Dopo miliardi e miliardi di anni, sono finalmente riuscita a produrre il nuovo capitolo della mia storia sul duo più commovente e più stravagante dello spazio: ci ho combinato brani e frammenti e squarci scritti nelle condizioni più disparate, per cui non garantisco la più invidiabile e infallibile delle coerenze. Tuttavia, ci sono delle idee a me molto, molto care, e, in fondo, il fulcro di quello che io chiamo amicizia o amore o intesa: insomma, uno qualunque dei vincoli che inducono gli esseri umani a torcere il proprio sentiero per un altro, e ad avventurarsi nel buio per andare a cercarlo.
Come sempre, auguro a tutti buona lettura, sperando che questi due straordinari personaggi possano avvampare un istante, con le mie parole, nel vostro spirito.
Truths in the Bones
Per
molto tempo, nessuno aveva davvero scalfito le loro corazze.
Certamente,
non si trattava di armatura evidenti, abbastanza ostili e pesanti da
impedire di percepire il tocco di un amico o il gelo di un odio:
più
che maglie di ferro e acciaio, le loro erano veli, trasparenti ma
forti come ragnatele. La corazza di Leonard erano le sue sfuriate, le
sue tortuose imprecazioni, la premura pungente e sbrigativa che
scagliava sui suoi pazienti: uno scudo che graffiava la pelle di chi
non ne conosceva la consistenza, ma che sapeva proteggere dal freddo
e dal dolore più di molte sete e molte fredde carezze. Nel
dottore
però esisteva anche un altro nucleo, al di sotto delle
rocce, un
cuore più fermo, più complesso, più
vulnerabile; un cristallo
nudo, prodigiosamente limpido, che affiorava solo nei suoi occhi, e
catturava e penetrava ogni luce irradiata dal mondo; e che,
altrettanto facilmente, veniva incrinato dalle sue ombre. Il Capitano
e i suoi uomini riconoscevano le imperfezioni e le sbavature del
dottore, e accettavano con bonaria rassegnazione i suoi impulsivi,
tempestosi malumori; apparentemente, fiduciosamente, comprendevano
che anche lui fosse un essere umano, e potesse vacillare e sbagliare
come tutti loro. Ma nel profondo, in corde grevi e sepolte di cui non
erano forse neppure consapevoli, si aspettavano che lui li avrebbe
accolti ogni volta in Infermeria con un borbottio di rimprovero e una
mano gentile sulla spalla, pretendendolo con l'urgenza incosciente e
feroce dei bambini; e senza quella rassicurazione, senza quella
conferma chiara e concreta degli equilibri e delle leggi del proprio
mondo, nessuno di loro avrebbe più avuto il coraggio di
muovere un
passo nel buio, perché non ci sarebbe stato più
nessuno pronto ad
afferrarli se fossero caduti. Se Spock si fosse spento, tutti loro
sarebbero stati ciechi; se fosse accaduto al dottore, non avrebbero
più potuto reggersi in piedi. Per molti anni, da quando per
la prima
volta aveva intravisto le leggi feroci che compongono e infrangono
gli uomini, Leonard aveva calibrato scrupolosamente, con la spietata,
leale lucidità che gli permetteva di scorgere gli schemi
affondati
tra il sangue e la carne urlante, le distanza e le vicinanze con i
propri compagni: per timore di avvelenarli con le proprie ombre, o di
ferirli con le sue schegge se fosse caduto a pezzi. A Jim aveva
concesso di avanzare tanto profondamente, di giungere molto vicino
alle radici intense e difficili del suo cuore, perché sapeva
che
avrebbe potuto difendersi dagli orli più taglienti, e
sopravvivere
alle sue tempeste. Ma ciò non gli impediva di rabbrividire
pensando
alle cicatrici che le sue spine gli avrebbero inferto, e più
ancora
delle crepe che gli avrebbe impresso nello sguardo dopo aver rivelato
tutte le sue tenebre. Pur di non arrivare a quel momento, pur di non
tradire il proprio giuramento, aveva accettato di porre tra
sé e
coloro che amava quel solco, esile come garza, ampio come pochi
passi, quell'esilio impalpabile che gli permetteva di preservarli dai
suoi sussulti, ma di raggiungerli in tempo se fossero stati loro a
vacillare; e di tremare da solo nelle tormente, quando il vento
soffiava troppo forte e non c'era nulla a proteggere la sua schiena.
D'altra
parte, per Spock non era stata neppure necessaria una vera armatura:
il suo sangue ambiguo, l'armonia vagamente ostile della sua logica, i
suoi modi asettici, avevano eretto intorno a lui un silenzio
ammirato, una distanza riguardosa come il recinto di un tempio. I
suoi sottoposti, e più confusamente i suoi compagni, si
ritraevano
naturalmente dai confini della sua anima, raggelati in un rispetto
reverente che somigliava molto all'ammirazione senza passione che si
rivolge agli sguardi fissi dei santi e degli antichi: una devozione
immacolata, preziosa e inviolabile come il candore di una chiesa, e
che tuttavia non generava tepore.
