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Autore: Chu    22/06/2012    5 recensioni
Raccolta eterogenea e potteriana di drabble/flash-fic/quant'altro uscirà dal laboratorio di "I ♥ Shipping".
Affetta/o da Shipping compulsivo, partecipo all'iniziativa del forum « Collection of Starlight, » said Mr Fanfiction Contest.
Genere: Angst, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Severus Piton | Coppie: Remus/Sirius
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, II guerra magica/Libri 5-7
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Titolo: How to dismantle an atomic bomb
Personaggi: Remus Lupin, Severus Snape (past-Wolfstar implicito ♥)
Genere: Angst
Rating: PG13
Avvertimenti: Angst (in caso non fosse abbastanza chiaro), post morte di Sirius, slash (più o meno...)
Note: scritta per "I ♥ shipping" in risposta alla sfida lanciatami da e m m e che mi ha chiesto una Remus/Seveurs come mi pareva. Ed io l'ho scritta esattamente come mi pareva, ovvero con poco Remus/Severus e un sacchissimo di Wolfstar implicito, perché sono una stronza XD
Il titolo della storia è ripreso dall'omonimo album degli U2 (perché c'ho fantasia coi titoli...), mentre la citazione "Tu non sai cosa vuol dire sopravvivere a lui, altrimenti non staresti qua e mi lasceresti in pace" viene da quella meravigliosa miniera d'angst che risponde al nome di Saturno Contro. Infine, Princess of China mi ha fatto compagnia per tutta la stesura della storia, quindi s'è inserita nell'equazione pure lei.



How to dismantle an atomic bomb

 

Once upon a time somebody run,
Once upon a time we fell apart,
One upon a time we weren’t right,
Once upon a time on the same side.
[Princess of China – Coldplay]

 
Remus lo osservò uscire dal camino, senza dire una parola, immobile sulla sedia. Ricevette la sua occhiata gelida e impenetrabile, sapendo cos’avrebbero visto i suoi occhi: uno scheletro d’uomo, con capelli più grigi che castani, gli occhi rossi per la mancanza di sonno e le dita scosse da continui tremori.

La Luna piena era vicina, dietro l’angolo e ancora troppo, troppo lontana.

“Albus continua a mandarti,” commentò con il fantasma di una risata di scherno nella voce; lo sentiva graffiare nella gola, come un gatto che tenta di uscire da una scatola, e lui aveva troppi demoni, troppe maledizioni da controllare, per riuscire ad essere padrone anche di quello.

Severus non gli rispose, non gli rispondeva mai; se prima ignorava i suoi commenti semplicemente perché poteva, o semplicemente perché era in quel modo che si sentiva migliore, o forse semplicemente perché voleva, dopo la morte di Sirius lo ignorava perché non sopportava l’autocommiserazione.

Remus sapeva che oltre allo scheletro, Severus vedeva anche un mucchio d’ossa patetico; eppure non poteva fare a meno di recarsi a casa sua. La scusa della pozione Anti-Lupo reggeva a stento, così come il suo me l’ha detto Albus.

Era così, Severus, sempre ad evitarlo e ronzargli intorno. No, non proprio: era lui a ronzargli intorno, era colpa sua se in quel momento il vecchio compagno di scuola, l’ex collega non riusciva a stargli lontano. Lo aveva abituato alla sua presenza, come si fa con i gatti, e i gatti odiano cambiare abitudini.

“Bevila,” gli disse gelidamente, porgendogli un calice fumante.

“Mi fa schifo, in verità,” rispose Remus, guardando il liquido denso con pallido odio.

“Lupin, comportarsi come un bambino petulante non porterà a niente, oltre a essere oltremodo ridicolo.” Gli forzò il bicchiere nella mano, trattenendolo giusto il tempo necessario per assicurarsi che le sue mani tremanti non versassero il contenuto sul pavimento.

“La odio,” commentò Remus, portandosi comunque la pozione alle labbra. “La odio,” ripeté e non sapeva nemmeno lui a cosa si riferisse di preciso: alla pozione, alla sua maledizione, alla sua vita. Alla morte di Sirius.

Era la sua mente, il problema; sapeva bene che dopo un certo periodo di tempo la mente dei licantropi iniziava a marcire. Era inevitabile, perché lo stress della trasformazione era solo la parte esteriore e più esteticamente sgradevole della sua maledizione. Il corpo mostrava i segni, ma era la mente quella che cedeva un pezzettino alla volta, lentamente ma in modo inesorabile. Remus sentiva perdere una parte del suo cervello ogni giorno, mentre il lupo ringhiava, mordeva, graffiava tutto quello che poteva.

Era tremendo, eppure anche una liberazione: aspettava il momento in cui la sua mente avesse ceduto completamente, lasciandolo a fissare il vuoto, a sbavare come un vecchio incapace. Come se non fosse mai esistito, come se non avesse mai provato nulla, odio, amore, dolore, gioia. Niente.

Si accorse quasi all’improvviso che Snape lo stava fissando, un misto di ribrezzo e impassibilità negli occhi scuri; forse una vaga traccia di compassione, ma Remus sapeva che Severus non era mai stato un uomo compassionevole.

Sentì le sue labbra spezzarsi in un ghigno storto. “Vedi qualcosa che ti piace?” domandò insinuante, perché non riusciva a smettere, non riusciva a non essere odioso.

Severus sollevò un sopracciglio, sprezzante e vagamente confuso. “Saresti tu?”

Remus rise, ancora una volta la gola gli graffiò per lo sforzo, e il suono gli sembrò simile a un ringhio. “Ti senti meglio, vero? Ti senti meglio guardando me…”

“Lupin,” disse ed era un avvertimento e un invito insieme. Non farlo, gli stava dicendo.

