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Autore: vannagio    27/06/2012    10 recensioni
«No, sul serio, dimmi qualcosa di te: mi sento in colpa, ho parlato come una macchinetta», insistette Jenna, mentre aspettavano un taxi che la riportasse all’albergo.
Phil ci pensò su un attimo. «Colleziono figurine».
Jenna sollevò le sopracciglia in un’espressione incredula. «Mi predi in giro?».
«Ovvio che no».
«Bedda Matre! Cos’è, la versione nerd della collezione di farfalle? E poi… figurine di cosa?».
Phil tenne lo sguardo fisso sulla strada. «Capitan America».
Lei ridacchiò. «Oddio, sei davvero un nerd!».

[Affetta da Shipping compulsivo, partecipo all'iniziativa del forum « Collection of Starlight, » said Mr Fanfiction Contest]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Pepper Potts
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Elivelivolo e dintorni '
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Per la serie…
“Quando vannagio vaneggia!”



Primo appuntamento




Era lunedì sera e alla trattoria Le Due Sicilie si respirava un’atmosfera tranquilla. Fatta eccezione per Phil, qualche altro avventore solitario, il cameriere e il suono tremolante di un mandolino, la saletta era praticamente deserta. A Phil non dispiaceva cenare da solo, soprattutto dopo una giornata frenetica come quella che era appena trascorsa. Tony Stark e il suo ego spropositato lo avrebbero mandato all’altro mondo, un giorno o l’altro.
«Pronto per ordinare, signore?».
Il cameriere attendeva con il taccuino in mano e un sorrisone che neanche i grossi baffi a manubrio riuscivano a nascondere.
«Uhm, certo». Phil non era mai stato in quella trattoria. Maria Hill gli aveva assicurato che si mangiava bene, perciò fece scorrere velocemente lo sguardo sul menù e scelse a caso. «Prendo un'insalata di mare, spaghetti allo scoglio e una bistecca ai ferri».
I grossi baffi del cameriere furono scossi da un fremito e il sorrisone si ammosciò appena. Lui però non fece commenti e segnò l’ordinazione sul suo taccuino usando il pancione come appoggio. «E da bere cosa le porto?».
«Una coca-cola, grazie».
Il cameriere chinò il capo in segno di assenso, «Ottima scelta, signore», ma il vistoso vibrare dei baffi sembrava dire tutt’altro.
A Phil quel dettaglio non sfuggì. «C’è qualche problema?».
«Affatto, signore. La sua coca-cola arriva tra un attimo».
Chissà perché il sorrisone era sparito completamente, adesso. Mr Baffo si allontanò con il menù sotto braccio, a una velocità sorprendente per un uomo così voluminoso, e a Phil non rimase altro da fare che fissare la sua schiena sparire dietro la porta della cucina.
«Ahia. Credo proprio che l’abbia fatto infuriare. Speriamo che non le sputi nel piatto».
Phil sapeva esattamente chi era la proprietaria di quella voce roca, dall’accento marcato.
Non aveva potuto fare a meno di notarla, circa un quarto d’ora prima, quando era entrata nel locale imprecando contro il maltempo e trascinandosi dietro una custodia alta quasi quanto lei. E sebbene avesse tentato, Phil non era riuscito a impedirsi di lanciarle delle occhiate furtive, di tanto in tanto. Per questo motivo, nel voltarsi, seppe subito dove indirizzare lo sguardo. Lei lo stava fissando dritto in faccia, senza pudore, nascondendo il sorrisetto divertito dietro un bicchiere di vino bianco.
«In cosa ho sbagliato? Dovevo baciargli l’anello sul mignolo come nel film del Padrino?».
Il sorriso della donna si allargò ancora, e Phil si accorse che le sue labbra, attraverso il bicchiere di vino, apparivano di uno squisito color ambra.
«Non si mescola mai la carne con il pesce. E poi…». La sua bocca si storse in una smorfia schifata, che nonostante tutto lui trovò adorabile. «…la coca-cola? Quanti anni ha, tredici?».
Phil si accigliò. «Cosa c’è che non va nella coca-cola? E poi chi è lei? Un critico gastronomico?».
Lei alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, sul viso l’espressione di chi ormai ha perso tutte le speranze.
«No, solo una che è cresciuta in una famiglia siciliana ed è stata educata al culto del buon cibo».
«Allora mi illumini, la prego. Come posso farmi perdonare dal cameriere?».
Lei bevve l’ultimo sorso di vino, posò il bicchiere sul tavolo e le sue labbra tornarono al loro rosso naturale. «Be’, Signor…».
«Coulson».
«Signor Coulson». Intrecciò le dita lunghe sotto il mento e si fece improvvisamente seria. «Sto per farle un'offerta che non potrà rifiutare».
Aveva calcato le consonanti e allungato le vocali per far emergere l’accento, tenendo quei penetranti occhi neri fissi su di lui. In quel frangente avrebbe anche potuto offrirgli un posto nella Famigghia e Phil avrebbe accettato senza battere ciglio.



