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Autore: past_zonk    18/06/2012    3 recensioni
{Aurikku! ~ }
Son passati tre anni da quando Auron è scomparso, ma nel cuore della ragazza c'è ancora traccia di lui. Ogni notte uno strano sogno le fa visita, fino a quando uno strano accaduto la catapulterà in un'avventura inaspettata.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rikku, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'As you were Humbert.'
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Image and video hosting by TinyPic...Hi everyone! ~ Come ve la passate? Io sono sinceramente esausta; qui fa un caldo della madonna, sto per evaporare come un gelato e sono tipo alla mia postazione pc con un ventilatore sparato a mille fra i  capelli,  le gallette di riso - buonissime, cazzo - ed una voglia assurda di cioccolato che, cristo, mi ammazzerei. Ecco, sto mangiando un po' di marmellata di ciliegie, il che mi calma assai.
 Dicevo. Questa è una long-fic Aurikku che cercherò di aggiornare con non troppo tempo di ritardo.
 Diciamo tipo non più tardi di una volta al mese ~ diciamo.
 Sono un frana in questo, dovete scusarmi.
Detto ciò, passo ai ringraziamenti. Ringrazio la mia adorata migliore amica Eden, anche se probabilmente non starà leggendo ~ niente spoilers per lei che sta giocando per la prima volta a FFX. Ringrazio le mie adorate groupies che con tanto amore non hanno ancora preso forconi e torcie per minacciarmi del mio eterno ritardo nel pubblicare Cisti. E infine ringrazio Ros The Elphe, per la recensione adorabile dell'altra one-shot :)
Vi saluto ~ eveyzonk

DISCLAIMERS: I personaggi sono di proprietà della Square-enix (più precisamente Squaresoft) e non miei (se fossero miei l'Aurikku sarebbe canon, dopotutto), non scrivo a scopo di lucro (ma prima o poi ci camperò, con le mie seghe mentali, potete esserne certi!) e i fatti narrati non sono - purtroppo - riconducibili alla trama del gioco. Inutile dirvi che ci sono spoilersSsSsS, perché se leggete questa fanfic per me è appurato che vi siete giocati entrambi i videogame ~ byebye people!


Jumpin’ in my dreams.
Capitolo primo - sand.

 

Sentire ancora il sole di Bikanel battere sulla mia pelle è una sensazione che non baratterei con nient’altro. Il caldo tepore che si dipana fuori e dentro me, gli occhi che si strizzano nel tentativo di guardare quella sfera infuocata, le dita dei piedi che s’immergono nella sabbia cocente.
Sorrido beata e resto ancora un po’ in questa posizione, come una lucertola. Una lucertola molto sexy, certo, con bei gusti in quanto vestiti ed una sciarpetta arancione che è la fine del mondo. Seriamente, se avete come modello di stile qualcosa del tipo Leblanc, credo proprio di non poter discutere con voi. E vi parla una che di looksfere ne ha fin su i capelli – letteralmente, sapete.
Comunque. Vegnagun è stato sconfitto, la pace a Spira è stata riportata (guarda un po’ te) dalle stesse medesime – o quasi – persone che hanno donato a questa terra un bonacciale eterno; i chocobo viaggiano felici, i cacciasfere continuano il loro piratesco lavoro, tutti son contenti. Yuna, la mia cuginetta dallo sguardo bicolore, è stata felicemente ricongiunta dal destino col suo amato Tidus; Paine se la spassa con Baralai. Sono una bella coppia, mi dico: si compensano. Anche se probabilmente il ruolo della femminuccia è toccato a Baralai, credo sia un buon compromesso per stare con quella figa stoica di Paine, no? Un buon acquisto, sicuro.
Faccio schioccare le ossa della mia schiena in uno stiracchiamento che mi fa semplicemente sentire meglio; ho sempre avuto un atteggiamento leggermente scoliotico. Qui a Bikanel stiamo ricostruendo la Base, con molta pazienza e manodopera; effettivamente dovrei essere anche io lì ad aiutare – catalogando i materiali necessari o mostrando la mia maestria nel collegare fili elettrici – eppure sento di meritare un certo tipo di riposo. Dopotutto, son tre anni che non ho tregua. Prima il pellegrinaggio, poi il lavoro nei Gabbiani. Dannazione, mi sento una marmotta traditrice e fannullona standomene qui mentre il mio popolo cerca di ricostruire una dimora per tutti, ma non posso farci nulla. Forse è solo colpa di questa sensazione vaga che mi si stende nel petto, come se non potessi comunque avercela, una fissa dimora, come se l’unica vera alternativa di vita fosse viaggiare. Credo sia qualcosa collegato con l’essere Albhed, questa paura della stabilità, del fermarsi, cristallizzarsi, dell’abitudine.
Casa è dove sta il cuore.
Lascio scivolare un po’ di sabbia fra le mie dita con lo smalto consumato, mentre cerco di rassettare i pensieri nella mia testa.
Dov’è il tuo cuore, Rikku? Mi chiedo.
Nel vento di Bikanel, nella rugiada che si posa sull’erba della Piana della Bonaccia, nei cristalli di Macalania che giorno dopo giorno perdono il loro splendore, come te, troppo persi in un passato che non c’è più? O forse il tuo cuore è semplicemente fra le braccia di qualcuno? 
E mentre i miei occhi si serrano e i miei pensieri si rincorrono, sento dei passi venire verso di me. Il lento tonfo di un paio di stivali smorzato dalla sabbia è ritmico ed è seguito da un colpetto di tosse.
-Batti la fiacca, Rì?-
Qualche lacrima s’accalca all’angolo dei miei occhi per colpa della luce solare; mi metto a sedere e guardo annoiata il biondo ragazzo Albhed che torreggia su di me.
-Gippal…cosa desidera vostra maestà?- scherzo.
-Oh, meglio non chiederlo- risponde lui allusivo, con un occhiolino che non gradisco tanto.
Non che non ci volessi provare, davvero, con lui; è solo che è troppo. Troppo insolente, troppo pieno di sé, troppo bello persino. Mi sentirei quasi una sciattona, a stare vicino a quel suo sorriso brillante e quello sguardo malandrino. Ecco, non è fatto per me. Chiamatemi pure stupida o talpa meschina o qualsiasi altro insulto che vi scoppia nella testa, ma io non cambio facilmente idea; no, no, no, no, no: non sono una bambina dalla testa dura. Sono solo una persona sicura delle proprie idee. E speranzosa. Molto speranzosa. Speranzosa a tal punto da concedere a Gippal un’altra chance per provarci con me, pensate. Tipo che sto reprimendo qualsiasi rispostina acida e che cerco di sorridere, ecco. Sono una brava ragazza, dopotutto. Afferro la mano che Gippal tende verso di me e mi lascio issare dalla sua spinta. Una volta in piedi saltello un po’ da una gamba all’altra a causa della sabbia bollente e mi chiedo se si può essere tanto stupidi da non portare scarpe nel deserto.
Ok, Rikku, ho perfettamente compreso che la tua era una sorta di fuga all’ultimo momento dettata dal semplicistico istinto, però, cacchiolino, un paio di scarpette le potevi portare.
-Auch, brucia- mi lamento con uno squittio, mentre Gippal mi guarda incredulo, con la sua ultima trovata in quanto espressioni, ovvero  chi-è-così-scemo-da-camminare-scalzo-nel-deserto?
-Vieni qua- dice, poi, con sguardo ancora più minatorio.
-Eh?- Gippal si gira di spalle e mi fa segno di saltare sulla sua schiena.
-Monta!- mi dice con un mezzo sorrisetto – il secondo oggi, tengo a mente.
Non c’è tempo per esitare, mi dico, i miei piedi si stanno per ustionare e non voglio che diventino gonfi ed enormi come le mani di un guado, quindi prendo un minimo di rincorsa ed in un battibaleno sono sulla schiena di Gippal, le mie gambe nude attorno al suo sterno e rette dalle sue mani.
-Non ne approfittare, cialtrone!- urlo col mio solito tono.
-Si goda la traversata, madame!- mi dice, stranamente gentile.


