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Autore: rekichan    07/01/2007    28 recensioni
«Mamma cos’è quello?»
«Una tazza di latte e zucchero.»
«Posso assaggiare?»
«No, piccola. Tu devi bere il latte e zucchero che ti porterà il ragazzo con cui passerai il resto della tua vita.»
«E come farò a riconoscerlo?»
«Se è la persona giusta, ti porterà una tazza di latte e zucchero.»
Una settimana dopo, Hitomi Hyuuga morì. [Come non detto, inserite coppie shounen ai]
Genere: Romantico, Commedia, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Salve^^ è la prima volta che scrivo su questa coppia (ma la fanfiction sarà incentrata anche su altre) e spero che piaccia. La commedia scolastica non è proprio il mio genere, ma ci provo.

Dedicata alla mia bimba Shichan che la attende da secoli.

.....................

«Mamma cos’è quello?»

«Una tazza di latte e zucchero.»

«Posso assaggiare?»

«No, piccola. Tu devi bere il latte e zucchero che ti porterà il ragazzo con cui passerai il resto della tua vita.»

«E come farò a riconoscerlo?»

«Se è la persona giusta, ti porterà una tazza di latte e zucchero.»

Una settimana dopo, Hitomi Hyuuga morì.

Il cicaleccio degli studenti che entravano nell’aula magna riempiva la stanza.

Brusio sottile, risate, racconti di vacanze e l’eccitazione delle matricole per essere finalmente ammessi nella scuola superiore.

Liceo Shitou, uno dei più importanti di tutta Tokyo.

Una ragazza dai capelli scuri disposti in un morbido caschetto si faceva largo, timida e impacciata, tra la folla.

La soffice uniforme azzurro chiaro, di raffinato cotone, le fasciava il corpo minuto e sottile; la maglia si tendeva appena su un seno in procinto di spuntare e la gonnellina a pieghe lasciava scoperte due gambe candide e snelle dal ginocchio in giù.

Sottili bordi di un intenso magenta spiccavano prepotenti attorno al colletto e all’orlo della gonna, segnando il distacco dall’uniforme alla pelle.

Occhi cerulei, di un azzurro ghiaccio molto chiaro e sottolineati da folte ciglia brune, si guardavano intorno timidi e spauriti; timorosi di incrociare sguardi sconosciuti.

Frugavano febbrilmente la folla, alla ricerca di una fisionomia familiare…qualcuno che la potesse aiutare ad orientarsi tra quella fiumana di gente…

«Neji niichan!»

Gridò, scorgendo poco lontano un ragazzo dai fluenti capelli neri.

Molto più alto di lei, indossava l’uniforme dell’istituto.

Giacca nera con colletto rigido, la divisa del terzo e ultimo anno di liceo era caratterizzata dalla tonalità di colore più scura che conferiva un tono più austero agli studenti.

Il ragazzo si voltò, incrociando gli occhi della cugina, così identici ai propri.

Trafelata per la piccola corsetta intrapresa per raggiungerlo, Hinata Hyuuga si strinse al braccio del cugino; le morbide gote colorate di rosso.

«Hinata-chan ho da fare.»

Il diciottenne non si risparmiò l’aspro commento.

Ci mancava solo la cugina in crisi, come se non bastasse il caos in aula magna, senza che lui e l’altro rappresentante d’istituto riuscissero a domarlo.

«Yurusuke Neji niichan…»

Le piccole mani si staccarono dalla manica scura, stringendosi nervosamente attorno alla cartella.

Sospiro da parte del ragazzo, poi le sue dita sottili e forti che passavano tra i capelli scuri della cugina.

«Vai a sederti, tra poco andiamo in classe. Uchiha…»

L’attenzione di Neji si rivolse verso un ragazzo poco distante da lui.

Capelli scuri e corti ricadevano in morbide ciocche attorno al viso dai lineamenti sottili e ben delineati, sottolineando i tratti marcati e mascolini.

Occhi altrettanto neri fissavano, da dietro la montatura scura e sottile di un paio d’occhiali da vista, inquisitori e sprezzanti i ragazzi attorno a sé; apparentemente disinteressati a tutto ciò che li circondava.

Non si posavano su nulla in particolare, ma al contempo osservavano tutto e nulla sfuggiva a quello sguardo bruno e severo, in netto contrasto con la pelle candida che fungeva da rivestimento al fisico modellato del ragazzo, celato dall’uniforme allacciata fino alla gola.

Fissò appena Hinata, dedicando la propria attenzione al cugino.

