; il vecchio maestro si era attardato più volte in quel luogo sacro per trovare un po’ di requie dalle tante preoccupazioni, ma non era lì per quello.
L’uomo (o il ragazzo, non era mai riuscito a definirlo) era nel giardino. Interruppe subito la meditazione, ed abbandonò la posa del fiore di loto per prostrarsi davanti a lui “Maestro Dohko, immagino che non sia una visita di cortesia quella che concede alla mia umile Casa”.
“Lascerei le cortesie ad un giorno più lieto, Shaka”.
“Ogni giorno è lieto, perché gli dèi ci consentono di viverlo”.
“Hai ragione, ed è bene che anche io me ne ricordi sempre”.
Non mi ero sbagliato. Il mio confratello è molto saggio nonostante la sua giovane età.
Shaka fece scivolare una mano nell’erba bagnata e strinse con forza il suo rosario “Ho percepito delle ombre addensarsi verso il nostro Santuario, maestro”.
“Come al solito i tuoi sensi sono migliori dei nostri, Shaka. Il Grande Satana Baan ci ha inviato un messaggio. E’ convinto che abbiamo infranto il patto, sostiene di aver trovato in libertà uno dei nostri sacerdoti e di averlo preso prigioniero”.
“Camus?”
“Non saprei. Non ho mai smesso di farlo cercare, sai? Sono più di tre anni che manca dal Santuario e non siamo venuti a capo di nulla. Stava preparando per me uno dei suoi infusi e poi …” chiuse gli occhi, cercando di fermare nella mente l’immagine del sacerdote svanito prima che gli anni sbiadissero i suoi capelli azzurri ed il sorriso paziente. Era svanito nel nulla proprio tra le loro mura benedette, e per quanto avessero cercato in lungo ed il largo né lui né l’armatura erano stati ritrovati
“ … Non ho ancora il coraggio di recitare per lui l’ultimo saluto, ma più di un nostro confratello ha chiesto di assegnare a qualcuno di nuovo la sacralità dell’Undicesima Casa”.
E se non era il sacerdote dell’Acquario ad essere stato catturato …
“Mu, allora?”
“E’ più probabile. Si è unito alla resistenza anni fa e non abbiamo più avuto sue notizie”.
Più di un segno di preoccupazione attraversò il suo giovane viso anche se le sue palpebre rimasero abbassate, lasciando trasparire solo un fremito nelle sopracciglia bionde. Il suo confratello non apriva gli occhi da tantissimi anni, votando ogni sua concentrazione ed ogni pensiero al raggiungimento dell’ascesi. Non lo fece nemmeno in quel momento, ma l’anziano Dohko sapeva cosa stava attraversando la sua mente; Mu era stato l’unico amico sincero di Shaka sin dalla primissima infanzia, uno dei pochi a rimanere al suo fianco nelle meditazioni infinite e nella stesura di nuovi salmi. Il pensiero che potesse essere in pericolo turbava la sua meditazione.
Per quanto Mu fosse ancora il Custode della prima Casa erano anni che non giungeva al tempio nemmeno nelle solennità, e più di un cavaliere aveva contestato la scelta del Gran Sacerdote di non confiscare la sua armatura. Mu aveva deciso di servire la causa degli dèi a modo suo, al fianco dei ribelli contro la tirannia del Grande Satana, mentre loro … beh, avevano promesso al signore dei demoni che non avrebbero esteso le loro predicazioni al di fuori del Tempio o sarebbero stati schiacciati. Saga dei Gemelli aveva più volte protestato, perché appariva come un inevitabile atto di codardia da parte loro.
“Maestro … io credo che Mu in parte fosse nel giusto”.
Il giovane sacerdote interruppe i suoi pensieri, come se avesse indovinato i dubbi che gli rodevano l’anima “Sono mesi che vi rifletto, e l’idea scuote la parte di me che anela alla trascendenza. Gli dèi ci hanno offerto una mente per ragionare e per vagare al di là delle mere forme materiali, come un battito di ali di gabbiano che sale dal mare e giunge a contemplare il cielo”. Dohko si sedette, ascoltandolo. Shaka era sempre stato illuminato da visioni divine, la sua anima era sempre un filo diretto con gli dèi; era sempre stato così, sin da quando avevano trovato quel bambino di tre anni che poteva discutere di teologia con lui e Sion “Ma se avessero voluto dotarci di solo pensiero, ci avrebbero dato ben altra forma. Ci hanno offerto una bocca per parlare …”
Narratore: Sì, Shaka, ma tu stai abusando ampiamente di questo regalo! Registe, che scatole, è comparso ora e già non si regge, vi prego, sbrigatevi a cambiare scena!
