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Autore: Nimel17    17/06/2012    1 recensioni
Christine scrive nel suo diario la sua storia
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nacqui in una fredda cittadina della Svezia, in un freddo aprile. Mio padre mi tenne tra le braccia ancora prima di mia madre, che morì dopo poche ore. Mio padre avrebbe potuto, come fecero molti altri, odiarmi perché causa della morte di mia madre. Ma non lo fece. Mi amò come unica cosa rimasta al mondo. Nella culla, mi cantava le ninne nanne e mi raccontava le antiche storie bretoni e nordiche. Quando compii sei anni, vendette la sua casetta e il piccolo pezzo di terra che possedeva, e vagammo per le campagne come nomadi. Furono degli anni meravigliosi, anche se non avevamo lussi o un tetto sulla testa. Lui suonava il suo amato violino, io tentavo di seguirlo con la mia voce. Ancora prima di insegnarmi a leggere e a scrivere, mi insegnò le note e a leggere la musica. Cantavo, con la mia voce infantile. Mi viene tenerezza pensando a quei momenti: oh, se non fossero mai passati! La gente mi diceva che avevo una voce bellissima, mi applaudiva e papà mi abbracciava e mi sollevava in alto. Mi raccontava ancora le antiche leggende, ma la mia preferita era una sola: quella dell’Angelo della Musica e della piccola Lotte. Se solo penso che, in fondo, l’Angelo è stato causa delle mie seguenti sventure, avrei voluto che papà non me l’avesse mai narrata.
Avevo undici anni quando conobbi Raoul. Il mio bello e dolce Raoul. Ricordo tutto come se fosse ieri: il vento, nella costa francese dove eravamo in vacanza, aveva sollevato la mia sciarpa in mare e lui me l’aveva recuperata. Stava spesso con me e papà, era un compagno ideale di giochi, e così fu per tutti gli anni che seguirono. Quando il professor Valerius ascoltò me e papà ad una fiera, disse che potevamo avere un gran futuro musicale, e ci portò in Francia con sua moglie, Mamma Valerius. Così lasciai Raoul.
A casa Valerius eseguii degli studi generali, ma seguii soprattutto la musica: la musica che cantavo ad ogni ora del giorno, fino a perdere la voce. Avevo sedici anni quando rividi Raoul: era cresciuto ed era così bello, con quegli occhi azzurri e i capelli biondi e lo sguardo ingenuo e premuroso. Per fortuna, non ha mai saputo tutto di quello che riguardava lui…  Pochi mesi dopo, papà morì e anche papà Valerius. Restammo io e la mia seconda madre, ed anche Raoul, naturalmente. Ma qualcosa era cambiato in lui e in me: mi stavo innamorando con quell’amore candido dell’adolescenza, niente a che vedere con…no, non debbo più dirlo. È tutto dimenticato. Ma sentivo anche che Raoul non era più il compagno di giochi, che stava entrando nell’alta società come Visconte di Chagny. Così non volli più vederlo, anche se non lo ammisi mai, e lui entrò in Marina ed io in Conservatorio. Il talento musicale che mi aveva contraddistinto mi abbandonò in gran parte, per la perdita di papà, del professor Valerius e di Raoul. Non provavo più interesse a diventare una cantante lirica.
Seguirono due anni in cui si alternavano periodi di inerzia e di improvvisi trionfi. Mamma Valerius era tutto il mio mondo, e spesso confidavo a lei tutte le mie tristezze, incertezze. Fu forse colpa di quel ritorno dei ricordi del passato che fui così sciocca da provocare quella catena di sciagure.
Tutto ebbe inizio in una sera di febbraio. In verità, stavo meditando di togliermi la vita, dato che essa non aveva più senso. Il mio cuore non aveva conosciuto amori, e si sforzava di ignorare Raoul. Tutti mi lanciavano sguardi ammirati per la mia vita sottile, i capelli biondi che tenevo lunghi e morbidi, gli occhi azzurro chiaro e mi dicevano che avevo un sorriso che spezzava il ghiaccio. Oh, che ho detto? Questo me l’aveva detto solo lui. Sempre lui, lui, lui! Perché non riesco a liberarmene?