Era poco più basso di lui, ma l’atteggiamento era simile.

Sicuro, deciso, quasi prepotente nel suo essere pacato.

«Dimmi, Hyuuga.»

«Dov’è finito quel danno umano dell’Uzumaki?»

L’Uchiha sgranò gli occhi e proprio in quel momento un ragazzo in divisa blu scuro, balzò sul podio dove dovevano stare i rappresentanti e, afferrato il microfono, cominciò ad urlare:

«Annuncio ufficiale, ragazzi! Siete tutti invitati alla festa di fidanzamento tra me e Sasuke che finalmente ha accettato di ufficializzare il nostro amore eterno!»

Una risata riempì l’aula alle parole del ragazzo.

Aria scanzonata, capelli color grano e grandi occhi cerulei; alto, la scarsa altezza era compensata da un fisico tonico e ben proporzionato, nonché da un sorriso capace di far sciogliere chiunque.

Chiunque, ma non il ragazzo moro che Hinata si trovava accanto.

«Scusami, Hyuuga…» bofonchiò, dirigendosi a grandi passi verso il palco e afferrando il biondino per l’orecchio.

«Ahia! Sasuke-chan, mi fai male!»

«Taci, usuratonkachi! E fila a posto!»

Voce bassa e profonda, velata di minaccia, che però non sortì l’effetto sperato.

Il biondino gli si avvinghiò al braccio, sbattendo gli occhi con aria da cucciolo abbandonato.

«Ma come? Dopo tutto l’amore che ci siamo scambiati?»

«Idiota…»

«…ieri sera…sotto le coperte…»

Risatine da parte delle ragazze, qualcuna che urlava di volere il filmino.

«Naruto fila a posto!»

Un ghigno lasciò il posto al sorriso, poi le labbra del ragazzo si posarono su quelle del moro in un soffice bacio a stampo.

Approfittando dell’attimo di smarrimento di Sasuke, Naruto alzò due dita in segno di vittoria e saltò giù dal palco, tra le ovazioni del pubblico femminile.

«Nienai nahaya kuru, Naruto…(Trad: Va a quel paese, Naruto.)» sibilò l’Uchiha, pulendosi la bocca sulla manica della divisa.

Rosso e irritato, si sedette al proprio posto al tavolo dei rappresentanti.

Gli occhi chiari di Hinata avevano assistito allibiti e attoniti alla scena; le sue guance si erano fatte ancora più rosse al bacio che i due si erano scambiati e l’imbarazzo era aumentato alle urla di giubilo delle sue compagne.

In che razza di scuola era capitata?

L’istinto di stringersi a Neji fu più forte che mai e le dita sottili della mano si serrarono timidamente attorno alla giacca del cugino.

Dopo la morte di sua madre, avvenuta quando aveva appena otto anni, Hinata aveva trovato conforto nella figura del ragazzo.

Sempre presente, l’allora undicenne Neji Hyuuga aveva sostituito la figura paterna della ragazza, troppo fredda e distante per darle l’affetto che la bambina richiedeva.

Erano cresciuti assieme e, anche adesso, il moro costituiva uno dei punti fermi della sua vita.

Ma Neji non sapeva di latte e zucchero.

Era più un caffèllatte, amarognolo e dolciastro al tempo stesso.

Hinata lo sapeva e non prendeva mai latte e zucchero in sua presenza.

«Hinata-chan, siediti. Io devo andare.»

Con gesto burbero, allontanò la sedicenne da sé, indicandole un posto in prima fila.

Proprio accanto al ragazzo biondo.

Timidamente, si accomodò sulla fredda plastica della sedia, aggiustandosi le pieghe della divisa con i polpastrelli.

«Ohayo, sei del primo anno, vero?»

La fanciulla alzò lo sguardo, incrociando un grande paio di occhi cerulei.

Rimase qualche secondo in silenzio, a studiare quel volto dalla pelle ambrata, la cui unica pecca erano tre graffi paralleli su ciascuna guancia.

Da vicino era molto più carino che sul palco; aveva un profumo strano.

Dolce, quasi mieloso.

Latte.

E zucchero?

«S…sì.» balbettò.

La voce era sottile e leggermente acuta, adatta a quella persona minuta e aggraziata che era la ragazza.

«Piacere! Naruto Uzumaki! Sono in seconda!»

La mano del ragazzo si tese verso di lei.

La strinse.

Il biondino aveva una presa forte e decisa, gli piaceva però indugiare a tenere le mani altrui, in modo da stabilire un contatto.

E quella di Hinata era soffice e morbida.