 

Abbiamo montato questa sorta di tendopoli, nel deserto, poco lontano da dove prima c’era la base, diciamo fra il luogo dove facciamo i nostri scavi e le rovine. Stanotte, come tutte le notti qui, un cielo stellato veglia sui nostri sogni.
Siamo sempre stati un popolo di sognatori; le nostre scoperte sono quasi sempre nate dalla nostra irrefrenabile fantasia e voglia di re-inventarci; persino il gusto nell’abbigliamento lo dimostra. In passato era sicuramente meglio delle lunghe vesti yevonite, anche se alla mente mi salta qualche scelta più…carina, come per esempio…Oh, ok, niente.
Certo che il vento del deserto è proprio freddo; l’escursione termica è altissima. Entro nella nostra tenda e trovo papi – sudato e stanco – russare sul letto, ancora vestito. Non ho il coraggio di svegliarlo, quindi passo avanti e cerco una felpa larga da indossare. Scavo tra il cumulo di vestiti come una talpa cieca, al buio, tastando e sperando d’avere un po’ di fortuna nel trovare ciò che cerco. Poi sorrido. Ho sempre avuto fortuna, yeah, ed ora la felpa che cercavo è fra le mie mani. Esco di nuovo nella notte del deserto per osservare le stelle, al calduccio. Mi abbraccio le ginocchia con le braccia e giocherello con una pianta grassa che è lì.
Fratello è ancora sveglio a lavorare con qualche macchina, noto infatti che la sua tenda è ancora illuminata dal lumiere. Mi alzo e lo raggiungo, salutando.
-Hey! TU! Pniddy dnytednela clyhcyvydelra! ( brutta traditrice scansafatiche; ndA) Dov’eri?- Mi dice.
Faccio una linguaccia a Fratello ed esco dritta dalla tenda, troppo annoiata per mettermi a discutere con lui. Mi guardo intorno, poi abbasso lo sguardo verso i miei scarponcini, notando una macchia d’olio di motore che – immagino – andrà via solo dopo una mezz’ora di assiduo olio, appunto, di gomito; un bel lavoraccio.
-Uff, che noia-
-De yhtnappa yhtyna jey ty xie?- (Ti andrebbe andare via da qui?)
-Gippal?-
-Mi annoia da morire starmene qua- continua.
Mi siedo fra la sabbia, stringendomi nella mia felpa. Fa freddo. Lui si siede accanto a me, con quel sorriso che a tratti gli strapperei dalla faccia.
-Che avrai da sorridere sempre, te…- dico, ironica e acidognola.
Ride. Poi mi guarda.
-Mi chiedo proprio cosa sia successo, che ti ha cambiato così tanto. Gli altri potrebbero non notarlo, ma io ti conosco da tanto di quel tempo… Da quando c’era ancora Kayakku. Dalle scarrozzate sotto il sole di Bikanel e i giochi nella Base.-
Guardo il cielo. Un senso di colpa mi chiude la gola. Ho lasciato davvero andare via tutti quei ricordi come se fossero niente.
Quando succede qualcosa di importante nella tua vita, è come se i momenti antecedenti si mettano un po’ da parte, sapete. M’ero quasi dimenticata di quel periodo. I baci rubati all’ombra di una piccola tenda per ripararci dal sole, Gippal non ancora così arrogante, Kayakku…Io e Fratello che facevamo esplodere petardi sotto la tavolata enorme che avevamo alla Base; quando quel kayactus punse Gippal ed io con la mia pinzetta per le sopracciglia gli estrassi le spine, una ad una, ridendo ad ogni nuova imprecazione inventata dal biondo. Era divertente. Poi Papi ci disse che avremmo dovuto metterci in moto, per salvare gli invocatori, perché non era giusto lasciare che si sacrificassero per portare un nuovo, effimero, bonacciale. Ero così furiosa per questo; pensavo davvero di poter cambiare le cose – se l’avessi voluto abbastanza, mi dicevo, potevo salvare Yunie e tutti gli altri, potevo trovare un’alternativa per eliminare Sin. Accettai subito di partire, presi i miei occhiali da aviatore e mi preparai.
Gippal decise di non unirsi a noi, e prese la sua strada; a quel tempo ero persa per lui, sul serio. Lo salutai con un bel sorrisone. Non mi sono mai piaciuti gli addii, e poi trovo stupido renderli ancora più strazianti piangendoci su; quindi, anche quella volta, sorrisi mentre dicevo addio. Come ho sempre fatto, d’altronde. Il ragazzo di cui ero persa se ne andava via e chissà quando l’avrei re-incontrato, in quell’odioso mondo di yevoniti accaniti contro noi, ed io sorridevo. Che razza di ragazza sono? Alzo gli occhi al cielo al pensiero.
-Forse è che sono cresciuta, sai- dico, ironica
. -No, io credo sia successo invece qualcosa che t’abbia ferito- risponde il ragazzo. È strano vedere Gippal così serio, anche se non ci metto tanto a ricordare che era proprio questo lato di lui ad avermi rapita, il saper essere così solare ma allo stesso tempo quasi empatico, come se capisse le persone. È una bella qualità. Sempre che tu non ti trovi di fronte ad un individuo talmente chiuso da essere illeggibile, naturalmente.
Comunque. Passiamo avanti.
-Il pellegrinaggio non è stato una passeggiata- rispondo, restia a parlare di me. Rikku aperta, Rikku solare, sì, ma quando si tratta di dover davvero parlare dei miei sentimenti, beh, non so davvero da dove cominciare. Ed ora non è il momento migliore per ricordare.
-Sono stanca, Gì, vado a letto. Grazie per la chiacchierata, a domani-
-A domani…- mi risponde con un sorrisetto stentato.
Gli do una pacca sulla spalla e mi dirigo verso la tenda dove Fratello dice d’aver quasi finito con quella ricetrasmittente. Mi lancio nel lettino senza neanche cambiarmi o disfare le coperte. Non ci metto molto a prendere sonno, nonostante il lumiere ancora acceso. Mi lascio cullare dai rumori delle piccole scosse elettriche prodotte dalla ricetrasmittente rotta. Decido quasi d’addormentarmi per scappare ancora una volta ai miei pensieri.


 

