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Autore: _Ella_    21/06/2012    4 recensioni
“Non dovresti, Roxas. Non va bene mentire alle persone”.
“Ma cosa te ne importa! Sai meglio di me che tuo fratello verrà rimandato in arte, aiutarlo non fa male… e poi, a buon rendere. Un favore serve sempre”.
“Non mettergli in testa strane idee!”.
-Per l’amor del cielo, state zitti voi due. Già così svegli di prima mattina?-.
Roxas era un ragazzo normalissimo: scuola, passatempi e passioni, amici, e due esserini sulle sue spalle che potevano essere considerati la sua coscienza.
-
«Che. Cosa. Sta. Succedendo?!» urlò isterico mentre Vanitas ancora rideva, mentre Sora si mordeva ancora la bocca, mentre Aqua ancora si lamentava per tutto lo schifo che stava facendo in cucina.
Solo Terra lo guardò, caritatevole. «Aqua è una strega».
[Pairing accennati]
Genere: Comico, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Roxas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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About  ings and  ails;

-I due poli.

 


Le Isole del Destino erano sempre state un posto tranquillo, ma tutt’altro che monotono.
Non c’era mai troppa confusione, non si correva mai troppo, tanto che alcune persone venivano lì dalla città per rilassarsi sulle bianche spiagge o con un picnic nel bosco. C’erano gli stessi negozi e negozianti da una vita, salvo passare agli eredi, ma comunque li si conosceva già da così tanto tempo che ti sembrava non fosse cambiato assolutamente nulla.
Pioveva di rado, il clima era così mite che in inverno si potevano tranquillamente indossare delle felpe un po’ più pesanti e continuare a far finta che l’estate fosse diventata un solo più fresca, tant’è che i ragazzi si divertivano un mondo a fare surf in quel mare le cui onde si increspavano più del solito.
Per tutta la settimana le persone lavoravano, uscivano a fare la spesa o compere e si fermavano a fare quattro chiacchiere coi negozianti, mentre i ragazzi andavano a scuola e dopo si rincontravano nel loro posto perché – anche se quelle isole non erano troppo grandi – ognuno magicamente ne aveva uno “proprio”.
Roxas aveva pensato che, vedendo da questo punto di vista il suo luogo di nascita, c’era tutt’altro che esserne fieri: non sembrava uno spasso, per dirla tutta. Il fatto era che gli abitanti rendevano così speciale quel posto che lui poteva semplicemente adorare.
Ogni giorno c’era qualcosa che incuriosiva, qualcosa che qualcuno aveva combinato che faceva ridere, qualche posto da andare a visitare in ricordo ai bei vecchi tempi, il calore che tutti ti riservavano come se fossero un’unica grande famiglia.
E poi – aveva notato nel corso dei suoi sedici anni – vivere in un luogo un po’ fuori mano dalle mode e dalle tendenze di tutto il resto del mondo era stato un bene: ogni adulto, ogni ragazzo e bambino, aveva l’opportunità di crescere senza che ci fosse l’esempio della massa, tant’è che lui non aveva neppure un amico che condividesse tutte le sue passioni, tutte le sue idee, neppure uno che portasse lo stesso paio di scarpe o lo stesso taglio di capelli.
Le Isole del Destino, coi loro colori sgargianti e forti, avevano impresso anche negli abitanti un’indole originale, rendendo quel luogo un’enorme tavolozza di colori che raramente creavano sfumature, tuttavia sin troppo belle per essere considerate un miscuglio di varie tonalità.
Roxas, del resto, non era un ragazzo fin troppo appariscente, ma non gli spiaceva. Faceva cose normali e viveva tranquillo, non faceva sapere troppo di sé.
Amava fare surf – e questo era anche il periodo dell’anno che preferiva, per farlo –, gli piaceva un mondo disegnare – soprattutto assieme la sua amica Naminé – ed aveva la passione per gli animali marini, che puntualmente cercava di immortalare sulla carta, quando si trovava a fissare lo specchio brillante del mare.
La sua routine non era neppure così esaltante: si svegliava presto, lasciava che il suo gemello Ventus andasse in bagno per primo mentre lui connetteva il cervello, poi si preparava e dopo la colazione andava a scuola, dove prima della campanella si rivedeva con alcuni dei suoi amici che comunque avrebbe visto durante l’intervallo e a lezioni finite; il pomeriggio studiava, faceva merenda con un panino ed un succo di frutta – sempre assieme al suo gemello –, leggiucchiava qualcosa oppure giocava ai videogiochi mentre aspettava che i loro amici venissero a chiamarli, così da rincontrarsi tutti nello stesso posto e starci fino ad ora di cena, tranne il sabato che tornavano più tardi.
