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Autore: _Lightning_    27/06/2012    2 recensioni
L'esistenza di centinaia di persone scorreva sotto di lui.
Migliaia di vite... e una si sarebbe spenta presto.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Quasi tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Just One Smile

 


Il mondo visto da quella prospettiva sembrava così normale.
Vivace, variopinto, vivo.
Gente indaffarata passava davanti a lui, indifferente, chi con calma, chi correndo; alcuni lo guardavano appena di sottecchi senza vederlo veramente e poi tiravano dritti per la loro strada, altri erano semplicemente troppo indaffarati per notarlo... compresi i Templari furibondi che si fecero largo a forza tra la folla urlando aspri ordini in teutonico e superandolo ignari della sua presenza.
I Templari si fermarono e iniziarono a parlottare concitati tra loro, indicando di tanto in tanto direzioni opposte, imprecando ad alta voce e chiedendosi dove diavolo fosse finito il "demonio Assassino".
Rimase a testa china, sguardo basso, la mano che cadeva con naturalezza a celare la traccia di sangue che gli macchiava la veste: invisibile come sempre.
Sembrava un normalissimo uomo che si riposava su una panchina, stanco per il duro lavoro.
Stanco...

"Già, troppo stanco. Stanco di nascondermi. Stanco di essere guardato come un cane rabbioso. Stanco anche di uccidere, a volte."

Altaïr si rassegnò a trascorrere il resto della giornata oppresso da questo pensiero e dagli altri che sarebbero sicuramente arrivati a breve, come uno sciame di api ansiose di ronzargli in testa fino a spaccargliela in due.
Quando iniziava a elaborare certe tetre riflessioni di primo mattino, la giornata sarebbe stata uno scosceso e lugubre pendio dal quale avrebbe continuato a scivolare fino alla fine del suo compito.
Finalmente i Templari si decisero ad allontanarsi, ma era ancora troppo presto per tirare un sospiro di sollievo e Altaïr lo sapeva bene; così non mosse un muscolo, continuando a fissare con intensità la grigia strada lastricata sotto ai suoi piedi, come a volersi imprimere nella mente ogni sua fessura e imperfezione per distogliere la sua mente dal pessimismo che bussava insistentemente alla sua porta.
Il suo eroico sforzo di indifferenza fu interrotta da una voce squillante a meno di dieci centimetri dal suo orecchio:
 
-Messere, avete qualche moneta?-
 
Una manina sporca e speranzosa entrò nel suo campo visivo, in attesa di una sua risposta.
Altaïr alzò appena lo sguardo, mettendo a fuoco un viso troppo serio per la sua giovane età, con i grandi occhi neri appena socchiusi e velati da una prematura rassegnazione.
Un bambino, sette anni che sembravano cento, inglobato in una tunica sformata e lacera, a piedi nudi sul freddo mattonato.
Al petto stringeva gelosamente un giocattolo di legno consumato che doveva essere un cavallo, ma che adesso aveva solo due zampe e il muso sbeccato e rovinato.
La manina si avvicinò di poco, incalzante.
 
-Messere, vi prego. Mi basta poco...- mormorò ancora, senza alcuna intonazione, come un mantra.
 
-Non ho niente neanche io.- rispose l'Assassino, che da quanto ricordava non aveva mai posseduto denaro in vita sua.
 
Il bambino lasciò cadere lentamente la mano, deluso, ma poi una scintilla di curiosità brillò nei suoi occhi scuri.
 
-Avete dei bei vestiti. E belle armi.- affermò dubbioso, scrutando la veste bianca e raffinata dell'Assassino, soffermandosi sulla fascia rossa che gli cingeva la vita e sull'elaborata elsa argentata della spada che gli pendeva al fianco.
 
-Non siete povero.- concluse e un'ombra di diffidenza passò per un attimo sul suo volto, subito scacciata dall'irrefrenabile curiosità tipica dei bambini.
 
-Dipende cosa intendi per povero.- rispose sibillino Altaïr.
 
"Di sicuro non povero di sangue."
 
-Non vi capisco.-
 
-Non devi capire, e spero non lo farai mai.-
 
Il bambino lo fissò confuso e intimorito da quello straniero che parlava in modo così criptico e incomprensibile.
 
-Io sono Ramzi. Qual è il vostro nome?- chiese in un guizzo di coraggio, gli occhi che non si staccavano dalla sua spada.
 
Altaïr esitò, stupito dal non sentirsi infastidito dalle domande del bambino, ma anzi, incuriosito a sua volta.
Si chiese chi fossero i suoi genitori, o se fosse orfano.
E per un attimo si domandò se sarebbe potuto essere suo figlio in un'altra vita, con quella luce spavalda negli occhi e la sua curiosità.
Il pensiero lo turbò, ma nulla emerse sul suo viso impassibile, a parte una scintilla di rimpianto.
 
-Altaïr.- rispose a bassa voce, e si assicurò automaticamente che nessuno fosse in ascolto.
 
Il bambino sorrise e si sedette accanto a lui sulla panchina, iniziando a fargli domande su chi fosse, da dove venisse e se avesse mai combattuto.
Lui scosse la testa con una smorfia divertita ed evitò abilmente di rispondere al "chi" e "da dove", limitandosi a dire "qualcuno che viene da molto lontano" e di conseguenza ad accrescere la sua aura di mistero.
Senza ben sapere come, si ritrovò a raccontargli dei suoi combattimenti più accaniti e spettacolari, trovando per la prima volta un ascoltatore entusiasta e partecipe. Si sentì meglio, in qualche modo che non riusciva ben a definire, ma che era estremamente piacevole.
 