Quando riapro gli occhi sono stesa sulla battigia del Fluvilunio. Tutto è avvolto da una strana aura di nebbia che – razionalmente, mi dico – è tipica dei sogni.
Stai sognando, stai calma.
Mi metto a sedere ed osservo il meraviglioso tramonto che si riflette sull’acqua leggermente acquitrinosa del magnifico fiume. Il lento scrosciare dell’acqua mi rilassa e mi intristisce all’unisono.
Un inizio di malinconia mi sboccia nel petto, osservando i lunioli rincorrersi fra loro come fossero vivi. Nella loro iridescenza translucida, riflettono sulla mia pelle i loro mille colori. Quanti ricordi mi saltano alla mente, quante immagini attaccano il mio cuore, tutt’ad un tratto!
Perché sono qui?
E, quasi a rispondere alla domanda che mi sono posta, sento un tocco gentile sulla mia spalla. Chiudo gli occhi; freddo, come…come se fosse un guanto di pelle.
Sospiro.
È lui.
Perché mi hai portato qui?
Sento un leggero peso sulle spalle che qualifico come un abbraccio. Chiudo gli occhi maledicendo questa dannata sensazione di tristezza che mi blocca la gola. Avrei così tante parole da pronunciare, discorsi immensi e mille mille cose da dirgli, eppure, ora che è qui, sento davvero che è solo un sogno. Niente più che un’immagine della mia mente. Certo, un bellissimo abbraccio, ma è esattamente alla stregua della falsità delle visioni che si hanno nell’Oltremondo. Niente di più, niente di meno. Ecco perché chiudo gli occhi più forte che posso e prego che tutto finisca in fretta, come se fosse un terribile incubo.
Vederti, e non poterti parlare, e sapere che tu non ci sei più, è il dolore più vivo che conosca. E non importa il tempo che è passato, gli anni che lenti sono sgocciolati via da me come se niente fosse. Non la faccio troppo drammatica. Il pensiero di te ha permeato tutto. Mentre Gippal mi sfiorava la guancia, uno di questi giorni, non era niente se non le tue dita, a toccarmi. ~ Perché sei qui, dannazione? ~ Mi alzo sulle mie gambe e scappo via dal tuo abbraccio. Sono alle tue spalle. Osservo la schiena forte e robusta, la casacca rossa sulle tue spalle che si alzano e s’abbassano in un lento respiro. Osservo i tuoi capelli corvini guastati qui e lì da qualche tocco di grigiore. Le tue mani coperte dai soliti guanti di pelle. E davanti a te il Fluvilunio. Perfetto, questo quadro di morte e speranza e luce e tristezza e malinconia.
-Ti odio!-
Rimani impassibile.
È un sogno, cosa importa dopotutto?
Ti vengo vicino e sento il tuo odore. Nelle mie narici è forte, nella mia mente è sempre rimasto impresso, da quando quel giorno mi cedesti la tua giacca. È sempre dentro me, il tuo odore. Patetico, vero? Ti spintono un po’, arrabbiata e delusa. E, penso, è la prima volta che lo sogno, da quando è scomparso…
-Non lo meritavo! Dovevo essere felice!- lo spingo ancora un po’, ma non lo guardo in faccia. Non ne ho il coraggio; non potrei mai sostenere quel suo sguardo bronzeo.
-Sei davvero stato crudele…- sussurro piano, la rabbia spirata via.
Auron alza una mano verso di me, mi sfiora la guancia, mi prende il mento. Non c’è bisogno che parli, lo so…è come la prima volta che spuntai fuori dall’acqua, tutta bagnata e sudata come un hypello su Bikanel, quando Tidus mi guardò con quello sguardo da pesce lesso ed io gli dissi che per poco non m’avevano fatto fuori.
E poi divenni una guardiana, ed Auron m’aveva preso come oggi il mento e m’aveva chiesto – con severità e gentilezza, allo stesso tempo – di aprire i miei occhi, di guardarlo, ed aveva sorriso – cacchio, aveva sorriso  a me. Apro gli occhi, ora, come quella volta, ed ecco il suo sguardo maledetto su di me. Bronzeo, fermo, severo, riflessivo. È silenzioso. Davvero realistico come sogno, devo dire. Sento che è meglio restare in silenzio. La rabbia è volata via, resta solo un senso di vuoto.
Mi siedo ancora sulla sponda di quel fiume tutto illuminato e guardo il tramonto. Le sfumature arancioni e viola che prende il cielo, le nuvole rosate che spiccano su quella tela vergine. È stupendo. Con un coraggio meschino che sono capace di trovare solo nei sogni, poggio la mia testa sulla sua spalla.
-È ok, sai, se ogni tanto mi vieni a trovare in sogno-
Gli parlo come se credessi davvero di avercelo davanti, Auron, mentre invece sono convinta sia solo una strana tortura della mia mente, questo sogno. Ho bisogno di credere sia lui. Ho così tanto bisogno di lui. Anche se dentro me vorrei andare avanti a tutti i costi, so perfettamente di non voler dimenticare. Perché dimenticare significherebbe semplicemente eliminare dal mio cuore tanti di quei momenti stupendi, significherebbe cancellare le sensazioni più belle della mia vita. Significherebbe dimenticare lui…



 