Era una vita che non gli dispiaceva, per niente, anche perché Roxas non poteva assolutamente dire che non avesse delle sorprese.
Sbadigliò, stiracchiandosi sotto le coperte, poggiandosi sul fianco per spegnere la sveglia che trillava sul comodino e per poter guardare la sagoma di suo fratello che, nel letto lì di fianco, dall’altra parte del mobile bianco, ronfava ancora.
«Ehi, ehi. Ven…» borbottò, resistendo a stento dal non ficcarsi di nuovo con la testa sotto le coperte. «Dai, oggi hai l’interrogazione…».
«No, no. Non ce la faccio, non ce la faccio. Non ricordo niente, niente! Quella vipera mi ucciderà…» si lamentò l’altro, che nel frattempo si era già messo a sedere, le gambe incrociate tra le coperte sfatte. «Ti prego, vai al posto mio? Tu l’hai già fatta l’interrogazione!».
«Ma se ne accorge, abbiamo le voci diverse…».
«Di poco, pochissimo. Dai, dai. Dimmi di sì!».
“Non dovresti, Roxas. Non va bene mentire alle persone”.
“Ma cosa te ne importa! Sai meglio di me che tuo fratello verrà rimandato in arte, aiutarlo non fa male… e poi, a buon rendere. Un favore serve sempre”.
“Non mettergli in testa strane idee!”.
-Per l’amor del cielo, state zitti voi due. Già così svegli di prima mattina?-.
Roxas era un ragazzo normalissimo: scuola, passatempi e passioni, amici, e due esserini sulle sue spalle che potevano essere considerati la sua coscienza.
Li vedeva da che ne avesse memoria, inoltre ricordava che, nel bene e nel male, erano sempre stati loro ad influenzarlo con qualsiasi cosa: un Angelo ed un Diavolo con la sua faccia e vestiti strani indosso, che lo tartassavano con i loro consigli e non lo facevano riflettere, che litigavano tra loro e lo facevano impazzire.
“Scusaci, Roxas. Ma sul serio, è bene che Ventus prenda le proprie responsabilità”.
Sora era il suo Angelo. Capelli castani ed occhi celesti, un paio di alette piumate e bianche dietro la schiena, con l’immancabile aureola dorata – anche se era una corona vera e propria – , ed indossava una specie di vestitino bianco monospalla, tenuto su da una spilla dorata, e dei sandali? ai piedi. Era terribilmente ingenuo e buono, a volte un po’ asfissiante. Ma del resto, rappresentava la sua parte migliore.
“Responsabilità? Puah, per favore. Roxas, stammi a sentire: se fai questo scambio, poi potrai chiedergli di farlo anche per l’interrogazione di storia…”.
Ecco, questo era Vanitas, la controparte. Fisicamente era tale e quale a Sora, se non per i capelli neri e gli occhi ambrati, quasi gialli, due piccole corna rosse che spuntavano sul capo, una flessuosa coda puntuta al terminare della schiena dello stesso colore e un pantaloncino inguinale di pelle nera.
Ma chi era l’incapace disegnatore di quei modelli ridicoli?
Probabilmente la moda nell’aldilà aveva ancor meno importanza di quanta ne avesse lì alle Isole.
-Ragazzi, sul serio, mi sta scoppiando la testa- si lagnò mentalmente, coprendosi la faccia col cuscino.
Sora e Vanitas si fissarono male, prima di arrampicarsi sul comodino e rimanere lì seduti in silenzio. Erano alti quanto il palmo di una mano – o almeno, Roxas così li vedeva – e spesso si accomodavano sulla sua spalla, così leggeri che non riusciva a sentirli.
«Roxas, te lo chiedo per favore. Vai al posto mio, ti scongiuro… fai un po’ di voce rauca così la prof non se ne accorge…» continuò a pregarlo Ventus, che adesso lo aveva raggiunto sul letto, spostandogli dal volto il cuscino.
Sperava più di ogni altra cosa che quei due fossero andati via: quando si arrabbiava con loro, sparivano nel nulla in una piccola nube di fumo, per poi comparire solo quando ne aveva necessità; eppure erano ancora lì, accomodati sullo spigolo del mobile. Scoccò un’occhiataccia ad entrambi.