Come stavo dicendo, meditavo di togliermi la vita, ma esitavo perché non volevo recare altro dolore a Mamma Valerius. In quel momento, udii… udii la voce più bella che avessi mai sentito, ancora adesso posso affermarlo. Cantava l’aria di Romeo e Giulietta, ma con una tale maestria che la mia anima ne rimase incantata, esaltata. Percorsi come una matta i corridoi e i camerini vicini, ma non riuscii a trovare quella voce così superba. Eppure, la sentivo sempre vicina a me. Ritornai nel mio camerino, ma la Voce non cantava più. Ripeteva il mio nome con una strana intonazione, che solo dopo anni potei identificare. Anche in questo momento sento lui che dice: Christine….Christine…Christine…
Mi accorgo che sto piangendo. Fa troppo male ricordare. È come una stilettata nel fianco, nel cuore. Nessuno ha mai saputo la completa verità tranne me e te, Diario. Mi vergogno persino a scriverla.
Cercai in ogni modo la Voce, quando mi venne un’ispirazione: era forse l’Angelo della Musica?
Oh, Diario, capisci perché ad ogni attimo rimprovero la mia scelleratezza? Se in quel momento non avessi creduto alla leggenda, forse non sarebbe accaduto niente. Ma ero cieca e sorda, sentivo solo quella voce.
Chiesi:
“Oh, Angelo, sei tu?”
Il modo in cui mi rispose, la dolcezza delle parole, non avevano niente di umano.
“Si, Christine. Sono il tuo Angelo della Musica, che tuo padre ha mandato sono qui per insegnarti la Musica, la vera Musica che non hai mai udito prima d’ora.”
In un certo senso era vero. Non avevo mai udito niente di così straordinario. Lui mi impose sempre dolcemente che mi avrebbe dato lezioni nel mio camerino, alle nove della sera, quando non c’era più nessuno.  La sera, quando tornai a casa, raccontai tutto a Mamma Valerius. Non mi resi conto che la sua mente non era più quella d’un tempo, che non sarebbe stata in grado di distinguere realtà e fantasia.
Infatti, mi diede ragione. Mi esortò a frequentare le lezioni e ad obbedire all’Angelo in tutto e per tutto. Così feci, Diario. Così feci, purtroppo. Ogni sera, per un mese, cantai con tutta me stessa, solo per il mio Angelo. Non so immaginare cosa sarebbe successo se non fosse accaduto, ma una sera di marzo vidi Raoul in sala, con suo fratello Philippe, che assisteva alla prima di Turandot. L’emozione che provai! Ero folle di me per la felicità, ma solo pochi anni fa ho compreso che amavo il ricordo che avevo di lui, nulla più. Ma fu un sentimento ingannatore. La sera, purtroppo, lui si accorse che non ero in me, e mi chiese se fosse successo qualcosa. Io, sciocca, gli raccontai tutto di Raoul. Non l’avessi mai fatto! Lui mi disse, con voce così grave ed addolorata che non capisco come avessi potuto non capire l’inganno, che se avessi donato il mio cuore ad un mortale, non avrei più potuto sentirlo. Allora ci credetti, e  respinsi di nuovo Raoul in un angolo del mio cuore. Ricordo una sera particolare, in cui io dissi:
“Oh, Angelo, ti appartengo!”
“Davvero, dolce Christine?”
“Hai tutta la mia anima, la mia mente, il mio cuore, la mia voce. Sono tuoi.”
“Un dono così bello, Christine.”
Riodo quelle parole in continuazione. Sono scolpite nella mia mente e nel mio cuore. Lo pensavo davvero, ma forse se non avessi creduto che lui era un uomo in carne ed ossa, non le avrei dette.
Per tre mesi mi diede lezioni, non riconoscevo più la mia voce. Un pomeriggio, mi disse:
“Stasera, Christine, conquisterai Parigi e porterai agli uomini un po’ di musica celeste.”
Non ci credetti davvero, perché a quel tempo la Diva era Carlotta Giudicelli, italo - spagnola. Era una bella donna, dai capelli ed occhi neri infuocati, labbra rosse e una predisposizione ad esibire le sue grazie. Le voci pubbliche dicevano che aveva ottenuto la sua fama più grazie a quelle che alle sue doti corali. Era vero solo in parte, perché era davvero brava. Ma aveva l’anima nera come gli occhi spagnoli.