«Prendo il fritto misto al posto della bistecca ai ferri. E può portare un’altra bottiglia di vino bianco?».
«Ottima scelta, signore. Il vino arriva in un battibaleno», disse Mr Baffo, alias Vincenzo, mentre appuntava tutto sul taccuino. Questa volta però era sincero: lo confermavano il sorrisone che gli illuminava il viso tondo e gli enormi baffi a manubrio che sembravano ridere pure loro. «E lei, signorina? Cosa desidera per secondo?».
Jenna non rispose subito, si concesse qualche istante per dare un’ultima occhiata al menù. «Vada per i gamberoni alla griglia. È tanto che non li mangio».
Vincenzo annuì tra sé e sé e scarabocchiò l’appunto sul fedele taccuino. Poi raccolse i piatti degli antipasti che Jenna e Phil avevano letteralmente spazzolato e scomparve in cucina con la pancia che ondeggiava di soddisfazione.
«Sei contenta, adesso?», chiese Phil.
«Contentissima. Avrai una cena degna di questo nome e nessuno ti sputerà nel piatto».
«Continuo a pensare che la bistecca sarebbe stata meglio».
Jenna sbuffò. «Farò finta di non aver sentito».
Erano passati al tu nel momento in cui avevano stretto il patto: Jenna avrebbe cenato al tavolo di Phil - «Mangiare da sola mi deprime», aveva spiegato lei - e in cambio avrebbe chiesto a Vincenzo di modificare l’ordinazione di Phil, facendo leva sulle comuni origini sicule. Vincenzo non aveva avuto nulla da ridire. E neanche Phil, che avrebbe accolto Jenna al suo tavolo anche se gli avesse proposto di mangiare lumache. Per inciso, glielo aveva proposto per davvero. «Solo per vedere la faccia che avresti fatto», aveva precisato. Era stata in quell’occasione che Phil l’aveva vista ridere per la prima volta, e a lui era parsa bella come il sole.
In realtà Phil non sapeva decidersi se era più bella quando scoppiava a ridere all’improvviso, con il viso che si accendeva, gli occhi che scintillavano di allegria e le spalle che sussultavano a ritmo delle risate, o quando metteva il broncio, con il labbro inferiore che sporgeva leggermente, la fronte corrucciata e quell’aria da “Bedda Matre Santissima, quanta pazienza ci vuole!”.
Nel frattempo Vincenzo aveva servito i primi: spaghetti alla scoglio per Phil, cuscus di pesce per Jenna.
«Mr Baffo ha dimenticato di portare il parmigiano. Adesso lo chiamo, lo vuoi anche tu?».
Jenna sollevò gli occhi dal suo piatto e glieli puntò addosso. Sotto quello sguardo così intenso, Phil si sentì nudo e indifeso. Cosa che nemmeno un pazzo con addosso una gigantesca armatura super-tecnologica era riuscito a fare.
«Tu sei fuori di testa», sibilò Jenna. «Vuoi proprio farti buttare fuori a calci in culo da questo posto, di’ la verità».
Phil sospirò. «Cosa c’è adesso?».
«Cosa… Cosa c’è? E me lo chiedi anche? Il parmigiano e il pesce sono come il rosso e il rosa, non vanno mai, ma e poi mai, abbinati. Ecco cosa c’è!».
«D’accordo, d’accordo. Non c’è bisogno che ti scaldi tanto, basta dirlo, no?». Phil le riempì il bicchiere sperando che questo potesse calmarla un po’. «Anche se penso che il rosso e il rosa non stiano poi così male insieme».
Jenna sgranò gli occhi. «Stai scherzando, vero?».