“Se lo farai, non solo dirai una bugia, ma gli impedirai anche di crescere” disse Sora, fissandolo coi suoi occhioni celesti, così uguali a quelli del suo gemello e quindi ai propri. “Non sempre dire di ‘no’ è facile, ma è necess__” Vanitas gli tappò la bocca in un attimo, attorcigliando la coda attorno al suo volto; nel frattempo, l’Angelo si dimenava.
“Vai all’interrogazione. Gli fai prendere un bel voto, lo fai contento. Guardalo, è disperato!” Sora riuscì a morderlo, così l’altro lo lasciò con un guaito di dolore, afferrandosi la coda tra le mani e carezzando la parte lesa.
“Invece di aiutarlo a mentire, potresti aiutarlo a studiare. Non ti costa nulla”.
Roxas guardò loro, poi fissò gli occhi di suo fratello.
«Ok, vado io, torna a letto» acconsentì e quello gli saltò al collo per abbracciarlo, mentre il Diavolo faceva un sorrisino soddisfatto e Sora si piazzava una mano in faccia. «Ma da oggi studiamo assieme, così poi la prossima volta ci vai tu» aggiunse, senza liberarsi della sua stretta.
Questa volta, fu Sora a sorridere trionfante.
 
A volte Roxas si chiedeva come potesse essere esserne uno solo nella sua testa. Insomma, da che ricordava non aveva mai fatto ragionamenti da solo visto che la sua coscienza divisa in due parti interveniva sempre, tanto che delle volte rimaneva persino delle ore assente ed in silenzio, tutto preso da battibecchi e discorsi interiori.
Altre volte si chiedeva se fosse l’unico che, guardandosi allo specchio, trovasse due fastidiosi mezzi puffi sulle spalle che si specchiavano e preparavano a loro volta, oppure commentavano senza riguardi i pensieri che faceva sul proprio fisico: quando pensava di essere troppo magro, Vanitas rideva e gli punzecchiava la guancia con l’estremità puntuta della coda e “Decisamente” diceva, mentre Sora gli ricordava che aveva sedici anni e che stava ancora crescendo e che l’aspetto esteriore non era assolutamente importante.
Quei due lo aiutavano sempre – e mettevano nei guai, del resto – poiché era davvero illuminante per uno come lui poter discutere con obbiettività con entrambe le parti del suo essere. L’eventualità di essere completamente pazzo, non lo sfiorava neppure.
E così adesso camminava verso scuola, la camicia della divisa scolastica tutta abbottonata tranne per l’ultimo bottone sotto il gilet e senza cravatta, così come si vestiva il suo gemello. Ah, ovviamente aveva l’immancabile polsino che, differentemente dal proprio, aveva le estremità bianche. La professoressa non doveva assolutamente notare, che lui non era Ventus, altrimenti sarebbero entrambi finiti nei guai, poco ma sicuro.
“Esatto, esatto. E ti starebbe bene, ti starebbe benissimo! Ah, Roxas, ma perché ascolti sempre quello lì!” si lamentò Sora, materializzandosi sulla sua spalla destra e battendo forsennatamente le ali, tanto che la coroncina con le tre punte che aveva in testa tremò. “Non è una cosa giusta, e lo sai bene anche tu”.
-Certo che lo so, ma è necessaria. Non gli ci vuole un altro brutto voto, a Ven- disse, grattandosi la nuca e facendo attenzione mentre attraversava la strada, aggiustando la tracolla sulla spalla. -Il fine giustifica i mezzi, no?-.
“Verissimo!” Vanitas ed il suo sorriso seducente sbucarono fuori, sull’altra spalla; probabilmente era per quel sorriso ipnotico che gli dava sempre retta. “Ma adesso non ti interessa neppure, giusto? Perché siamo quasi arrivati, e stai pensando a lui”.
-Smettila, Vanitas. Ti ho già detto che siamo amici-.
“Naturale” s’intromise Sora, sporgendosi per fissare male il Diavolo. “Sono amici, sei tu quello che pensa sempre al male!”.
Pff. Tanti discorsi sul bene e sull’amore e poi…”.
“Per me non ci sarebbe niente di male se ammettesse di esserne innamorato, ma sappiamo entrambi come immagini tu le cose…”.
-Ehi, ehi! Qualcuno mi sta a sentire? Ho detto che siamo amici e basta! Smettetela di fantasticare, e sparite-.
“Signorsì signore” sbottò Vanitas ridendo, prima di scomparire; Sora lo seguì a ruota.
Roxas prese un profondo respiro, prima di guardarsi attorno spaesato.
Bene, aveva anche sbagliato strada, per stare a sentire quei due. Si passò una mano in volto e fece dietrofront, iniziando a correre verso scuola.