Gli piaceva quella mano.

«Hi…Hinata Hyuuga. Piacere, Uzumaki-san…»

«Chiamami Naruto! Odio i formalismi…posso chiamarti Hinata, vero?»

La moretta annuì.

Naruto le infondeva sicurezza con la parlantina sciolta di cui era dotato.

Le spiegò le regole della scuola, dove si trovava la sua classe e tante altre cose apparentemente inutili e banali, che però servirono a tranquillizzare la fanciulla.

«Se Uzumaki vuole degnarci della sua attenzione invece di provarci con le matricole, gli saremmo tutti molto grati.»

La voce bassa e pacata di Sasuke rimbombò al microfono, diffondendosi per tutta l’aula magna.

Scocciato per quel continuo cicaleccio che proveniva dai primi posti, l’Uchiha aveva deciso di intervenire prima che i suoi nervi saltassero del tutto.

Brutta idea.

Per non dire pessima.

Naruto ghignò, svelando una fila di denti bianchi e perfetti.

«Geloso, Sasuke-chan?»

Il diretto interessato inarcò un sopracciglio; le belle labbra si piegarono in una smorfia seccata.

«Di te? No di certo. Tanto a casa so come tapparti la bocca.»

Qualche urletto sovreccitato, risate che si dipanavano per tutta la stanza, gli studenti sembravano abituati a quegli strani siparietti fatti di botta e risposta tra i due ragazzi, tanto che perfino l’austero Neji, così notò Hinata, non seppe trattenersi dal sollevare gli angoli della bocca.

Sorriso presto riparato dietro la mano, in modo da non farlo scorgere a nessuno.

Si alzò, prendendo la parola e mettendo a tacere i due ragazzi che continuavano con il loro discorso a doppio senso.

«Uchiha, Uzumaki…continuerete in camera questa discussione. Intanto, benvenuti alle matricole e bentornati ai vecchi studenti…»

Neji intraprese un impeccabile discorso d’apertura, spiegando alle nuove matricole il comportamento da tenere, i turni di pulizia per cui avrebbero dovuto discutere con i rappresentanti di classe, dove si trovava la mensa e gli orari della biblioteca.

Tante, troppe regole che gli studenti avrebbero appreso mano a mano che l’anno scolastico sarebbe trascorso.

Perfettamente inutile, quindi, finché non si arrivò alla questione dei club scolastici.

Neji invitò diversi ragazzi di terza e seconda ad esporre le caratteristiche dei propri club, in modo da attrarre iscritti tra le matricole.

Un ragazzo di seconda dai capelli castani e gli occhi dorati, ghigno quasi lupesco, tenne una lunga filippica sul club di karate, beccandosi perfino qualche fischio.

Naruto balzò in piedi sulla sedia, gridando a sua volta.

«Inuzuka hai rotto! Tanto lo sappiamo tutti che ti fai stendere al primo colpo!»

«Ome o baka doro, urusai! (Trad: Megacretino stai zitto!)»

«Zitti entrambi!»

La voce di Neji rimise al proprio posto i due ragazzi.

Quei due idioti…sempre ad attaccare briga l’uno con l’altro, fortuna che non erano mai arrivati alle mani.

Seccato, congedò il castano, passando poi il microfono a Sasuke.

Il moro tossì per schiarirsi la voce.

«Bene…ultimo club è quello di pattinaggio sul ghiaccio.»

Hinata alzò lo sguardo, improvvisamente interessata.

Sua madre adorava pattinare sul ghiaccio, essendo originaria di Hokkaido dove l’inverno era rigido e i laghi molto spesso si tramutavano in svago per i fanciulli costretti, altrimenti, a giocare in casa dalle gelide temperature.

Quest’amore era passato alla figlia, che dopo la morte di Hitomi si era gettata anima e corpo nelle difficili forme del pattinaggio artistico.

I salti, le piroette…tutto diventava ghiaccio e armonia.

E, nel freddo palasport, si congelava anche il dolore.

«Come sapete, il liceo Shitou fornisce un ottimo impianto agli studenti che vogliono cimentarsi in questa disciplina. Il pattinaggio sul ghiaccio si divide in tre tipologie: pattinaggio di figura, pattinaggio in velocità e hockey sul ghiaccio. La nostra scuola è specializzata nel pattinaggio di figura, diviso a sua volta in pattinaggio artistico e danza sul ghiaccio…» prese un attimo fiato; si tolse gli occhiali, stringendoli tra le dita e cominciando a pulirli sulla maglia della divisa.

