Questa è la prima storia che scrivo dopo due anni di totale inattività. Sicuramente mi sarò arrugginito, quindi non abbiate riserve a segnalare i vari errori grammaticali ecc.
Questa storia è stata partorita nel natale
Mi auguro che possa piacere a chi la leggerà.
Credo che chiunque, almeno una volta nella vita, nei momenti di debolezza più probabilmente, si sia interrogato circa la reale esistenza del male.
Non sono un cacciatore di fedeli, uno di quei sospetti figuri che distribuiscono volantini deliranti per strada, tranquilli.
Sono solo una voce narrante.
Il male, come stavo dicendo, esiste. Non è semplice assenza di bene, e non è una sorta di ostacolo necessario al compimento del sommo bene.
Mettiamo le cose in chiaro:
Il Male è!
Ma, ad una più approfondita indagine credo che pochi si siano chiesti del perché, questo male, questa forza così distruttiva non riesca, nonostante la sua potenza a prevalere su ciò che noi definiamo bene.
In questo mondo non vi sono eroi, nessun santo. Qualche coraggioso forse, qualche pazzo idealista ma alla loro morte il loro coraggio e le loro idee verranno manipolate, sfruttate, svuotate.
Non dovrebbe esserci speranza alcuna.
Eppure la speranza c’ è.
Pensateci. Perché permane la speranza in un mondo così palesemente marcio?
Semplice.
Ma non è il momento di dare una risposta a questa domanda.
Adesso dobbiamo seguire la ragazza delle nevi e del calore, colei nata
dalla risposta.
Stava fuggendo da mesi, anni o secondi, non che avesse reale importanza. Era scappata per trovare una risposta ulteriore, una conferma o una smentita del fato a cui la risposta l’ aveva condotta.
Faceva freddo, quel freddo stagnante nell’ aria, il gelo che s infiltra nelle ossa e le corrode come un cane famelico, ma paziente.
Aveva paura.
In realtà nessuno la stava inseguendo, perché il destino è onnipresente, ed è sempre un passo avanti.
Si voltò, in direzione di un rumore, un rantolo soffocato di una futura carcassa. E vide gli occhi vuoti della morte.
Sembrava un cadavere, forse lo era, ma le membra si erano mosse, la vita stava ancora pulsando e con lei la sofferenza data da quel pulsare.
“Bella serata”
La voce del cadavere era un flebile bisbiglio, debole come un respiro ma comunque gioviale. Dall’ angolo lurido in cui era deposto, si alzò in piedi, come una marionetta manovrata da mani inesperte.
“Che ci fa qui una
persona viva?”
La ragazza indietreggiò, più perplessa che spaventata e lo guardò ancora. Vivo, ma con gli occhi di un morto, quella tremenda opacità…
Ricoperto di ferite sulla carnagione scura, il capo rasato tranne per la cresta bianca, lo sguardo di chi è stato sconfitto dai propri demoni.
“Ah, ma certo, è sua
figlia giusto? Non credevo che avrei mai rivisto in questa..”
vita” una persona così viva, se capisce ciò che intendo. Sono
sorpreso”
“Tu sei..”
Il cadavere sorrise, senza calore. Emise un sospiro malinconico osservando il cielo, pieno di stelle, luci ed energia.
“Quando si è morti riesci a vedere con più chiarezza cosa realmente
affligge l’ umanità. La speranza sta svanendo, per questo lei è qui, giusto?”
La ragazza si strinse nelle spalle, portando lo sguardo verso un punto imprecisato vicino ai suoi piedi. I lunghi capelli bianchi come il latte le cadevano scomposti sul viso come una barriera di stalattiti di ghiaccio
“No io.. probabilmente sto fuggendo.. dalla speranza”
“Cerca una risposta?
Un senso alla sua esistenza?”
“Già..”
“Perché
qui? Nel luogo dove non
esistono certezze o risposte, proprio qui lei cerca risposte?
“Esattamente.”
“Perché?”
“Per conoscere ciò che sto condannando.”
Una folata di vento rimestò le cartacce ed i rifiuti della sudicia stradina, causando un suono desolante.
Il morto posò lo sguardo sulla ragazza e, con espressione meditabonda iniziò a studiarla. Questa si strinse ancor più nelle spalle distogliendo lo sguardo e porgendolo alla città, che a stento soffocava la sua disperazione.
“Come si chiama questo luogo?”
“Jabberwock
City.”
“Seriamente..”
“Non scherzo. In quest’ epoca senza certezze o speranza, dopo che le guerre e
le ricostruzioni hanno stravolto i confini, le radici e l’ identità dei popoli,
i più ironici hanno trovato appropriato questo nome”
“Una città senza leggi, regole o limiti quindi.”
“Peggio,
è una città priva di senso o uno scopo. Qui le persone nascono già morte, per
quanto alcuni ancora cerchino di resistere a tutto ciò”
La ragazza tornò a guardare il cadavere con espressione determinata. La paura, l’ incertezza persistevano, trattenute tuttavia dalla consapevolezza di dover compiere una scelta. Se avesse optato per la libertà, cosa ne sarebbe stato del mondo? Avrebbe potuto essere veramente libera sapendo cosa stava abbandonando?
“Ancora non ho una risposta sul perché io sia ciò che sono e se sia giusto che io diventi ciò che il destino ha scelto per me. Ma devo sapere se questo mondo merita di ricevere la speranza che tanto agogna e tu, che possiedi quel corpo e quell’ anima, tu mi aiuterai”
Il cadavere emise una risata atona e metallica, raggelando il gelo stesso.