“… per cantare salmi e ringraziarLi. Ma la bocca esiste anche per diffondere il Loro volere, così come le mani e le braccia ci consentono di portare a compimento le Loro volontà. Maestro, per arrivare al Nirvana le parole sono importanti quanto le preghiere”.
“Vi hai pensato molto, fratello mio”.
L’altro si lasciò scivolare un sospiro. Dohko si sentiva stanco e perso, proprio come un Gran Sacerdote non poteva permettersi di essere in un momento simile. Aveva sbagliato ad accettare quel patto ed a piegare la testa, adesso la consapevolezza gli bruciava ancora di più nel petto; aveva preferito fuggire e portare in salvo i valori del loro credo, aiutando coloro che venivano a supplicare in cerca di aiuto. Prima dell’avvento del Grande Satana la loro parola era stata legge, e da quando avevano chinato il capo il loro intero mondo aveva fatto lo stesso. Sapeva di alcuni popolani che erano giunti persino ad eleggere il capo dei demoni come l’unico dio … “Ho sbagliato tutto, Shaka”.
“Maestro, è stata una decisione soltanto …”
“No. Sono stato cieco, e solo adesso che ho in mano questa lettera mi rendo conto del mio errore. Ho permesso al Grande Satana di rinchiudere non solo noi, ma ciò in cui crediamo in queste quattro mura e gli ho lasciato le vite e le anime dei nostri fedeli”.
“Siamo solo un pugno di sacerdoti, maestro. Lei ha fatto di tutto per preservare la nostra incolumità”.
Incolumità … questa parola perdeva ogni significato davanti alla minaccia del Grande Satana. Nessuno sarebbe rimasto incolume nell’arco dei prossimi giorni “Shaka, ancora una volta le tue parole mi hanno riportato sulla retta via. A cosa serve la nostra vita se non operiamo secondo la volontà degli dèi?”. Quello sfacelo era una sua responsabilità. Era il Gran Sacerdote, l’uomo che un tempo aveva in mano il destino degli abitanti di tutte le città libere, la sua parola era stata legge e si era lasciato imbavagliare come uno stolto.
“Dobbiamo rimediare a questo madornale errore, io per primo. E mi scuso sin da ora con te per aver trascinato tutti quanti voi. Il Grande Satana ci ha dato un preavviso di tre giorni”.
“Troppo pochi per organizzare una qualsiasi difesa”.
“Ma non per mettere in salvo gli accoliti più giovani, i testi sacri e ciò che deve essere preservato. Noi andremo incontro al nostro destino ed il Nirvana sarà la nostra ricompensa”.
Un ultimo, grande gesto per la gente che aveva creduto in loro.
Per coloro che avevano tradito.
L’altro si alzò, e con un gesto stanco mise nuovi grani d’incenso nel braciere. Il loro profumo si sparse per quel luogo sacro, ed il vecchio sacerdote sentì il cuore in pace, come liberato da una catena che lo aveva strangolato giorno dopo giorno, accompagnandolo nella sua vecchiaia senza pace. Il bagliore delle braci si riflesse sull’armatura d’oro del suo compagno, e da lì si dispersero sull’erba e lungo le pareti della Sesta Casa; il crepitare del carbone sembrava un inno di pace.
Gli dèi approvavano la sua decisione, ora ne era certo.


Non è facile impressionare un demone che ha vissuto più di tremila anni e assistito a tutti gli sconvolgimenti e i cataclismi del suo mondo. Ci vuole qualcosa di grande, di inaudito, di irripetibile. Eppure quel giorno a impressionare il Grande Satana bastò un piccolo oggetto dall’aria nemmeno particolarmente minacciosa. Zaboera aveva passato una giornata intera nel suo piccolo laboratorio, sommergendo gli oggetti che avevano trovato addosso ai Membri dell’Organizzazione dei più potenti incantesimi di divinazione che conosceva. E quando la risposta era giunta non aveva tardato a riferirlo al suo sovrano, che nell’ultima luce del pomeriggio stringeva tra le mani, immobile e pensoso sul trono, la fonte di tanta agitazione.