Non alzava il viso quando era senza occhiali, notò Hinata.

La sua attenzione si era concentrata sul discorso tenuto dal diciottenne.

Non aveva mai aderito ad un club scolastico, ma adesso, finalmente, ne trovava uno che poteva interessarle.

Doveva solo scoprire chi era il presidente.

«Ah! Il pattinaggio!» esclamò Naruto, balzando in piedi «Sasuke mi iscrivi anche quest’anno, vero?»

«No.»

«Ma daiiii! L’anno scorso non mi hai fatto partecipare alle gare solo perché non avevo imparato quel coso…il Salchow!»

«Sai fare a malapena il Lutz che è molto più semplice, Uzumaki. Pretendi che ti faccia partecipare alla manifestazione delle scuole con i Toeloop?»

Hinata trattenne a stento una risatina, soffocata prontamente dalle mani.

Il Toeloop era il primo salto che si imparava e veniva considerato la base del pattinaggio artistico.

Dovevi scivolare indietro sul piede destro, mantenendoti sul filo esterno. Effettuavi la puntata col piede sinistro nel ghiaccio e imprimevi la rotazione in senso antiorario.

IL Lutz differiva dal Toeloop solo per la lunga preparazione che si effettuava durante la scivolata, necessaria per imprimere la rotazione in senso orario al momento del salto.

Già il Flip era un poco più difficile, ma era con il Salchow che si entrava in rami più complessi.

Salchow, Loop e infine l’Axel, traguardo di tutti i pattinatori.

Era impossibile eseguire questi salti se prima non avevi compreso appieno la dinamica dei primi due, quindi la piccola Hyuuga comprendeva appieno l’indignazione di Sasuke verso il discorso superficiale di Naruto.

All’ultima affermazione del moro, il diciassettenne si rimise composto, seppure il volto fosse corrucciato in un lieve broncio.

«Sempre la solita storia…» sbuffò, mentre Sasuke riprendeva il proprio discorso.

«…chi vuole aderire al club di pattinaggio, può quindi scegliere tra queste due discipline: la danza sul ghiaccio, singola o a coppia, e il pattinaggio artistico, anche questo singolo o a coppie, dipenderà dal numero degli iscritti. Per eventuali informazioni sugli orari e sulle attività contattate pure il sottoscritto. Adesso potete andare in classe.»

La folla si diradò, sbuffante.

Le matricole furono indirizzate verso i sempai degli anni superiori, affinché le guidassero nelle aule.

Naruto fu incaricato di condurre la classe di Hinata, la 1° C.

Con un sorriso smagliante, afferrò la mano della ragazza, trascinandola fuori dalla grande sala delle riunioni.

«La prima C con me, ragazzi! Forza marmocchi!» urlò.

Un piccolo gruppo di ragazzi dall’aria perplessa gli fece seguito per i lunghi corridoi.

Hinata lasciò le scarpe sul pianerottolo di fronte al tatami.

A piccoli passi felpati, attraversò l’ampio corridoio fino allo shoji che segnava il confine tra lo spazio comune e la propria stanza.

Non c’era nessuno in casa, come al solito.

Neji si era fermato dopo la scuola a discutere con i professori, sua sorella Hanabi aveva il rientro e suo padre…

Beh, anche se ci fosse stato non sarebbe cambiato molto.

Posò la cartella sulla scrivania, accendendo la luce.

Era una bella lampada da tavolo, a forma di prisma esagonale.

Di un tenue azzurro, dei fori sulla plastica proiettavano fiocchi di neve per tutta la stanza.

Sospirando, accese lo stereo.

Una musica leggera si diffuse nell’aria.

Mozart.

Le piaceva Mozart.

Specie “Il flauto magico”.

Ed era quella la musica che adesso risuonava per la stanza.

Era stata una giornata strana e le note la rasserenavano.

La scuola era bella, dalla struttura lineare e pulita.

Il cortile era ampio e spazioso, pieno di piccole aiuole piene d’alberi di ciliegio.

Il problema era la classe.

O meglio, era lei.

Lei e la sua stupida paura di stringere legami.

Timida, era troppo timida.

Oppure semplicemente fredda.

Come un fiocco di neve.

Si tolse l’uniforme.

Un corpo minuto si svelò alla vista.

Pelle candida, marmorea.

Curve ancora acerbe che promettevano di sistemarsi adeguatamente.

Cosce sode e muscolose, ma non per questo meno affusolate.

Non un filo di grasso rivestiva quel corpo atletico.

Ed era bella, Hinata.

Molto.

Bella come la neve.