“Nel suo regno sarà
anche una principessa ma qui è solo un’ osservatrice
impotente, non può darmi ordini”
“Non desidereresti vivere in quel corpo, piuttosto che muoverlo come se fossi alla cabina di un robot?”
“E’ più complesso di
quel che sembra, mia cara”
“Preferisci far
marcire la tua essenza in questo involucro morto ed in
quell’ anima vuota?”
“Eheh,
e sia, le do il permesso di entrare, la aspetto per il
tè”
“Ne sarò deliziata”
Nella lurida stradina, in quella giornata di freddo crudele il cadavere e la ragazza si accasciarono al suolo come privi di vita, intenti a dialogare all’ interno della vita stessa.
Era un grande salone, adornato da ricchi intarsi dorati alle pareti di puro marmo immacolato. Sontuosi lampadari anch’ essi dorati, tempestati di infinite gocce di diamanti, proiettavano su ogni superficie una luce multicolore, dando all’ ambiente un tono regale, quasi divino.
In fondo al salone, faceva capolino un’ oasi di divanetti in stile barocco ricoperti di velluto rosso e, proprio al centro, sorgeva un’ immensa lavagna di ardesia, ricoperta di fitti e complicati calcoli scritti col gesso che si ergeva oltre la portata visiva.
La ragazza notò a malapena l’ illusoria sontuosità della sala, essendo maggiormente interessata all’ uomo, anziano ma prestante, che con foga continuava a riempire la lavagna di calcoli sempre più oscuri e metafisici.
“È una rarità trovare un’ impressione a piede libero, un segno dei tempi immagino”
L’ uomo si voltò, mostrando un tenue sorriso privo di allegria ed invitando la sua ospite ad accomodarsi con un gesto della mano. La sua voce era fittizia come l’ ambiente, una mera decorazione al messaggio che trasmetteva direttamente nella mente dell’ interlocutore.
“Ammetto che,
malauguratamente, questa condizione non è merito del mio ingegno. Non potendo
possedere l’ anima, ho semplicemente sfruttato
questa.. “struttura” per soggiornare in relativa tranquillità”
“Un investimento rischioso. Senza un’ anima a contribuire alla propria esistenza, un’ impressione corre costantemente il rischio di scomparire”
“In fondo però, io non
sono mai esistito realmente, quindi non sarebbe che un ritorno alla mia
condizione originaria”
Dal nulla comparve un tavolino di vetro con sopra due fumanti tazze di tè ed una teiera. La ragazza si portò la tazza alle labbra, bruciandosi leggermente la lingua. Indagò gli occhi del suo interlocutore, illusori ma decisamente più vivi del suo corpo ospitante.
“Trovandomi qui, deduco che la mia offerta è comunque di tuo interesse”
“Anche quelli come me hanno un precoce istinto di sopravvivenza. Piuttosto, presi come eravamo dai nostri seri discorsi non abbiamo provveduto
alle necessarie presentazioni, nonostante io sappia già chi lei sia,
principessa Janet”
“Non mi stupisco di questa tua conoscenza, la tua specie e la mia famiglia sono strettamente legati. Posso sapere invece con chi ho l’ onore di parlare?”
L’ uomo, per tutta risposta porse gentilmente alla sua ospite un volume di modeste dimensioni. Janet lo prese tra le mani, sgranando gli occhi leggendo il nome dell’ autore.
“Oh.” Riuscì solo a dire.
“Quindi, nel caso accettassi la sua proposta, in
che modo mi consentirebbe di prendere possesso di tutto questo?”
Janet scorse, in un angolo stranamente buio dell’ enorme sala un’ enorme gabbia chiusa e sigillata da decine di lucchetti e chiavistelli. Dal suo interno provenivano solo gemiti e sibili, ininterrotti ed insopportabili. Per un attimo si chiese come avesse fatto a non notarli in precedenza.
“Quello è…” disse, indicando con un cenno la gabbia.
“L’ originario padrone di quest’ anima. Un
giovanotto alquanto bizzarro devo dire, senza un
briciolo di speranza nello spirito. Ho dovuto ristrutturare gli interni con una
certa lena per rendere sopportabile questo posto”
“Mi dispiace doverti informare che, per garantire la tua sopravvivenza, dovrai fonderti con lui”
“Prego?”
“La tua possessione è fallita, il padrone originario non è scomparso e tu non puoi che assumere un controllo remoto di questa persona. D’ altro canto, non puoi nemmeno fuggire, poiché la tua essenza già così instabile potrebbe non sopportare il processo. Così stanno le cose.
L’ uomo si corrucciò portandosi la mano destra sulla fronte, assumendo un’ aria riflessiva. Dopo pochi minuti alzò il capo con un’ espressone grave in volto.
“Accetto, faccia ciò
che deve”
Senza rispondere, Janet si portò le mani al medaglione che portava al collo, raffigurante due bastoncini di zucchero bianco e rossi incrociati ed incorniciati da una ghirlanda verde smeraldo, il quale iniziò a brillare di luce bianca.
Cristalli di neve cominciarono a cadere lenti in tutto il salone, mentre la luce del medaglione, sempre più accecante, inondò l’ anima già morta, donandole letteralmente una nuova vita.
“Merry Christmas, Professor Moriarty”