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Autore: Noth    23/06/2012    7 recensioni
Ora che Kurt era in piedi e poteva osservare bene Blaine si soffermò, causa deformazione personale, sul suo outfit stravagante. Aveva dei pantaloni rosa pallido di dubbio gusto che terminavano, con un risvolto, appena sopra il ginocchio, e delle converse bianche consumate all’inverosimile che potevano essere state benissimo recuperate da un cassonetto o da uno di quei bidoni per i vestiti destinati ai meno fortunati.
Ed in testa aveva, incastrati tra i ricci decisamente non curati, degli occhiali da sole da baracchino, giallo brillante, che non facevano esattamente pendant con il resto del suo abbigliamento, ma se Blaine conosceva un modo per farlo arrivare a lavoro in orario, bè Kurt avrebbe anche potuto chiudere un occhio.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il primo pezzo.









Se le condizioni non ci sono, si creano.

 
Kurt era stanco. Stanco di tante cose. Della sveglia la mattina, dei ragazzi che entravano ed uscivano dal suo letto come niente fosse, della sua
vita da puttana e della metropolitana la mattina. Quella giornata sembrava ancora più calda del solito. Il sole schiacciava Milano, e la sua
periferia, nella sua morsa e creava una cappa d’afa che faceva sembrare all’intera popolazione di stare nuotando in una zuppa calda
particolarmente soffocante, e sì, Kurt lo odiava.

Quella mattina era più nervoso del solito, perché doveva consegnare dei bozzetti ad una casa di moda particolarmente importante e schizzinosa,
quindi si era alzato prima ed aveva deciso di arrivare nel suo minuscolo e caldo ufficio prima, in modo da poter rivedere i lavori – praticamente
terminati – con la sua collega Sugar Motta. Aveva avuto fretta e, chiaramente, non aveva nemmeno preso in considerazione che potesse essere
la giornata nazionale dello sciopero dei trasporti, e che il primo treno garantito che lo avrebbe portato a lavoro sarebbe passato ad un orario
assolutamente improponibile per la sua tabella di marcia.

Strinse forte la tracolla, dove dentro si trovava il suo portfolio, e si impose di non imprecare come un camionista qualsiasi, di restare lì e pensare
ad una soluzione. Ma una soluzione non arrivava, ed allora, nel pieno mezzo del nulla più assoluto di una cittadina italiana praticamente morta
della periferia milanese, Kurt si mise a gridare.

Non conosceva ancora bene la lingua, aveva fatto un sacco di strada solo per poter lavorare nel mondo della moda, stava sprecando la sua intera
esistenza in quell’ufficio maleodorante ad ideare capi sempre nuovi e a controllare di non diventare mai obsoleto o eccessivamente eccentrico, e
tra lui e un incarico da milioni di dollari si metteva uno stramaledetto sciopero dei treni.

Qualcuno doveva avercela con lui, qualcuno doveva davvero avercela con lui.

Sì allontanò dal binario solitario e si sedette sul marciapiede con l’aria imbronciata e la voglia matta di afferrare un ceppo di broccoli e ficcarlo in
gola a chiunque avesse avuto la brillante idea di indire uno sciopero proprio per quel giorno a quell’ora. Mentre si godeva l’immagine che si stava
lentamente formando nella sua testa, dinanzi a lui passò un ragazzo in bicicletta, e si fermò a poca distanza.

« Che hai da urlare tanto? » domandò, in italiano, e Kurt fu costretto a scuotere la testa.

« Non capisco. » gli rispose, con un accento alquanto bizzarro che aveva fatto ridere tutti prima di quel momento. Il suo italiano era davvero pessimo, ma non era colpa sua se si trovava nella zona del milanese da solo qualche settimana. Fino ad allora si era arrangiato con l’inglese,
poiché tutti sembravano capirlo, e lui era stato sollevato.

Il giovane sorrise, e i suoi occhi brillarono.

« Sei americano. » gli disse, questa volta in inglese. Un inglese così perfetto da far dubitare a Kurt che il giovane di fronte a lui fosse veramente
italiano.

« Sì, sono qui per lavoro. » rispose, con una nota sospettosa. Perché quel tipo in bicicletta si era fermato proprio dinanzi a lui? E perché, guarda
caso, parlava la sua lingua? L’indole sospettosa di Kurt stava iniziando a prendere il sopravvento.