Entrambi,
seppur in modi diametralmente differenti, seppur per combinazioni di
eventi intrinsecamente remote, aveva imparato ad apparire
invincibili, incrollabili, inesorabili: entrambi si erano trasformati
nei perni solidi e robusti attorno a cui ruotavano le orbite delicate
di decine, centinaia di vite. Se il Primo Ufficiale doveva essere il
vigile, infaticabile occhio di quell'immensa creatura di uomini e
metallo, Leonard ne era diventato lo scheletro, la salda, sensibile
impalcatura che sosteneva le scosse delle sue lotte e tratteneva
insieme le sue carni. Tutti e due condividevano la nuda, mortale
consapevolezza del peso di un simile compito: del fatto che un loro
tremito avrebbe potuto infrangere per sempre quelle traiettorie
sottili, che una sola indecisione avrebbe saputo annientare il loro
equilibrio. Anche il capitano Kirk conosceva ovviamente la
responsabilità di così tante vite, la pressione
necessaria e
terribile dei sentieri, delle speranze, delle memorie di un intero
equipaggio: ma il suo ruolo era quello di infondere luce e energia a
quel flusso di esistenze, di proteggerne e guidarne il potere verso
splendenti trionfi o leggendari nemici. Erano loro due invece coloro
che sostenevano le ordinate armonie necessarie al suo compito, che
permettevano alla vertiginosa trama di ingranaggi dell'Enterprise di
rispondere fluidamente ai comandi e ai tocchi del suo comandante;
erano loro a conoscere le viscere di quel grande corpo levigato, ad
aver scorto e raccolto le piaghe e il sangue abbandonati da ognuna
delle loro vittorie luminose. L'anima dell'Enterprise, il benevolo
sole dorato che la conduceva tra i freddi venti dello spazio, poteva
anche urlare il proprio dolore, e tremare per le proprie ferite; il
suo occhio e le sue ossa, no. E forse per questo, forse
perché le
loro mani si ustionavano e si agitavano sulle stesse dure, taglienti
giunture nascoste dietro la meraviglia delle loro imprese, erano
stati loro a riconoscere la corazza dell'altro.
Per
qualche bizzarra, complicata combinazione di eventi, nel corso del
tempo avevano visto il peggio e il meglio di ognuno: Spock lo aveva
guardato quando il terrore della sua malattia lo aveva strangolato, e
il disinvolto coraggio con cui aveva affrontato Jim e il mondo si era
infranto in una tempesta di singhiozzi, scomposti e irrefrenabili
come quelli di un bambino; quando mostri antichi e crudeli, dai volti
dolorosamente familiari e incalcolabilmente alieni, lo avevano
toccato appena troppo vicino ai graffi non ancora rimarginati, e lui
non aveva potuto che ringhiare come un cane ferito; quando un uomo
scivolava nell'abisso sotto il tocco delle sue mani, e la passione
che animava i congegni della sua mente lo costringeva ogni volta a
straziarsi e scorticarsi le dita contro il cuore muto dell'universo.
E il Dottor McCoy era stato presente quando il Primo Ufficiale aveva
cominciato a temere le crepe che quegli umani stavano schiudendo
nella sua crisalide, e aveva voluto pungerli con gli orli aspri della
sua logica; quando le urgenze che aveva sempre orgogliosamente
tralasciato gli avevano ruggito nelle viscere, e si era ritrovato a
torcersi singhiozzando su una branda; quando pur di non incrinare la
sua austera filosofia, pur di non dubitare di nuovo della via severa
ma salda che aveva scelto molti anni prima, aveva scagliato i propri
compagni nelle fauci oscure delle minacce da cui avrebbe dovuto
proteggerli, dimenticando di muovere uomini e non tasselli di un
gioco. Ognuno
di loro aveva visto le ombre che minacciavano gli occhi
dell’altro,
le fragilità che nascondevano al mondo, gli angoli in cui le
cicatrici potevano ancora sanguinare. Ognuno di loro aveva visto
l’altro nel dolore, nella gioia, nella rabbia, nella miseria,
senza
nebbie, senza eroismi, senza confini: senza filtri che potessero
mitigare la realtà, o inasprirla. Erano entrambi, in fondo,
scienziati: era stato loro insegnato ad osservare i fenomeni
lucidamente, con precisione, ma mai con crudeltà, mai
spingendo lo
sguardo abbastanza a fondo da graffiare; ed era stato così,
con la
pietà scabra che condividevano, che avevano osservato le
oscurità
più vischiose, le debolezze più inconfessabili
dell’altro.