Piccola postilla: non parlare più con quei due quando sei per strada.
 
Naturalmente, per colpa di quei due danni – Roxas solo così riusciva a definirli, perché creavano più casini di quanto dovessero – si era beccato un ritardo sul registro di classe con una lunga, lunghissima ramanzina da parte della vicepreside che gli aveva fatto il permesso per entrare, anche se si era presentato fuori scuola dieci minuti dopo che i cancelli erano stati chiusi.
Anzi, era Ventus quello in ritardo, lui quel giorno era assente.
Si chiedeva, mentre prendeva appunti sulla dimostrazione di un teorema, se la prof avesse creduto a quella storia, e se soprattutto l’avesse interrogato anche se mancava uno di loro. Magari era abbastanza tonta da crederci, se era fortunato – se erano fortunati, perché lui si stava mettendo nei guai per il suo gemello.
In una nuvoletta bianca e con un piccolo “puf”, Sora gli comparve nel campo visivo, seduto sul suo porta pastelli e con l’aria piuttosto imbronciata. Anzi, più che imbronciata: lo stava fissando male, malissimo.
Capendo che non avrebbe parlato né sarebbe andato via se non gli avesse dato retta, Roxas sbuffò e poggiò la guancia sul pugno chiuso, sperando che il prof non notasse che era distratto, altrimenti Ventus si sarebbe beccato una nota, oltre che un ritardo.
-Dimmi, Sora-.
“C’è anche bisogno che te lo dica?!” urlò, e la vocina divenne terribilmente stridula. “È… è uno sbaglio, quello che stai facendo!” disse, avvicinandosi a lui e bloccandogli la penna quando tentò di tornare a scrivere per ignorarlo. Ma quell’Angelo era straordinariamente bravo ad essere sempre al centro dell’attenzione, del resto.
-E cosa vuoi che faccia, eh?-.
“Dici la verità!” lo pregò, tenendo stretta al petto la biro, alta tre dita più di lui; praticamente era come se lui abbracciasse un palo della luce, o quasi… magari un palo della luce alto quanto gli alberelli che stanno lungo il marciapiede fuori casa… ecco! “Roxas, ascoltami! Sei in tempo per dire che sei Roxas, e…”.
-E… cosa? Torno a casa e dico a Ven che mi sono pentito di questa colossale cazzata? Non se ne parla, è il mio gemello, se dobbiamo cacciarci nei guai, lo si fa assieme-.
“Bravo ragazzo” Vanitas sbucò dal nulla, seduto a gambe spalancate sul libro di geometria che aveva poggiato sul banco dall’inizio dell’ora.
Ecco, solo quest’altro ci mancava…
Quest’altro, caro il mio biondino, è parte della tua coscienza, e sente i pensieri che fai, anche se non li rivolgi direttamente a me” fece indispettito, la coda rossa che vibrava tesa in aria; Roxas roteò gli occhi, mosse un po’ la penna per costringere Sora a lasciarla e scrisse le ultime cose che c’erano alla lavagna, così almeno avrebbe potuto rileggerle a casa e farsele spiegare da Aqua, magari, la sua vicina tanto brava in tutto.
-Mi avete stufato, sul serio-.
“Ah, sentitelo, è nervoso” la risata roca di Vanitas vibrò nell’aria, la coda gli finì sotto il naso così il Diavolo la leccò lascivamente per provocarlo, fissandolo dritto negli occhi. “Perché, hm? Forse perché non hai visto Axel, stamattina?”.
“Oh, è vero! Gli avevi promesso dieci minuti prima delle lezio__”.
-Grazie, Sora, me lo ricordo!- sbottò esasperato, poi punzecchiò entrambi col tappo della sua biro nera. -Andate via, non sono dell’umore giusto- ringhiò mentalmente, guardando stancamente alla lavagna e poi girò il viso verso sinistra, fissando fuori dalla finestra gli alberi del bosco della città, esattamente al confine con la scuola. Cercò di giocare con gli anelli che solitamente aveva alle dita, e con malinconia dovette ricordare che non li aveva, perché Ventus non li portava.
Sospirò: voleva solo che quella giornata finisse prima possibile, che la prof gli mettesse un buon voto e che soprattutto non notasse che c’era il distacco dell’abbronzatura sull’indice ed il medio mancini, altrimenti da brutto quel giorno sarebbe diventato una vera e propria catastrofe.
Abbandonò la testa sul banco, sospirando e singhiozzando quasi.