« Quindi, ripeto, che avevi da gridare tanto la mattina presto? Qua dormono tutti. » disse il ragazzo, smontando dalla bicicletta e appoggiandosi
sulla canna, incrociando le caviglie e tenendo fermo il mezzo premendo i freni.

« Scusami? » sbottò Kurt, sconcertato e vagamente offeso dalla sfrontatezza del giovane dai capelli scuri e ricci e gli occhi verdi. Poi rammentò di
trovarsi in Italia, in quel paese dove tutti avevano voglia di parlare con tutti, dove le persone erano socievoli e attaccare bottone era una delle
cose più semplici e naturali della terra. O almeno così si diceva e, un po’ per frustrazione un po’ per stanchezza, decise di cedere allo stereotipo ed
accettare la sua socievolezza con un sospiro.

Il ragazzo fece spallucce ed attese la risposta con un sorriso curioso che lo faceva somigliare ad uno di quei cuccioli di Golden Retriever che la sua
vicina di appartamento teneva chiusi in casa e che, ogni tanto, mettevano il muso fuori a respirare aria fresca.

A Kurt piacevano quei cani.

 « Urlavo perché c’è un fottuto sciopero dei mezzi. » spiegò infine, indicando con un gesto scocciato il binario e poggiando i gomiti sulle ginocchia e
la testa tra le mani.

« E allora? » domandò l’altro, piegando la testa da un lato e mettendo il cavalletto alla bicicletta con un movimento veloce del piede.

Kurt aggrottò le sopracciglia.

« E allora io avevo un importante impegno di lavoro, e raggiungere l’ufficio a piedi è impossibile perchè non arriverei mai in tempo. » sbuffò,
tirando un calcio a un sassolino e facendolo cadere nel tombino a poca distanza. Il caldo diventava sempre più pressante, e Kurt poteva sentire le
gocce di sudore scendergli lungo la schiena e macchiargli la camicia che aveva scelto con tanta cura.

« Tutto qui? » rise il ragazzo riccioluto, e si sistemò la maglia bianca con scollo a V mentre si sedeva nel marciapiede accanto a Kurt.

Ma si comportavano tutti così gli italiani?

« Così sembra, tu invece? Come fai a sapere così bene l’inglese? » domandò sospettoso dopo qualche secondo di silenzio, mentre si convinceva a
non saltargli addosso.

Il ragazzo alzò le spalle e guardò dinanzi a sé, come se vi fosse un panorama stupendo invece dell’asfalto dissestato e delle casette tipiche della
periferia delle grandi città.

« Io sono americano. Mi sono trasferito qui qualche anno fa per studiare, ed ho approfittato dei miei nonni, che vivono qua. » spiegò, e Kurt non
poté fare a meno di assumere un’espressione sorpresa. Non si sarebbe mai aspettato di trovare un compatriota del genere. Stava quasi per
sorridere, quando ripensò allo sciopero ed ebbe voglia di distendersi in mezzo alla strada ed aspettare che qualcuno passasse. Possibilmente un
SUV e non una bicicletta di un qualche ragazzo riccioluto di dubbia provenienza.

« Sono Blaine. » disse infine l’altro, alzandosi in piedi e stiracchiandosi, come se fosse stato seduto qualche ora, invece che mezzo minuto. Poi gli
tese la mano, e Kurt non capiva se volesse che gliela stringesse per presentarsi, o per aiutarlo a tirarlo in piedi. E poi perché mai avrebbe dovuto
alzarlo?

« Kurt. » disse, stringendo con cautela la mano del moro, che lo issò e lo riportò in posizione eretta. « Per quale motivo mi hai aiutato ad alzarmi?
» chiese poi.

Blaine sorrise divertito. Probabilmente aveva la stessa età di Kurt, ma il suo atteggiamento era più da ragazzino, da Golden Retriever, come
aveva pensato da subito.

« Primo, sei tu che ti sei lasciato alzare; secondo, perché voglio aiutarti. » spiegò, e montò in sella a quella che sembrava più una bicicletta da
signorina che da ragazzo. Aveva un cestino bianco ed un elegante portapacchi sopra la ruota posteriore.

Ora che Kurt era in piedi e poteva osservare bene Blaine si soffermò, causa deformazione personale, sul suo outfit stravagante. Aveva dei
pantaloni rosa pallido di dubbio gusto che terminavano, con un risvolto, appena sopra il ginocchio, e delle converse bianche consumate
all’inverosimile che potevano essere state benissimo recuperate da un cassonetto o da uno di quei bidoni per i vestiti destinati ai meno fortunati.