Dopo il secondo, la cassata siciliana, il caffè e il bicchierino di limoncello, arrivò il conto. Phil avrebbe voluto pagare per entrambi ma Jenna non volle sentire ragioni.
«Non se ne parla neanche: il cibo me lo pago da me, così posso mangiare quanto mi pare».
Phil sorrise. Se c’era una cosa che lo metteva a disagio, era una donna che a cena si limitava a piluccare il piatto. Jenna invece era una buonissima forchetta, vederla mangiare con tutto quell’entusiasmo metteva appetito e buon umore. Non ci fu verso, però, di farle cambiare idea e lui dovette accontentarsi di offrirle il secondo giro di limoncello prima di andare.
«Ho parlato sempre e solo io stasera, ti sarai annoiato a morte a sentire le mie storie sul conservatorio e i concerti», disse Jenna, mentre lui la aiutava a infilare la giacca.
«Per niente, invece. Ho passato una splendida serata in tua compagnia».
Sentirla parlare era ancora meglio che guardarla mangiare. La sua voce roca e calda lo faceva sentire coccolato e appagato, come un gatto al quale qualcuno sta facendo i grattini dietro le orecchie. E poi, quando un argomento le stava particolarmente a cuore, Jenna gesticolava. Per tutta la durata della cena, Phil non si era perso una mossa di quelle dita lunghe ed eleganti, che scattavano agili di qua e di là, come se stessero pizzicando le corde del violoncello. Diverse volte aveva provato a immaginare come sarebbe stato sentirle su di sé, quelle dita. Poi però si era vergognato così tanto di quei pensieri, che aveva dovuto nascondere il rossore delle guance dietro il bicchiere di vino.
«Ma non è giusto, io non so niente di te», stava replicando Jenna. «Mi hai detto soltanto che lavori per un’organizzazione internazionale, e anche in quel caso ti sei mantenuto sul vago. Cosa fai esattamente per questo… SHIELD?».
«Se te lo dicessi, poi dovrei ucciderti», rispose Phil, sfoderando quella che Maria Hill definiva la Faccia da Agente Scelto.
Jenna inarcò il sopracciglio. «Quante ragazze hai rimorchiato con questa battuta, Uomo del Mistero?».
«Un gentiluomo non si vanta mai delle sue conquiste, Jenna».
Lei rise, mentre si chinava per prendere la custodia del violoncello. Phil la precedette e sedò le sue rimostranze con una semplice occhiata. Salutarono Vincenzo, raccomandandogli ancora una volta di portare i loro complimenti al cuoco, e si avviarono verso l’uscita.
«No, sul serio, dimmi qualcosa di te: mi sento in colpa, ho parlato come una macchinetta», insistette Jenna, mentre aspettavano un taxi che la riportasse all’albergo.
Phil ci pensò su un attimo. «Colleziono figurine».
Jenna sollevò le sopracciglia in un’espressione incredula. «Mi predi in giro?».
«Ovvio che no».
«Bedda Matre! Cos’è, la versione nerd della collezione di farfalle? E poi… figurine di cosa?».
Phil tenne lo sguardo fisso sulla strada. «Capitan America».
Lei ridacchiò. «Oddio, sei davvero un nerd!».
«Non c’entra niente l’essere nerd», replicò Phil sulla difensiva. «L’ha cominciata mio padre, poco prima di partire per la guerra. Ha un grande valore affettivo per me…». Ebbe un attimo di esitazione. «Mi piacerebbe fartela vedere».
Jenna tornò improvvisamente seria e lo fissò come sapeva fare lei, dritto negli occhi e senza vergogna. «Mi stai davvero chiedendo di venire a casa tua per guardare una collezione di figurine?».
Phil aveva le palpitazioni a mille, ma era un agente segreto e sapeva camuffare bene le emozioni. Così si limitò a fare spallucce e a ricambiare lo sguardo di Jenna. «Ti assicuro che sarà un’esperienza molto più soddisfacente di guardare una comune collezione di farfalle».
Vederla gettare la testa indietro e scoppiare in una risata aperta e liberatoria fu uno spettacolo indescrivibile. E proprio in quel momento Phil venne a capo del suo atroce dilemma: Jenna era molto più bella quanto rideva.