Quando mi sveglio vengo istantaneamente colpita da un mal di testa lancinante che mi fa chiudere gli occhi d’istinto. Resto ancora qualche minuto stesa nel lettino a lamentarmi, dopodichè mi guardo intorno. Fratello non c’è, il sole è alto nel cielo, dev’essere circa metà mattinata, suppongo. La tenda è di un disordine unico: mai vista una cosa del genere dai tempi dell’aeronave durante il pellegrinaggio – quando c’era così tanta gente a bordo che non sapevamo dove ficcare la roba. Non so dove pesco il coraggio di alzarmi (con un leggero giramento di testa) e rifare il letto meglio che posso. Metto qualcosa in ordine, anche se ora come ora l’unica cosa che avrei bisogno di riordinare sono i miei pensieri; ma non ci provo. Non penso neanche, troppo spaventata di passare l’intera giornata (o forse una settimana!) con un’emicrania lancinante.
Metto ai piedi un paio di sandali aperti e afferro con le dita i lacci dei miei scarponcini, issandomeli su una spalla, per poi dirigermi fuori la tenda.
-Vnydammu!- (Fratello! ndA) urlo, cercando quella testa calda.
-Rikku?- lo vedo spuntare da dietro una tenda, con la sua solita faccia da idiota patentato. Ridacchio.
-Vado sull’areonave, ho bisogno della cabina. Ho sonno e qui fa troppo caldo. Voglio farmi una doccia decentemente e devo farmi pulire gli scarponcini da Oste-
-Mhm…-
-Dai!- batto i piedi per terra come fossi una bambina, pretendendo una risposta positiva alla domanda velata che gli ho posto.
-Insomma, posso andarci o no?- gli chiedo, facendogli una linguaccia.
-Ok…ok!- risponde alzando, teatrale, le mani al cielo e facendo una faccia esageratamente infastidita.
Annuisco e poi mi dirigo verso il cuore del deserto. L’aeronave è  parcheggiata vicino l’Oasi, quindi mi preparo a fare un bel bagno di sole; porto con me anche la mia adorata God Hand, non si sa mai.
Nel deserto cammino a passo sostenuto, fermandomi di tanto in tanto ad osservare il cielo limpido oppure i cartelli d’avvertimento sulla presenza di mostri. Di tanto in tanto vengo attaccata da qualche lupo del deserto, ma è tutto ok, sono diventata abbastanza esperta in queste cose, oramai. Quando uno Zuu mi ruggisce contro, violento, lancio una granata stordente e me la filo, troppo pigra e stanca per affrontarlo. Cammino sotto il sole con la mia borraccia d’acqua legata alla cinta della solita minigonna – il mio outfit preferito. Dopo un po’ di cammino, sento il bisogno di fare una piccola pausa sotto una delle tende posizionate su una duna; mi siedo all’ombra e detergo il sudore dalla mia fronte con il dorso della mia mano.
-Oufh, che faticaccia- Sento il sudore aderire al mio corpo come una seconda pelle e mi sento a casa.
Sempre meglio del gelo del Gagazet, mi dico. Sorrido al pensiero. Certo che me la passai proprio brutta su quella montagna, eh! Il mio abbigliamento era…come dire…non proprio congeniale a quelle temperature, infatti ricordo ancora che tremavo come una foglia tra la neve e le stalattiti. Solo quando giungemmo nella grotta verso Zanarkand riuscii in qualche modo a calmarmi, anche grazie alla casacca rossa che lui mi mise sulle spalle. Beh.
Eravamo tutti così stanchi, lì. L’unico modo per trovare la forza di andare avanti era sostenerci l’un con l’altro, lo sapevo, per questo continuavo ad essere solare nonostante tutto. Avevo il fuoco di Bikanel nelle mie vene, e la forza di volontà di una quindicenne impaurita dalla morte delle persone che ama. Ricordo ancora le nostre occhiaie e le voci fioche che in certi momenti neanche provavano a fare conversazione. Il suo sguardo spento e stanco di vivere…come se da troppo tempo ormai stesse vagando su Spira. Solo ora capisco veramente il perché di quella sua malinconia perenne.