Ed in testa aveva, incastrati tra i ricci decisamente non curati, degli occhiali da sole da baracchino, giallo brillante, che non facevano esattamente
pendant con il resto del suo abbigliamento, ma se Blaine conosceva un modo per farlo arrivare a lavoro in orario, bè Kurt avrebbe anche potuto
chiudere un occhio.

« Come pensi di aiutarmi? Fabbricando un treno con i copertoni della tua bicicletta? » domandò lo stilista, incrociando le braccia al petto e
squadrando l’altro con aria poco convinta.

Blaine alzò gli occhi al cielo.

« Per quanto risulti interessante – e fosse il mio piano B – no. C’entra la bicicletta però, questo lo hai azzeccato. » sorrise, e indicò il suo
incredibile bolide.

« … Dimmi che non vuoi farmi salire su quel ciclocoso di dubbio gusto. » implorò Kurt, che già vedeva le sue scarpe costosissime incastrate tra i
raggi delle ruote, o i suoi pantaloni a macchiarsi dell’olio della catena, oppure la sua camicia preferita a strapparsi a causa di una curva troppo
brusca.

« Ci puoi scommettere. » rispose Blaine montando in sella e facendo cenno al ragazzo dai capelli castani e gli occhi azzurri di appoggiare il suo
deretano sul portapacchi.

Kurt si strinse al petto la tracolla che conteneva il lavoro di settimane e guardò diffidente la bici, neanche fosse stato un bulldog pronto a
sbranarlo.

« E se cado? » sussurrò, e Blaine scosse la testa.

« Prometto che se non arrivi a destinazione in tempo ti regalerò questo bolide. » disse, mentre Kurt montava dietro di lui e cercava di sistemarsi
in modo da stare più comodo possibile, cosa praticamente impensabile.

Non appena si fu appoggiato, il ragazzo partì di colpo pedalando velocemente e Kurt fece a malapena in tempo ad agganciargli le braccia attorno
alla vita e a schiacciare la testa contro la sua schiena.

Nonostante il caldo, Blaine profumava di pulito.

Sfrecciavano per le vie della cittadina, e Kurt si domandò come avrebbe mai potuto arrivare in tempo all’appuntamento in bicicletta. Come
avrebbe fatto a confrontare i bozzetti con Sugar? Era un disastro, un disastro, ma almeno forse così sarebbe arrivato abbastanza vicino da potere
correre come un disperato, disfarsi l’acconciatura, sudare come un pinguino nella savana (perché i pinguini sudavano?) ed arrivare in ufficio
praticamente consumando la suola delle sue scarpe.

Suonava difficile, ma si poteva fare.

« A che ora devi essere in ufficio? » domandò Blaine, pedalando come un forsennato, talmente velocemente che a Kurt sembrava di stare
andando alla velocità del vento.

« Alle dieci e mezza massimo. »

« Dove? »

« Il palazzo in Corso Vittorio Emanuele II. » rispose Kurt, aggrappandosi ancora più saldamente a Blaine. Poteva sentire i muscoli del ragazzo
che si tendevano e si rilassavano per muovere le gambe, ed i suoi fianchi tonici scivolavano sotto la maglietta che iniziava ad inzupparsi del suo
sudore, che si mischiava a quello di Kurt per via del caldo.

Lo stilista deglutì.

« Siete tutti gay nel mondo della moda? » domandò infine Blaine, con il fiatone ma ancora volenteroso a chiacchierare.

Kurt sbattè le palpebre più volte, interdetto.

« Come prego? »

Blaine rise.

O meglio, tossì.

« Ho un ottimo gay-radar da gay. » spiegò, e Kurt dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere. Quel ragazzo, quel giovane pieno di energia e di
voglia di fare era… gay? Quel ciclista pazzo che lo stava accompagnando a lavoro in giorno di sciopero?

Quella era una di quelle notizie che ti pioveva addosso la mattina come una gigantesca secchiata d’acqua gelida in faccia e che ti confermava di
essere sveglio.

