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Autore: ermete    28/06/2012    12 recensioni
"Le nuove matricole erano sedute davanti al palco allestito dal college universitario, alzandosi in piedi solo alla conclusione del discorso del Magnifico Rettore che annunciava l’inizio dei corsi auspicando ai nuovi e ai vecchi studenti un sincero augurio per la loro carriera accademica.
In piedi davanti al palco, i tutores didattici davano le spalle al spalle al Rettore, rivolti verso le matricole in primis, e agli studenti più grandi nelle file più indietro: c’era un vuoto tra le sedie dei nuovi iscritti, un nome spiccava sul foglietto di carta poggiato sullo schienale della seduta, ed era quello di Sherlock Holmes.
Mike Stamford, un giovane sorridente con piccoli occhiali poggiati sul naso a patata, sgomitò il collega tutor che aveva affianco a sè, indicandogli con un gesto secco del capo il posto vacante “E’ uno dei tuoi. Manca all’appello già dal primo giorno, non sei contento?”
“Cominciamo bene.” rispose il giovane a denti stretti, sbuffando un po’ dell’aria che aveva inspirato poco prima: sul badge appuntato alla camicia bianca era segnato il suo nome, John Hamish Watson."

Note: AU!School, con John!tutor e Sherlock!matricola all'Università
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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***Ciau! Ve l'aspettavate di ritrovarmi già qui? Eheheh la verità è che questa AU era stata abbozzata tra BTA e BTL e poi stata abbandonata a favore di BTL, ma siccome nutro un amore smodato per le AU!school, ho deciso di riprenderla e scriverne una a mia volta. Per chi mi conosce, rispetto alle altre mie long questa ha dei capitoli nettamente più corti (la metà degli altri come conteggio di parole) e voi direte "mbeh?", beh in realtà per me è stato un freno nel pubblicarla perchè abituata ad altri standard tutto ciò mi sembrava strano, ma come mi hanno detto Jessie, Mrs Teller e RosiePosie77(che mi hanno betato e supportato <3 thanks!), chi se ne frega se i capitoli son più corti? Aggiorni prima e ne scrivi di più, quindi taaaaaaac, fatto. Pubblicato il primo capitolo di questa mia nuova long :D ah! E si, avete letto bene: fluff, sentimentale e ANGST °___° che per i miei standard è stranissimo! Ora, ci sarà effettivamente un po' d'angst, ma non preoccupatevi, non sarà nulla di così pesante da lasciare il magone a fine capitolo (e comunque non sarà onnipresente :D) Che dire? Spero avrete voglia di leggermi *_* BACIO!***

Il tutor e la matricola
Le nuove matricole erano sedute davanti al palco allestito dal college universitario, alzandosi in piedi solo alla conclusione del discorso del Magnifico Rettore che annunciava l’inizio dei corsi auspicando ai nuovi e ai vecchi studenti un sincero augurio per la loro carriera accademica.

In piedi davanti al palco, i tutores didattici davano le spalle al spalle al Rettore, rivolti verso le matricole in primis, e agli studenti più grandi nelle file più indietro: c’era un vuoto tra le sedie dei nuovi iscritti, un nome spiccava sul foglietto di carta poggiato sullo schienale della seduta, ed era quello di Sherlock Holmes.
Mike Stamford, un giovane sorridente con piccoli occhiali poggiati sul naso a patata, sgomitò il collega tutor che aveva affianco a sè, indicandogli con un gesto secco del capo il posto vacante “E’ uno dei tuoi. Manca all’appello già dal primo giorno, non sei contento?”
“Cominciamo bene.” rispose il giovane a denti stretti, sbuffando un po’ dell’aria che aveva inspirato poco prima: sul badge appuntato alla camicia bianca era segnato il suo nome, John Hamish Watson.