Quella sera non si presentò. Mandò una lettera in cui diceva che era indisposta. Non so come, Diario, ma venni chiamata dai direttori Debienne e Poligny. Mi dissero che qualcuno aveva decantato le mie doti vocali. Quale fu il mio imbarazzo! Nessuno poteva sapere dei miei progressi. Mi portarono nella sala pubblica, in palcoscenico, e tutti mi guardavano stupiti. Il maestro Viviè mi disse:
“Cantate l’aria Vissi d’arte, da Tosca”
Cantai, Diario. È tutto quello che posso dire.  Cantai come se fossi solo io con il mio Angelo. Tutto il mio trasporto si fuse con la mia voce. Ebbi il ruolo di Margherita in Faust.
Mentre cantavo, vidi Raoul. Mi guardava anche lui. La confusione che scambiai per amore mi riempì, e alla fine dell’opera l’emozione era così grande che svenni.
Quando ripresi i sensi, ero sdraiata nel mio camerino, e avevo intorno il medico, la mia cameriera…e Raoul.
Memore di quanto mi aveva raccomandato l’Angelo, finsi di non riconoscerlo quando si chinò e mi disse:
“Sono il bambino che recuperò la vostra sciarpa in mare.”
Scoppiai a ridere, chiedendogli cosa intendesse dire con quelle parole. Lo ferii, ma era l’unica cosa sensata da fare. A quell’epoca forse lo amavo davvero, e non volevo che entrasse nell’ira della Voce. Dissi che volevo restare sola per riposare, ma in realtà volevo stare sola con lui.
Mi disse che nessuno aveva mai cantato come me, che ero un angelo sceso sulla terra. Non sapevo che Raoul stava ascoltando dietro la porta da innamorato deluso. Per me, esisteva solo la Voce. Mi aveva anche lasciato una rosa rossa.
 Nei giorni successivi, lo invitai a Perros, dove papà ci portava spesso. Gli mandai una lettera, decisa a raccontargli della Voce. Ma quei giorni non furono come mi aspettavo. Quando gli dissi del mio Angelo, lui rise ed affermò che qualcuno mi stava prendendo in giro. Gli avessi dato ascolto! Invece, mi infuriai con lui, ed andai al cimitero, dove la Voce doveva suonare per me La Resurrezione di Lazzaro con il violino di mio padre. Lo fece davvero, e in quegli istanti dimenticai tutto, il litigio con Raoul, i miei dubbi. Lo ascoltai, Diario, come se stesse suonando mio padre.
Tornai a Parigi senza Raoul, riflettendo. In quella gita mi fece la sua dichiarazione, ma io la ignorai. Non potevo permettermelo. Dopo il mio secondo trionfo, sentii la sua voce che mi chiamava, attraverso lo specchio del mio camerino. Gli andai in contro, Diario, senza pensieri, come se avessi sempre saputo come attraversarlo. Non so nemmeno adesso il trucco. Fatto sta che mi ritrovai al di là di esso, e la Voce taceva. Mi spaventai, perché tutto era buio intorno a me, non percepivo movimenti, e così tentai di gridare. Ma due forti braccia mi strinsero la vita, mentre una mano bloccò la mia bocca. Mi dibattei, ma la morsa si stringeva sempre di più. Svenni. Mi ridestai pochi minuti dopo, penso, su una barca. Sentivo il rumore dell’acqua. Davanti a me, che traghettava, c’era un uomo con un lungo mantello nero e folti capelli, sempre neri. Mi alzai a sedere senza fare rumore, e lo studiai con l’attenzione del terrore. Vedevo di traverso dei guanti neri, che ricoprivano mani lunghe e forti, eleganti. I vestiti erano un po’ antichi, ma da signore. La barca ormeggiò in un luogo stranissimo. Era pieno di candele, c’erano un tavolo, delle sedie, delle poltrone, un focolare, un pianoforte e due porte. Strano, che ricordi ancora bene le candele. Emettevano una luce fioca e creavano un’atmosfera di penombra e mistero. Lui si voltò verso di me. Che sguardo fu il suo, Diario. Niente di simile a quello di Raoul. Aveva gli occhi neri, ma sembrava avesse del fuoco o dell’ambra in fondo. Portava una maschera nera, una camicia bianca e stivali. Smontò, e mi tese la mano per aiutarmi a scendere. Il cuore mi batteva all’impazzata, e provavo una certa attrazione mista a paura, come quando vedi una splendida tigre. Gliela presi, ma lui mi afferrò per la vita e mi sollevò, per evitare che mi bagnassi i piedi. Sento ancora quelle braccia, Diario, se mi concentro. Quel suo profumo dolce. Mi ricordai improvvisamente della Voce. Dov’era? Perché non veniva in mio aiuto? Avevo capito chi era quell’uomo. Viveva nei sotterranei dell’Opera, praticamente governava lui il teatro tramite lettere che venivano consegnate al direttore. Era soprannominato “Il Fantasma dell’Opera”. Chiesi:
“Dov’è la Voce?”