Persa ancora fra i miei ricordi, mi alzo sulle ginocchia abbronzate e decido che la mia pausa è finita. Mi rimetto in marcia con passo leggermente più veloce, impaziente di raggiungere l’aeronave e farmi una dormita in tutta comodità, nella pace e nella solitudine giusta per decidere cosa fare nel futuro più prossimo. Mentre saltello una buca nella sabbia, il mio piede viene afferrato da una di quelle piante grasse che si trovano sempre disseminate in questo lato del deserto.
-Dannazione!-
Con l’altro piede sferro un calcio proprio al centro del fiore che sta sulla pianta, riuscendo a farle mollare la presa sul mio polpaccio. Mi preparo a combattere. La pianta cerca di colpirmi con una scarica di semi, ma io la schivo saltellando nella direzione opposta, poi affondo un colpo con la mia God Hand, facendo una giravolta su me stessa.
-Colpita!-
La pianta tenta un altro attacco, e questa volta mi colpisce di striscio la spalla nuda. Sferro un altro colpo, che questa volta fa esplodere la pianta in un luccichio di lunioli. Ricado sulle ginocchia fra la sabbia, emettendo un sospiro di stanchezza e asciugandomi ancora una volta il sudore dalla fronte.
-C’è mancato poco-
La spalla è leggermente rossa e dolorante, niente di che; il polpaccio mi fa un po’ male, ma credo di poterci camminare su. Ho decisamente visto di peggio, come quella volta in cui Paine si tagliò contro un ghiacciolo di Macalania per schivare la scarica di Idrora di un Budino d’acqua. Yuna indossò la looksfera Biancarcano, e riuscì a risanare la ferita, anche se mi spaventai a morte a guardare quella brutta ferita al braccio. Brrr, era orribile.
Proprio mentre mi rialzo, in un secondo, vengo colpita da un forte colpo d’aria, che mi fa ruzzolare nella sabbia.
-Che cacch…-
-Rikku!-
Cerco di riaprire gli occhi, e per un primo momento l’unica cosa che vedo è il cielo sfocato, poi metto a fuoco e vedo Gippal cercare di distrarre lo Zuu di prima, indiavolato nero per la granata stordente, suppongo. Mi rialzo in piedi, un po’ barcollante, e pesco nelle tasche della mia cinta, fino a trovare una looksfera conosciuta. Ci vogliono pochi secondi per trasformarmi in una perfetta pistolera. Gippal mi guarda confuso mentre spara allo Zuu con il suo fucile.
-Rikku?-
-Al tuo servizio, baby!- urlo prima di scaricare una pioggia di colpi sull’enorme ed inquietante uccello nero dalla lingua viola. Gippal sorride per poi sparare anche lui al nemico, che questa volta è definitivamente K.O.
-Nice job!- esulto, saltando in aria con entusiasmo; poi disattivo la looksfera tornando al mio solito completo, minigonna più reggiseno e sciarpetta. Riafferro gli scarponcini che m’ero fatta cadere durante lo scontro, e m’avvicino a Gippal.
-Grazie- gli dico con un sorriso. Gippal fa una faccia molto poco modesta
-Anche se ce l’avrei comunque fatta…- osservo, continuando.
Gippal spalanca gli occhi. -Ingrata, tsk- aggiunge, per poi incrociare le braccia offeso.
Gli spunto alle spalle e gli do un affettuoso schiaffetto sul collo, scherzosa. -Dov’eri diretto?-
-Ehm…ad ovest- dice, grattandosi il mento.
-Gippal?- incrocio le braccia ed sfoggio la mia saputella faccia annoiata.
-Sì?- sorride con i suoi denti perfetti.
-Mi stavi seguendo?-
-No…cioè…forse. Diciamo che ero solo curioso- Metto il broncio e mi sento davvero nervosa. Se c’è una cosa che non sopporto è l’invadenza, anche se sono assolutamente consapevole d’essere la prima ad esserlo. Comunque questi son dettagli.
-Io sono diretta all’oasi, sull’aeronave. Vuoi venire?- gli chiedo, dicendomi che tanto oramai siamo in gioco.
-Sì, ovviamente!- risponde mettendosi già in marcia, con le braccia dietro la nuca, proprio come un perfetto malandrino.