«Ehi, tutto bene?» gli chiese Kairi, sua compagna di classe nonché parte del suo gruppo, seduta esattamente dietro di lui; rispose con un grugnito, senza neppure disturbarsi di darle una vera e propria risposta. «Dimmi un po’, Ven… come mai tuo fratello non è venuto? Axel ha dato di matto, stamattina».
Si sarebbe anche dispiaciuto del fatto che, nonostante si vedessero tutti i giorni a scuola, non l’avesse riconosciuto, ma poi la notizia che aveva appena formulato prese la prima occupazione nella sua mente: il diciassettenne lo avrebbe ucciso, gli avrebbe piantato negli occhi due legnetti puntuti e si sarebbe mangiato il suo cuore, ne era sicuro. Sperò con tutto se stesso che non lo riconoscesse.
«Ehm… mal di stomaco» mentì, cercando di rendere più rauca possibile la voce, mentre si lisciava il gilet grigio e poi ritornava ad ascoltare il professore.
La giornata peggiorava, peggiorava alla grande.
Era meglio che mi facevo gli affari miei, pensò, ed il suo pensiero aveva la voce così dannatamente simile a quella di Sora.
Pochi minuti prima che suonasse la campanella e che quindi fosse l’ora dell’interrogazione, Roxas aveva cominciato a sudare freddo; non era mai stato granché bravo a contenere l’ansia, e non voleva combinare nessun casino, assolutamente.
Quando la donna entrò, e lo vide bianco come un cencio aggrappato all’angolo del banco, gli rivolse il sorriso più sadico che aveva, e Roxas pensò che Ventus aveva tutte le ragioni del mondo ad esserne spaventato, perché nei suoi confronti era davvero terrificante.
 
L’interrogazione, durata esattamente cinquantatre minuti – salvo qualche attimo in cui l’arpia si dedicava una pausa per pensare quale domanda porgli – era andata una meraviglia. Le aveva spillato un otto e mezzo che aveva fatto ben attenzione a controllare che segnasse a penna, gli aveva fatto i complimenti, e adesso quell’idiota di suo fratello Ventus poteva stare tranquillo fino alle vacanze di Natale, e lui avrebbe fatto di tutto per fargli entrare qualcosa in quella testa di coccio.
Finalmente nel corridoio, Kairi lo affiancò, ed entrambi raggiunsero in fretta gli altri del gruppo al campetto di calcio nel retro della scuola, vicino ai parcheggi ed al bosco.
Nonostante l’ottimo voto, Roxas aveva voglia di piangere.
Del suo gruppo lì a scuola non c’erano tutti, ma la maggior parte dei componenti.
C’era Kairi, la ragazza sedicenne in classe con lui, occhi celesti e corti capelli rossicci, sempre allegra e gentile; lui non l’adorava, visto che alcune volte era un pochino appiccicosa, ma tutto sommato non la trovava affatto male, anche perché era la sorella del suo migliore amico, quindi era abituato ad avercela intorno.
C’era Naminé, sua migliore amica da quando avevano i pannolini, così terribilmente delicata e gentile da ricordagli un fuscello, ma la verità era che con quegli occhi che sembravano un violetto spento ed i capelli chiarissimi dava l’idea di poter svanire da un momento all’altro e lasciare soltanto il blocco da disegno che si portava sempre in giro, aspettando che l’ispirazione arrivasse.
C’era Xion, la cugina dai capelli corvini di Kairi nonché sua prima cotta; era riuscito anche a darle un bacio quando in seconda media erano in classe assieme, ma lei dopo l’aveva gentilmente rifiutato, dicendogli che voleva che rimanessero solo amici. Lui troppo male non c’era rimasto: del resto, era riuscita a baciarla, quindi niente rancore.
C’era Demyx, il ragazzo di quarta con la cresta e gli occhi azzurri che organizzava sempre le feste lì nei dintorni, e gli voleva davvero benissimo, perché era di una bontà e di un’ingenuità che gli ricordavano tantissimo le qualità di Sora, e poi chiacchierare con lui lo metteva sempre di buon umore perché sapeva sempre qual’era la cosa migliore da dire per tirare tutti su di morale.
Infine – ma non meno importante, anzi – c’era Axel, la colpa del suo attuale terrore, nonché suo migliore amico. Axel aveva diciassette anni, occhi verdi e capelli rossi di natura che poi aveva tinto per rendere ancora più rossi (ma questo lo sapevano solo loro due), era piuttosto inquietante quando voleva, ad esempio se doveva prenderlo in giro o quando lo faceva innervosire, per il resto era un’alternanza di momenti tranquilli ad altri nei quali ti faceva venire un gran mal di testa. Ma gli voleva bene, tanto, perché avevano passato assieme i dieci anni più belli dalla sua vita, e gli doveva molte cose.