Un semplice scettro di legno nero, così rozzo che qualsiasi re umano si sarebbe sentito offeso ad impugnarlo come simbolo di potere. Ma gli umani, nella loro avidità senza confini, non sapevano guardare al di là della superficie delle cose, e trascuravano ciò che era veramente prezioso in favore di cose più appariscenti, di ciò che “brilla”. Erano come insetti attirati dalla luce, Zaboera ne era convinto pur rispettando il loro ingegno e la scienza che li animava.
I tre uomini che avevano catturato non avevano compreso il potere di quegli oggetti magici, non si erano nemmeno sforzati di mettere a frutto il loro minuscolo cervello per districare l’arcano.
Quegli oggetti ora erano nelle mani del Grande Satana. Lo scettro nero, le due pietre, il puzzle, la chiave e l’occhio d’oro. Ma erano stati i primi a colpirlo.
“Incredibile. Assolutamente incredibile” aveva mormorato il demone anziano “Di certo questo oggetto non è di produzione umana”.
Zaboera conosceva molto bene i mille tentativi del Grande Satana di prolungare la sua esistenza; la famiglia demoniaca godeva di una vita pari a centinaia di quelle degli uomini, ma il sovrano aveva compiuto un enorme sacrificio per garantire la sua sopravvivenza contro ogni limite imposto dalla natura. Il piccolo demone scienziato conosceva quel fardello, e poteva comprendere l’espressione di stupore che comparve sulla fronte del suo signore; quello scettro aveva il potere di donare una vita eterna a chiunque lo toccasse, un piccolo oggetto di legno in grado di vanificare sforzi durati migliaia di anni. “Concordo con lei, Grande Satana. E la ringrazio di aver condiviso con noi generali questo enorme potere”.
“Siete coloro in cui ho riposto la mia fiducia, Zaboera. La vostra vita mi è cara e preziosa”.
“Nessun sovrano umano farebbe un gesto simile, mio signore”.
“E’ questo che ci distingue da loro. Non scordarlo mai”.
“Piro piro Piroro, questo non lo scorderemo Killvearn! Mai, mai e poi mai!”.
A Zaboera non servì sollevare la testa per capire chi fossero i nuovi arrivati; il passo di Killvearn era lento, misurato, aveva imparato a riconoscerlo fin troppo bene nel corso degli ultimi anni. E se non erano gli stivali neri, era la piccola creatura sulla sua spalla ad avvisare l’arrivo del suo signore con una vocina chioccia ed insopportabile. Avrebbe dato uno dei suoi cuori per immobilizzarlo su un tavolino operatorio adeguato. “Ovviamente, Piroro” fece l’essere vestito di nero, inchinandosi davanti al trono del Grande Satana “Mi ha chiamato, mio signore?”.
Sulla sua maschera nera era dipinto un sorriso inquietante che male si intonava con la freddezza della sua voce; Killvearn era in mezzo a loro da centinaia di anni, e per tutto quel periodo cosa passasse per la sua mente era stato un enigma. Il suo modo di roteare la falce persino da inginocchiato gli faceva venire il voltastomaco ed anche una sincera paura.
Narratore: Registe, guardate che lo avevamo descritto la scorsa serie e …
Registe: Tu narra e basta, perché di certo nessuno si ricorda di lui e non fa male rinfrescare la memoria!

Il Grande Satana si prese del tempo; dietro il suo gesto calcolato di svuotare il calice colmo limonata demoniaca vi erano decine di pensieri e riflessioni. Che Killvearn attendesse pure. Non gli sfuggì lo sguardo che lanciava in continuazione verso la finestra.
“Credo che Zaboera abbia scoperto qualcosa che possa interessare anche te”
“Il demone-nano, Killvearn? Oh, Killvearn non si fida di quello che dice un generale fallito, vero Killvearn? Piro Piroro!”
“Piroro, non sta bene parlare così al cospetto di sua maestà!”
“Ma lo dici sempre anche tu, Killvearn! E Killvearn ha sempre ragione!”