Nei suoi occhi comparve una strana dolcezza. Parlò per la prima volta:
“Non temere, Christine. Non c’è nessuna Voce”
La riconobbi all’istante. Il mio Angelo…era un uomo! Mi venne da piangere, e lui mi sussurrò:
“Hai ragione, Christine. Non sono il tuo Angelo. Ma ti prego, non avere paura di me.”
“Chi sei?”
“Mi chiamo Erik.”
“Perché? Perché mi hai insegnato e poi rapita qui?”
Lui stette in silenzio. Gli occhi divennero più intensi, quando rispose:
“Perché vi amo, Christine, con tutta l’anima. Darei la vita per avervi qui con me. Per avere il tuo cuore, che so appartiene all’Angelo della Musica. Col tempo, riuscirai a trasferirlo su di me. Devi credermi, Christine, quando ti dico che per me esisti solo tu, che ti amo follemente e che desidero soltanto la tua compagnia.”
Come fu appassionata, quella dichiarazione! Dimenticai quella di Raoul, che mi parve insignificante e tiepida al confronto. Gli sorrisi. Lui cantò per me tutta la notte, ed io lo ascoltai mentre il cuore mi batteva forte. Mi sentivo già una donna e l’amore mi entrava nel cuore e nella mente. All’alba, mi disse che, per conquistarmi, mi avrebbe tenuta con lui due settimane. Dopo sarei stata libera. Cantammo, in quei giorni. La musica ci univa sempre di più. Io mi stavo innamorando sinceramente, di una passione che mi faceva arrossire. Lui mi avvertì di non toglierli mai la maschera, altrimenti l’irreparabile mi si sarebbe scatenato contro. Ma io, imprudente, un pomeriggio in cui stava cantando, lo feci. Lui si era avvicinato a me, forse perché aveva scorto una traccia dei miei sentimenti nei miei occhi. Mi strinse e mi baciò dolcemente sui capelli, accarezzandomi il viso. Io lo accarezzai a mia volta, e la mia mano si trovò sui bordi della maschera.
Gliela tolsi.
Che orrore! Oh, Diario, il suo volto era sfigurato probabilmente dal fuoco, e lui urlò di rabbia. E di dolore. Mi disse parole orribili, che meritai, tutte. Dopo, mi baciò nella sua ira. Fu il mio primo bacio, Diario, e mi accorsi che se non lo guardavo in volto, provavo ancora quell’insana passione. Lui mi fece promettere che sarei tornata, poi mi lasciò andare.
Avevo una folle paura del suo volto, Diario, perciò mi affidai a Raoul. Credetti di amarlo, mi fidanzai con lui. Ma Erik scoprì tutto, e mi rapì durante la rappresentazione del Don Giovanni. Mi rapì sotto gli occhi di tutti e mi trascinò giù, nella sala di poche settimane prima. Non ho mai avuto tanta paura in vita mia. Mi chiamò traditrice, bugiarda. Era vero, lo ero eccome. Lui mi disse che sarei sempre stata soltanto sua, che non mi avrebbe avuta nessun altro. Nonostante la paura, Diario, mi successe una cosa folle. E feci una cosa folle. Mi tolsi l’anello di Raoul e gli strinsi le mani, appoggiai la testa sul suo petto e sussurrai:
“Non amo Raoul, Erik. Devi credermi. Amo solo te con tutta l’anima e tutto il cuore, ma ti temo in egual misura. Non potrei mai essere felice.”