Li salutò tutti con un sorriso ed il rosso in questione lo fissò senza dire nulla, prima di inarcare un sopracciglio.
Merda, se ne è accorto.
“Certo che se ne è accorto, conosce meglio il tuo corpo che il suo” lo sfotté Vanitas, comparendo sulla sua spalla, solleticandogli l’orecchio con la coda.
-Non ora!-.
“Dai, stai calmo, basterà spiegargli come sono andate le cose” l’Angelo comparve dall’altra parte, aggrappandosi al suo collo.
«Ehm… Ven, posso parlarti un attimo?» disse il rosso, non molto convinto, e lui si trovò ad annuire meccanicamente, mentre lo seguiva un po’ più lontano perché nessuno del gruppo li sentisse.
Sperò con tutto se stesso che, anche se per sbaglio, Demyx intervenisse come suo solito, anche se non sperava in un miracolo improvviso, e sospirò pesantemente alla schiena dritta dell’altro, che lo precedeva.
“Uhm, Roxas, alza un po’ gli occhietti. So che ha un bel culo, ma fissarglielo così spudoratamente…”.
«NON GLIELO STO GUARDANDO!» urlò, lo urlò sul serio, e la risata sfacciata del Diavolo rimbombò tutta contro i suoi timpani, ed Axel si girò di scatto nella sua direzione, prima spaventato, poi sconcertato, ed infine sinceramente divertito, tanto che le sopracciglia aggrottate lasciarono spazio ad un’espressione sinceramente compiaciuta, mentre rideva mantenendosi la pancia con le mani.
-Ti odio, Vanitas- asserì, e quando sentì che anche Sora stava ridendo, mandò entrambi a quel paese e si limitò ad incrociare le braccia al petto, continuando a fissare il rosso che quasi si accasciava a terra per il troppo ridere.
Cosa ci trovasse di così divertente, poi, lui non l’aveva davvero capito.
«Se avevo anche un solo dubbio sul fatto che tu fossi Roxas o meno, adesso non c’è più!» continuò a ridere.
Ah, ecco perché.
Naturalmente, era lui il più schizzato tra i gemelli.
«Axel, smettila di ridere…» lo pregò avvicinandosi, quando si rese conto che gli altri guardavano nella loro direzione. «Se la smetti giuro che ti spiego tutto, e poi puoi anche insultarmi per stamattina».
«Oh, questo è sicuro, nanetto» Axel era tornato improvvisamente serio, ma non troppo, il solito ghigno in volto.
“Dai, lo so che ti arrapa. Non me la dai a bere, Roxas!”.
-Giuro che se non sparisci darò retta a Sora per tutto il resto della mia esistenza- il Diavolo sbuffò, poi rise lascivo prima di sparire e lasciarlo finalmente da solo con l’Angelo, che se ne stava zitto e buono seduto sulla sua spalla.
Si accomodarono entrambi per terra, le spalle contro il muro. Axel gli afferrò noncurante la mano sinistra, sfiorando con le dita i segni pallidi che avevano lasciato gli anelli, e lui cominciò a raccontargli con calma quel che era successo quel mattino, omettendo i particolari meno importanti, tipo che aveva sbagliato strada per colpa di quei due. Il rosso non gli chiese neppure di spiegargli come potesse essersi confuso, visto che ormai ci era più che abituato alla sua perenne distrazione.
A volte ci aveva pensato. Spiegargli tutte le cose non dette, le cose che aveva omesso sin dai primi momenti, tutti quei buchi che non aveva nemmeno provato a riempire con qualche scusa. Roxas gli aveva sempre detto tutto, tutto, ogni singola cosa, tranne quelle riguardanti alle sue coscienze e le coscienze stesse, per paura di essere giudicato. Se Axel non gli avesse creduto? O peggio gli avesse dato del matto? Perché quella di essere completamente fuso, era un’opzione che Roxas non aveva mai scartato.
Insomma, supponeva non fosse normale avere e vedere, soprattutto, un Angelo ed un Diavolo consiglieri. Una volta aveva pianto, persino, ed aveva chiesto a Sora se fosse il caso di dire tutto a sua madre, al suo gemello, al suo migliore amico, e l’esserino era stato zitto, gli aveva asciugato i lacrimoni con le mani piccine ma non aveva detto niente, ed anche Vanitas era rimasto in silenzio e gli aveva porto un fazzoletto invece che la solita presa in giro.
