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Autore: Tenar80    25/06/2012    1 recensioni
Io ragiono lentamente, niente intuizioni come esplosioni di dinamite, per me. Questo è il racconto di come ho conosciuto Sherlock Holmes e del perché mi sia fidato di lui. POV di Lestrade
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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 Il giorno seguente arrivai in ufficio senza trovarvi Sherlock e senza aver ricevuto messaggi. Avrei dovuto esserne preoccupato, lui rimaneva il nostro unico indiziato, ma ne fu sollevato. La mia sedia, il mio computer, il mio bollitore, la mia tazza, tutto di nuovo mio.
 Erano arrivate le analisi. Il veleno trovato a casa di Harrison era lo stesso che lo aveva ucciso, ma era di una marca comune. Il succo d’arancia nel suo frigo non ne conteneva. Con un po’ di timore, mandai un messaggio a Sherlock per informarlo.
Lo so. 
Vieni ad arresta l’assassino.
SH
Dove???
L
In panetteria. E’ ovvio.
SH
Non sa ancora di essere in trappola. Non venire in pompa magna. Non voglio che scappi.
SH
 Trovai Sherlock appoggiato ad un muro, vicino alla panetteria in cui avevo comprato il pranzo il giorno prima.
 - Vuoi spiegarmi? - chiesi. 
 Ero solo. Meglio evitare di rendermi ridicolo davanti a tutti.
 - Ovvio. Il veleno per topi, di solito ha un colore vivo e un odore caratteristico per evitare che la gente lo ingerisca per errore. Dunque doveva essere mescolato a qualcosa di colorato e con un sapore forte. Non era nel succo d’arancia. Era nella brioche, come questa.
 Ne teneva una in mano. Era tagliata a metà e mi fece vedere la ricca farcitura all’albicocca.
 - E’ un prodotto artigianale, la marmellata viene inserita dopo la cottura. - spiegò.
 - Chi ha detto che Harrison abbia mangiato una brioche prima di morire?
 - Te l’ho detto io dopo aver visto il corpo, ne aveva delle piccole briciole sul maglione.
 - E chi lo avrebbe avvelenato?
 - Il panettiere, è ovvio.
 - Perché?
 Era del tutto privo di senso.
 - Non era diretta a lui, la brioche avvelenata. Tra le persone che si fanno recapitare il pane a casa da questa panetteria c’erano solo due uomini che vivono soli. Harrison e un trentenne nell’isolato a fianco. Il trentenne è l’amante della moglie del panettiere. La brioche era per lui. Il ragazzo che distribuisce il pane si è sbagliato e ha confuso le due buste più piccole. Harrison di solito non si faceva portare la brioche, ma era goloso e ha approfittato dell’errore.  Il panettiere non ha neppure collegato la sua morte con il suo tentativo di avvelenamento. Sapeva solo che il suo rivale era ancora vivo e l’ha aggredito la sera stessa, all’uscita dal negozio. L’amante ha due costole rotte e il setto nasale incrinato. Vai ad interrogarlo. Crollerà. Non credo volesse davvero uccidere, su un uomo più giovane e sano forse la dose non sarebbe stata letale.
 - Ci hai già parlato?
 - No, l’onore sarà tutto tuo, Lestrade.
 Fece per andarsene.
 - Vai in centrale e aspettami. Dovrò raccogliere la tua testimonianza.
 Lui annuì. Col senno di poi, se l’avessi lasciato andare allora, non l’avrei più rivisto. Mi chiedo se lo rimpiango. No, non penso.
 Il panettiere confessò tutto. Come aveva detto Sherlock, non aveva collegato la morte dell’anziano professore con la sua brioche “speciale”. Era un ometto piccolo, dai tratti topeschi, ossessionato dai tradimenti della moglie. Voleva solo dare una lezione all’ultimo amante di lei, ma era stato sollevato quando alla sera lo aveva visto vivo e vegeto. Meglio sfogarsi a pugni e calci. Gli aveva perfino detto di non mangiare la brioche perché ci aveva sputato dentro. Non aveva l’intenzione di uccidere il simpatico anziano che ogni mese, quando saldava il conto, gli lasciava una mancia.
 Qualche giorno dopo le analisi confermarono che il veleno per topi del panettiere era proprio lo stesso usato per uccidere Harrison. Neppure Sally Donovan, di fronte ad un reo confesso e a tutti i particolari che combaciavano, osò mettere in dubbio l’innocenza di Sherlock, almeno per quel caso.
 Quanto a me, riuscii a tornare a Scotlan Yard solo nel pomeriggio.
 Trovai Sherlock di nuovo sul terrazzo, con una sigaretta spenta in mano. Aveva un aspetto esausto. In seguito scoprii che durante un caso quasi non mangiava né dormiva, al massimo sorseggiava un the o un caffè, ma non lo rividi più così stanco. 
 - E’ morto per stupidità. - disse.
 - Cosa? 
 Lo conoscevo da tre giorni e già avevo rinunciato a seguirne i pensieri.
 - Harrison non  era un genio, ma neppure un idiota, uno dei pochi che avessi mai incontrato. - disse.
 Col senno di poi, uno dei più sinceri complimenti che gli abbia mai sentito esprimere. Non era un idiota. 
 - Eppure è morto in modo stupido e insensato. - continuò - Mi chiedo se abbia senso vivere in un mondo in cui l’intelligenza serve a così poco.
 Sulle sue labbra, pronunciata con tanta calma, quella frase mi raggelò.