« Oh. In ogni caso no, non tutti. Molti, è vero, ma molti sono anche snob, ed altezzosi. Altri si credono la regina d’Inghilterra, altri sono delle
troie, ed altri ancora, invece, cadono nella rete delle troie. Come me. » disse, e si domandò perché lo stesse dicendo ad alta voce. Non lo faceva
stare meglio come aveva creduto.

« Sai, Kurt, il dolore è soltanto ciò che tu gli permetti di essere. » disse Blaine, mentre svoltavamo e, incredibilmente, si avvicinavano alle zone
della vera e propria Milano. Si riconosceva dalle case.

« E questo cosa vorrebbe dire? » sbottò Kurt, punto sul vivo su un argomento riguardo al quale la sua sensibilità era particolarmente attiva.


Blaine rise di nuovo, e sembrava che qualsiasi cosa uscisse dalla bocca di Kurt fosse indecentemente divertente.

« Che se tu permetti a questo di ferirti, ti ferirà. » spiegò, e Kurt non seppe cosa rispondere per un bel periodo di tempo.

Non avrebbe dato un soldo a quel ragazzo, eppure ora il tizio stava tirando fuori aforismi degni di un poeta.

Chi diamine si nascondeva dietro Blaine l’esuberante ciclista non-del-tutto-italiano?

« La mia vita è in subbuglio, ed il mondo rimane uguale. » mugugnò Kurt sulla sua schiena, non direttamente a lui, non direttamente a se stesso.
Un appello lanciato nel vento alle orecchie di nessuno.

« Forse non è vero. Forse si muove, ma tu non riesci a vedere. » mormorò Blaine, serio per una volta. E Kurt non poté fare a meno di notare che

la densità di verde, nei suoi occhi, era cambiata. Lo poteva vedere con la coda dell’occhio, oltre ai ricci indecenti.

Il viaggio proseguì nel silenzio, mentre Kurt si scopriva curioso di sapere chi fosse Blaine, perché la sua pelle era così morbida, perché era stato
così gentile e come mai i suoi muscoli erano così flessibili. Blaine, invece, pensava, pensava a come dire. Pensava a come spiegare, pensava a
come si facesse a parlare mentre il suo cuore batteva alla duecentomillesima potenza.
Fu una pedalata incredibile, infinita, bollente e sudata, ma portò Kurt a destinazione.

Blaine smontò dalla bici, ed erano le dieci e trentacinque. Kurt era in ritardo di cinque minuti, ed era agitato come non mai mentre cercava di
aggiustarsi i capelli e teneva la tracolla in bocca mentre le sue mani erano impegnate a ravvivare i fili castani.

Blaine riprendeva fiato appoggiato alla bicicletta.


Kurt fece per correre via.

« Aspetta! » gridò Blaine, alzando una mano e tirandosi in piedi a fatica. L’altro si voltò con aria confusa.

« Ah, sì, scusami, grazie mille, davvero, ti devo un favore. » disse, e si voltò di nuovo.

« No! Voglio dire, io ti devo una bicicletta. » spiegò, sorridendo con gli occhi semichiusi per proteggersi dal sole.

Kurt lo guardò confuso.

« Sei in ritardo, avevo promesso, ricordi? »
Solo allora a Kurt venne in mente il giuramento di dargli la bici in caso di ritardo.
Sorrise genuinamente, guardando l’orologio e poi il palazzone.

« Ma figurati, Blaine, sei stato fin troppo gentile a portarmi fino a qui. »

« Puoi fare altri cinque minuti di ritardo? » gli domandò l’altro, ormai il fiato quasi del tutto recuperato.

Kurt assunse un’espressione ancora più confusa. Guardò l’orologio e lottò contro se stesso e la sua puntualità, girandosi verso Blaine.

« Okay. »


« Questa mattina non sono passato di lì per caso. » disse, guardandosi la punta delle scarpe e mettendo il cavalletto alla bici. Kurt sorrise,
credendo di non capire. « Passo per quella fermata tutte le mattine, e ti vedo sempre, alla stessa ora, ogni giorno, vestito sempre in modo
diverso, con la tua borsa e con quello sguardo concentrato e perso, come se avessi smarrito qualcosa. » spiegò, e poi continuò senza dare a Kurt il tempo di rispondere. « Ho sviluppato una specie di interesse. Chissà a cosa pensavi, cosa ti tormentava, perché ti cambiavi di continuo, da dove