Quella probabilmente era stata l’unica volta che non gli avevano consigliato cosa fare, e ché e ché Roxas ne dicesse – che erano fastidiosi, che lo mettevano nei guai – il pensiero di non avere mai più il loro parere lo spaventava alquanto. Come facevano gli altri a prendere le decisioni da soli?
Roxas finì lo sproloquio, e prese un grosso respiro.
«Tu? Che dovevi dirmi stamattina?» chiese infine, girandosi a guardarlo e storcendo un po’ il naso per l’acre odore di fumo che veniva dalla sua sigaretta ormai finita.
«Lascia stare» disse il rosso, spegnendo il mozzicone tra la ghiaia. «Piuttosto, oggi raggiungimi agli allenamenti di basket prima di passare in spiaggia per il surf, Riku ha detto che deve darti una cosa, boh…».
«Oh, sarà il libro che gli ho chiesto di prestarmi, fantastico! Non vedevo l’ora di leggerlo» disse, e nel mentre la campanella s’annunciò in tutta la sua confusione. «Torniamo a casa assieme? Esci un ora dopo, ma posso aspettare» chiese, afferrando la mano di Axel che lo aiutò a tirarsi su e successivamente scosse la testa, mentre raggiungevano anche gli altri.
«Niente da fare, Demyx mi ha chiesto compagnia per aiutarlo a studiare per l’interrogazione di domani, e vado a casa sua» spiegò, e gli cinse le spalle col braccio mentre gli posava un bacio tra i capelli. «Il piccolo Roxy è triste?».
«Tantissimo!» rise ironico, prima di scrollarselo di dosso. «Corro in classe, vado per di qui che faccio prima… ci vediamo agli allenamenti» lo salutò, e fece un cenno anche agli altri, mentre raggiungeva Kairi che saliva per le scale d’emergenza.
 
Praticamente, quando era tornato a casa ed aveva detto al suo gemello come era andata l’interrogazione, Ven gli aveva fatto la ola, e nonostante l’assenza totale di onestà anche i suoi genitori gli avevano detto che era stata una buona trovata, ed avevano chiuso un occhio.
Adesso era in camera avanti al pc, nessuna voglia di studiare, mentre il suo gemello leggeva steso a pancia in giù sul letto. Era un pomeriggio parecchio tranquillo, quasi noioso, e non vedeva l’ora di uscire di casa per andare al campo da basket e poi fare surf in spiaggia, dove aveva appuntamento coi soliti.
Sbadigliò, girando sulla sedia con le rotelle fino a fermarsi in direzione del suo gemello e dare le spalle alla scrivania col pc ancora acceso.
“Che. Bel. Culo… ah, se fossi lì che gli farei…”.
-…I tuoi pensieri mi molestano la mente, Vanitas. Che schifo, è il mio gemello!-.
“Infatti non capisco come sia possibile che lui avrei voglia di farmelo mentre te mi faresti senso. Probabilmente perché siamo la stessa persona…”.
-Oh mio…-.
Roxas si passò una mano in faccia, prima di sbirciare oltre la mano la piccola sagoma del Diavolo, seduto sul bracciolo della sedia tutto intento a fissare il suo gemello, mordicchiandosi la punta della coda.
“E dai, smettila, non vuole sentire i tuoi commenti su Ventus” Sora comparve nel giro di un momento, poggiato sul suo ginocchio e il viso in direzione di Vanitas. “Tienile per te, queste cose”.
-Se è per questo, Sora, oggi come sai si va al campo… per favore, non mi frega un accidente di quanto siano bianchi i capelli di Riku, o altre menate sul fatto che nemmeno da dove vieni il bianco era così bianco, e che cos’è- disse e l’Angelo mise su il broncio, arrossendo, mentre Vanitas rise fortissimo ed approfittò per prenderlo in giro.
Riku faceva parte del loro gruppo, aveva la stessa età di Axel e Demyx, e nonostante non andasse con loro a scuola lo avevano conosciuto grazie al rosso, che praticamente lo conosceva sin da bambino perché facevano sport assieme, ed era una vera forza, anche se a volte lo faceva parecchio incazzare. Da che lo avesse conosciuto, comunque, Sora aveva iniziato a fare commenti particolari su di lui esattamente da quando Vanitas aveva cominciato con suo fratello.
A volte si chiedeva se non fosse per colpa loro che delle volte faceva dei pensieri non proprio… normali?
“Ah, Roxas… noi siamo te. Se a noi piacciono i maschi, è perché a te piacciono per primo” puntualizzò il Diavolo, sorridendogli sottile e sparendo prima che potesse ribattere o insultarlo in qualche modo.