 

Quando arriviamo all’Oasi siamo sudati e allegri. Gippal può essere invadente e arrogante, però sa essere davvero di buona compagnia quando vuole.
Ecco qual è sempre stato il problema: lo è solo quando lo decide lui.
Saliamo sull’ aeronave, e sono esausta. Arrivata alle cabine saluto velocemente Oste e mi getto sul mio letto, sudata e stanca. Gippal gironzola un po’ in giro.
-Quindi è con questo che viaggiavate in lungo e in largo, eh?- mi urla, dal piano inferiore.
-Già- rispondo, alzando la testa per osservare la sua espressione. Sembra ammirato.
-Gippal, io vado a farmi una doccia, tu mettiti pure comodo, fatti un giro, fai quel che ti pare- dico, alzandomi e controvoglia camminando fino ai bagni.
-Ok!- risponde.
Spero non prenda troppo alla lettera il mio fai quel che ti pare; lo conosco, potrebbe risolversi in qualcosa come un mega-festino di giovani Albhed scalmanati sulla nostra aeronave appena messa in ordine dal povero Oste. Entro a piedi scalzi nel bagno ed attivo il dispositivo d’acqua fresca. Le mattonelle del bagno sono davvero carine; incredibile quante comodità avevano 1000 anni fa, no? Mi sfilo i vestiti di dosso ed entro nella cabina doccia, dove un getto d’acqua tiepida mi colpisce la pelle accaldata. Mi siedo su un apposito ripiano di marmo e inizio, lentamente, a sciogliere le treccine che mi ricoprono la nuca. Cerco di rilassarmi. Resto nella doccia per un quarto d’ora buono. È mia abitudine riflettere assiduamente mentre mi pettino oppure mentre faccio un bagno; lo so, lo so, non sembro esattamente il tipo di persona che riflette molto. Evidentemente conoscete solo la Rikku allegria, sprizzi e sollazzi, viva la vita, e così via. Quella che non sta zitta un attimo ed esalta qui, esalta li. Quella che quando le fai un torto ti chiama meanie e ti fa la linguaccia. Quella che quando c’è un silenzio pesante non esita a distruggerlo con una battuta random. Beh, sì, sono  prevalentemente quello. Però – perché se c’è una cosa che ho imparato è che c’è sempre un però – c’è anche un altro lato di me. Quello silenzioso e riflessivo che raramente si manifesta, ma che dentro me è sempre un po’ presente. E comunque annoierebbe tutti, se fossi silenziosa. Certo, Paine lo è, ma Paine – come una più estesa categoria umana – è dotata di quel certo fascino che col silenzio rifulge ancor di più; il fascino del maledetto, diciamo. Ecco, quello proprio mi manca.
Il fascino del silenzioso a te invece non mancava per niente…
Mi ritrovo a pensare a lui e mentalmente mi sgrido. Riapro gli occhi e sono davanti lo specchio con un asciugamano attorno al corpo ed i capelli bagnati sulle spalle. Mi rivesto velocemente, lasciando che i capelli scendano in maniera naturale sulle spalle. Mi appoggio al banco di Oste e gli lascio gli scarponcini, sorridente. Sono di buon umore, nonostante tutto. Gironzolo per il corridoio dell’aeronave cercando Gippal, fischiettando; entro nell’ascensore.
Poi, neanche il tempo di selezionare ponte come meta, l’aeronave ha uno scossone ed io quasi cado. Mi mantengo alla ringhiera dell’ascensore.
-Cosa cacchio?-
Perché l’aeronave si sta muovendo? Sento i motori azionarsi e poi ho la stessa sensazione di vuoto che mi riempie lo stomaco ogni volta che Fratello fa decollare questo aggeggio. -GIPPAL!- urlo con tutto il fiato che ho in gola, avendo già capito la tiritera.
Non posso credere l’abbia fatto! Ed io che mi sono fidata a lasciare solo un tale individuo in totale cattività! Non ci posso credere. Sta facendo decollare questa cacchio di aeronave.  Faccio fermare l’ascensore sul ponte di comando e sento le mie ginocchia tremare dalla rabbia.
-GIPPAL! TU, BRUTTO BABBUINO PUZZOLENTE!- gli sono alle spalle. La vetrata dell’aeronave mostra il cielo quasi terso e le nuvole quasi spostarsi con noi ad una velocità assurda. -Almeno la sai guidare?! Bene! Benissimo! Mi mancava solo sentirmi Fratello nelle orecchie per il resto della mia esistenza! Eh no, ma io do l’intera colpa a te, eh. Oh sì. E poi vedrai se quel tuo bel faccino rimarrà tale! Eheh!-
-E calmati!- urla quel brutto ceffo, totalmente divertito dal guidare quella bestia.
-Questo gioiellino ruggisce!- esclama, impugnando il manubrio tutto pieno di sé.
-Dove sei diretto, almeno? Posso saperlo sì?-
La rabbia pian piano si sta esaurendo. Dopotutto, non volevo io stessa partire?
Sì, ma non con Gippal. 
Sospiro.
-Non so. Dove vuoi andare, baby?-
-Chiamami di nuovo in quel modo e giuro che ti stacco il naso a morsi-
-Come sei dolce- ridacchia.
-Andiamo…a Besaid- rifletto. Yuna sarà sicuramente furiosa; non la vedo da un mesetto.
-E Besaid sia!- esclama, raggiante, Gippal.
-Fratello ci ucciderà- mi lamento.
-Mannò, vedrai che capirà la nostra fuga romantica…-
-Non è proprio per niente una fuga romantica! Diciamo tutt’al più un rapimento!- Gippal sbuffa.
-Fatti da parte- E, che-stranezza-non-ci-posso-credere, Gippal si sposta! Obbedisce al primo richiamo. Mi siedo al posto di guida ed imposto il pilota automatico, dopodichè mi alzo in piedi. Gippal mi osserva in silenzio.
-Che c’è?- gli chiedo, alzando un sopracciglio.
-Sei molto bella con i capelli sciolti, sai-
Arrossisco e abbasso lo sguardo. -Gippal…per piacere-
Mi dirigo verso le cabine. -Mangiamo qualcosa?- gli chiedo, per sviare il discorso da qualsiasi complimento o presunto tale lui mi possa fare.
-Ovvio! Sto morendo di fame!-