-E avete un cavallo?- chiese all'improvviso Ramzi, mostrandogli il suo giocattolo un po' rotto.
 
-Certo. Un cavallo bianco.-
 
-Come i nobili.- osservò innocentemente lui, e Altaïr si sentì stranamente colpito da quell'affermazione, chiedendosi tra sé cosa ci fosse di nobile in lui.
-E come si chiama?- aggiunse Ramzi, e si vedeva che già stava cercando di immaginarsi l'animale.
 
Non aveva mai neanche pensato di "chiamarlo": per lui era "cavallo" e basta. Magari per gli altri era normale dare nomi alle cose e agli animali che possedevano, ma lui non aveva mai posseduto veramente qualcosa. In teoria anche il cavallo era della Confraternita, non suo. Anche lui apparteneva alla Confraternita. Si sentì improvvisamente svuotato da quel pensiero. Scosse appena la testa.
 
-Abiad.- inventò sul momento, e subito dopo si rese conto della banalità di quel nome.
 
Ramzi rise, estremamente divertito.
 
-Un cavallo bianco che si chiama Abiad?- ripetè, come se non avesse mai sentito nulla di simile, e rise ancora.
 
L'Assassino si sentì quasi imbarazzato e si calcò il cappuccio in testa di riflesso.
 
-Non ho molta fantasia coi nomi.- ammise, e si chiese perché stesse cercando di discolparsi di fronte a un ragazzino che neanche conosceva.
 
-Il mio si chiama Amir.- disse poi, mostrando il cavallino di legno -Però vorrei che fosse vero.- aggiunse un po' triste.
 
Altaïr non disse nulla. Non era mai stato bravo con le parole, e neanche con le persone.
Un improvviso tramestio di passi ferrati catturò all'istante la sua attenzione. Guardò di sottecchi la strada e rivide il gruppo di Templari più infuriati che mai.
Non avevano ancora rinunciato a cercarlo.
Strinse il pugno, dominando l'istinto che lo provocava ad attaccarli ed eliminare il problema alla radice.
Ramzi si accorse del suo repentino cambio d'atteggiamento e lo fissò interrogativo.
 
-Cercano voi?- sussurrò in tono complice.
 
-No, ma non mi piacciono i Templari.- svicolò lui, senza perdere una loro mossa.
 
-Certo, siete un Assassino.- disse Ramzi con naturalezza, alzando le spalle.
 
Altaïr rimase gelato da quell'affermazione e si voltò a guardarlo, spiazzato. Ramzi tratteneva un sorriso sotto i baffi e sembrava di nuovo divertito.
Aveva l'impressione che fosse molto più sveglio di quel che aveva creduto.
 
-Io ora devo andare: mamma mi starà cercando.- disse subito dopo, un po' riluttante.
 
Altaïr si limitò ad annuire, ancora un po' sorpreso.
 
-Quando tornerete ad Acri? Le storie di avventura mi piacciono.- chiese speranzoso, alzandosi.
 
-Presto.- rispose semplicemente lui, e lo salutò con un cenno del capo mentre Ramzi si allontanava di corsa sparendo in un vicoletto.
 
L'assassino si alzò a sua volta e rimase immobile per qualche istante a fissare il punto in cui era sparito.
Voltò lo sguardo e vide che sulla panchina era poggiato il cavallino di legno. Lo prese cautamente e se lo rigirò in mano, sovrappensiero. Sulla pancia dell'animale era inciso "Ramzi".
Altaïr scosse la testa e infilò il giocattolo nella bisaccia, incamminandosi verso la porta della città.
Un lieve sorriso aleggiava timidamente sulle sue labbra.

 
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Note Dell'Autrice:

Salve... *riemerge dopo una vita d'assenza*
Lo so, non aggiorno da... mesi. Tanti mesi. Ma diciamo che avevo perso un po' la mano con Assassin's Creed causa scuola, e non potendo videogiocare mi riusciva più difficile inserirmi nella mente del personaggio, quindi ho preferito aspettare l'estate, farmi una bella chiusa ad AC I e riprendere a scrivere fresca e pimpante.

Bene, problemi e blocchi dello scrittore a parte, in questo capitolo ho la netta impressione che il nostro caro Assassino sfoci nell'OOC puro, ma ho voluto inserirlo in un momento un po' diverso e tirar fuori la sua parte dolce e tenera (sììì... come se esistesse, ma vabbè)
Ah, piccola nota: Abiad in Arabo vuol dire "bianco", da qui la scarsa originalità di Altaïr con i nomi  -Amir invece vuol dire "principe", che non è motlo più fantasioso, ma dettagli.-

Quindi ringrazio con immenso ritardo la mia Beta MoonRay e tutti coloro che hanno recensito, cioè micho, SkyDragon e Narjis e tutti quelli che hanno aggiunto la storia alle seguite, alle ricordate o alle preferite.
Grazie a tutti :)

-Light-

P.S. L'ispirazione mi è venuta scovando quest'immagine su DeviantArt: 
 http://tinypic.com/view.php?pic=2qa3fol&s=6 e l'autrice è doubleleaf (http://doubleleaf.deviantart.com/
   
 
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