In quel momento, in quel preciso
istante, tutto cambia.
Ti sei costretta a non pensarci, a
procrastinare quell'idea, dopo che troppe volte ti sei illusa e hai
ingoiato l'amarezza; troppe volte hai sperato al primo sintomo che il
tuo corpo, forzato dalla mente, ha inventato.
Questa volta no, non
ci hai pensato, per scaramanzia hai evitato in tutti i modi di stare
a sentire, di guardare i giorni che passavano, di contare quanti ne
mancavano.
Poi vai in farmacia, ti concedi anche il lusso di
rimandare di un giorno, non c'è fretta. Entri, tranquilla e
disillusa, esci e tutto è cambiato: tutto ti cade in testa, se prima
potevi aspettare in quel momento non vedi l'ora di essere a casa,
sola, e fare quel maledetto test.
Accendi la macchina, ed Elvis è
già pronto a consolarti per quella delusione che lo sai, sai fin
troppo bene che arriverà; ma in quella piccola mezz'ora tutti i
sentimenti che hai represso ti implodono dentro, e anche se non
vorresti inizi a pregare, inizi ad avere flash alternati, in cui o
rimani a guardare svuotata quella linea che non si decide a
colorarsi, oppure ti permetti di sapere già come sarà vederla
comparire.
Vuoi essere sola, perché non vuoi la pietà di
nessuno, nemmeno di tuo marito: lui non deve sapere che a discapito
della tua spavalderia ci stai male.
Dici che ci hai ripensato, che
ora non lo vuoi un figlio: è solo perché hai paura di affrontare la
realtà, ovvero che forse per averlo ci vorrebbe ben più di un
rapporto piazzato il giorno giusto.
Arrivi a casa, con una scusa
mandi tuo marito fuori, procrastini un po' fino a tornare tranquilla,
e ti dici: avanti, facciamolo sto test.
Leggi le istruzioni, è un
rito ormai, sorridi davanti a qualche frase, apri l'involucro e
via.
Una volta finito non lo guardi neppure, rimetti il cappuccio
e lo appoggi alla cieca sul davanzale, mentre sai già che non
arriverà il risultato che ti ostini a negare sia meglio non arrivi
ora.
Ora che lo hai fatto, mentre i minuti passano lentamente,
capisci che da ora in poi ricomincerà lo sforzo, per credere di non
averlo mai sperato: sai già che nei prossimi giorno guarderai un
bambino, facendo finta di non sentire la tristezza affacciarsi alla
bocca dello stomaco. Ritorni disillusa, ma in maniera triste.
Manca
un solo minuto, hai controllato: nonostante tutto hai ancora quella
piccola parte di te, troppo fragile per poter parlare, che ti
suggerisce sussurrando che non è ancora detto; ma le rispondi che
hai sbagliato a farlo: ti sei solo illusa per niente, per quei
lunghissimi minuti del ritorno a casa hai preparato il terreno per la
delusione. Solo al pensiero che tra qualche minuto ti alzerai, andrai
verso il bagno e guarderai con la bocca incurvata in una smorfia quel
test vuoto ti senti vuota, arida.
Non vuoi disperarti e non lo
fai.
Lo vedi da lontano, e sentendo il tuo ginocchio tremare
capisci che ancora una volta, a discapito di tutto, ci avevi
sperato.
La smorfia si tira sulle tue labbra, lo prendi e
d'istinto lo rompi tra le tue mani, lo nascondi prima di buttarlo in
una scatola vuota perché lui non possa trovarlo, e perché nemmeno
tu lo debba vedere più.
È una sconfitta, solo l'ennesima
sconfitta che ti squarcia il cuore. Vorresti piangere, ma non lo fai:
sarebbe ammettere di aver perso definitivamente, e, nonostante tutto,
quella piccola speranza per il futuro non riesci proprio a buttarla
via.