All’inizio
avevano provato ad usare quella conoscenza per colpirsi, durante i
loro primi furiosi battibecchi, quando ancora erano davvero uno
scontrarsi selvaggio di ossa e menti; ma le ferite che quelle
stoccate lasciavano si erano rivelate troppo profonde, e si erano
fermati entrambi, perché nessuno dei due aveva mai voluto
davvero
trafiggere l’altro. Lentamente, senza accorgersene, avevano
cominciato a ricorrere a quella conoscenza per sostenersi a vicenda,
e tentare di ricucire fessure che gli altri non sapevano neppure
esistere. Non potevano ignorare che quelle rivelazioni, scomode e
taglienti ,e tuttavia così intime, così
profondamente intrecciate
alle loro vene, avevano plasmato un legame tra di loro, un legame
differente da qualunque altro: più adulto, più
doloroso di quello
che allacciava entrambi al Capitano. Inconsapevolmente,
inesorabilmente, si erano trasformati in moniti, nei contrappesi
brutali e inestimabili che bilanciavano e trattenevano i voli troppo
azzardati dell'altro, quando era accecato dal dolore o dalla
superbia: riecheggiando in silenzio gli scricchiolii dei suoi sbagli,
sussurrandogli all'orecchio che anche lui era mortale. Ed in quel
ruolo entrambi si risultavano odiosi, irritanti, offensivi; ma
necessari, al modo spigoloso e scarno di un ingranaggio banale, o di
un tessuto grossolano. Jim era stato il primo a rivelare le loro
luci; ma erano stati loro due a vedere le reciproche ombre. Non era
stato facile, comprendere che quella precisione spietata, quei
confini troppo permeabili che balenavano nelle loro discussioni non
scaturivano da una distanza incolmabile, ma da una vicinanza
eccessiva; che quei giudizi sapevano percuoterli non perché
si
abbattevano sulle loro corazze, ma perché colpivano le corde
che vi
si celavano. Negli occhi dell'altro, Bones e Spock avevano scorto le
loro colpe, le loro ferite, le loro incertezze i riflessi di
sconfitte ignobili, gli spettri di rimorsi infami. C'era voluto
più
tempo prima che vi riconoscessero anche le luci dei loro trionfi; e
scoprissero quanto radiosi apparissero fra quelle ombre. Il Dottor
McCoy ricordava ancora la frustrazione, la vampa di rabbia che lo
aveva attraversato quando si era reso conto che ognuno di loro sapeva
come spezzare l'altro: che ognuno di loro era ormai capace di
strappargli il cuore. Leonard aveva affidato più volte la
sua vita a
qualcuno, e aveva stretto centinaia di volte gli intrecci sfilacciati
di quella degli altri; ma quei compiti, quei legami, erano sempre
appartenuti solo allo spazio e al tempo della sala operatoria, alla
terra aspra e nitida in cui si combattevano vita e morte. Si era anzi
sempre impegnato per recidere al più presto i vincoli di
quegli
istanti e liberare il prima possibile i suoi pazienti,
perché il suo
compito era preservare le possibilità della mente e del
corpo di un
essere umano, e non trasformarlo in un agglomerato di carne e tendini
che lui poteva dominare o dilaniare. Con Spock, invece, aveva
travalicato quei confini, ritrovandosi a riconoscerne i tremiti, a
ricordarne le incrinature anche fuori dall'Infermeria, e comprendendo
che anche l'altro poteva vedere così profondamente oltre la
sua
pelle. Così, Bones non aveva trovato che una
soluzione:concedere
anche al Primo Ufficiale la fiducia dei medici, la fiducia dei pari;
la sicurezza che l'altro saprà come aiutarti e quando
sorreggerti,
semplicemente perché conosce le tue tenebre e le tue luci.
Anche
Spock, appena era diventato consapevole di quel nuovo patto, lo
aveva apprezzato: la conoscenza troppo brutale e troppo intima che lo
aveva turbato fino a quel momento era diventata riposante, quasi
balsamica, la certezza confortante e sconvolgente che vi fosse
qualcuno, nell'universo, che non avrebbe più potuto
offendere o
scandalizzare davvero. E non importava che continuassero a pungersi e
azzuffarsi nei loro eterni litigi, o quanto potessero infuriarsi con
l'altro, o quali insulti e insinuazioni si lanciassero contro,
perché
la catena d'acciaio, la catena segreta del loro vincolo, non si
spezzava; e piano, continuava ad accarezzarli, in ogni gesto e ogni
sguardo che si scambiavano, sussurrando la loro promessa: di vigilare
sulla schiena dell'altro, impedendogli di smarrirsi nei suoi baratri,
e di dimenticare lo splendore dei suoi trionfi. Perché
sebbene
mostrassero al resto dello spazio il contrario, avevano scoperto che
entrambi avevano bisogno di qualcuno che potesse sorreggerli quando
cadevano, e non distogliere lo sguardo quando tremavano come tutti
gli altri uomini.
E
tacitamente, inconsapevolmente, sia il dottore che lo scienziato si
erano offerti per quel ruolo.