Quando la cerimonia finì e tutti gli studenti riposero l’elegante divisa riservata alle cerimonie ufficiali a favore degli abituali vestiti casual, i tutores chiamarono a gran voce i nomi delle matricole che erano state loro affidate: si formarono diversi gruppetti nel parco del college, un’enorme varietà di ragazzi e ragazze, di stili e vestiario, di visi e carnagioni, molte delle quali ancora abbronzate dall’estate appena finita.
John Watson, che assieme agli altri tutor vestiva ancora l’abito ufficiale della Facoltà Universitaria per ottenere una maggiore visibilità in quella moltitudine di ragazzi, accompagnò i componenti del proprio gruppo nei punti salienti del college, la mensa, le biblioteche, la sala comune, le segreterie ed infine i dormitori: arrivati all’ingresso di questi ultimi, divisi in piani diversi per maschi e femmine, John riassumette le poche regole fondamentali del campus, lasciando infine qualche consiglio a carattere più generale.
“...e per qualunque domanda, potete trovarmi nell’orario di ricevimento indicato sul foglio che vi ho lasciato, oppure, più semplicemente, potete scrivermi un’email. Divertitevi, e se proprio dovete infrangere qualche regola, vedete di non combinare danni seri e soprattutto di non farvi beccare, o sarò io il primo a segnalarvi in presidenza. Voglio ordine, e soprattutto non voglio essere ripreso io per qualcosa che fate voi. Andate pure a sistemarvi nelle vostre stanze.” John concluse con un sorriso, aspettando che tutti i componenti del piccolo gruppo si sparpagliassero prima di muoversi a sua volta: accolse con piacere le occhiate interessate di due ragazze che sfilandogli accanto si lasciarono scappare dei risolini divertiti. L’unica cosa che lo scocciava in quel momento, era che avrebbe dovuto ripetere tutte le spiegazioni allo studente assente alla cerimonia ufficiale: sottolineò il nome Sherlock Holmes sull’elenco delle sue matricole, inarcando le sopracciglia in un’espressione stranita “Che nome...”
John decise dunque di tornare alla propria stanza, pregustando già la piacevole sensazione di non doverla dividere più con nessuno: i tutores infatti, avevano il privilegio di ricevere una piccola, simbolica, retribuzione per il lavoro svolto con le matricole e la fortuna di avere una stanza singola. Si diventava tutor per dei meriti particolari, quindi il collegio docenti aveva deciso quella piccola concessione, e John era finalmente libero di avere uno spazio tutto per sè, visto che coi precedenti coinquilini era stato piuttosto sfortunato. Quando però arrivò di fronte alla porta della propria stanza, impallidì nel vedere il via-vai di persone ben vestite che non faceva altro che portare scatoloni all’interno: affianco alla porta c’era il Rettore che gli si fece incontro “Tutor Watson, come vede abbiamo un piccolissimo problema.”
John sbirciò dentro l'appartamento: dire che fosse pieno di roba era un eufemismo. Lui che era così ordinato, vide i propri effetti spostati ai quattro lati della stanza per far posto a tutti quegli scatoloni la cui provenienza gli era ancora sconosciuta “Quale piccolissimo problema?”
“Abbiamo questa nuova matricola, che si è iscritta all’ultimo momento e non abbiamo avuto modo di sistemarla nelle stanze assieme altre matricole, sarebbero state troppo affollate.”
“Beh, ora è molto affollata anche la mia stanza, Rettore.”
Il rettore riprese a parlare quando John ebbe finito di esternare il proprio disappunto, comprendendo la scocciatura del giovane tutor “E’ stato assegnato a lei perchè è nella sua lista, Watson...” poi gli si avvicinò, sussurrandogli all’orecchio “E’ figlio di una famiglia molto importante, grazie ai loro soldi abbiamo potuto rimordernare tutto il laboratorio di chimica. Deve avere pazienza, tra un anno lei sarà laureato, e non avrà più a che fare con questa faccenda. Compenseremo questa mancanza con il doppio del normale stipendio che viene retribuito ai tutores.”
“Spero solo rimarrà abbastanza spazio per me qui dentro.” borbottò John mentre vide l’ennesimo cartone sistemato all’interno della stanza “Come si chiama?”
