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Autore: Aura    18/06/2012    3 recensioni
Un mese come troppi, guardando dove dovrebbe esserci quella linea che non si colora mai.
Dopo tre minuti finisce il tuo status di aspirante mamma, e rimani una ragazza sola.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In quel momento, in quel preciso istante, tutto cambia.
Ti sei costretta a non pensarci, a procrastinare quell'idea, dopo che troppe volte ti sei illusa e hai ingoiato l'amarezza; troppe volte hai sperato al primo sintomo che il tuo corpo, forzato dalla mente, ha inventato.
Questa volta no, non ci hai pensato, per scaramanzia hai evitato in tutti i modi di stare a sentire, di guardare i giorni che passavano, di contare quanti ne mancavano.
Poi vai in farmacia, ti concedi anche il lusso di rimandare di un giorno, non c'è fretta. Entri, tranquilla e disillusa, esci e tutto è cambiato: tutto ti cade in testa, se prima potevi aspettare in quel momento non vedi l'ora di essere a casa, sola, e fare quel maledetto test.
Accendi la macchina, ed Elvis è già pronto a consolarti per quella delusione che lo sai, sai fin troppo bene che arriverà; ma in quella piccola mezz'ora tutti i sentimenti che hai represso ti implodono dentro, e anche se non vorresti inizi a pregare, inizi ad avere flash alternati, in cui o rimani a guardare svuotata quella linea che non si decide a colorarsi, oppure ti permetti di sapere già come sarà vederla comparire.
Vuoi essere sola, perché non vuoi la pietà di nessuno, nemmeno di tuo marito: lui non deve sapere che a discapito della tua spavalderia ci stai male.
Dici che ci hai ripensato, che ora non lo vuoi un figlio: è solo perché hai paura di affrontare la realtà, ovvero che forse per averlo ci vorrebbe ben più di un rapporto piazzato il giorno giusto.
Arrivi a casa, con una scusa mandi tuo marito fuori, procrastini un po' fino a tornare tranquilla, e ti dici: avanti, facciamolo sto test.
Leggi le istruzioni, è un rito ormai, sorridi davanti a qualche frase, apri l'involucro e via.
Una volta finito non lo guardi neppure, rimetti il cappuccio e lo appoggi alla cieca sul davanzale, mentre sai già che non arriverà il risultato che ti ostini a negare sia meglio non arrivi ora.
Ora che lo hai fatto, mentre i minuti passano lentamente, capisci che da ora in poi ricomincerà lo sforzo, per credere di non averlo mai sperato: sai già che nei prossimi giorno guarderai un bambino, facendo finta di non sentire la tristezza affacciarsi alla bocca dello stomaco. Ritorni disillusa, ma in maniera triste.
Manca un solo minuto, hai controllato: nonostante tutto hai ancora quella piccola parte di te, troppo fragile per poter parlare, che ti suggerisce sussurrando che non è ancora detto; ma le rispondi che hai sbagliato a farlo: ti sei solo illusa per niente, per quei lunghissimi minuti del ritorno a casa hai preparato il terreno per la delusione. Solo al pensiero che tra qualche minuto ti alzerai, andrai verso il bagno e guarderai con la bocca incurvata in una smorfia quel test vuoto ti senti vuota, arida.
Non vuoi disperarti e non lo fai.
Lo vedi da lontano, e sentendo il tuo ginocchio tremare capisci che ancora una volta, a discapito di tutto, ci avevi sperato.
La smorfia si tira sulle tue labbra, lo prendi e d'istinto lo rompi tra le tue mani, lo nascondi prima di buttarlo in una scatola vuota perché lui non possa trovarlo, e perché nemmeno tu lo debba vedere più.
È una sconfitta, solo l'ennesima sconfitta che ti squarcia il cuore. Vorresti piangere, ma non lo fai: sarebbe ammettere di aver perso definitivamente, e, nonostante tutto, quella piccola speranza per il futuro non riesci proprio a buttarla via.

   
 
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