Il biondo sospirò forte, ed anche la parte buona della sua coscienza andò via in uno sbuffo.
Mandò un’occhiata all’orologio e si decise finalmente a darsi una mossa, visto che voleva fare una doccia prima di uscire di casa.
«Ven, mi infilo sotto la doccia» borbottò mentre prendeva i vestiti puliti e il suo gemello mugolò in risposta, troppo immerso nella lettura per dargli retta sul serio
Si chiuse la porta del bagno alle spalle, e Sora e Vanitas sbucarono sul lavandino, seduti vicino il piattino su cui tenevano poggiato il sapone; cominciò a spogliarsi tranquillo, sorpreso che quei due alle sue spalle non si stessero azzannando, visto che erano peggio di gatto e cane.
“Qualche volta perché non la fai la doccia assieme al tuo gemello, eh?” provò il Diavolo, e si girò a fissarlo accigliato. “Che palle, Roxas, dopo la partita di calcio la settimana scorsa hai fatto le docce negli spogliatoi e c’era Riku, tocca anche a me adesso!”.
-Ma Sora non fa pensieri spinti ad alta voce, Vanitas. Quindi smettila di insistere- disse, mentre si infilava sotto il getto caldo dell’acqua.
“E poi io non l’ho guardato mica!” ribatté l’Angelo, agitando le ali bianche. “N-non sono come te”.
“Se, certo. E speri anche che ci creda? Se te lo stavi mangiando con gli occhi” ghignò il corvino, punzecchiandogli il sedere con la coda.
Roxas cercò di ignorarli, mentre si insaponava la pelle. Se loro litigavano non era di certo affar suo, poteva anche far finta che non ci fossero almeno per la durata della doccia.
Fece con calma e, quando si disse che era davvero ora di uscire, o avrebbe fatto tardi, si asciugò a stento con un asciugamani e infilò velocemente i vestiti, che gli si incollarono contro la pelle visto che era ancora umida.
“Ahia, le ali!” Roxas alzò lo sguardo quando sentì Sora piagnucolare e, vedendo che Vanitas si stava divertendo un mondo a strappargli le piume e sembrava non avere davvero intenzione di finirla, si mosse velocemente per cercare di dividerli.
Peccato che i suoi piedi fossero bagnati, che il pavimento fosse umido di vapore e che non ci fosse nulla cui aggrapparsi.
La botta che prese alla nuca fu così forte da togliergli il fiato e, mentre l’ultima cosa che sentiva erano le voci preoccupate di Sora e Vanitas che lo chiamavano, non poteva davvero immaginare che sarebbe stata l’ultima volta che li avrebbe sentiti nella propria testa.













TADAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAN.
Sono caduta nella trappola di un'altra long <3
Come ho già annunciato in "La quarta parete" Questa non sarà molto lunga, affatto, credo che intorno ai 5 capitoli riuscirò a finirla :3
E, essendo molto più semplice da scrivere - sia per lo stile che ho utilizzato, sia per la tematica vagamente comica - credo che sospenderò per un po' gli aggiornamenti della Parete, per poter scrivere e finire questa e poi dedicarmi completamente alla stesura dell'altra :3
Dunque!
Come già avrete dedotto, i pairing trattati saranno l'AkuRoku, la RiSo, ed un VanitasxVentus per me completamente nuovo; ad ogni modo, saranno solo accenni, non voglio rendere questa fic il solito polpettone sentimentale che non se ne scende giù nemmeno coi digestivi migliori XD
Poi ce ne saranno degli altri, accennati ancor più vagamente (nel senso che le coppie sono già formate, quindi ci sarà qualche sorrisino dolce o bacetto innocente, per capirci bene).
ALLORDUNQUE QUA QUA (?) - non fateci caso, colpa della mia prof d'italiano e latino che continua ad inculcarci questi motti strani -.
Vi lascio con questo... prologo? Beh no, diciamo che è un vero e proprio primo capitolo, con la speranza che sia piaciuto, naturalmente :3
Fatemi sapere miei prodi (?) che Ella attende impaziente e promette che nel giro di una settimana il continuo arriva!
le utlime parole famose. 
Ah, per capirci bene, la coroncina che Sora ha in testa è esattamente quella che ha come ciondolo, solo che qui è dorata, essendo un aureola :3
E adesso fuggo, che ho da scrivere BarAonda, che è 4 mesi che non si aggiorna!
MihaChan mi prenderà a fucilate.
Alla prossima, dolcissimiHHHH

See ya! 




 

   
 
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