 

Besaid è perfetta. Le onde si infrangono fragorose contro il legno del molo; l’odore del mare è forte nelle mie narici, delicato e possessivo allo stesso tempo. C’è questo rumore di risucchio, mentre l’acqua s’incaglia in un interstizio della banchina, che guida il flusso dei miei pensieri.
Besaid è proprio perfetta. Il sole scalda, ma non troppo, non come a Bikanel, no: è parsimonioso. Ricopre ogni cosa, ma si fa da parte nella piccola foresta dove, lussureggianti e magnifiche, crescono le piante che donano a quest’aria la leggerezza di cui è dotata. Il colore del mare è un blu pieno, corposo: se guardi bene puoi vedere il fondale, mille alghe e coralli e pesci che nuotano e sguizzano fra la flora. È bellissimo qui.
Sorrido all’orizzonte di questo primo pomeriggio, quasi mi vien voglia di tuffarmi e perdermi nella freschezza di quest’acqua, ma resisto alla tentazione, alzandomi di nuovo in piedi per guidare Gippal fino al villaggio.
-Non c’eri mai stato, a Besaid?-
-Sì, certo…è davvero un bel villaggio; certo, forse un po’ arretrato…-
Camminiamo sulla sabbia con facilità e raggiungiamo la lunga strada inframezzata da qualche pontile che so ci condurrà a Besaid.
-Non è una nota del tutto negativa, questa, sai- gli dico, come per fargli capire che qualche volta è bello star lontani dal trambusto e trovare la propria calma, la propria dimensione. Sto diventando proprio una scimmia pensatrice, eh, ultimamente? Non mi riconosco. Sarà che dormo poco e sogno tanto…mhn. Chi lo sa.
Arriviamo al villaggio in poco, evitando qualche mostro; alle porte del villaggio chiudo piano gli occhi e prefiguro quello che succederà; Yuna incacchiata, Tidus giocherellone, Lulu protettiva, Wakka che alluderà su qualcosa tra me e Gippal.
Le capanne sono nella loro solita disposizione, se lo sguardo vaga si scorge il tempio. Faccio qualche passo sul terreno sdrucciolevole e mi guardo intorno: c’è la ragazza del negozio di oggetti, quella che fila i tessuti, quell’adorabile cagnolino. C’è Wakka.
-Wakka!- urlo, camminando a passo sostenuto verso di lui.
-Rikku! Da quanto tempo, ah?-
-Ehm…salve- saluta Gippal con un sorrisetto.
-E lui? È il tuo ragazzo? Eheh!- ridacchia Wakka.
-Come previsto- dico, sbuffando –Sapevo l’avresti detto, caro vecchio scimmione! No, non è il mio ragazzo!-
-Oh, ok ok, tanto Lù me lo dirà quando ti confiderai-
-Sì, certo, ti dirà quanto sei scemo- gli dico, affettuosamente.
-Andiamo, su, vieni a salutare gli altri- Wakka mi conduce nella sua tenda dove Lulu è col piccolo Vidinu e Yuna sta cucinando qualcosa.
-Ehm ehm- cerco di attrarre la loro attenzione. Lulu è la prima a girarsi, e a salutarmi con un –Eccoti – secco e ponderato. Ora è il momento di Yuna che, oh dio, urla un –TUUUUUUUU!- per poi aggrapparsi al mio collo neanche fosse una scimmia urlatrice. Caspitolina! Dopo i convenevoli ed un  Tidus è alla laguna a nuotare, e dopo che Lulu ha lanciato le rispettive occhiate di studio a Gippal, iniziamo a chiacchierare di tutto, del più e del meno, di come Vidinu sia cresciuto e di quanto Yuna e Tidus siano felici e contenti. Parliamo di Paine, del fatto che neanche lei si sia fatta vedere – ma Yuna ha qualche cosa che non le permette di viaggiare?  - mi chiedo – e Gippal riesce addirittura a far mangiare la pappa al bimbo tramite la sua ineccepibile calamitosa attrazione di simpatia. Insomma. Una cosa in famiglia. Quando Tidus torna e mi saluta, mi sale un groppo di nostalgia alla gola che è un qualcosa di assurdo. La compagnia è quasi al completo, mi vien da pensare. Manca solo Kimahri e..., sì, ed Auron.