«Il fumo uccide, lo sai?».
«Prima o poi dobbiamo morire tutti, Phil».
«Possibilmente non oggi, però. E neanche domani».
Jenna ridacchiò. Era appoggiata alla balaustra della finestra e indossava soltanto la camicia di Phil, che le copriva a mala pane il fondo schiena. Il cotone bianco faceva un bel contrasto con la pelle abbronzata delle sue gambe. Phil si costrinse a tenere a bada i bollenti spiriti e si appoggiò alla balaustra, accanto a lei.
«Che ore sono?», chiese Jenna.
«Quasi le sei. Ho fatto il caffè, ti va?».
Jenna scosse la testa. Diede un ultimo tiro alla sigaretta, poi la schiacciò nel posacenere. «Tra due ore devo prendere un aereo».
Phil annuì. «La tournèe di cui mi hai parlato ieri sera».
Lei parve sorpresa. «Allora mi stavi ascoltando sul serio!».
«Il tuo stupore mi offende, Jenna».
«Pensavo di averti annoiato».
Lei distolse lo sguardo, come se si fosse vergognata della frase che le era appena sfuggita. Phil non seppe dire se facesse sul serio o stesse solo scherzando. Nel dubbio le accarezzò il viso e le sistemò una ciocca impertinente dietro l’orecchio.
«Se ieri sera mi fossi annoiato, tu non saresti qui ed io non starei desiderando ti strapparti i vestiti di dosso, per la seconda volta nel giro di poche ore».
Quando erano entrati nell’appartamento di Phil, le figurine di Capitan America erano state l’ultimo dei loro pensieri. I vestiti, invece, erano finiti sparpagliati un po’ ovunque, sul pavimento della camera da letto.
Jenna recuperò subito il suo sorrisetto malizioso. «Un vero peccato non avere qualche altra ora a nostra disposizione».
Un vero peccato che tra loro dovesse finire così. Jenna gli piaceva tantissimo, ma da quando Stark si era messo a giocare al supereroe, Phil non aveva molto tempo da dedicare alla sua vita privata. E neanche Jenna ne aveva, a quanto pareva. Quella notte era e sarebbe stata soltanto una meravigliosa parentesi. Era molto meglio così, per tutte e due.
Nel frattempo, dietro i grattacieli, il blu si era fatto più chiaro.
«Sarà meglio chiamare un taxi. Devo ancora preparare la valigia».
«Non è necessario, posso riaccompagnarti all’albergo con la mia auto».
Jenna gli prese il viso tra le mani e lo baciò di slancio, senza preavviso, spalmandosi completamente addosso a lui. Per un millesimo di secondo Phil rimase spiazzato da quella reazione così… torrida, ma lo sconcerto durò poco. Nel giro di pochi istanti, si ridusse a un fascio di nervi tesi e ipersensibili tra le dita lunghe e allenate di Jenna. Quando le loro bocche si separarono, avevano entrambi il fiatone.
Jenna sorrideva, gli occhi ancora lucidi per il bacio. «Sei un uomo meraviglioso, Phil, e sono stata benissimo con te stanotte, ma è meglio se prendo il taxi».
«Non ti fidi di come guido?».
Phil le cinse la vita con un braccio, mentre una mano si intrufolava sotto la camicia. Jenna in cambio gli morse la spalla.
«Non mi fido di me stessa», sussurrò contro il suo orecchio.
A Phil venne la pelle d’oca.
«Sarà meglio tirare fuori la famosa collezione di figurine, allora, mentre aspettiamo il taxi. La fiducia in se stessi scarseggia da queste parti».



~ Due mesi dopo ~



«Qui l’Agente Coulson, chi parla?».
«Salve, Phil. Sono Pepper».
«Oh, Pepper, che piacere risentirla! Come sta?».
«Non c’è male. Lei? Ha avuto altri incontri del terzo tipo con focose violoncelliste, di recente?».
Per poco Phil non si rovesciò il caffelatte addosso. Dall’altro capo del telefono, Pepper invece stava ridacchiando.
«Tutto bene, Phil?».
«Sì, sì, ho solo… aspetti un secondo». Posò la tazza sulla scrivania per evitare altri danni e tamponò con un tovagliolo le macchie che erano schizzate dappertutto. «Eccomi. No, non…», si schiarì la voce, «… non l’ho più rivista da quella sera».
«Oh, che peccato».
Il tono poco dispiaciuto con cui lo disse indusse Phil a insospettirsi. «Mi dica, Pepper. A cosa devo il piacere? Stark ne ha combinata un’altra delle sue?».
«No, qui tutto tranquillo, più o meno. L’organizzazione dell’Expo lo sta tenendo parecchio impegnato».
Phil inarcò un sopracciglio. «Sul serio?».
La sentì sospirare. «No. È solo la frase di circostanza che il Signor Stark mi ha detto di ripetere nel caso in cui qualcuno avesse chiesto di lui».
«Tipico».
«Già. In ogni caso, la chiamo per sapere se ha ricevuto il fax che le ho inviato stamattina. Non avendo ottenuto un feedback in risposta…».
«Stamattina, ha detto? No, non credo». Phil frugò rapidamente nel mare di carte che inondava la sua scrivania. «Oh, sì! Eccolo. Mi spiace, Pepper, deve essermi proprio sfuggito». Phil gli diede una rapida occhiata. Sembrava la fotocopia di un opuscoletto. «Di che si tratta?».
«È la brochure di un concerto al quale il Signor Stark è stato invitato. Ovviamente lui non ha alcuna intenzione di andarci. L’orchestra si esibirà domani, per la serata conclusiva della tournèe. Mi faccia sapere se le interessa andarci, così le mando il biglietto del Signor Stark. Sarebbe un vero peccato sprecarlo».
«No, aspetti un secondo. Perché lo dà proprio a me? Perché non ci va lei? Perché non lo regala…», frullò una mano in aria, «…non so, a sua madre!».
«A mia madre?». Pepper rise di nuovo. «Si legga bene la brochure, Phil. Sono sicura che la troverà molto… illuminante. Ci crede nel destino, Phil?».
«Come dice?».
«Buona giornata, Phil».
E prima che Phil potesse ribatte, Pepper riattaccò.