venivi, che ci facevi qui e che c’era in quella borsa? Devi perdonarmi, sono un idiota che vive ancora ancora nei libri, e tu mi sembravi uno di quei
personaggi. Allora mi sono informato, ed ho scoperto che questa mattina c’era sciopero generale. Ho pregato che tu fossi troppo preso dalla tua
misteriosa vita per scoprirlo, e sono passato in bici con l’intento di darti un passaggio. Con l’intento di stabilire un contatto. » fece una pausa. « E
alla fine ci sono riuscito. »
Kurt non seppe che rispondere. Era stato colto in contropiede. Lui quel ragazzo non lo aveva mai notato. Non si era accorto di nessun ciclista che
lo osservava con aria curiosa. Non vedeva nulla, troppo preso dai suoi problemi, dalla sua vita, dal suo lavoro per notare una cosa così semplice.

Qualcuno che lo aveva notato. Che voleva sapere di lui, che desiderava conoscerlo davvero, e non entrare nel suo letto, divertirsi ed andarsene il
giorno dopo senza nemmeno un biglietto.

Qualcuno di gentile, divertente, intelligente.

Qualcuno che aveva cercato a lungo, ma aveva creduto non ci fossero le circostanze per incontrare.

« Non sono mica un alieno. » rispose infine.

« Uh? » fece Blaine, alzando lo sguardo.

Kurt sorrise e, per la prima volta in vita sua, non pensò prima di parlare.


« Stabilire un contatto. Mi sento E.T. » disse.

Blaine rise, e si appoggiò alla bicicletta.

« Questo è tutto. » aggiunse, e fece per rimontare in sella, ma Kurt decise di scrollarsi di dosso quell’inibizione fastidiosa che gli stringeva il collo in una morsa.


« Aspetta! Ti… ti va di prendere un caffè? » mormorò, e Blaine si pietrificò per poi voltarsi.

« Non credi che sia uno squilibrato? » domandò, sorridendo confuso.

« Per aver provato interesse per me? Assolutamente sì. » scherzò, e rimase interdetto. Da come era stata la sua vita negli ultimi tempi pensava
di essersi dimenticato come si facesse a scherzare.

Blaine rise lievemente.

« Sai cosa intendo. »

Kurt lo guardò e basta.

« Anche se le circostanze descritte da te non sono le migliori, a volte le circostanze vanno create. E si creano in modo strano, con curiosità o, nel
tuo caso, un pizzico di nerdaggine. E poi potrebbe sempre servirmi un altro passaggio. » Kurt si strinse al petto la tracolla, sorridendo.

Quanto tempo che non lo faceva.
« Sai cosa vuol dire essere nerd? » domandò sorpreso Blaine.


Kurt rise.

« Andiamo, sono uno stilista, non uno psicopatico! Ho facebook anche io. » disse, e guardò l’orologio, accorgendosi di avere già perso dieci
preziosissimi minuti, e di non poterne lasciare passare altri.

Si voltò correndo verso la porta d’ingresso, e poi si ricordò una cosa.

« L’una e venticinque da Arnold. Stacco per la pausa, ci vediamo lì. » gridò, e probabilmente lo sentì tutto il corso ma, per la prima volta di nuovo, non gli importò.


Blaine sorrise e lo guardò correre dentro.
Salì in sella alla sua bici e pedalò per l’intera Milano, rischiando di farsi investire, correndo a perdifiato, attraversando il vento come un fulmine.
Perché gli era sembrata una storia, pensava di essersela raccontata, di aver costruito un puzzle nella sua testa, di aver visto quel ragazzo e di
essersi convinto di chissà che cosa. Di aver fatto tutto da solo.

Ma la cosa migliore, doveva ammetterlo, era vedere tutti i pezzi – a modo loro, in strane forme, con tempi variabili – combaciare e trasformare

la favola in realtà. Mettere assieme Kurt e Blaine. Solo che, per iniziare un puzzle, come sempre, bisognava avere il coraggio di scegliere e mettere giù il primo pezzo. 





























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Spazio Autrice:
Lo so, non è angst, non è incredibile?
Ho questa fanfiction in mente da un po' ma troppo poco tempo per scriverla, e invece eccomi qui.
Spero vi sia piaciuta, avevo bisogno di del fluff per continuare questa amara giornata.
Fatemi sapere che ne pensate, una storia così per me è un esperimento e con dei pareri potrei migliorare.

Grazie.

Noth.
   
 
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