Dissi questo perché l’avevo sentito dentro. Mi sentii completata, come se mi fossi liberata di un peso. Se l’avessi capito prima! Facemmo l’amore, stringendoci come se dovessimo perderci. Lui mi ripeteva che mi amava, che mi adorava. Stavamo parlando a bassa voce, seduti su due sedie, quando arrivò Raoul. Gli lessi negli occhi il sollievo nel ritrovarmi, l’innocenza che aveva da bambino. Infuriato per la sua intrusione, Erik mi ordinò di scegliere tra i due. Tutta me stessa era verso Erik, ma la mia bocca disse:
“Scelgo Raoul. Per quello che ti ho detto prima.”
Non ho più forze, Diario, per ricordare il suo folle dolore. Ci lasciò andare, mentre io sentivo di aver distrutto tre vite. Ma non potevo fare altrimenti, perché lui sarebbe sempre stato tormentato dal passato, perché la sua ossessione per me mi faceva ancora paura e non credevo che lo avrei amato ancora per molto. Ma mi sbagliai. Persino ora, che sono passati dodici anni, lo amo con tutta me stessa. Ho sposato Raoul, ma non sono mai stata davvero sua moglie. Non gli ho mai permesso di toccarmi, perché sarei sempre appartenuta soltanto a lui. Lui ha capito, e la sua passione è durata ben poco. Ora sono la Viscontessa di Chagny, sono una cantante lirica di fama mondiale, ma c’è qualcosa in più che non ho mai detto a nessuno: ho una figlia. Sua figlia, che ho chiamato Cèline. Somiglia molto al padre. È cresciuta da Mamma Valerius, e le ho raccontato tutto un anno fa. Quello che non le ho detto, è che sto morendo. Mi hanno diagnosticato un cancro, e morirò tra pochi mesi. C’è una cosa che voglio fare: trovarlo. Dirgli tutto.
 
Un mese dopo
 
 
Oh, Diario, è successo! L’ho rivisto, gli ho parlato. È stato per caso: ho sentito che nei sotterranei dell’Opera c’era ancora quel Fantasma che si credeva scomparso. Ho ripercorso la strada che portava alla sua dimora, col cuore in gola, ed ho udito la sua musica, che cantava per me. Ho sussurrato piano:
“Erik”
Lui si è voltato. Non aveva la maschera, ma non provavo più ribrezzo. Sentivo di amare anche essa perché parte di lui. Il suo volto mostrò una gioia sconfinata, ma anche dolore. Non ira. Mi avvicinai, correndo, e mi rifugiai tra le sue braccia, piangendo. Anche lui piangeva, stringendomi forte, come se avesse avuto paura che svanissi. Fu naturale il bacio che seguì, ma dopo lui si scostò e chiese:
“Perché, Christine? Perché, dopo tanti anni, illudermi ancora? Hai scelto Raoul. Ho compreso e perdonato. Ma ora?”
“Non ho mai amato davvero Raoul. L’ho capito troppo tardi. Ma ti dissi perché non potevo stare con te. Lo penso ancora adesso, ma è giunto il tempo.”
“Di cosa?”
“Ti amo,Erik, ti ho sempre amato. Quella notte…nove mesi dopo ebbi una bambina.”
“Come fai ad essere sicura che sia mia?”
“Per molti motivi. Perché ti rassomiglia, mentre non rassomiglia a Raoul. Perché non mi sono mai fatta toccare da lui, per poter rimanere tua. L’ho avuta in silenzio,l’ha allevata Mamma Valerius. Lei sa tutto di te.”
“Perché? Perché proprio ora?”
Questa, Diario, è stata la parte più difficile.
“Perché sto morendo, Erik. Ho un cancro. Morirò tra pochi mesi, e non potevo morire senza rivederti e senza dirti nulla.”
Lui mi supplicò di restare, di non morire. Disse che ero tutta la sua vita, la sua musa. Sono stata con lui due settimane, le più belle della mia vita. Dopo, ci siamo separati, lui ha promesso che prenderà con sé Cèline.
Ora, Diario, sento le forze che mi abbandonano…tutto diventa buio…e…e….
  
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