“Sai cosa?” fece per tutta risposta Remus, posando la tazza vuota a terra e guardando l’altro con vuota ironia. “Fai bene.”

“Piantala!” ordinò Snape e, per un momento del tutto illogico – era il cervello, la mente che pian piano si spezzava e perdeva le sue connessioni sensate -, Remus capì per quale motivo molti dei suoi ex studenti avessero paura del terribile professor Snape. C’era qualcosa nel suo tono che, unito all’espressione arcigna e gli occhi scuri e impenetrabili, lo rendeva spaventoso. Ma Remus era un uomo adulto e aveva visto Severus quand’era solo un ragazzino gracile e spaventato; ricordava ancora troppo bene la sua rabbia nervosa, ma pressoché innocua, le pellicine sulle dita sporche d’inchiostro e gli occhi tristi e un po’ vacui. Ricordava anche com’era facile stringergli il polso e sentire i muscoli irrigidirsi, ricordava la lotte, ricordava notti confuse di soli due anni prima.

Erano stati simili, un tempo, molti anni prima, una vita fa, ma ora Severus non gli faceva nessuna paura e sapeva che dopo quelle settimane nemmeno Severus lo temeva più, dopo averlo visto ridotto a un ammasso informe di dolore e follia.

“Pensi che diventare patetico e lasciarsi morire sia utile a qualcuno?” gli domandò, muovendosi nervosamente per tirarlo in piedi, come per dar vita ad un manichino.

“Utilità… È quello che sai fare tu, vero? Reagisci così, tu, ai lutti e al dolore. Reagivo così anch’io, ma adesso sono stanco di essere utile…” borbottò Remus, la voce scricchiolante come le sue ossa e la sua mente. “Adesso vorrei solo essere… non qui, non io. Forse vorrei non essere e basta.”

“Morire, oh, che cosa romantica e svenevole!” sputò fuori Snape, lasciandolo andare con uno strattone.

“Non c’è bisogno d’essere gelosi, ora,” lo derise Remus, tentando poi una risata, che però non venne fuori.

“Stai delirando, Lupin…”

“Già, la mia maledizione funziona così, dopo un po’ il cervello inizia a perdere colpi, non lo sai? Eppure tu sei un esperto, in fatto di licantropi, no?” Continuava a canzonarlo, come avrebbe fatto Sirius, perché Sirius avrebbe fatto così. Sirius l’avrebbe portato all’esasperazione, fino a farlo esplodere di rabbia e disprezzo e odio. Comportarsi come Sirius lo rendeva un po’ meno morto, li rendeva entrambi un po’ più vivi, nonostante fosse ormai solo un ricordo e già Remus non riusciva più a ricordare il suono della sua voce.

“Non capisco cosa tu stia cercando di fare, né cosa ci guadagni…” commentò Severus, le braccia incrociate sul petto in una posa rigida, più di biasimo che di difesa.

“Non capisci, certo che no…” Remus scosse la testa, lasciandosi scivolare sulla sedia, e guardandosi le dita tremanti. La Luna piena era troppo vicina, ancora lontana, solo qualche giorno.

“Sei…” iniziò a dire Snape, ma poi non parlò più.

“Sai cosa dovresti dire ad Albus?” domandò Remus, senza alzare lo sguardo dalle sue mani. “Dovresti dirgli di smetterla di mandarti. Dovresti dirgli di smetterla di mandarmi chiunque. Non sto per morire… Il cielo solo sa quanto vorrei, ma no, non è ancora il momento. Ma arriverà.”

Repetita iuvant: morire subito dopo quell’imbecille, che cosa romantica…”

Non fu l’insulto a farlo cedere; non fu il tono derisorio e preoccupato – la sentiva, quella sottilissima nota che raschiava la gola di Snape, appena un accenno, nient’altro che potesse smascherarlo, ma c’era e Remus la sentiva, e forse non era nemmeno vera preoccupazione, ma esasperazione, perché Snape non sapeva gestirlo in quelle condizioni, non ne era capace. Non fu nemmeno la Luna piena vicina.

Fu il dolore e la rabbia e l’impotenza e la maledizione che gli mangiava il senno a poco a poco, a piccoli morsi, un passo alla volta.

“Tu non lo sai cosa vuol dire sopravvivere a lui, altrimenti non saresti qua e mi lasceresti in pace!” gridò, trovandosi improvvisamente in piedi di fronte a Severus. Lo guardò negli occhi, a lungo e con astio, rabbia, odio, preoccupazione, pena, compassione, e lui sentiva i pensieri di Snape patetico, patetico, patetico, oh, così romantico, patetico, reagisci.

Nessuno dei due disse altro per qualche momento, poi Severus fece un passo indietro, un altro e infine si voltò verso il camino; una manciata di metropolvere, un passo avanti. Si bloccò con il pugno alzato verso il caminetto e lo guardò da sopra una spalla, sprezzante, disgustato, pietoso.

“Hai il plenilunio e poi qualche giorno per rimetterti in forze. Poi andrai in missione,” disse, passandogli a voce il messaggio che Silente gli aveva mandato via gufo solo qualche ora prima.

Pessima giustificazione, pensò Remus tra sé, osservando le fiamme verdi inglobare e poi far sparire Severus.

Si voltò, trascinando i piedi verso la sedia e urtando il calice vuoto che Snape gli aveva portato. Lo guardò cadere con sguardo vacuo, una distrazione che non gli recava alcun interesse; poi, nella penombra della stanza, pensò che nemmeno lui aveva la minima idea di cosa volesse dire sopravvivere a Sirius.







 

Crack, fanon o canon? Slash, Het, Threesome?
GOD SAVE THE SHIP!
I Shipping è un'idea del « Collection of Starlight, » said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »

  
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