Zaboera non aveva mai avuto l’opportunità di fulminare i nemici con il suo sguardo, men che mai di spaventarli con i suoi incantesimi o con la semplice potenza fisica; ma in quel momento il suo unico desiderio sarebbe stato scaricare una tempesta di fulmini sull’individuo armato di falce ed il suo stupido gnomo da compagnia. Si trattenne solo perché le conseguenze non sarebbero state di suo gradimento, specie la parte in cui i suoi arti si sarebbero trovati in punti separati della stanza. Ma il tintinnio del calice sul bracciolo pose fine a qualsiasi insulto di Piroro “Non voglio sentire altro”.
Nessuno poteva contraddire il suo signore.
Killvearn lanciò un altro sguardo verso la finestra e l’ombra che si stagliava dalla colonna.
“Dai nostri prigionieri abbiamo ottenuto delle informazioni molto interessanti riguardo all’attuale posizione di Mistobaan, e non ho alcuna intenzione di sapere il mio Braccio Destro prigioniero presso un insulso imperatore umano. Gli umani erano del tutto ignari di possedere queste …”
Il sacchetto che avevano prelevato dall’umano dai capelli rossi attraversò la stanza e si poggiò sul palmo del nuovo arrivato; quando scivolarono fuori, le due pietre emanarono una flebile luce che andava tra l’azzurro ed il verde. Quando i suoi incantesimi di divinazione avevano delineato il loro potenziale aveva generato una scossa magica che aveva fatto tremare l’intero Baan Palace.
“… Sono delle pietre in grado di teletrasportare il loro proprietario. Abbiamo effettuato una prova all’interno del nostro mondo e ti assicuro che sono funzionanti, per quanto mi meraviglio che simili oggetti siano opera degli umani. Ma abbiamo scoperto un limite: non possono trasportarci in luoghi che non conosciamo o non abbiamo visitato, quindi per tutti quanti noi è impossibile raggiungere la dimensione in cui adesso è prigioniero Mistobaan”.
“Oh, adesso comprendo il motivo della sua chiamata, Grande Satana”.
“Tu sei l’unico ad aver viaggiato oltre la nostra dimensione, e ne ho parlato anche con il tuo padrone. Senza il suo aiuto non sarei riuscito a teletrasportare Mistobaan nel Castello dell’Oblio”.
Già …soppesò Zaboera …non è nemmeno uno dei nostri. Ecco perché si comporta in modo così insolente …
Killvearn (e l’odiosa aggiunta di Piroro) era frutto di un’antica alleanza del Grande Satana. Con chi, i suoi generali non erano tenuti a saperlo. Il signore dei demoni passava spesso ore davanti ad uno specchio, intento ad un complesso gioco di scacchi con questo particolare e non distinto alleato. L’unica cosa che ai generali era stato concesso di sapere era che Killvearn si sarebbe unito a loro con parità di grado, anche se la notizia non aveva allettato nessuno. L’essere con la falce era riuscito a snervare persino Hyunkel, e sapeva che Crocodyne aveva un’idea o due su come avrebbe ridotto Piroro il giorno che quell’alleanza fosse saltata.
La creatura fece scivolare il sacchetto tra le pieghe del suo abito nero “Lo consideri fatto. Ho bisogno solo di qualche Occhio di Zaboera per monitorare i numerosi pianeti di quella dimensione”
Già, adesso le mie invenzioni ti fanno comodo …
“Fai quello che credi, ma riportami Mistobaan o almeno sue notizie”.
“Lo riporterò da lei, mio signore! A qualunque costo!”
“Non fargli del male” c’era una nota minacciosa nella voce del Grande Satana. “Potrebbe essere necessario usare la forza, ma voglio che arrivi qui in buone condizioni. Tienilo bene a mente”.
“Come desidera, mio signore”.
Il loro signore lo congedò con un’occhiata, e l’emissario nero svanì in una cortina di fumo, lasciando il piccolo demone scienziato perso nei suoi pensieri. L’espressione sul volto del suo sovrano era molto più viva quel giorno, perché il fuoco che ardeva in lui migliaia di anni prima non si era mai spento, e tornava ogni volta che aveva delle missioni da assegnare. Si passò la mano nella folta barba bianca, poi si voltò verso una figura che per tutta la durata della conversazione era rimasta immobile in piedi appoggiata ad una colonna, lo sguardo perso oltre la finestra.
“Generale Baran. Conosci già la tua missione”.
“Il Choryugundan è pronto a partire al suo comando, Grande Satana”.
“Molto bene. Vai, Generale, e mostra a quegli umani traditori quanto può essere terribile l’ira della famiglia demoniaca”.
  
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