“Holmes. Sherlock Holmes.” il Rettore osservò John di sottecchi, lasciando poi vagare lo sguardo altrove quando s’accorse che il giovane l’aveva visto.
“Ah, il ritardatario.” John intuì che il Rettore che gli stava nascondendo qualcosa, ma proprio quando stava per domandarglielo, vide un giovane entrare nella sua stanza: era alto e longilineo, pelle chiara come la neve che contrastava coi riccioli neri che gli incorniciavano il volto pallido su cui spiccavano un paio di occhi dello stesso colore del ghiaccio. Non vestiva come gli altri ragazzi della sua età, non aveva jeans, sneakers e t-shirt, ma un completo scuro di taglio classico abbinato ad una camicia altrettanto formale e ben stirata. Era un meraviglioso disegno tracciato col gesso sulla lavagna, era una creatura surreale, un elfo, se non fosse stato per i capelli scuri. Recava con sè la custodia di uno strumento musicale con la mancina e abbracciato tra il fianco e l’arto destro un microscopio.
Il Rettore approfittò della distrazione di John per allontanarsi dopo un rapido saluto “Se avrà problemi me lo faccia sapere, Watson. Buona giornata.”
John sbuffò, quindi sentì gli uomini -i servitori, pensò- accomiatarsi col giovane che non si degnò di ricambiare, e poi li vide uscire: salutarono educatamente e John ricambiò, studiandoli un poco mentre si allontanavano definitivamente dalla stanza.
Si decise quindi ad entrare nella propria stanza e, facendo lo slalom tra le diverse scatole, cercò con lo sguardo il suo nuovo coinquilino che trovò semi affacciato alla finestra, poggiato di profilo al muro come se volesse fuggire ai raggi del sole, gli occhi rivolti verso il basso, verso una macchina nera di servizio la cui partenza sembrò soddisfarlo.
“Sai, ti ha mentito il Rettore.” Sherlock ruppe il silenzio, quindi si voltò verso John, infilandosi le mani in tasca: lo guardò da testa a piedi, soffermandosi via via sui dettagli del viso e della postura che, a quanto pare, trovava interessanti. Lo studiò come lo si fa con un manuale, lo analizzò in quei pochi secondi, finchè John non gli rispose.
“Scusa?” domandò intrecciando le braccia al petto, squadrandolo a sua volta, seppur non in modo così approfondito.
“Non è vero che sei stato estratto a sorte.” prese una pausa, durante la quale si avvicinò ad uno degli scatoloni dal quale estrasse qualche libro “Mio fratello ha studiato personalmente le schede personali di tutti i tutores e ha valutato che tu fossi il migliore, o meglio, il più adatto ad occuparti di me.”
John ripensò allo sguardo del Rettore, al tentennamento che aveva letto nel viso e nel tono. Avrebbe voluto fargli molte domande, ma decise di limitarsi ad ascoltare, per il momento, quindi fece un cenno al giovane “I tutores non sono delle balie.” alzò poi le braccia, togliendosi il maglione sopra il quale era ricamato lo stemma dell’Università per poi riporlo ordinatamente sopra la propria scrivania.
“No, certo che no. Ma come avrai sicuramente intuito, la mia famiglia avrebbe anche avuto i mezzi per sistemarmi in una camera da solo, e credimi, l’avrei preferito. Ma mio fratello ha pensato bene che non sarebbe stato saggio e salutare per me, quindi ha deciso di mettermi in una stanza con un tutor. Le altre matricole sarebbero stata una scelta peggiore, più casiniste, più trasgressive, più insopportabili, quindi, dovendo scegliere tra uno studente più grande, ha scelto un tutor e tra i tutores ha scelto te.” disse Sherlock tutto d’un fiato, rialzando lo sguardo su John.