 

Il cielo stellato di Besaid è uno spettacolo meraviglioso. Siamo tutti seduti attorno ad un fuoco acceso nella piazza di Bevelle, proprio di fronte al tempio dove, udite udite, io e Gippal dormiremo stanotte.  Vedila come una sorta di locanda, oramai non è più un tempio di Yevon, mi ha detto Yuna, ma la cosa continua comunque ad inquietarmi. E ne ho tutte le ragioni del mondo. Primo, perché è surreale ed è silenzioso ed è pieno di strane ombre. E secondo perché ci sono ancora quelle statue abnormi di zio Brasky e gli altri invocatori. Vabè.
Tidus è seduto affianco a Yuna, sudato e stanco della faticaccia che io e lui abbiamo fatto per accendere il fuoco alla vecchia maniera, quando Lulu era stanca e noi dovevamo riuscirci. Oppure quando Auron ci imponeva di sviluppare un minimo di padronanza degli incantesimi neri di base e dovevamo semplicemente lanciare un fire sul mucchio di legna.
-E…e ti ricordi quando abbiamo regalato la liquirizia a Kihmari e lui ha sorriso?- continua Tidus nel suo perpetuo ricordare.
-Sì! E…e quando, quando alla Piana della Bonaccia Wakka cadde dal chocobo?- dico cominciando a ridere, divertita.
-Ma perché non ricordi quando arrivammo alla Piana dei Lampi? Quel musolungo di Auron proprio non voleva fermarsi!- dice Tidus. Per un attimo nella mia testa ritorna lo strano sogno di questa notte, quel suo sguardo su di me, così realistico.
-Rikku?-
-Oh, sì, scusa…stavo appunto ricordando- dico con un piccolo sorriso.
-Io sono molto stanca, vado a dormire. Gippal, quando vuoi venire…beh, io vado- continuo.
-Resta un altro po’ con noi!- chiede a Gippal Tidus – che ringrazio mentalmente, per precisare. Ho bisogno di un po’ di silenzio.
-Ok, ti raggiungo dopo Rikku- mi dice Gippal con un sorriso. Yuna alza un sopracciglio nella mia direzione e si alza, per accompagnarmi nel tempio.
Mentre saliamo la scalinata, con voce totalmente casuale mi chiede –State insieme?- e alla mia risposta (un secco e sincero no) rimane un tantino titubante.
-Perché no?-
-Perché sì invece?- domando. Yuna alza le spalle. Entriamo nel tempio ed è esattamente come immaginavo; buio, troppo profumato, ogni rumore rimbomba qui dentro. Insomma insopportabile. Ci sono le solite statue.
Il mio letto è in una delle stanze dedicate ai vecchi sacerdoti, che ora qui a Besaid sono solo due e dormono entrambi nell’altra stanza. Qui c’è anche un altro posto per Gippal, ovviamente.
-Yuna, io ho sonno…potresti per piacere?-
Yuna è leggermente contrariata, si corruccia -Rikku…cos’hai?-
-Niente, Yunie, solo stanchezza- le dico, col sorriso più rassicurante che ho -E brutti sogni che faccio da un po’…- aggiungo con sincerità.
-Capisco. Domani me ne parlerai- mi dice con un dolce sorriso. Annuisco, e la vedo avviarsi verso l’uscita. Mi infilo quasi immediatamente sotto le coperte e, tempio o meno, non ci metto molto ad assopirmi, stanca davvero come sono. Mi lascio avvolgere dalla sensazione di indeterminatezza e di sacro che ancora aleggia su questo posto, mi lascio totalmente disarmata a vecchi ricordi e sensazioni…


 

Riapro gli occhi sull’ennesimo sogno. Sono sul Fluvilunio, ancora. Il cielo questa volta è scuro, è notte fonda. I lunioli danzano nel buio, ancora più suggestivi. Rilucono di mille sfumature, mi incantano, mi ipnotizzato con quella loro sinuosa e perfetta danza.
Mi guardo le mani, e sono leggermente ferite. Hanno taglietti qui e lì, come se stessi ancora in pellegrinaggio. Ferite da mostri, causate dal tagliare la legna oppure dall’esplorare boschi. Ferite da viaggio, le chiamerei.
Sospiro forte.
Chiudo gli occhi, e – quasi fosse un rituale – aspetto il tocco leggero di una mano fredda dal guanto di pelle. Lo aspetto con tutta me stessa, in quel buio corposo. Dopo pochi minuti di solitudine sento qualcuno sedersi al mio fianco. Non mi serve girarmi ad osservare il soggetto, sento già il suo vivo odore qui vicino e il suo pneuma. Il suo leggero respirare ed espirare, l’aria raschiare contro i suoi polmoni e riuscirne insieme col suo profumo. Il profumo è fratello del respiro.
-Auron…- sussurro lentamente.
In questo sogno non sono né triste né arrabbiata. Sono calma.
-Cosa devo fare con Gippal?- gli chiedo.
Ed è come se tu gli stessi chiedendo di lasciarti andare, Rikku…come se stessi chiedendo a te stessa di dimenticarlo per fare spazio al futuro, te ne rendi conto?
Ma non lo voglio davvero. Non voglio perderlo, non voglio che il suo ricordo così dolce e doloroso scompaia via dal mio cuore...
Mi stringo al caldo petto di Auron e struscio la mia guancia contro la stoffa della sua casacca carminia. Lui è silenzioso. Resto così per un tempo lunghissimo, finché lui non mi lascia un leggero bacio fra i capelli, finché non mi sveglio, nel buio del tempo, con una patina di sudore gelido che mi riveste il corpo, con il leggero respiro di Gippal a pochi metri da me.









 

   
 
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