E, come tale, molto facile da sciogliere.

Un lieve sospiro riempì l’aria, mentre indossava uno yukata azzurro.

Voleva stare comoda.

Si sedette alla scrivania, cominciando a tracciare, con calligrafia pulita e ordinata, i testi dei compiti sul quaderno.

Primo giorno, e già degli esercizi.

Finì tardi.

I suoi occhi azzurri vagavano spesso, troppo spesso alla finestra.

I ciliegi del giardino erano fioriti.

Era una bella serata.

E il profumo dei fiori arrivava fino alla camera.

Chiuse il libro.

A piccoli passi si recò in cucina.

Una bambina di undici anni era seduta al basso tsukui, divorando alcuni dango.

Capelli neri stretti in due codine, occhi cerulei uguali a quelli della maggiore.

Eppure molto più vivaci.

Scintilla di vita che Hinata non riusciva a catturare.

«Ohayo, Hanabi-chan. Tutto bene a scuola?» domandò, carezzando la testa bruna della sorellina.

«Sì, tutto a posto.»

Monosillabica.

Hanabi non parlava molto con la sorella.

La disprezzava.

E Hinata lo avvertiva.

Palpabile.

Freddo.

Come il ghiaccio su cui pattinava.

Prese il bollitore e si scaldò del latte.

Tre, quattro cucchiaini di zucchero.

Lo bevve in piedi, appoggiata al muro della cucina.

Hanabi non fece domande sul primo giorno di liceo.

Non le chiese se avesse conosciuto qualcuno.

Non le dette la possibilità di parlare di quello strano ragazzo dai capelli biondi e gli occhi azzurri, né del rappresentante d’istituto che, doveva ammetterlo, la intimoriva non poco.

Né poté raccontare alla sorella del suo compagno dai capelli rossi che si vestiva sempre di nero e si cerchiava gli occhi con la matita, o della ragazza castana che si pettinava con due crocchie ai lati della testa e che si era seduta a pranzo con lei, anche questa della sua classe, cercando di intavolare una conversazione.

Niente.

Era come se non ci fosse.

Nella stanza, solo se stessa e la tazza di latte e zucchero.

La musica gli scivolava nelle orecchie.

La lama tracciava sottili scie sul ghiaccio.

Avanti…

Respirò a fondo.

Piede sinistro.

Stacco sul filo esterno.

Le braccia si riuniscono sul petto per eliminare l’attrito.

Prima rotazione.

Seconda…

Due rotazioni e mezza…

Adesso la terz…

Atterrò all’indietro sul filo destro esterno, senza riuscire ad imprimere la terza rotazione.

Doppio Axel.

«Kuso…(Trad: merda)» imprecò tra i denti, mentre continuava a scivolare sul ghiaccio con l’eleganza data da lunghi anni d’esercizio.

Giorni spesi sul ghiaccio e in palestra per rafforzare le gambe e i muscoli, settimane passate a cadere sulla fredda superficie, altre passate a casa con le caviglie slogate per un salto superiore alle sue capacità.

«Sasuke!»

Curvò, voltandosi verso la figura che aveva appena fatto il suo ingresso nella pista.

Biondo, occhi azzurri.

Fisico perfetto, sebbene più minuto del proprio.

«Ohayo, Naruto.»

«Vuoi una mano ad esercitarti con la composizione a coppie?»

«Mh. Hai imparato almeno il Lutz?»

Naruto annuì energicamente.

«Allora ok.»

Un sorriso illuminò il volto del ragazzo.

Poche volte Sasuke gli permetteva di allenarsi con lui, fuori dal club scolastico.

Lo aveva sempre osservato pattinare, sin da quando erano molto piccoli.

Ma gli occhi neri del ragazzo non si erano mai posati su di lui.

Naruto sapeva che l’Uchiha lo disprezzava.

Avvertiva l’odio che provava per la sua nascita.

E il dolore che questa aveva portato, costringendolo a nascondersi dietro una maschera di ghiaccio.

Già, Naruto poteva avvertire la rabbia, l’odio e il rancore che il moro provava verso di lui.

Solo con gli anni era riuscito ad ottenere un po’ di affetto da Sasuke, senza però guadagnarne mai la stima.

Eppure erano sempre insieme.

Sempre.

Come le loro mani che viaggiavano intrecciate sulla pista.

Ambra nell’avorio, i due erano così differenti che nessuno avrebbe mai sospettato il sottile legame che li univa.

Un legame così profondo che nulla avrebbe potuto minare.

Nulla.
   
 
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