“Che onore.” biascicò John sarcasticamente, per poi sparire pochi minuti nella propria stanza, uscendone poi fuori con jeans e maglietta, decisamente più comodi rispetto ai pantaloni classici e alla camicia della divisa. Nel piegarsi, poi, per spostare uno scatolone che era totalmente in mezzo ai piedi, gli sfuggì un’occhiata che si posò su Sherlock: lo vide sedersi su una delle due poltrone, alzare le gambe e abbracciarsele in una posa che a John suscitò una strana tristezza. Si ritrovò a pensare che forse quel ragazzo incarnava il clichè del ragazzo straricco, senza amici, triste e senza alcuna voglia di vivere la propria giovinezza, quindi fu altrettanto rapido il ragionamento che lo portò a pensare a se stesso come il tipico ragazzo stronzo che ignorava i ragazzi ricchi ma disadattati come lui e finì col rimproverarsi da solo.
Si rialzò dunque, avvicinandosi alla poltrona su cui sedeva Sherlock, il quale spostò lo sguardo, posandolo su John: erano occhi che, mentre a prima vista potevano sembrare tanto freddi quanto inespressivi, ad un’analisi più attenta potevano sembrare malinconici e forse un po’ impauriti. John alzò la mano verso la matricola.
“John Watson, piacere di conoscerti.” si sciolse in un piccolo sorriso che venne ricambiato, di riflesso, dall’altro.
Sherlock infatti, dopo pochi istanti di stupore, inarcò a sua volta uno degli angoli della bocca in un piccolo sorriso, per poi alzare la mano che fu presa dalla stretta vigorosa del tutor “Sherlock Holmes.”
“Che nome strano.” rispose John, provando a rompere il ghiaccio: si sedette di fronte a lui, sull’altra poltrona “Hai marinato la cerimonia di presentazione. Dimmelo subito, sei uno che trasgredisce spesso le regole?”
“Mpf.” ridacchiò Sherlock che non sembrò intenzionato a rispondere a quella domanda “Studi medicina. Bene, potresti tornarmi utile.” vide John spalancare gli occhi per la sorpresa e questo lo divertì, quindi continuò a parlare “Sei all’ultimo anno, sei qui grazie ad una borsa di studio e sei tutor per meriti accademici. Perchè lo so? I tuoi vestiti. Tutti gli altri studenti hanno abiti firmati, nuovi, tu invece hai degli abiti tenuti molto bene ma è possibile notare quanto siano consumati. Questa è un’Università prestigiosa, la retta è molto alta, non te la potresti permettere quindi se sei qui è perchè hai vinto una borsa di studio: quindi sei uno studente modello, devi esserlo, perchè se ti laureassi fuori dai tempi consentiti perderesti i diritti a ricevere i soldi per la retta. Perchè ti abbassi a fare il tutor poi? Per il misero stipendio che vi regalano che è comunque meglio di niente, sì perchè fare ripetizioni non basta a pagare qualche serata brava da collegiale, vero? E a volte fai da assistente a qualche professore viste le tracce di gesso sul dorso delle ultime tre dita della mano sinistra. Mancino eh? Non è vero che voi mancini siete più intelligenti dei destrimani, ma comunque sembri molto ligio al dovere. Hai uno strano portamento rigido, di solito i ragazzi della tua e della mia età hanno la schiena più curva, soprattutto se costretti a studiare molto, ma tu no. Prima di venire all’università hai studiato in un’accademia militare, ma perchè? Di solito ci mandano gli adolescenti con problemi caratteriali ma non è il tuo caso. Nuovamente per questioni economiche?” esitò tre secondi, per la prima volta da quando aveva cominciato a parlare “No... perchè ti piace, ma certo, ti piace la disciplina a giudicare dall’ordine della tua stanza prima che arrivassi io e poi anche nelle accademie militari c’è la possibilità di alloggiare nella struttura scolastica, a differenza delle altre scuole superiori. Perchè? Hai problemi in casa? Non vai d’accordo con i tuoi? Stando lì ti è piaciuta la disciplina che ti hanno impartito e... certo. Medico per fare felice i tuoi, soldato per soddisfare la tua voglia di azioni e il tuo rigore. Uscito da qui ti arruolerai? Un altro modo per allontanarti dalla tua famiglia? Medico militare, eh? Ne hanno sempre bisogno, in qualsiasi esercito.” finalmente si concesse una pausa, dovendo prendere fiato: le guance gli si colorarono appena di un rosa pallido, emozionato da chi aveva di fronte, esilarato dall’essere riuscito a leggere così tanto in lui. Poi si rese conto di quello che aveva fatto e ricordò le parole di suo fratello: a nessuno fa piacere che uno sconosciuto sappia così tanto di te.