 Sono uno sbirro fino al midollo. Ho visto un sacco di ragazzi con problemi o finiti in giri pericolosi e riesco sempre a farmi un’idea più o meno chiara del loro futuro. Quelli che proseguiranno lungo la cattiva strada e quelli che invece si risolleveranno o quelli che non dureranno a lungo. Ma con Sherlock non riuscivo a vedere niente. Che tipo di vita avrebbe condotto, se sarebbe andato avanti oppure no. Pensai che poteva riprendere a drogarsi e morire anche lui di stupidità, per overdose o per una partita tagliata male, o innamorarsi, o uccidere qualcuno. Io avrei potuto solo stare a guardare. E in quel momento, senza un motivo, mi dispiacque. Non potevo fare nulla. Infatti, col senno di poi, non ho potuto fare nulla. Ma non volevo lasciarlo andare da solo nell’oscurità.
 - Cosa pensi di fare? - chiesi
 - Nell’immediato, liberare la mia stanza e cercarmi un posto dove stare. L’eredità di Harrison mi aiuterà, immagino.
 - Ti iscriverai ad un’altra università?
 - Che senso avrebbe?
 - Senza di te quest’indagine sarebbe durata mesi. Potresti entrai in polizia.
 - Ci ho pensato, da ragazzo. Quello che facevo con Harrison era la stessa cosa che fate voi, solo con morti più vecchi ed era frustrante non avere un avversario vivo da battere. Ma lavorare in squadra? Con una come Donovan?
 - Potresti fare il consulente. Come ne abbiamo per le questioni tecniche o scientifiche, potremmo averlo anche per i casi più complicati. Un consulente investigativo.
 Sorrise.
 - Potrei davvero. - disse.
 Si accese una sigaretta e ne accese una anche per me, senza avermi chiesto se la volevo. La volevo, era ovvio.
 - Che probabilità ci sono? - chiese poi.
 - Scusa?
 - Che probabilità ci sono che io incontri un altro come Harrison, che mi tolleri e sia disposto a lavorare con me?
 - Io sono disposto a lavorare con te. - dissi.
 - A piccole dosi, Lestrade, solo a piccole dosi.
 - E’ vero. - ammisi.
 Ripensai a Walter, il mio compagno, con cui nessuno mai voleva fare gruppo. Ma i miracoli, pensai, a volte avvengono.
 - Puoi aspirare a qualcosa di più che a a “qualcuno che ti tolleri”. Prima o poi troverai una donna che ti farà sentire speciale e darà un senso a questo mondo senza intelligenza. Quella Molly Hooper sembra volersi candidare per il ruolo.
 - Una donna... - Sherlcok ridacchiò - Le relazioni sentimentali sono sopravvalutate, ispettore. E’ solo chimica. Una volta esaurito l’effetto, non rimane niente, se non il dolore. Soffrire un è mai un vantaggio. Guarda cos’ha combinato per amore quel panettiere.
 - Ti sbagli. Senza mia moglie, ad esempio...
 - Tua moglie ti tradisce. - mi interruppe. - Un uomo più giovane. L’altra sera ti ha regalato un profumo insolito, il profumo del suo amante, uno sportivo, a giudicare dalla fragranza. Avete fatto l’amore con più passione perché lei immaginava di essere con lui, le sensazioni olfattive sono molto importanti per il piacere femminile. 
 Ero rimasto... Non so descrivere com’ero rimasto. Accecato da una luce dolorosa e inequivocabile. Perché sapevo, e non volevo vedere. E lo odiai, per aver detto la verità.
 - Va a quel paese Sherlock Holmes. Sparisci. - gridai.
 Lui non se lo fece ripetere. Spense la sigaretta e uscì, come se se lo fosse aspettato. Ma mi lanciò un’ultima occhiata, come se per un attimo avesse desiderato una reazione diversa.
 Rimasi sul terrazzo, cercando di smettere di tremare. Non volevo farmi vedere così dagli altri. Come l’altra volta, lo vidi uscire dall’edificio, solo, con tutta l’intelligenza di cui un uomo può disporre e nessun posto dove andare.
 Note. Eccoci arrivati alla fine. Un grosso, enorme grazie a coloro che sono giunti a leggere fin qui, uno ancora più grosso a Hotaru per avermi preso per mano e accompagnata fino alla fine.
Questa è la storia di un senso di colpa. A ben vedere, è il classico caso che Sherlock avrebbe potuto manipolare con facilità. Lestrade dice di volerlo raccontare per spiegare la sua fiducia, ma è solo la sua ammissione di impotenza verso qualcuno che sente di non essere mai riuscito ad aiutare del tutto. Per questo ho deciso di fare finire il racconto così, come se Sherlock se ne andasse per sempre, anche se sappiamo benissimo come se ne sono andate le cose.
Il suo ragionamento sui ragazzi di cui di solito riesce a intuire il futuro è preso quasi parola per parola dal vol.2 di Wild Adapter, un manga che dovrebbe piacere agli Sherlockiani. Racconta di un sociopatico, Kubota e del suo coinquilino, Tokito, un ragazzo dotato di istintiva moralità (ricorda qualcosa?). Il discorso è pronunciato dallo zio poliziotto di Kubota.
Quanto a Sherlock, non so se sono riuscita a passare l’idea che  nella sua mente rapporto con Harrison era puramente professionale. Era l’altro ad essersi affezionato. E se si sente perso è perché non ha più un lavoro o qualcuno con cui lavorare. Ci vorranno ancora anni, ovviamente, perché ammetta di avere degli amici. 
Ancora grazie a tutti e specialmente a chi vorrà recensire.
   
 
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