Jenna aveva riposto violoncello e archetto nella custodia, si era tolta i tacchi a spillo per sostituirli con dei sandali più comodi, aveva sciolto lo chignon e stava anche per prendere in considerazione l’idea di cambiarsi, quando all’improvviso bussarono alla porta del suo camerino. Jenna andò ad aprire, sbuffando e maledicendo il tempismo della gente che viene a disturbare non appena ci si mette un po’ più comodi.
«Jenna La Rosa?», chiese il fattorino da dietro un enorme mazzo di rose.
Lei annuì, presa in contro piede.
«Una firma qui, per favore». E le allungò una ricevuta.
Jenna obbedì senza esitare, restituì la ricevuta e prese le rose che il fattorino le stava porgendo.
«Chi le manda?», riuscì a farfugliare lei.
Il fattorino fece spallucce. «Sono solo il ragazzo delle consegne».
Dopo essersi chiusa la porta alle spalle, Jenna posò il mazzo sulla toletta, di fronte allo specchio, e lo contemplò a distanza, come per assicurarsi che fosse veramente innocuo. Notò la piccola busta solo qualche secondo più tardi: il pessimo accoppiamento di colori dei fiori, rosso e rosa, l’aveva distratta un attimino. Aprì la busta con le mani che le tremavano dalla curiosità, e ne estrasse una…
Figurina di Capitan America?
Jenna se la mise sotto il naso, temeva di avere le allucinazioni, ma la tutina da gay pride color Bandiera degli Stati Uniti e la posa da eroe platinato anni ’40 parlavano chiaro. Guardò ancora dentro la busta e si accorse che conteneva anche un bigliettino.
Il cuore le era salito in gola, tanta era l’emozione.

Ti ho spiegato quando ci tengo, spero che tu abbia abbastanza buon cuore da venire a restituirmela.
Ti aspetto alle nove di domani sera, in quell’improbabile ristorante in cui ci siamo conosciuti.
Eri la più bella sul palco scenico.
Phil Coulson
P.S.: Hai visto che il rosso e il rosa non stanno così male insieme?

Jenna non aveva la più pallida idea di come Phil fosse venuto a conoscenza del concerto, né del perché fosse convinto che abbinare il rosso al rosa era una cosa saggia. Jenna sapeva soltanto che non si sarebbe lasciata scappare la seconda occasione che il destino, Dio, la Madanna, o chi per loro le aveva concesso.
L’indomani mattina sarebbe andata a fare compere: aveva bisogno di un vestito carino per il suo primo appuntamento con Phil Coulson.







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Note autore:
Questa one-shot è stata scritta in risposta alla sfida di Kukiness (pairing: Phil Coulson/Violoncellista; uno o più prompt a scelta tra: «Una collezione di figurine? È... la versione nerd della collezione di farfalle?», confidenze tra amiche, primo appuntamento;).
“Primo appuntamento” può essere considerata un prequel di questa fanfiction, scritta dalla bravissima Dragana, dalla quale ho preso in prestito il personaggio di Jenna e che ringrazio come sempre millemila volte per il suo prezioso aiuto.
Questa storia si colloca subito dopo i fatti narrati nel primo film di Iron Man, dato che, stando a questa linea temporale, essi si verificano un anno e tre mesi prima degli eventi di The Avengers.
Grazie a tutti quelli che passeranno di qui.
A presto, vannagio






Crack, fanon o canon? Slash, Het, Threesome?
GOD SAVE THE SHIP!
I ♥ Shipping è un'idea del « Collection of Starlight, » said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »

   
 
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