Sull’altra poltrona, di fronte a Sherlock, John non potè fare a meno spalancare la bocca, chiedendosi se fosse possibile quello che era appena accaduto: inizialmente si sentì nudo, un libro aperto, ma poi si ricordò di non esserlo, tutt’altro. Infatti anche la sua ragazza, Sarah, spesso gli rimprovava di non svelare quasi nulla di sè, di non aprirsi mai abbastanza, neanche con lei. Eppure quel ragazzino l'aveva rivoltato come un calzino e con una facilità disarmante.
“Sei stato... incredibile.” biascicò, per poi vedersi puntare addosso gli occhi di Sherlock, nuovamente, questa volta però sembravano stupiti.
“Davvero?”
“Certo. Fantastico... veramente fantastico.” confermò John.
“Non me lo dice mai nessuno.” confessò Sherlock: il suo stupore era pari quasi quanto a quello di John di fronte alle sue deduzioni. Guardò John insistentemente, le labbra leggermente aperte in un’innocente sorpresa "Di solito mi insultano."
“Certo, non faccio fatica a crederlo. Io non ho nulla da nascondere. Tutte le cose che mi hai detto non sono motivo di imbarazzo per me.” John fece spallucce “Ma magari ad altri potrebbe non fare piacere sentirsi dire la propria vita da uno sconosciuto.”
“Già. Lo dice sempre anche mio fratello.” Sherlock dilatò le narici in un accenno di fastidio nel nominarlo.
“E ti consiglio di non farlo con gli altri ragazzi qui al campus.”
“Loro hanno qualcosa da nascondere?” domandò Sherlock con un sorrisetto malizioso.
“Non si sa mai. E poi sembri gracile, non vorrei vederti tornare in stanza con un occhio nero.” ecco il cuore dell’aspirante medico che spuntava fuori.
“L’apparenza inganna. Sono più forte di quanto tu possa credere.”
“Fai come vuoi, io ti ho avvertito.” John fece spallucce, quindi si alzò dalla poltrona, diretto verso l’uscita della stanza “Ah, senti Sherlock. Quando torno devi aver sistemato la tua roba. Non voglio questo casino in giro e soprattutto voglio dello spazio vivibile, dove poter camminare, studiare... insomma fare cose. Nella tua stanza fai tutto il casino che vuoi, ma questo spazio è comune, quindi regolati!" sorrise e lo salutò prima di chiudere dietro di sè "Ciao!”
Sherlock sorrise in segno di saluto, avvicinandosi poi alla finestra, nascondendosi nello stesso cono d’ombra di prima, osservando John allontanarsi dai dormitori a grandi passi finchè non sparì dal suo angolo visivo.
Si ributtò poi sulla poltrona, lasciando spaziare lo sguardo in tutta la camera, osservando gli oggetti appartenenti al suo nuovo coinquilino. Sherlock avrebbe senza ombra di dubbio preferito affrontare l’Università da non frequentante, studiando a casa propria, ma la necessità di dover usare un laboratorio l’aveva spinto ad accettare l’insistenza del fratello ad iscriversi a tempo pieno. Non gli piaceva molto la gente, infatti storse il naso all’idea di dover dividere un angusto appartamento grande tanto quanto metà della sua stanza, nella sua grande villa di famiglia, con qualcun’altro, ma, a conti fatti, non gli dispiacque John Watson, almeno come prima impressione.
   
 
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